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28 dicembre 2024 6 28 /12 /dicembre /2024 13:54
John Katzenbach, Corte Marziale (nella traduzione di S. Bonussi), Mondadori (collana Omnibus), 2000

Ho intrapreso a dicembre la lettura di uno degli ultimi romanzi che mi erano restati da leggere di John Katzenbach (almeno di quelli tradotti in italiano, anche se uno l’ho letto in lingua originale): si tratta di Corte Marziale (titolo originale Hart's War, nella traduzione di S. Bonussi), pubblicato nel 2000 da Mondadori (collana Omnibus), e devo dire che è stata una bella lettura, con a trama narrativa corposa e avvincente.
Il romanzo riporta ad un’atmosfera di guerra e precisamente ad eventi che si svolgono in un campo di prigionia tedesco, dove sono confinati prigionieri di guerra, in massima parte ufficiali di aviazione americani e britannici, catturati in azione.
La trama è quella di un legal thriller ambientato nel campo di prigionia, dove con tutti i crismi (pur con le limitazioni imposte dalla condizione di prigionieri) viene attivata una procedura di corte marziale per giudicare il presunto colpevole di un efferato omicidio che vede come vittima un ufficiale americano che ha sviluppato una piccola economia di traffici e di scambi per trarre dei vantaggi personali (chiamato condominio di “Trader Vic”).
Il protagonista Tommy Hart, in virtù della sua vocazione a portare avanti gli studi giurisprudenziali, viene chiamato a svolgere il ruolo di difensore.
Il presunto colpevole è un altro ufficiale di aviazione, Lincoln Scott, il quale come unica sua colpa ha quella di essere nero ed anche quella di essere stato sottoposto a vessazioni di stampo razzista. 
In qualche modo viene ad essere designato come capro espiatorio di un delitto, del quale si professa innocente e di cui sin dall’inizio appaiono indizi indicanti altre piste che però vengono insabbiate.
Tommy Hart dovrà condurre una battaglia contro pregiudizi, intimidazioni, tentativi di insabbiamento, sino al raggiungimento della verità e comunque di ciò che altri avevano tentato di occultare.

Nella narrazione, si intrecciano anche i temi della fuga e della ricerca della libertà che abbiamo avuto modo di apprezzare inoltre narrazioni anche cinematografiche, si pensi ad esempio a "Fuga per la vittoria" in cui mentre l'attenzione generale è distratta dalla preparazione di una partita di calcio tra una squadra formata da prigionieri americani e una da soldati tedeschi vine messo  a punto un piano di fuga, secondo l'assioma un po' asserito in modo retorico (ma ci sta) che gli ufficiali prigionieri al comando devono sempre predisporre piani di fuga poichè il dovere di un buon soldato è cercare di di non arrendersi e pertanto di cercare in tutti i modi di fuggire se le circostanze lo consentono; oppure si pensi anche a "Il ponte sul fiume Kwai", in cui dietro un'apparente collaborazione con i Giapponesi si cela un progetto opposto dei prigionieri britannici che è quello dell'attuazione di un sabotaggio.

Come si apprende dalla postfazione, scritta dallo stesso autore, la storia da lui scritta si basa sulle esperienze dirette del padre, prigioniero di guerra durante il secondo conflitto mondiale
Il protagonista, Tommy Hart, è sicuramente ispirato alla figura del padre, alle sue esperienze nel campo di prigionia e al suo percorso successivo quando, avendo studiato i testi della giurisprudenza, da prigioniero, rientrato negli States poté conseguire la laurea in giurisprudenza, avviando la sua carriera di avvocato.
Così scrive l’autore nella sua nota finale (non mi perdo mai la lettura delle note finali perché spesso si svelano tanto sul processo creativo dell’autore e sulle sue fonti di ispirazione):
Mio padre era al terzo mese del suo primo anno alla Princeton University quando Pearl Harbor venne attaccata. Come moltissimi altri giovani della sua generazione si arruolò all’istante, e poco più di un anno dopo si ritrovò a tracciare la rotta di un B-25 Mitchell al largo della Sicilia. Il ‘Green Eyes’ venne abbattuto nel febbraio del 1943 dopo il bombardamento al volo radente di un convoglio tedesco destinato al rinforzo degli Africakorps di Rommel. Mio padre e gli altri uomini dell’equipaggio vennero ripescati dai tedeschi. Inizialmente trascorsero qualche settimana in un campo di prigioniera italiano a Chieti, quindi furono trasferiti con un treno merci allo Stalag Luft 3 di Sagan, in Germania nei pressi del confine polacco. Fu lì che mio padre trascorse quasi tutta la guerra.
(…) l’unico dettaglio della sua prigionia e delle difficoltà che aveva dovuto sopportare di cui ci parlava era il modo in cui era riuscito ad ottenere tutti i libri di cui avrebbe avuto bisogno per i suoi studi universitari attraverso la YMCA (l’organizzazione dei giovani cristiani). Aveva studiato su quei volumi, replicando i corsi che avrebbe frequentato se fosse stato ancora uno studente, e al suo ritorno negli Stati Uniti aveva convinto l’università a lasciargli affrontare due anni di esami in sole sei settimane per potersi laureare insieme alla sua classe. L’impresa di mio padre, già di per sé notevole, assunse in casa nostra una sorta di statura mitica. La lezione che ci insegnava era semplice: da ogni situazione, per quanto difficile essa sia, ci si può ritagliare un’occasione.
È stata quell’occasione sfruttata da mio padre nel lontano 1943 a fornirmi l’ispirazione per ‘Corte marziale”. Ma al di là di questo riconoscimento, è importante chiarire che i personaggi, le situazioni e l’intreccio del romanzo sono miei.
(…)
Il mondo del mio Stalag Luft 13 di fantasia è una combinazione di diversi campi. Gli eventi del romanzo, pur basati sulla realtà dell’esperienza dei prigionieri di guerra, sono inventati. Gli ufficiali, sia tedeschi sia alleati, che popolano queste pagine non sono direttamente ispirati a uomini realmente esistiti, vivi o morti che siano
” (Nota dell’autore, pp. 495-496)

Il romanzo è stato tradotto in film nel 2002, con il titolo “Sotto corte marziale” (Hart's War), per la regia di Gregory Hoblit, con Cole Hauser, Colin Farrell (nella parte di Tommy Hart), Bruce Willis (nella parte di McNamara), Maury Sterling, Vicellous Reon Shannon, Linus Roache.
Purtroppo il film non ho avuto modo di vederlo, ma - a giudicare da alcune sequenze proposte nel trailer - a scopo meramente spettacolare (e per soddisfare il gusto tutto americano per l’azione) sono state introdotte delle variazioni rispetto alla narrazione originale.

Mi piace concludere questa recensione, citando la frase finale della nota dell’autore in calce al volume, a proposito dell’importanza della memoria e delle storie del passato:
A volte penso che viviamo in un mondo così ossessivamente dedito a guardare avanti che spesso dimentica di concedersi il tempo per guardarsi alle spalle. Ma alcune delle nostre storie migliori si trovano nella nostra scia, e sospetto che, per quanto possano essere crudeli, ci aiutano a capire dove siamo diretti“ (Ib., p. 497)

(Soglie del testo) Siamo in un campo di prigionia tedesco, destinato ad aviatori americani e in inglesi, caduti prigionieri nel corso di azioni belliche durante la II guerra mondiale. 
Aprle 1944: nella latrina di un campo di prigionia tedesco viene rinvenuto il cadavere di Vincent Bedford, capitano dell'aviazione americana. Ogni indizio sembra condurre all'aviatore di colore Lincoln Scott. Con il benestare delle autorità nemiche, viene approntata una corte marziale americana. 
Il caso sembra semplice. 
Ogni indizio conduce all'aviatore di colore Lincoln Scott, l'unico ad avere un movente per uccidere un uomo apparentemente benvoluto da tutti. 
Il caso è semplice e il verdetto sembra già scritto. 
Ma chi era davvero il pluridecorato capitano Bedford? Chi sono i suoi amici, che ora invocano a gran voce il plotone di esecuzione per Scott? 
Privo di esperienza, ma ostinato e tenace, Hart dovrà dipanare un'ingarbugliata matassa in cui si intrecciano pregiudizi razziali, interessi economici, lotte di potere e violenti conflitti. 
E affrontare nemici che non sempre parlano una lingua diversa dalla sua.

 

John Katzenbach (da Wikipedia)

L’autore. John Katzenbach, nato nel 1950 a Princeton (USA), figlio di una psicoanalista e di un avvocato, si è laureato in letteratura anglo-americana nel 1972.
Il suo primo romanzo venne pubblicato mentre era reporter del "Miami Herald", dove si occupava di cronaca nera.
Nel 1987 divenne scrittore a tempo pieno con il romanzo che in Italia fu pubblicato con il titolo Facile da uccidere.
È stato inviato giudiziario anche per il "Miami News". Tra i suoi libri ricordiamo: Maledetta estate, Facile da uccidere, La giusta causa, Il giorno del ricatto, Il carnefice, Il cinquantunesimo stato, Corte marziale, L'analista, La storia di un pazzo e L'uomo sbagliato.
In Italia i suoi libri sono editi da Mondadori e da Fazi Editore.
Da alcuni suoi libri Hollywood ha tratto dei film.

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19 dicembre 2024 4 19 /12 /dicembre /2024 16:29

«Mi sembra di vederli questi ragazzi, Franco che passeggia con i romanzi e i libri di scuola sottobraccio per le calli di Venezia, e Rosa che cammina sul ciglio della strada tornando dalla fabbrica, entrambi con i pensieri che si hanno a quell’età: un amore, le amicizie, il futuro.
Cent’anni dopo la nascita di Basaglia cerco di dipanare il groviglio di fili di due vite parallele, in cui si intrecciano storie di guerra, sofferenza, malattia mentale, speranza.»

Valentina Furlanetto

Valentina Furlanetto, Cento giorni che non torno, Laterza

Nel mio percorso di letture basagliane (molte riprese e altre del tutto nuove) avviate da quando ho rinnovato i contatti con le pratiche psichiatriche (senza averne mai abbandonato i saperi) non poteva mancare un approccio all'opera di Valentina FurlanettoCento giorni che non torno. Storie di pazzia, di ribellione e di libertà, pubblicato molto opportunamente nel 2024, anno in cui si è celebrato il centenario della nascita di Franco Basaglia, da  Laterza Editore (I Robinson Letture).
Si tratta di un testo che si muove tra biografia, ricostruzione storica degli eventi che hanno portato alla legge di riforma psichiatrica e oltre, sin quasi ai nostri giorni, ma è anche un amarcord accorato (e su questo aspetto c’è un disvelamento che sarà fatto in maniera chiara ed esplicita solo in conclusione del percorso).
Molto brava l’autrice che, partendo dal progetto di raccontare due vite parallele e coeve (quella di Rosa e quella di Franco Basaglia) riesce a raccontare con grandissima e ferrata documentazione la storia della psichiatria italiana a partire dai primi anni Sessanta sino all’attualità dei nostri giorni in cui, assieme al drammatico e radicale cambiamento della tipologia dei pazienti sofferenti di disturbi psichici, assistiamo un po’ al fallimento della visione di Basaglia e siamo costretti a doverci confrontare con la realtà dilagante della creazione di una rete di mini-manicomialità diffusa, per non parlare dei manicomi “chimici” (a cui l'amico e collega Piero Cipriano ha dedicato uno dei suoi volumi) e della persistenza di quelli mentali (o meglio con i costrutti mentali del Manicomio) e ciò in una situazione in cui è stato presentato un preoccupante progetto di legge sull’assistenza psichiatrica (momentaneamente fermo) che, sia pure in modo elegante, riaprirebbe le porte agli internamenti di lunga durata e ad una esplicita filosofia custodialistica, proprio quella che pensavamo di esserci lasciata alle spalle, anche se in chiave "modernistica", oltre a mettere nelle mani delle organizzazioni private a scopo di lucro fette ancora più grandi dell'assistenza psichiatrica.
E' un libro assolutamente da leggere, sia da parte degli addetti ai lavori (che sempre di più sono sono sommersi da informazioni in stile DSM-5 e di tipo psico-farmacologico, ma sempre meno (almeno in larga maggioranza) sono attenti ad un approccio alle problematiche della salute mentale (sia quelle del benessere psichico sia quelle della malattia) in chiave umanistica e di risoluzione dei conflitti.

(Soglie del testo) «Mi sembra di vederli questi ragazzi, Franco che passeggia con i romanzi e i libri di scuola sottobraccio per le calli di Venezia, e Rosa che cammina sul ciglio della strada tornando dalla fabbrica, entrambi con i pensieri che si hanno a quell’età: un amore, le amicizie, il futuro. Cent’anni dopo la nascita di Basaglia cerco di dipanare il groviglio di fili di due vite parallele, in cui si intrecciano storie di guerra, sofferenza, malattia mentale, speranza.»
Questa è la storia di Franco Basaglia, nato nel 1924, figura rivoluzionaria che ha dimostrato che i ‘pazzi’ potevano vivere fuori dagli istituti e che ha lottato per il superamento degli ospedali psichiatrici.
Ma è anche la storia di Rosa, coetanea di Basaglia, una giovane donna nata e cresciuta non lontano da lui, che viene investita da un’auto e che da quel momento combatte con le crisi epilettiche e con la malattia mentale.
Rosa per tutta la vita affronterà il manicomio, l’elettroshock, l’uso massiccio di psicofarmaci, l’assenza di diritti civili, lo stigma. 
«Cento giorni che non torno», ripete a una delle figlie che la va a trovare in manicomio di nascosto, perché una madre internata è una vergogna. 

 

Valentina Furlanetto

Le due vite di Franco e Rosa corrono parallele in un secolo in cui l’approccio alla malattia mentale cambia profondamente. 
Con l’approvazione della legge 180 si apre una stagione di speranze, ma l’iniziale entusiasmo lascia spazio presto alla lotta delle famiglie con servizi pubblici sottodimensionati, alla preoccupazione per i Tso violenti, alla diffusione di un ‘manicomio chimico’.
Valentina Furlanetto ci accompagna, con la lucidità della cronista e la sensibilità della scrittrice, in un viaggio tra dolore, vergogna, voglia di libertà.

L’autrice. Valentina Furlanetto, giornalista, lavora a Radio24 e collabora con “Il Sole 24 Ore”,“Il Foglio” e “Review”. A Radio24 conduce la trasmissione Immagini. Le storie della settimana e lavora ai radiogiornali. Ha pubblicatoSi fa presto a dire madre (Melampo 2010) e L’industria della carità (Chiarelettere 2013). Per Laterza è autrice di Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa (2021, Premio Leogrande Studenti 2022).

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7 dicembre 2024 6 07 /12 /dicembre /2024 07:18
Giuseppe Trevisan, La Vita Rubata

La vita rubata. Memorie di un quasi adatto tra manicomi elettrici e servizi territoriali difettosi di Giuseppe Trevisan, pubblicato da Nuovadimensione, nel 2022 (con una precedente edizione nel 2015 per Futura Edizioni) è un testo tra diario e memoir, molto interessante e attuale, il cui l’autore, creando un personaggio fittizio che è il soldato Pino Lancia, racconta le sue personali vicissitudini a partire dal primo internamento in manicomio e poi, attraversando una serie di contatti successivi con le istituzioni psichiatriche, nel periodo cruciale che vide poi la promulgazione della legge 180 del 1978, e - a seguire - con i servizi psichiatrici nati successivamente a tale data. Le sue esperienze si svolgono a Udine, Pordenone e dintorni.
Il volume è completato da un inserto fotografico che illustra momenti diversi della vita di Giuseppe Trevisan e che offre degli scorci sull’ospedale psichiatrico di Udine.
Il volume è arricchito da una postfazione scritta da Giorgio Simon, che ha avuto un ruolo importante come dirigente nell’Agenzia regionale della sanità del Friuli Venezia Giulia, con il titolo “La vita rubata, note storiche su servizi e diritti”
A chiusura, con il titolo ”Apriamo quelle porte: colloqui sanvitesi con Mario Novello“, segue la trascrizione di due incontri promossi dall’Associazione Fuoritema, avvenuti a San Vito al Tagliamento nel novembre 2018 e nel gennaio 2019 in cui lo stesso Mario Novello nella forma di una lunga intervista racconta le esperienze di transizione dell’assistenza psichiatrica in Friuli Venezia Giulia dopo il 1978, ma includendo anche - ovviamente - importanti considerazioni e ricordi del suo lavoro a fianco di Franco Basaglia, a Trieste.
Viene da ultimo, ma di importanza per l’inquadramento generale dell’opera, un commento a firma della Aps Fuoritema, che nella sua qualità di associazione che lavora per l’inclusione sociale, ha promosso la pubblicazione del volume e che, nelle sue parole conclusive, pone sul tappeto dei nodi problematici attuali e scottanti sullo stato dell’arte dell’assistenza psichiatrica in Italia.

Dalla postfazione di Giorgio Simon: “La vita rubata attraversa la storia dei diritti e delle istituzioni italiane di mezzo secolo. Racconta della sanità militare, dei manicomi, del ricovero coatto di quello volontario, della nascita dei servizi territoriali e dell’applicazione della legge 180. Ma soprattutto racconta che fino a molti anni fa anche in Italia era considerato normale rinchiudere una persona malata, maltrattarla, privarla di ogni diritto e dimenticarsi di lei

(Quarta di copertina) Il soldato Pino Lancia ha difficoltà d'inserimento nel mondo militare e cerca tutte le scappatoie per sfuggirvi: ma inutilmente. Ci viene inserito a forza in quel groviglio di serpi. Persino un vecchio amico di suo padre, un alto ufficiale, non riesce a fargli ottenere l'esonero. Così Pino Lancia viene internato in manicomio (perché a giudizio del direttore dell'ospedale militare ha ottenuto troppi giorni di convalescenza) in un padiglione di "malati"; e comincia il suo calvario. Si rende conto che l'ospedale psichiatrico provinciale non guarisce, anzi, peggiora la situazione: gli psicofarmaci profusi a piene mani, gli elettroshock, il lettino di contenzione, il cibo scadente, peggiorano il suo stato di salute, e lo gettano sull'orlo della follia. In appendice, un importante contributo di Mario Novello sugli anni in cui ha lavorato con Franco Basaglia.

L’autore. Giuseppe Trevisan detto “Pino Lancia” nasce a San Vito al Tagliamento (Pordenone) il 2 marzo 1949. Compie studi regolari mostrando però attitudine per le materie umanistiche e, in particolare, per letteratura e poesia. 
Fin dalla giovinezza conosce il disagio psichico. 
Entra nel mondo del lavoro provandosi nei più svariati mestieri: ristoratore agente di commercio, bracciante agricolo e anche “operatore psichiatrico“ ha pubblicato le raccolte di poesie “Le lacrime di Dio” (2007) e “Angeli di strada“ (2010)

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4 novembre 2024 1 04 /11 /novembre /2024 01:02
Il passeggero clandestino (foto di Maurizio Crispi)

Vado alla ricerca di qualcosa
Una cosa che non trovo più da tempo
Passo il mio tempo a rovistare 
negli scaffali dei libri,
negli armadi,
negli angoli più riposti
Ma cos’é?
É un libro che ricordo di possedere 
da tempo immemore
Sono sicuro che ci sia,
da qualche parte
Eppure non lo trovo
Sono fissato con questo libro
Lo voglio
Mi sembra indispensabile
Devo rileggerlo
per carpirne segreti e significati arcani
Eppure non lo trovo,
cerco e non lo trovo
Conduco ogni giorno
la mia ricerca
con diligenza,
con dedizione,
con determinazione
La ricerca non é soltanto fisica
La mia mente rimugina,
alla ricerca di QUEL libro
Ma se mi doveste chiedermi 
cos’é QUEL libro
Io vi risponderei che non lo so
e che del suo titolo
e del suo contenuto
nulla ricordo
Ma credetemi,
quel libro mancante,
quel libro oscuro
prima o poi 
lo troverò 
E dopo che l’avrò trovato,
tutto sarà diverso

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3 novembre 2024 7 03 /11 /novembre /2024 13:03
Amy Meyerson, La libreria del tempo andato, Nord

Ho apprezzato particolarmente la lettura dell'opera prima nel campo della narrativa di Amy Meyerson, La libreria del tempo andato (The Bookshop of Yesterdays, nella traduzione di Alessandro Storti), pubblicato dalla Editrice Nord, nel 2019. 
Di tanto in tanto mi piace leggere dei libri che parlano di libri o che abbiano al centro della loro storia un negozio di libro, o un libraio. E gli esempi in questo particolare campo della narrativa, sono molteplici. Come anche sono numerosi i brevi saggi che parlano dei libri, della passione per i libri, della relazione indissolubile che leggo un lettore ai libri e di idiosincrasie dei lettori.

Questo romanzo è davvero un mirabile esempio di tale filone.

Miranda è la protagonista indiscutibili di questo romanzo che celebra la persistenza della memoria e la ricerca di una verità storica, assieme allo zio Billy che vi gioca un ruolo altrettanto importante. I libri e il Prospero Bookshop ne sono i deuteragonisti.
Lo zio materno, Billy, proprietario della Libretia “Prospero Books” ha avuto un ruolo affettivo speciale nell’infanzia di Miranda che da lui è stata educata all’amore per i libri attraverso il gioco e con vere e proprie cacce al tesoro letterario. Questo rapporto privilegiato s’é interrotto improvvisamente, quando Miranda era alle soglie dell’adolescenza, a causa di un litigio tra Billy e la madre.
Billy letteralmente scompare per anni dalla vita di Miranda, lasciandola con un senso di nostalgia per qualcosa che si è traumaticamente interrotto.
Improvvisamente, Miranda che adesso vive nella East Coast dove dopo il diploma, da qualche anno, lavora come insegnante riceve la notizia della morte dello zio e, insieme, una lettera che - secondo il modo in cui è stata addestrata - rappresenta l’inizio di una “caccia al tesoro” letteraria.
Miranda dunque si sposta urgentemente in California per partecipare alle esequie dello zio defunto per scoprire che è divenuta la sua erede universale e che, pertanto, éadesso proprietaria della Prospero Books.
Ciò comporta per Miranda il doversi confrontare con diverse sfide: decidere di rimanere piuttosto che tornare alla vita precedente; assumersi la responsabilità della Prospero Books che versa in un grave dissesto finanziario; riconciliarsi con la memoria di Billy che, alle soglie della sua adolescenza, l’ha tradita; e, infine, seguire le tracce e gli indizi lasciati da Billy appositamente per lei e che, passo dopo passo, la ricondurranno alla verità e alle sue origini.
Alla fine, Miranda riconciliata con il suo passato, prenderà in mano con decisione le redini della Prospero Books che però - come segno dell’inizio d’una nuova era - verrà ribattezzata con il nome di “Bookshop of Yesterdays” che è anche il titolo del romanzo in lingua originale..
Nella caccia al tesoro, inventata da Billy come veicolo del suo lascito, ma anche come strumento di riconciliazione, gioca un ruolo-chiave “La Tempesta” di Shakespeare (sia la libreria sia Miranda traggono i loro nomi dai personaggi  dell'ultimo lavoro teatrale di Shakespeare che è in qualche modo, incentrato sul tema del commiato: e c'è una ragione in ciò).
Nel corso della caccia al tesoro Miranda apprenderà tutti i dettagli della sua storia e scorprirà anche le ragioni dell'improvviso e definitivo allontanamento della zio: e sarà così pronta a lasciarlo andare come figura reale per accoglierlo nel ricordo.

L’ho trovato davvero coinvolgente e mi sento di consigliarlo.

(Soglie) Una caccia al tesoro fra i libri con in palio un premio speciale: la felicità.

(Risvolto) Delicato e toccante, «La libreria del tempo andato» è un inno alla forza dei legami familiari e al potere che hanno i libri di connetterci con le persone che amiamo. Perché spesso regalare un libro è un modo per confessare sentimenti che non riusciamo a esprimere a parole.

Miranda è cresciuta in mezzo ai libri. Letteralmente. Da bambina, infatti, passava ore e ore a vagare tra gli scaffali di una libreria, giocando alle cacce al tesoro letterarie che il proprietario, suo zio Billy, organizzava per lei. Grazie a lui, Miranda ha imparato ad amare quei mondi d’inchiostro racchiusi tra le pagine, il profumo inconfondibile della carta, il mosaico variopinto delle copertine. Un giorno, però, quando lei aveva dodici anni, la madre aveva all’improvviso tagliato i ponti col fratello e l'aveva portata via, lontano da lui e dalle sue avventure. Ma ecco che, sedici anni dopo, lo zio Billy muore, lasciando in eredità a Miranda la libreria. E non solo. Miranda riceve per posta una copia della «Tempesta», con un’unica frase sottolineata: ""Siedi: ora devi sapere di più"". Il messaggio è chiarissimo. È l'inizio di una nuova caccia al tesoro. L'una dopo l’altra, Miranda raccoglie le molliche di pane disseminate dallo zio, incamminandosi lungo un sentiero costellato di citazioni letterarie e segreti taciuti troppo a lungo. E, cercando tra le

Amy Meyerson

pagine dei romanzi che hanno segnato la sua giovinezza, Miranda non solo scoprirà la verità sullo zio e sulla loro separazione, ma si renderà conto che quella libreria è la sua casa e il suo destino…

Hanno detto:
"Un omaggio colto, ammaliante e appassionato al magico mondo dei libri" - Publishers Weekly

L’autrice. Amy Meyerson vive a Los Angeles e insegna Scrittura creativa alla Southern California University. "La libreria del tempo andato" è il suo romanzo di esordio

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16 ottobre 2024 3 16 /10 /ottobre /2024 13:53

“Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.”

Stefano Catellani, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, Bollati Boringhieri (p. 11)

Catelllani, Fort Apache, Bollati Boringhieri, 2003

Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.” (p. 11)
Questo è ciò che scrive Stefano Catellani nelle pagine introduttive al suo saggio clinico, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, edito da Bollati Boringhieri (nell'ambito della Collana L’esperienza Psicologica e Medica), nel 2003.
L’autore - nella sua introduzione al testo - esplicita la sua volontà di non voler uscire dal crocevia principale per imboccare delle strade laterali e meno trafficate di tipo super-specialistico e, quindi, afferma la sua determinazione nel definire se stesso come uno psichiatra “qualsiasi”, cioè psichiatra e basta, senza ulteriori aggettivazioni, e dunque psichiatra “senza qualità” (in ciò, forse, strizzando l'occhio a Robert Musil).
Ciò allo scopo di evitare il potere stigmatizzante dell’ideologia che è contenuta implicitamente nella scelta di un campo di applicazione piuttosto che di un altro quando ci si accosta ai saperi psichiatrici, poichè tale scelta - con le sue ricadute nelle prassi della quotidianità clinica - è pericolosa, teoricamente, clinicamente e ideologicamente e si presta a derive oppure ad esclusioni e scotomi (per esempio, relativamenti alla determinazione di quali siano i pazienti "buoni" da trattare e quali invece da abbandonare a se stessi, perché ingestibili, ingovernabili etc etc).
Ritengo che solo lo sforzo di confrontarsi continuamente con la contraddittorietà dei propri linguaggi interni e dei propri saperi possa permettere alla psichiatria e agli psichiatri di tentare di confrontarsi con i linguaggi contraddittori e contrastanti dei loro pazienti.” (p. 14)
Questo libro - come dice il titolo - è stato scritto da uno psichiatra «qualsiasi», che opera nei servizi territoriali del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, e racconta delle storie cliniche. Sopraffatti da linee-guida e diagrammi, pare che gli psichiatri — come pure spesso gli psicoanalisti — non siano più capaci di raccontare se non in forma di brevi schemi anamnestici o di sintesi di puntate di diario clinico asettiche e povere di anima, oppure ancora in forma di “excerpt” ovvero di estrapolazioni decontestualizzate che servono all’autore che li cita per dimostrare una certa tesi.
Invece, Catellani racconta bene, di sé e dei pazienti che sceglie per le sue storie. Ribadiamo: storie e non anamnesi, e nemmeno le malefiche «vignette», storielline cliniche funzionali solo all'enunciato che lo psichiatra o lo psicoanalista stanno sostenendo. 
Qui no, sono raccontate finemente nei dettagli vicende esistenziali e vicende di incontri: per che via il paziente arriva, in ambulatorio o al Pronto Soccorso, cosa fa e cosa racconta di sé, come reagiscono paziente e medico all'incontro, nei comportamenti e nelle parole e come si storicizzano a vicenda, scrivendo della relazione terapeutica una narrazione condivisibile e condivisa.
Un clima fortemente interpersonale, perché l'uomo-psichiatra si china accanto all'uomo-paziente, più interessato alla sua vita e alle rappresentazioni di sé, e ai pensieri e agli affetti che in lui ne derivano, che alla sola psicopatologia: lo psichiatra - e lo psicoanalista - modifica, con il suo intervento, il campo su cui interviene e, nel momento in cui è in gioco, non può più presumere di conservare una osservazione neutrale né, tanto meno, oggettivante, pena la reificazione del suo stesso pensiero e del suo agire (per mano delle nosografie, linee-guida, protocolli, manuali di tecnica etc.).
Queste storie e queste convinzioni sono raccontate con uno stile sobrio e semplice, senza eccedere in tecnicismi (ma ricorrendo ad una epicrisi teorica, quando ciò appare necessario), esprimendo nello stile un modo di raccontare che, trasmettendo anche delle emozioni e lasciando trapelare la soggettività del terapeuta, è pieno, ricco, elegante.
I casi clinici illustrati da Catellani dimostrano che si può uscire da alcuni schemi precostituiti nell’assistenza al malato psichiatrico: e poi c’è da chiedersi chi sia o cosa sia effettivamente, oggi, il malato di mente.
Il libro di Catellani è stato pubblicato nel 2003: e a distanza di vent’anni è tuttora valido e pienamente attuale, in quanto illustra - pur con tutte le difficoltà - un modello di intervento virtuoso e praticabile in direzione ostinata e contraria rispetto a modelli operativi pigri oppure intrisi di pregiudizi antichi anche se mascherati con nuovi volti.
Oggi come oggi, abbiamo bisogno di molti altri libri come questo di Catellani per scardinare alcuni costrutti mentali e sociali sulla follia e sui disturbi psichici che, tuttora vigorosi, rimandano a una dimensione ancora ben radicata di “manicomio mentale” che poi porta - nelle prassi quotidiane - all’attivazione di “mini-manicomi” o di manicomi “chimici”.
Libri come questo oppure come altri di più esplicita denuncia delle malpractice medico-psichiatriche come sono quelli scritti in anni più recenti da un Piero Cipriano, neo-basagliano convinto e battagliero.
Il volume è dotato di alcune appendici che lo rendono particolarmente interessante tra le quali una su alcune ”parole dubbie“ del gergo psichiatrico, ma anche una di citazioni colte, oppure un’altra (titolata "Creativa mente") contenente degli esempi di produzioni letterarie degli stessi pazienti, proprio per dare voce a questi ultimi dal momento che, spesso, anche nelle pratiche psichiatriche attuali il paziente tende a perdere la propria soggettività, o meglio ne subisce la sottrazione.
Scrive Catellani: “Ho scritto gran parte di questo libro per raccontare le storie di pazienti diagnosticati come schizofrenici e per uscire dalle gabbie di questa definizione. (…) … nulla di tutto ciò descrive l’incredibile esperienza umana di questi pazienti. “ (p. 291)
E poi ancora: “Il setting riveste grande importanza per chi, come me, ritiene che in ogni lavoro psichiatrico, anche nella pura prescrizione farmacologica, vi sia sempre una funzione psicoterapeutica attiva (che può essere positiva o negativa). la psichiatria non ha grandi costi: non necessita di dispendiosi macchinari, né di farmaci dei prezzi proibitivi [anche se - va pur detto - a distanza di vent’anni da queste parole non si può non rilevare che il trend delle case farmaceutiche è quello di imporre nuove molecole estremamente costose - nota mia]; le nostre ‘sale operatorie’ sono gli ambulatori, il nostro ‘bisturi’ é il tempo, le nostre ‘risonanze magnetiche’ sono costituite dall’ascolto. La qualità, la stabilità e la continuità del setting (tempo e luogo dell’ascolto) sono indispensabili ad una buona assistenza psichiatrica.” (Ib., pp 291-292)

(Quarta di copertina) Le storie di questo libro nascono dal bisogno e dal desiderio dell'autore, impegnato nel lavoro con pazienti psichiatrici, di raccontare le vicende in cui si è trovato a essere coinvolto emotivamente: si tratta di rielaborazioni di relazioni cliniche, oppure ricordi di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutti sono diventati spunti di riflessione sulla pratica quotidiana dell'assistenza psichiatrica. Ma soprattutto l'autore avverte l'esigenza di narrare la vita, i sentimenti, gli umori, le relazioni di persone vive e reali, per uscire dall'atrofia intellettuale delle parole burocratiche e spersonalizzanti delle cartelle cliniche e delle classificazioni diagnostiche.
Narrare per valorizzare l’esperienza, per evitare che il fiume della vita (dei pazienti, e dell’autore stesso) resti in sabbiato nel deserto delle nosografie e dei protocolli. Catellani auspica c’è questa storie questi appunti possano aiutare i lettori a rivedere i pregiudizi nei confronti dei pazienti psichiatrici e dei disturbi mentali di cui tutti siamo più o meno portatori, a superare le barriere concettuali tra salute e malattia, tra “normalità” e follia

L’autore. Stefano Catellani, psichiatra, e dirigente medico in psichiatria presso la Asl della città di Bologna.

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10 ottobre 2024 4 10 /10 /ottobre /2024 11:44
Tom Lin, Ferrovia di Sangue, Einaudi

Ferrovia di Sangue (titolo originale: The Thousand Crimes of Ming Tsu) di Tom Lin, pubblicato da Einaudi, Collana Stile Libero Big nel 2022, nella traduzione di Alfredo Colitto, è un romanzo in stile western ambientato in un periodo storico in cui l’epopea del West già si stempera per cedere il passo alla modernità con l’arrivo della ferrovia transcontinentale, ma è anche il romanzo di esordio di Tom Lin.
Ming Tsu, di origini cinesi, ma adottato da un bianco (ed è dunque un cinese "assimilato" che, in quanto tale, non porta il codino, com'era tradizione nei cinesi che arrivarono a frotte per contribuire alla costruzione della Ferrovia) è un pistolero (così lo ha fatto crescere il bianco che è stato il suo padre-padrone, come killer su commissione) che adesso cerca vendetta poiché da un gruppo di Bianchi violenti, sostenuto da un Giudice, gli è stata sottratta la moglie Ada.
La sua mission adeso è uccidere spietatamente tutti quelli che hanno ordito questa ingiustizia ai suoi danni. 
Il caso vuole che si ritrovi viaggiare con una pittoresca compagnia di artisti itineranti (che forse non sono soltanto artisti ma anche individui dotati di poteri diversi e straordinari) i quali, capeggiati da un impresario, mettono in scena uno spettacolo facendo della propria diversità motivo di attrazione, come i Freaks del circo Barnum
Ombra e consigliere di Ming Tsu è il Profeta, un cinese vecchissimo e cieco, ma dotato del potere della preveggenza.
Si tratta - per alcuni versi - anche di un romanzo “on the road” (che rivisita, quindi, alcuni dei topoi della Frontiera), poiché la compagnia itinerante si va spostando attraverso i deserti da una cittadina all’altra verso ovest, imbastendo i suoi spettacoli, mentre al tempo stesso Ming Tsu che fa da guida e protegge i suoi compagni di viaggio dai pericoli va consumando la sua vendetta, alla ricerca del sogno di ricongiungimento con la sua perduta Ada.
E' indubbiamente un bel romanzo in cui elementi di avventura si mescolano con quelli del crime, del noir e delle storie western di vecchio conio - classiche per alcuni versi - ed anche con l’arricchimento d’un pizzico di paranormale e di straordinario, grazie all’incontro con questi compagni di viaggio portatori ciascuno di “stranezze” e di abilità metamorfiche.

 

(Soglie del testo) Un gruppo di bianchi, sicuri della loro intoccabilità, gli ha portato via tutto. Ma nessuno sa uccidere come Ming Tsu. E adesso è in cerca di vendetta.

Per anni Ming Tsu è stato costretto a lavorare come uno schiavo alla costruzione della ferrovia transcontinentale, insieme ai tanti cinesi che con la loro sofferenza hanno aperto il West agli americani e che nessuno ricorda mai. È fuggito solo quando il Profeta – un vecchio cinese cieco, capace di leggere il futuro – non gli ha detto che era il momento. Adesso è tornato. E può iniziare la sua caccia. È deciso a eliminare i suoi nemici uno per uno e raggiungere la California, raggiungere Ada, la donna che gli hanno strappato dalle braccia. Ad accompagnarlo fino a Reno sarà un gruppo di bizzarri artisti dai poteri soprannaturali, un carrozzone di freak che gli insegneranno cosa vuol dire essere umani.



Hanno detto
«Una saga western perfetta per un film dei fratelli Coen» – The Boston Globe

Tom Lin

«Un libro in cui l'atmosfera dei western di Cormac McCarthy lascia spazio alle sfumature e alle ombre di Ray Bradbury» – Jonathan Lethem

«Un romanzo originalissimo, con una prosa vivida e meticolosa, in cui persino un temporale può assumere proporzioni mitiche» – The New York Times Book Review

 

L’autore. Tom Lin è nato in Cina, ma quando aveva quattro anni la sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti. Laureato presso il Pomona College, si dedica ormai esclusivamente alla scrittura. Per Einaudi ha pubblicato Ferrovia di sangue (2022), il suo primo romanzo

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4 ottobre 2024 5 04 /10 /ottobre /2024 07:28
Italo Bonera, E' stata legittima difesa, Ianieri, 2024

Ho letto con grande piacere il recente romanzo di Italo Bonera, È stata legittima difesa, pubblicato da Ianieri (Le Dalie Nere), nel 2024
Innanzitutto come classificare questo romanzo?
Beh! Io lo collocherei sicuramente nell’ambito del noir come genere letterario anche se vi è, al contempo, una forte componente di studio psicologico del personaggio principale che fa guadagnare a questa narrazione punti per una pole position anche in una dimensione letteraria più generalista e meno di genere, legandola peraltro anche a una dimensione sociologica dell’attualità del femminicidio e della fucina interiore da cui scaturiscono questi crimini. 
Il protagonista Gabriele è - come dice il risvolto di copertina - un maschio molto “basic”: poche aspirazioni, ma un impiego stabile, una famiglia tipo fatta di moglie e due figli, vita di routine piena di impegni lavorativi e familiari in una città di provincia. 
Dentro di lui, tuttavia, si agitano delle forze oscure di cui non ha grande consapevolezza: e si tratta di forze sulfuree che scaturiscono da un passato di cui non ha memoria e in cui si deposita greve peso d’una tragedia familiare da lui personalmente vissuta (o, forse, direttamente provocata dalle sue passioni e consuetudini di piccolo chimico in erba).   
Vi è anche il continuo dialogo con un compagno, amico immaginario, il “vecchio con il Campari”, con il quale si confronta e discorre nei momenti critici.
Le forze oscure sono tenute a bada anche nella sua consuetudine con le armi da fuoco e con la sua frequentazione di un poligono di tiro. 
Emerge e si fa sempre più evidente una componente immaginaria e allucinata nella vita quotidiana di Gabriele che rende gli incontri con altre persone, anche per via delle sue incombenze lavorative, dense di significati e di possibili sviluppi
Ed è quello che accade nell’incontro con l’enigmatica Leonarda, di cui Gabriele - dopo un casuale primo approccio - diviene amante. Ma poi chi sia “veramente” Leonarda rimane del tutto inesplicato, se cioè sia un personaggio reale, oppure reale, sì, ma trasmutato dalle elucubrazioni e dai costrutti immaginativi di Gabriele.
Vi è in definitiva, in questo processo, la rappresentazione di un delirio nel suo farsi, un percorso nel quale il delirio diviene il modo attraverso cui il delirante si va costruendo man mano un mondo accettabile all'interno del quale muoversi,
Dal momento del fatidico incontro in poi gli eventi interni ed esterni evolvono rapidamente verso un esito drammatico.
Non starò a raccontare ulteriori dettagli della trama, per non fare da spoiler a chi si accingesse alla lettura di questo romanzo che consiglio vivamente.
La cosa davvero interessante di questa quinta prova letteraria di Italo Bonera è stata la capacità di sollevarsi dalla letteratura di genere (come sarebbe stato un semplice noir) per entrare in un ambito letterario di più ampio respiro in cui si intersecano piani diversi che sono quello immaginario del protagonista e quello della vita reale assieme alle ossessioni del controllo che caratterizzano il nostro vivere quotidiano e che, in alcuni casi, possono diventare dei demoni potenti che condizionano il nostro agire, guidandolo a volte verso le più drammatiche conseguenze.
Ho detto che, nella lettura, si va rapidamente verso la fine dal momento dell’incontro con Leonarda, ma tengo a precisare  che questo avverbio “rapidamente” riguarda l’assetto psicologico del lettore nello scorrere le pagine del romanzo, che letteralmente volano via, poiché in realtà in questo incontro e nei suoi sviluppi c’è tutto il romanzo.
Ritengo che sia anche fortemente drammaturgico l’espediente cui ricorre l’autore, cioè  quello di introdurre, come intercalare, un punto di vista esterno, di tipo - direi - giudiziario, che cerca di ricostruire le dinamiche degli eventi ex-post, in una supposta aula di tribunale, fornendo al lettore la possibilità di aggiungere - come in un puzzle - le ultime tessere mancanti della storia, volutamente omesse e fornendo al tempo stesso un inatteso sviluppo collaterale, con l’aggiunta di un ulteriore punto di vista.


(Risvolto) Nello squallore d’una provincia asfittica, dove ognuno non riesce a comunicare se non con sé stesso, Gabriele, quarantenne basic, vive una mediocre normalità: la bella moglie, i figli, gli amici del bar, la macchina, il lavoro. E un immaginario ascoltatore delle sue lamentazioni, “il vecchio del Campari”, sintomo d’una precarietà di equilibrio, detrito d’un trauma passato. La routine del protagonista viene sconvolta dall’incontro con Leonarda, decisa a succhiare la vita fino all’ultimo respiro e a fare tutto ciò che non hai mai osato prima, senza rimpianti e finché il destino glielo concederà. La loro relazione clandestina è magnetica, irrazionale, sensuale e diventa in breve uno scontro tra mondi in rotta di collisione, mettendo in luce i rapporti tossici di Gabriele e la sua smodata ansia di controllo


 

Italo Bonera

L’autore. Italo Bonera è nato e risiede a Brescia. Insieme al conterraneo Paolo Frusca, è l’autore di “Ph0xGen! Mille soli per l’impero“, romanzo ucronico giunto finalista al concorso Urania nel 2006 e quindi pubblicato per la prima volta nel 2010 da Mondadori, nella collana Millemondi. Ha collaborato con Frusca anche alla realizzazione della raccolta di racconti fantascientifici “Cielo e ferro. Il futuro è cambiato” (La Ponga, 2014). Nel 2013, Gargoyle ha dato alle stampe il suo thriller distopico dal titolo “Io non sono come voi”.
(
da "Brescia oggi) Ha cominciato a scrivere, scrivere sul serio, vent’anni fa. Senza chiedersi se fosse tardi, a quarant’anni compiuti. Tu chiamala, se vuoi, urgenza. Vent’anni senza fermarsi mai: «Sono al mio quarto romanzo, devo terminare la stesura del quinto. Ho concluso racconti innumerevoli, sto lavorando ai prossimi due. Due o tre. Dopodiché avrei in animo di fare un altro paio di romanzi». Ci arriverà, Italo Bonera. Gli basta andare dove lo porta il cuore, come dimostra «Il male che fa bene»: edito da Calibano, fresco d’uscita, storia di una vita che non concede tregua ed è un forte sentire in ogni suo attimo.

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19 settembre 2024 4 19 /09 /settembre /2024 06:46

Si tratta di una mia nota del 2009, scritta a commento di una foto da me scattata (testo in buona parte di tipo compilativo)

Maurizio Crispi (18 settembre 2009)

Lombrico stanato dalla pioggia

Dopo la pioggia vengono fuori i vermicelli, lunghi e grassi
In realtà, si tratta di quelli che più appropriatamente si chiamano lombrichi e, quando si parla di lombrichi, il pensiero non può che correre a Darwin.
Su queste umili creature Charles Darwin, che oggi compirebbe 200 anni, scrive l’ultimo libro della sua vita, nel 1881, un anno prima di morire. Il libro si intitola "The formation of Vegetable Mould, Through the action of Worms, with Observation on Their Habits"  (tradotto in italiano con il titolo "L'azione dei vermi") e molti studiosi lo considerano una curiosità o addirittura una stranezza, non all’altezza di un naturalista del suo calibro.

Fa eccezione Stephen Jay Gould, che sostiene che quest’ultima opera è «una celata sintesi dei principi di argomentazione, elaborati lungo un’intera vita, identificati e utilizzati nella più grande trasformazione della natura mai prodotta da un solo uomo». «I vermi – continua Gould – sono a un tempo umili e interessanti, e il lavoro di un verme, se sommato per tutti i vermi, per lunghi periodi di tempo, può plasmare il paesaggio e modellare il suolo». Il terreno è qualcosa che l’intuito ci porta a considerare come molto stabile, se non addirittura immutabile. Forse è perché ci appoggiamo sopra le nostre case, i beni immobili cui affidiamo il nostro benessere e la nostra protezione. Darwin dimostra però che il suolo tanto stabile non è perché è in realtà sottoposto a un continuo fermento provocato dai lombrichi.

Darwin svela l’entità del lavorio di queste piccole bestie sulle turbolenze del suolo in maniera meticolosa. Innanzitutto dà i numeri, calcolando «quale vasto numero di vermi vive non visto da noi, sotto i nostri piedi»: oltre 21 000 per ettaro di suolo britannico (pari a 142 chilogrammi di vermi). Poi con i dati che raccoglie da persone sparse in ogni angolo del pianeta, arriva a concludere che i vermi sono distribuiti in maniera molto più ampia e in una varietà di ambienti ben superiore rispetto a ciò che noi possiamo immaginare. Quindi scava buchi profondi nel terreno per vedere quanto i vermi si estendono in profondità nel suolo. Infine cerca evidenze dirette del continuo ricircolo del terriccio sulla superficie terrestre, che sarebbe provocato dall’ingestione e dall’escrezione della terra da parte di queste bestie tubuliformi.

Darwin compì numerose, pazienti misure degli escrementi dei lombrichi, che stima variare fra 3 e 7 tonnellate per ettaro. Secondo i suoi calcoli ogni dieci anni si formano fra 2 e 6 centimetri di nuovo terriccio. Sono numeri non trascurabili, se li moltiplichiamo per migliaia di anni. Viene da pensare che i vermi abbiano contribuito ad affossare le rovine greche e romane su cui si sono costruite le nostre città medievali e moderne. L’ultimo libro di Darwin è dunque, citando di nuovo Gould, «un trattato esplicito sui vermi e il suolo, e una discussione velata di come è possibile imparare sul passato studiando il presente».

Buon compleanno Mr. Darwin!

Il saggio ultimo di Darwin fa riflettere sulla finitezza della vita e sul modo in cui attraverso la morte e il disfacimento si generi di continuo nuova vita

Charles Darwin, L'azione dei vermi

Charles Darwin, L'azione dei vermi (a cura di Giocchino Scarpelli, nella traduzione di Milli Graffi), Mimesis, 2012

Ultima opera di Charles Darwin, questo studio sulle piccole creature della terra convalida la teoria dell’evoluzione. Come una metafora dell’intero sistema, il lombrico agisce allo stesso modo della selezione naturale: lavora in modo nascosto e instancabile, e con la complicità del tempo è in grado di trasformare la faccia del pianeta. Dedicato appunto allo studio delle creature più ordinarie e umili, il testo del grande naturalista rivela come i lombrichi, nel loro inesausto impegno nel rivoltare e vagliare la terra, producano alla lunga vasti e inaspettati effetti, dalla formazione dell’humus al dissodamento del suolo, alla trasformazione del paesaggio stesso. Tutt’altro che esseri spregevoli, nonostante l’aspetto, i lombrichi delle pagine di Darwin, dalle quali trapela una poeticità profonda, dimostrano anche barlumi di quella che chiamiamo intelligenza. Qual è allora il lascito di Darwin, in quest’opera che precede di poco la sua scomparsa? Che la Selezione Naturale è come un verme, cieca e instancabile. Che l’uomo non è l’unico detentore dell’intelletto. Che esiste nel regno animale una scala nella distribuzione di facoltà e disposizioni, ma nessun salto, poiché la nostra origine è comune. Anche se tocca alla specie umana il dovere di salvaguardare e preservare il mondo vivente.

Charles Darwin (1809-1882) con la teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale ha rivoluzionato la scienza, la filosofia e il pensiero occidentale. L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale fu pubblicata nel 1881, benchè quello di Darwin fosse un interesse che risaliva al 1837. Le sue opere più celebri sono Viaggio di un naturalista intorno al mondo (1839), L’origine delle specie (1859), L’origine dell’uomo (1871) e L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872).

Giacomo Scarpelli insegna Storia della Filosofia all’Università di Modena e Reggio Emilia. È autore dei volumi Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo (1993), Il dio solo. Alle origini del monoteismo (1997), La scimmia, l’uomo e il Superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni (2008), Ingegno e congegno. Sentieri incrociati di filosofia e scienza (2011). Ha curato l’edizione di opere di Kant e di Bergson e Storia della biologia in Italia (1987). 

Milli Graffi, poetessa e anglista, ha insegnato all’Università di Verona. Dirige la rivista “Il Verri”. Ha pubblicato i volumi di versi Mille graffi e venti poesie (1979); Fragili Film (1987); L’amore meccanico(1994); Centimetri due (2003), Embargo voice (2006) e, inoltre, studi su Marinetti, Palazzeschi e Breton. Tra le sue traduzioni Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio (1989), e La caccia allo Snualo (1985) di Lewis Carroll.

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9 settembre 2024 1 09 /09 /settembre /2024 08:12
Claudia Pineiro, Elena lo sa, Feltrinelli

Elena lo sa (pubblicato da Feltrinelli nel 2023, nella traduzione di Pino Cacucci) dell'argentina Claudia Piñeiro, è un bel romanzo, indubbiamente - pochi fatti, pochi eventi materiali che si sviluppano nell’arco di sole dodici ore (nello stesso tempo riguardanti un’intera vita) - ma, molto sinceramente, ho delle difficoltà nel poterlo considerare un noir, così come viene presentato nelle note editoriali.
È la storia di Elena, una madre la cui figlia è stata trovata impiccata in cima alla torre campanaria della chiesa vicino alla casa dove abita. Gli organi inquirenti hanno stabilito che si è trattato di suicidio, ma Elena non è disposta ad accettare questa conclusione.  Elena sostiene che Rita non avrebbe mai potuto suicidarsi e poi men che meno in una notte di tempesta, visto che aveva paura dei fulmini e che soffriva di acrofobia.
Elena é ammalata di una grave forma di sindrome di Parkinson che si è sviluppata nel corso degli ultimi anni e ha delle importanti e severe limitazioni nella sua mobilità e autonomia, visto che la sua malattia ha avuto un decorso particolarmente aggressivo. La figlia Rita che non si era ancora sposata, in questo imprevisto declino, ha rappresentato il suo pilastro e il suo punto di riferimento.
Elena non si rassegna all’ipotesi del suicidio e periodicamente continua ad incontrarsi con l’ispettore Avellaneda, anche quando il caso è stato dichiarato ufficialmente chiuso, e quest’ultimo - Avellaneda - la ascolta non più per dovere di ufficio, ma per puro spirito umanitario. 
Quando la incontriamo, Elena è disposta a giocare la sua ultima carta per trovare qualcuno che ritenga affidabile e che l’aiuti a continuare le indagini e le ricerche al posto suo, visto che il suo corpo non la sorregge più a dovere.
Intraprende quindi un lungo viaggio attraverso la città per andare a visitare una persona, Isabel, che ritiene possa avere un debito di gratitudine con Rita e con lei stessa.
La sua è una vera e propria missione di speranza, ma questa visita la metterà di fronte ad una verità ineludibile, ad un’ipotesi che non aveva affatto preso in considerazione.
Il romanzo si articola tutto in dodici ore circa che sono scandite dalle assunzioni del farmaco che le consente una mobilità semi normale, il levodopa. 
Le sue azioni difficoltose, inceppate, vengono descritte meticolosamente e riescono a trasmettere al lettore le sensazioni di lentezza, di blocco e di impotenza in cui è imprigionato il soggetto portatore di un morbo di Parkinson grave.
Il lettore si affatica e soffre assieme ad Elena che mette un piede davanti all’altro, che storce il collo per poter guardare dal basso verso l’altro il suo interlocutore e che sente imminente l’arrivo di un blocco motorio totale. Percepiamo in modo tangibile il terribile rallentamento del fluire del tempo che è proprio del Parkinson, mentre ancora l’acutezza dei pensieri non si è ancora affievolita, ma è tuttavia imprigionata nella corazza greve del rallentamento della motilità volontaria e talvolta del suo disperante blocco.

Vi è una profonda riflessione sul rapporto con una malattia invalidante, quale è il Morbo di Parkinson, ma anche sul fatto che con il progredire dell'età e con l'avanzare di una malattia invalidante il rapporto accuditore/accudito tra genitori e figli si inverte: e non è detto, né lo è mateticamente certo, che un genitore voglia essere genitore (o che ne abbia gli strumenti) o che un figlio possa accettare di divenire genitore del proprio genitore, quando una malattia o l'età avanzino in maniera ineludibile. Nulla in questo ambito è mai scontato: anche se la società e il pensiero comune sembrino richiedere ciò.

Le lunghe, interminabili dodici ore in cui scorre il romanzo sono anche, ovviamente, una riflessione sul vivere e sul morire, sul senso da dare alla propria vita nella malattia e sull’ipoteca che la malattia di uno mette sulla vita degli altri familiari, tenendo presente che non sempre la caparbia volontà di sopravvivere e di tenere alta la propria resilienza davanti alla malattia (la Malattia con la “M” maiuscola, personificazione d’una Nemesi esigente, "Lei" come Elena chiama la sua malattia quando con lei si trova a dialogare nella disperazione e nella lotta) trova supporto nei familiari che stanno attorno: la verità è che, a volte, sono proprio i sani a gettare la spugna, a fuggire spaventati e ad arrendersi

Il pathos che questa lettura - in meno di duecento pagine - riesce a trasmettere è grande e profondo, soprattutto autentico e accentuato da uno stile di scrittura caratterizzato da blocchi interi di pensieri con l’unica interpunzione di virgole.
Di grande impatto emozionale, ma proprio per questo l’ho letto (in parte letto ad alta voce e condiviso) a piccole dosi.

 

(Soglie del testo) Libro finalista dell’International Booker Prize 2022. In una trama noir molto riuscita, Claudia Piñeiro descrive con rara maestria e partecipe vicinanza la quotidianità di una malata di Parkinson tra i mille dettagli di ostacoli da superare, difficoltà imposte dalla mancata “obbedienza” delle gambe e dei piedi per muoversi, dando spessore al personaggio stoico di Elena che non si arrende mai.

Dopo che Rita viene trovata morta nel campanile della chiesa che frequentava, le indagini ufficiali sull’incidente vengono rapidamente chiuse. 
Sua madre, ammalata di Parkinson, è l’unica persona ancora determinata a trovare il colpevole. 
Raccontando un difficile viaggio attraverso le periferie della città, un vecchio debito di gratitudine e una conversazione rivelatrice, Elena lo sa svela i segreti dei suoi personaggi e le sfaccettature nascoste dell’autoritarismo e dell’ipocrisia nella nostra società.

Hanno detto

«In apparenza è un giallo serrato e conciso con una protagonista decisiva. Ma è anche un commento penetrante sui rapporti madre-figlia, l’umiliazione della burocrazia, i fardelli del dover prendersi cura di un disabile e le imposizioni dei dogmi religiosi alle donne.» - Kathleen Rooney, New York Times

Claudia Pineiro

L’autore. Claudia Piñeiro, nata nel 1960 a Burzaco (Argentina) è scrittrice, drammaturga e sceneggiatrice, e con Feltrinelli ha pubblicato: Tua (2011), Betibù (2012), La crepa (2013) con il quale si è aggiudicata il Premio Sor Juana Inés de la Cruz 2010, Un comunista in mutande (2014), Piccoli colpi di fortuna (2016), Le vedove del giovedì (2016), Premio Clarìn 2005, poi adattato al cinema da Marcelo Piñeyro nel 2009, e Le maledizioni (2019).
Nel 2019 si è aggiudicata il Premio Pepe Carvalho, riconoscimento internazionale destinato agli scrittori di polizieschi e intitolato al famoso detective ideato dallo scrittore Manuel Vázquez Montálban, vinto in passato da autori come Andrea Camilleri, Petros Markaris e James Ellroy

Nel 2023 è stata lanciato on film tratto dal romanzo della Piñeiro, disponibile attualmente sul portale Netflix

Elena lo sa (Elena sabe) è un film del 2023 diretto da Anahí Berneri, tratto dal romanzo omonimo di Claudia Piñeiro

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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