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20 aprile 2024 6 20 /04 /aprile /2024 09:41
Robin Cook, Sindrome fatale (Toxin), Sperling&Kupfer

Sindrome fatale (Toxin, traduzione di Linda De Angelis) è un thriller medico scritto nel 1998 dallo scrittore statunitense Robin Cook, pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer, e mi sono ritrovato a leggerlo di recente, perchè, animato da un'improvvisa voglia di uno dei libri di questo autore, sono andato a pescarne uno in giacenza nella mia libreria e messo da parte appunto, per questo improvviso tipo di voglia.
Robin Cook è uno scrittore che coltivo di quando in quando.
Non di quelli i cui libri mi precipito ad acquistare in libreria appena sono usciti, no.
Solitamente non ricevono la mia priorità.
Li acquisto se ne ho la possibilità se ne trovo a prezzo scontato.
Nel corso del tempo ne ho infatti trovati diversi attraverso le vendite remainder.
Sono dei libri con titoli incisivi e inquietanti ero roboanti assieme, tipo “Febbre”, “Morbo”, “Epidemia”, “Contagio”, “Pandemic”, e così via (in calce a questo post sono elencati tutti i suoi titoli).

Di questi romanzi acquistati a prezzi scontatissimi e di cui ho fatto riserva, ogni tanto ne pesco uno e lo leggo.
Devo dire anche che le trame di Robin Cook, in generale, mi acchiappano (forse anche per via della mia formazione medica), perché in generale introducono il lettore immediatamente all’interno di una questione scottante che, a seconda dei casi, può riguardare la sanità pubblica e le sue storture, le malversazioni di sistemi corrotti le manipolazioni di Big Pharma ed altre tematiche scottanti e attuali.
In generale, si tratta di romanzi estremamente documentati che, senza ombra di dubbio, aprono la strada a delle riflessioni e aiutano a porsi degli interrogativi.
In questo romanzo, ad esempio, si affronta il tema delle aziende che forniscono il mercato alimentare di carni macinate, il problema della loro conservazione e del loro possibile inquinamento da parte di pericolosi agenti patogeni, ma anche delle collusioni tra i produttori e gli organismi statali di controllo.
Vi si parla anche delle tossinfezioni sostenute da un particolare ceppo di Escherichia coli che si diffondono attraverso le carni macinate non ben cotte (e possibilmente già contaminate in origine a causa degli inconvenienti procedurali legati alla gestione delle macellazioni su grande scala) e che negli Stati Uniti - al tempo della scrittura di questo romanzo - producevano diverse centinaia di morti all’anno, soprattutto come complicazione della sindrome tossica correlata (la cosiddetta Sindrome emolitica-uremica). 
Leggendo alcune pagine di questo “Sindrome fatale” (il cui titolo inglese tra l’altro è “Toxin”), viene indubbiamente voglia di non mangiare più le carni rosse, soprattutto quelle macinate che vengono dalla grande distribuzione.
Per Robin Cook scrivere è un modo per denunciare le malversazioni, le storture e le collusioni, ma anche per sensibilizzare il grande pubblico su queste grandi tematiche di sanità pubblica, sugli usi distorti dei progressi tecnologici in Medicina e sulla necessità di un superamento dei problemi segnalati attraverso l’adozione di comportamenti più responsabili.
Dal punto di vista stilistico, tuttavia, i romanzi di Robin Cook lasciano un po’ a desiderare (benché egli abbia venduto milioni e milioni di copie), soprattutto perché quando lo spunto tematico si esaurisce egli introduce nella macchina narrativa elementi che, essendo sono più da action thriller, a mio modo di vedere, fungono più da riempitivo e hanno uno scarso valore letterario.
Ciò non sminuisce il fatto che gli spunti narrativi siano sempre più che buoni.
E quindi mi sento di poter perdonare le sue cadute stilistiche.

 

Scrive l’autore in exergo:
Questo libro è dedicato alle famiglie che hanno sofferto per il flagello dell’Escherichia Coli 0157:H7 e per altre malattie contratte attraverso il cibo

 

Trama. Kim Reggis è un cardiochirurgo che non solo ha divorziato da poco, ma ha anche perso la posizione di primario del proprio reparto. E i suoi guai non finiscono qui, perché la figlioletta Becky viene colpita da una grave intossicazione alimentare. L'inesorabile progredire della sindrome, che porta alla morte Becky a causa del batterio E. coli, lo spinge a un'indagine dagli esiti agghiaccianti. L'industria della carne e l'organismo statale preposto al controllo risultano infatti legati da una segreta complicità ai danni dei consumatori e chi volesse far luce su questa sporca faccenda potrebbe rimetterci la vita.

 

Robin Cook (dal web)

L'autore. Robin Cook (New York, 4 maggio 1940) è un medico e scrittore statunitense, affermato autore di gialli, è considerato il padre dei thriller medici, e cioè dei gialli di argomento scientifico-biologico.
Si è laureato in medicina alla Columbia University e specializzato ad Harvard. Decise di abbandonare la professione dopo aver scoperto che in un ospedale in cui lavorava la cartella clinica di un paziente ricoverato da tre settimane non era stata ancora letta. Cominciò così a scrivere thriller per divulgare i maggiori problemi della sanità e della ricerca medica, temi che altrimenti non avrebbero appassionato. Dopo un primo tentativo con Year of the Intern, ottiene successo con Coma dal quale viene tratto il film Coma profondo, interpretato da Michael Douglas.
Cook ha scritto una trentina di libri che hanno ispirato anche altri film, tutti tradotti in italiano tranne il primo. Nei suoi romanzi Cook affronta diverse tematiche: dall'ingegneria genetica alle intossicazioni alimentari, dall'inquinamento chimico alla clonazione umana e qualcuno dei suoi lavoro appartiene al filone della fantascienza.
Ha venduto in tutto il mondo oltre 100 milioni di copie.

Cook scrive i suoi libri con l'assistenza di altri medici e specialisti della professione. 

 

Le opere
1972: Year of the Intern
1977: Coma (Coma)
1979: L'ombra del faraone (Sphinx)
1981: Cervello (Brain)
1982: Febbre (Fever)
1983: Al posto di Dio (Godplayer)
1985: Sotto controllo (Mindbend)
1988: Progetto di morte (Mortal Fear)
1989: La mutazione (Mutation)
1990: Sonno mortale (Harmful Intent)
1993: Vite in pericolo (Fatal Cure)
1993: Morbo (Terminal)
1996: Alterazioni (Acceptable Risk)
1997: Invasion (Invasion)
1998: Sindrome fatale (Toxin)
2000: Esperimento (Abduction)
2001: Shock (Shock)
2003: La cavia (Seizure)
2013: In caso di morte (Death Benefit)
2013: Nano
2014: Cell
2015: Host
2017: Charlatans
Serie Marissa Blumenthal
1987: Contagio (Outbreak)
1991: Segni di vita (Vital Signs)
Serie Stapleton e Montgomery
1992: Sguardo cieco (Blindsight)
1995: Epidemia (Contagion)
1997: Cromosoma 6 (Chromosome 6)
1999: Vector, minaccia mortale (Vector)
2005: Marker, segnali d'allarme (Marker)
2006: Crisi mortale (Crisis)
2007: Fattore di rischio (Critical)
2008: Corpo estraneo (Foreign Body)
2011: Il segreto delle ossa (Intervention)
2012: La cura (Cure)
2018: Pandemic

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12 aprile 2024 5 12 /04 /aprile /2024 11:36
Uomo nel labirinto, Robert Silverberg, Fazi

Ho letto di recente, appassionandomene, L’uomo nel labirinto (The Man in the Maze, nella traduzione di R. Valla), di Robert Silverberg, uno dei "grandi vecchi" della letteratura SF, ripubblicato meritoriamente da Fazi, nel 2008

Per quanto io abbia divorato centinaia di romanzi di fantascienza e anche molte opere dello stesso Silverberg, questo romanzo mi era sfuggito.
In effetti, credo di poter dire che sia uno dei migliori romanzi SF che io cambio letto negli ultimi anni.

La città-labirinto o L'uomo nel labirinto (The Man in the Maze, 1968), venne pubblicato la prima volta in traduzione italiana con il titolo “La città-labirinto”, (nella traduzione di Maria Benedetta De Castiglione), nella prestigiosa collana Urania (n.498, Arnoldo Mondadori Editore, 1968): e forse, in questa veste, mi sarà passato per le mani, visto che - grazie all'input di papà - ero divenuto un divoratore dei romanzi di fantascienza targati Urania e li compravo tutti, senza lasciarmene sfuggire nemmeno uno.
Il romanzo è stato presentato in una nuova edizione ben quarant’anni dopo dalla casa editrice Fazi, con una bella introduzione a firma di Neil Gaiman.

La trama è molto semplice, in verità, anche se tremendamente profonda per quanto riguardo il suo valore metaforico e forse anche allegorico.
C’è un uomo, Müller, che si è ritirato a vivere all’interno d’una città labirintica, costruita da una specie aliena estinta e abbandonata da millenni, ma ancora in perfette condizioni, poiché si auto-mantiene e si ripara in continuazione. 
Ma - nello stesso tempo - è dotata di trappole mortali che uccidono gli incauti visitatori o esploratori, in un sistema di difesa costruito in epoche remotissime per difendere la città da qualsiasi intrusione.
Müller vive al centro del labirinto da oltre dieci anni e qui coltiva attivamente il suo odio nei confronti dell'intero genere mano che, dopo averlo usato per i suoi fini, lo ha poi rifiutato e respinto per via della "cattive" ed intollerabili emanazioni psichiche che diffondeva attorno a sé, a causa di ciò che gli alieni avevano fatto alla sua mente.
Al suo arrivo a Lemnos, è riuscito a penetrare all'interno del labirinto, superando tutti gli ostacoli e sopravvivendo ai tranelli letali. 
Vive dunque da solo, in totale autosufficienza, ha tutto ciò che gli occorre e detesta il genere umano.
È arrivato sul pianeta Lemnos e alla sua città labirintica, in fuga, desideroso di far perdere le sue tracce per sempre.
Perché lo ha fatto?
Gli uomini hanno preso a odiarlo e a respingerlo perché dopo una missione di contatto con una specie aliena (rivelatasi peraltro infruttuosa) egli è tornato trasformato in una maniera impensabile, poiché emana delle radiazioni psichiche sgradevoli, una specie di “fetore mentale” che rende a tutto impossibile stargli accanto a distanza ravvicinata per più di pochi secondi, senza provare un indicibile disagio. 
Come i lebbrosi di un tempo, Müller - prendendo atto di ciò - ha deciso di ritirarsi dal consesso umano, maledicendolo tuttavia per il modo in cui tutti lo hanno rifiutato.

 

Robert Silverberg, La città-labirinto, Urania (Mondadori)

La sua stessa pena, all’improvviso, si rivela preziosa per gli uomini che vengono a stanarlo dal suo ritiro forzato, avendo improvvisamente bisogno di lui per la loro stessa salvezza.
Muller è combattuto: da un lato detesta gli uomini, e vorrebbe continuare a stare nel suo splendido isolamento, ma dall’altro vorrebbe recuperare ciò che ha perso.
Il romanzo si dipana come una grande allegoria con una tematica che non può non coinvolgere il lettore.
Un Silverberg d’annata, davvero in stato di grazia!

 

(Risguardo di copertina) Dick Muller è un uomo solo, la cui vita è stata stravolta da un incontro con gli alieni avvenuto durante uno sfortunato viaggio spaziale: la permanenza di un anno sul loro pianeta gli ha lasciato una strana malattia, l'impossibilità, fisica e morale, di sopportare quella che per lui dovrebbe essere la più "normale" delle presenze, quella degli altri uomini. Dotato di poteri telepatici che non può governare, incapace ormai di interagire con gli altri esseri umani, di trasmettere loro i propri sentimenti migliori, e troppo permeabile a quelli degli altri, la sua vicinanza mette i suoi simili a disagio, lo rende una presenza indesiderata, repellente, tanto da spingerlo a scegliere l'esilio sul pianeta disabitato di Lemnos, sede di un millenario labirinto, luogo ideale per tenersi lontano da tutti. Fino a quando la sua presenza sulla Terra diventa indispensabile per salvare l'umanità dal pericolo dell'estinzione; due vecchi compagni andranno così a riprenderlo, sfidando il labirinto e i suoi pericoli mortali, e lo stesso Muller, ancora memore delle antiche offese e in cerca di vendetta.

L'autore. Robert Silverberg (New York, 15 gennaio 1935) è uno scrittore di fantascienza, curatore editoriale e sceneggiatore statunitense, ripetutamente vincitore, tra gli altri riconoscimenti, dei premi Hugo e Nebula.

Robert Silverberg

È considerato, insieme a Philip K. Dick e a J.C. Ballard, uno degli scrittori che meglio sa creare utopie visionarie per raccontare il nostro presente. Nel 1956 si laurea alla Columbia University con una tesi in letteratura comparata e si sposa con Barbara Brown. Inizia in quegli anni a scrivere racconti su alcune riviste pulp di San Francisco guadagnandosi il premio Hugo come autore più promettente. Il trasferimento a New York, nell’estate del 1955, segna per Silverberg un passaggio importante della sua esistenza: Randall Garrett, un affermato scrittore di fantascienza, è il suo vicino di casa. Anche Harlan Ellison, un’altra giovane promessa letteraria, vive nello stesso stabile. Garrett introduce Silverberg a molti promettenti editor di quegli anni e i due collaborano a diversi progetti, utilizzando spesso il nome di Robert Randall.

Oltre alle collaborazioni, Silverberg continua a scrivere moltissimo, tanto che è stato costretto ad utilizzare degli pseudonimi (oltre 56) per evitare un’inflazione del proprio nome sul mercato.

Tra gli altri nomi con cui ha firmato le sue opere compaiono David Osborne, Ivar Jorgenson e Calvin M. Konx.

Tra il 1957 e il 1959 pubblica più di 220 racconti ed 11 romanzi, dedicandosi anche ai generi noir, western e romanzi erotici. Le opere comprese nel decennio 1967-1976 sono considerate ancora oggi le più importanti nella produzione di Silverberg: Nightwings, vincitore del premio Hugo nel 1968, The Masks of Time (1968), Tower of Glass (1970), A Time of Changes (1971), vincitore del premio Nebula nel 1971, Dying Inside (1972), The Book of Skulls (1972), il romanzo vincitore del Premio Nebula Good News from the Vatican (1971) e Born with the Dead (1974).

Oggi vive ad Oakland, in California, con la moglie e collaboratrice Karen Haber.

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5 febbraio 2024 1 05 /02 /febbraio /2024 06:48
Labatut, La Pietra della Follia, Adelphi

La pietra della follia di Benjamín Labatut (nella traduzione di Lisa Topi), publicato da Adelphi (collana Microgrammi) nel 2021, è il primo libro di Labatut che mi sono ritrovato a leggere e credo che, nell'approccio con quest'autore, sia stato un buon inizio: un testo semplice e agile, ma ciò nondimeno profondo, come del resto sono tutti i volumi della piccola collana Adelphi in cui è stato inserito, Microgrammi.
Labatut prende in esame il tema della follia in due brevi capitoli.
Nel primo che è titolato “L’estrazione della pietra della follia” mette assieme H. P. Lovecraft “il solitario di Providence”, il matematico David Hilbert con il suo progetto di dare una spiegazione matematica a tutto l’universo della matematica e il visionario scrittore di SF P. K. Dick con la sua ossessiva ricerca - nei suoi romanzi - d'un universo che non può mai essere conosciuto sino in fondo, poiché in esso è impossibile capire se ciò che guardiamo sia reale o soltanto un simulacro ingannevole.
Nel secondo capitolo, intitolato “La cura della follia”, Labatut ritorna sul tema della follia, prendendo spunto da un caso paradossale nel quale egli stesso s’è imbattuto, quando venne contattato da una lettrice sostenente un punto di vista secondo cui lei fosse stata più volte derubata dei suoi scritti che erano poi stati utilizzati da altri scrittori, incluso lo stesso Labatut.  Alla prima mail di questo tenore ne avevano fatto seguito altre in un fitto scambio, sino ad un’improvvisa fine delle comunicazioni. 
Ed è a questo punto che l’autore introduce nel testo un’analisi accurata del dipinto di Bosch “L'estrazione della pietra della follia”, concludendo così le sue riflessioni “…in queste faccende, non c’è modo di sapere chi sia il chirurgo, chi il frate, chi il paziente, chi la monaca e chi di noi rechi in sé la pietra della follia” (p. 77)

 

Benjamìn Labatut

(Soglie del testo) Come e quando gli incubi di Lovecraft, le visioni di Philip K. Dick e l'inquietante matematica di Hilbert - sciolti nell'inferno che chiamiamo Rete - abbiano finito per diventare qualcosa che assomiglia al nostro mondo. O peggio, che lo è.
(quarta di copertina) “…il prezzo che paghiamo per la conoscenza è la perdita della nostra capacità di comprensione

L’autore. Benjamín Labatut è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia tra L'Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all'età di quattordici anni.
Il suo primo libro di racconti, “La Antártica empieza aquí”, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award – nella sezione racconti – nel 2013. A questo libro sono seguiti “Después de la luz” (Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi, 2021), nominato per l'International Booker Prize 2021 e “Maniac” (Adelphi, 2023

 

Segue un video nel corso del quale, in una presentazione a distanza, lo stesso autore, spiega l'origine di questo piccolo libro e il suo significato (la presentazione è a cura di Davive Coppo)

H. Bosch, L'estrazione della Pietra della Follia

(da Wikipedia) L'Estrazione della pietra della follia, noto anche come Cura della follia, è un dipinto a olio su tavola (48x35 cm) di Hieronymus Bosch, databile al 1494 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid.

L'opera, secondo una ricostruzione di Charles de Tolnay, è forse quel tondo che si trova menzionato in un inventario del 1524 come di proprietà del vescovo di Utrecht, Filippo di Borgogna, e situato nella sala da pranzo del castello di Duurstede. Presumibilmente dovette essere poi acquistato da don Felipe de Guevara che poi lo cedette a Filippo II di Spagna nel 1570. Negli inventari successivi alla morte del sovrano però l'opera non è più identificabile (si parla di un tondo a tempera e di dimensioni diverse), per cui altri hanno invece sostenuto che l'opera in questione provenga dalla Quinta del Duque del Arco, dove sarebbe citata in un inventario del 1794.

La critica tendeva a riconoscervi un'opera della fase giovanile, verso il 1480, ma l'analisi dendrocronologica ha spostato la datazione della tavola a dopo il 1494. Ciò ha confermato l'ipotesi di Vermet, che vi aveva scorto la grande modernità del paesaggio.

L'opera mostra un soggetto tratto da una storiella popolare, secondo cui un credulone si fa convincere da un ciarlatano a farsi togliere dalla testa la "pietra della follia", ovvero la stoltezza. Ciò è chiarito dall'iscrizione che, con eleganti arabeschi, corre attorno al tondo: "Meester snyt die Keye ras / Myne name is lubbert das", cioè "Maestro cava fuori le pietre, il mio nome è 'bassotto castrato'". Il nome è un sinonimo di sempliciotto, quindi della persona che si fa ingannare.

Al raggiro del ciarlatano, che sta tagliando con un bisturi la fronte dell'uomo per estrarne un fiorellino, assistono senza intervenire un monaco e una suora, uno con un boccale argenteo in mano, l'altra con un libro sulla testa.

Il motivo del raggiro degli sciocchi è un tema caro nell'opera di Bosch e secondo la sua visione rappresentava una grave colpa tanto per l'ingannatore quanto per l'ingannato, reo della sua stupidaggine.

In questa opera, il chirurgo intento all'estrazione indossa un copricapo a forma di imbuto simbolo di stupidità, qui usato come pesante critica mossa contro chi crede di sapere ma che, alla fine, è più ignorante di colui che deve curare dalla «follia».

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31 gennaio 2024 3 31 /01 /gennaio /2024 07:10
Rumaan Alam, Il Mondo dietro di te, La Nave di Teseo, 2021

Ho letto Il mondo dietro di te (Leave the World Behind, nella traduzione di Tiziana Lo Porto) scritto da Rumaan Alam e pubblicato in traduzione da La Nave di Teseo (Oceani), nel 2021 dopo aver visto il film omonimo che è comparso su Netflix a dicembre circa
Devo dire subito che il film è stato un po’ deludente, soprattutto perché i diversi personaggi che interagivano in un assetto così minimalista erano poco scavati e assai poco convincenti: e, in mancanza di ciò, al netto di tutto, rimaneva la staticità dell’impianto narrativo, a cui si aggiungevano dei fatti eclatanti “da fine del mondo”, come un grosso mercantile che s’incagliava sulla spiaggia, essendo del tutto fuori controllo il sistema di pilotaggio autonomo o aerei che cadevano, elementi introdotti gratuitamente.: eventi accompagnati da asseverazioni che annullano l'atmosfera di sospensione e inquieta attesa in cui essi vivono sin quasi dall'inizio della loro vacanza.
Nel romanzo non c’è tutto questo e non ci sono fatti eclatanti: lo stile narrativo è più da tragicommedia di persone che interagiscono in uno spazio-tempo delimitato e circoscritto.
Quello che segue è un po' il racconto degli eventi principali che si dipanano nel romanzo.
Non c'è un'anticipazione molesta (che faccia da spoiler) in ciò che scrivo qui, in quanto che ci sia qualcosa che non va si intende subito, tra le righe: ma la natura vera degli eventi rimane sospesa per tutta la durata del romanzo, a differenza di quanto non faccia il film.
Ciò che conta veramente è il modo in cui l'autore sviluppa la trama e dà vita ai diversi personaggi che interagiscono all'interno d’una situazione paradossale (limite, si potrebbe dire, anche se il limite che si configura é puramente metafisico).
In ogni caso, coloro che ritengono di potere essere danneggiati nella loro possibilità di scoperta autonoma del testo, non vadano oltre questo punto.
C’è un nucleo familiare che si reca in vacanza per una settimana in una lussuosa villa con piscina nel New Hampshire, composta dai genitori Clay e Amanda e dai due figli Archie e la più piccola Rose: in seconda battuta, compaiono improvvisamente - e del tutto inattesi - i proprietari della villa stessa, durante la prima o la seconda notte della loro permanenza in circostanze quantomeno strane: bussano alla porta e si presentano; solo dopo vari malintesi si dichiarano per quello che sono e chiedono ospitalità, perché là fuori sta succedendo qualcosa.
Già le prime avvisaglie di questo qualcosa il nucleo familiare le ha percepite, perché da quando sono giunti a destinazione non hanno più la connessione Internet, e gli Smart Phone non funzionano, così come la televisione che non riceve nessun segnale se non dei brevi messaggi che dicono qualcosa a proposito appunto della cessazione delle trasmissioni, ma nessuna vera notizia, effimeri e poco comprensibili che compaiono in sovrimpressione su di uno schermo ostinatamente azzurro; e, quindi, già prima dell’arrivo dei padroni di casa i quattro, pur nella parentesi della vacanza che iniziava a sfumare, a dir poco, in un brutto sogno, avevano preso a discutere e a interrogarsi su ciò che debbano fare, se debbano andare fuori per cercare notizie oppure per vedere di incontrare altri con cui scambiare idee ed impressioni. Fondamentalmente non succede granché, nemmeno dopo l’arrivo dei ladroni di casa
Clay, dunque, decide di fare una perlustrazione fuori, alla ricerca di notizie e si perde anche senza il supporto di Google Maps. Non incontra nessuno, all'infuori d'una donna che, apparentemente disperata, farfuglia parole e frasi in spagnolo perché di origini latine: Clay non capisce lo spagnolo e, quindi, il messaggio che la donna avrebbe da comunicare cade nel vuoto.
Chiede aiuto, questo Clay lo comprende, ma se ne va subito dopo senza prenderla a bordo e torna a casa, quando già tutti si stanno preoccupando del protrarsi della sua assenza.
Di nuovo escono a distanza di qualche ora, sollecitati dal fatto che Archie si è ammalato d’una febbre misteriosa e ha perso - senza alcuna avvisaglia - un buon numero di denti.
Lui e G.H., il padrone di casa, vanno a casa di Danny, un vicino che, a suo tempo li aveva aiutati nella costruzione della casa.
Danny, non del tutto insensibile alle loro richieste di aiuto, tiene tuttavia le distanze e fa delle considerazioni sul fatto che là fuori qualcosa è già successo, lasciando intendere che lui è già preparato a vivere blindato a casa sua con il pieno di provviste e li sollecita ad andare fuori a fare altrettanto: "Cercate di trovare quanto più potete, non sapete cosa vi aspetta...".
Quindi, è in corso una catastrofe ma non è dato capire di che tipo di catastrofe si tratti, perché la corrente elettrica continua ad essere erogata, mentre non ci sono più le connessioni Internet e, di conseguenza, tutto ciò che funziona grazie al web è andato allo sfascio e c’è tutto un mondo che sta per cadere in pezzi.
A differenza di quanto accade nei romanzi post-apocalittici, noi lettori qui non vediamo direttamente in sequenze narrative gli effetti della “catastrofe”, se non nel pallido riflesso che ne colgono gli abitanti della villa (ospiti e padroni di casa) e nelle illazioni su ciò che è accaduto che essi fanno in conversazioni che si protraggono sino a notte fonda.
L’autore ci lascia in sospeso anche con con le ultime meditazioni di Rose che, apparentemente, s’é persa (e la madre, disperata, la sta cercando, ma senza trovarla), ma é in realtà andata in esplorazione nei paraggi, penetrando in una casa simile alla loro, abbandonata dai proprietari e con una grande scorta di provviste e altre risorse.
L’ultimo capitolo sembra preannunciare un adattamento alla catastrofe, quale che sia.
In fondo - dice l’autore - che cosa sarà mai il giorno della tanto paventata catastrofe? Niente più che un giorno come tanti altri della nostra vita - risponde attraverso uno dei suoi personaggi - e, quindi, da un certo punto di vista, c’è la banalizzazione della catastrofe: qualunque cosa essa sia dovremmo adattarci e far fronte al cambiamento, sopravvivendo se ci riusciamo.
Anche nel romanzo, peraltro, ci sono anche eventi misteriosi e ominosi, inspiegabili, come ad esempio le adunanze dei cervi di cui i nostri protagonisti sono i perturbati testimoni con centinaia di cervi che si fermano nei dintorni della casa e li guardano fissamente, senza muoversi e poi, improvvisamente, vedono atterrare una trentina di fenicotteri rosa nella piscina abbinata alla casa e lì soffermarsi
Quindi sono cambiate anche le leggi naturali (forse per colpa di ciò che abbiamo fatto al pianeta) - questo è il messaggio implicito - anche se noi lettori (non ricevendo alcun input dallo scrittore onnisciente) non sapremo mai niente - nessuna spiegazione razionale su ciò che sta effettivamente accadendo - e potremo soltanto immaginare.
É questo il bello del film (meno) e del libro (in misura ben ben più grande)
In più, nel romanzo - come ho già detto - vi è uno scavo dei personaggi che è molto più approfondito di quanto non accade nel film in cui tutti i personaggi sono trattati in modo sbrigativo e superficiale e appaiono tutti poco convincenti. 

La macchina narrativa si sviluppa con stilemi quasi teatrali, nel senso che, in ogni singolo capitolo, cambia frequentemente il punto di vista, con l’autore che pone il focus della sua attenzione su di un personaggio piuttosto che un altro, cambiando frequentemente punto di vista e introspezioni e reminiscenze.
Questa continua movimentazione narrativa il problema rimbalza da uno all’altro, in una circolarità di pensiero che si muove tra identificazioni e opposizioni, mi ha fatto apprezzare il romanzo, risollevandomi il morale dopo la visione di un film che tutto sommato mi era risultato deludente e che si ravvivava soltanto per l’inserto di eventi catastrofici che invece nel romanzo non sono assolutamente contenuti.


(Soglie del testo e risguardo di copertina) Un romanzo magnetico su due famiglie che non potrebbero essere più diverse, costrette ad affrontare insieme un mondo in cui non esistono più certezze.


«Rumaan Alam ci regala un thriller avvincente su una catastrofe annunciata. Svelando, in un gioco di specchi, le nostre paure attuali» - Francesco Pacifico, Robinson


Amanda e Clay hanno scelto un angolo remoto di Long Island per trascorrere qualche giorno di vacanza con i due figli adolescenti. Una pausa dalla vita frenetica di New York, una settimana tutta per loro in un'elegante casa di villeggiatura. I giorni passano felici, ma l'incantesimo si spezza quando un'anziana coppia bussa alla porta in piena notte: George e Ruth, molto spaventati, sostengono di essere i proprietari della villa. Un improvviso blackout a New York li ha costretti a tornare nella casa che avevano messo in affitto. In quest'area isolata, dove i cellulari non prendono, senza tv e internet, è impossibile controllare la loro versione. Amanda e Clay possono fidarsi dei due estranei? Quella casa è davvero un luogo sicuro per la loro famiglia? Mentre intorno ai protagonisti la natura sembra ribellarsi, un male misterioso li perseguita e mina la fiducia che hanno l'uno verso l'altro: ora sono prede che devono lottare per mettersi in salvo. Un romanzo su due famiglie che non potrebbero essere più diverse, costrette ad affrontare insieme un mondo in cui non esistono più certezze.

Rumaan Alam


L’autore. Rumaan Alam, nato negli Stati Uniti nel 1977 da genitore emigrati dal Bangla Desh, é scrittore di diversi romanzi. I suoi scritti sono apparsi su “The New York Times”, “The New Republic”, “New York Magazine”, “The Wall Street Journal”, “Bookforum”, “The New Yorker”.
Il mondo dietro di te (La Nave di Teseo, 2021) è stato finalista al National Book Award ed è stato selezionato come libro dell’anno dalle più importanti testate americane, tra cui “Time”, “The Washington Post”, “The Boston Globe”.

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13 gennaio 2024 6 13 /01 /gennaio /2024 07:01
La clonazione dei libri (autoscatto di Maurizio Crispi)

Ho sognato che, mentre ero a casa,
e mi muovevo tra scaffali e pile di libri
improvvisamente, loro (i libri)
prendevano a moltiplicarsi 
Si suddividevano e si clonavano 
sotto i miei occhi esterrefatti 
Da ogni nuovo clone 
ne nascevano altri
Era un processo continuo, inarrestabile,
fuori controllo
Mi sembrava di vivere una situazione
analoga a quella dell’apprenti sorcier
del cartone animato Disney 
Lo spazio di ogni stanza
si colmava rapidamente
Poi cominciavano ad esondare,
uscendo, schizzando e saettando 
fuori dalle finestre e dalla porta,
sospinti da un’incoercibile pressione
Quando, all’esterno, 
cadevano a terra 
subito mettevano radici
trasformandosi in alberi
che con rapidità inaudita
crescevano vigorosi
sino alla fioritura
e poi fruttificavano
con frutti libreschi
i quali cadendo a terra
generavano nuovi virgulti
in un processo veloce ed inarrestabile
Presto tutt’attorno a me
cresceva una foresta di alberi
portatori di libri,
votata a diventare più grande e più fitta
d'una foresta amazzonica

 

E poi di botto
mi svegliavo
con un libro
posato sulla faccia

 

Esaminandolo per bene
mi accorgevo con un brivido
che, dalla sua rilegatura,
era in corso una gemmazione
di piccoli cloni 
e il loop onirico ricominciava

 

(dissolvenza)

Risveglio

Sfoglio qualche pagina
scricchiolante
quasi fosse fatta di antica pergamena 

Leggo parole
assaporandole una ad una
quasi fossero chicchi d'uva,
e poi digerendole

Una prima colazione
a base di parole,
parole lette dapprima in silenzio, 
poi articolate e pronunciate 
ad alta voce 
con voce gracchiante,
spigolosa e rigida
come il richiamo del corvo,

Parole ispide e ruvide
come la barba non fatta
al tocco delle dita

E poi sono pronto
a lanciare le gambe
fuori dal letto,
che è come una nave spaziale
dove ho viaggiato
verso lontananze siderali,
per iniziare un nuovo giorno

(12 gennaio 2024)

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12 gennaio 2024 5 12 /01 /gennaio /2024 07:33
Piero Cipriano, La Società dei Devianti, Eleuthera

Con La società dei devianti. Depressi, schizoidi, suicidi, hikikomori, nichilisti, rom, migranti, cristi in croce e anormali d'ogni sorta (Altre storie di uno psichiatra riluttante), pubblicato da Eleuthera nel 2016,
ho completato la lettura del terzo volume della trilogia dello “psichiatra riluttante” di Piero Cipriano, preceduto da "La Fabbrica della salute mentale: diario di uno psichiatra riluttante" e da "Il manicomio chimico: cronache di uno psichiatra riluttante" (sempre editi da Elèuthera)

Quale sia il progetto che emerge da questi tre volumi così ricchi di contenuti, eppure percorsi da un unico - coerente - filo conduttore, ce lo chiarisce in una breve, ma efficace, sintesi di intendimenti lo stesso Cipriano nell'incipit dell'ultimo capitolo di questo terzo volume della "Trilogia": una dichiarazione di intenti che ha tanto il sapore - mutatis mutandis - di quella poetica ed intimista - eppure di intensa critica sociale dei suoi tempi - di H. D. Thoreau, quando in una delle più celebrate pagine di Walden, ovvero Vita nei boschi, cerca di spiegare a se stesso e ai suoi futuri lettori il motivo della sua scelta di ritirarsi a vivere in maniera semplice in un luogo appartato nella selva, in una capanna da lui stesso costruita. Thoreau rimane pur sempre un fulgido esempio di un pensiero anarco-libertario e credo che Cipriano si possa in qualche collegare a quel tipo di pensiero che io mi sento di condividere profondamente e, del resto, per lui la transizione dalla definizione di sé come psichiatra riluttante a quella di "psichiatra anarchico" è stata naturale e spontanea.

Ma ecco le parole di Cipriano:

"Prima vorrei chiarire perché ho deciso di scrivere questi tre libri: Perché ad un certo punto della mia carriera, ho deciso che non avevo più voglia di fare carriera nel mondo, per lo più fuorilegge (fuorilegge in senso lato, per significare selvaggio, primitivo, ferino, immorale, anetico) della psichiatria, e avevo voglia, al contrario di intraprendere (nel mio piccolo specifico, sull'esempio dei grandi maestri dell'anticarriera psichiatrica, Franz Fanon e Franco Basaglia, per capirci) una carriera ritroso, l'anticarriera del medico mentale che si distrugge come soggetto di sapere e potere ai danni del malato e si ricostruisce come suo alleato" (ib., p. 217)


In questo terzo volume della trilogia, in circa trenta capitoli, Piero Cipriano, basagliano convinto, porta avanti le sue riflessioni che seguono vari filoni con un’attenzione questa volta più accentuata verso diverse forme di devianza e di intolleranza nei confronti dei diversi.
Cipriano si definisce, oltre che seguace delle idee di Franco Basaglia, uno psichiatra “riluttante” nei confronti dell’applicazione di misure contenitive e restrittive nel trattamento di ogni forma di disagio psichico, e quindi si proclama contrario a tutte le pratiche psichiatriche “restraint” (siano esse fisicamente o chimicamente contenitive). In ciò, sicuramente è uno psichiatra non allineato, uno che assieme a pochi altri (eredi di Basaglia, come lui) cerca di praticare una psichiatria che curi e che consenta in maniera autentica di liberare dalle sofferenze, di risolvere le conflittualità e di promuovere percorsi di liberazione.
Porta avanti il suo pensiero con coerenza, in maniera non omologata, incurante del fatto che molti colleghi operanti nell’ambito della psichiatria possano considerarlo un eccentrico (o anche un rompiscatole).
Eppure - e Cipriano ce lo mostra con efficacia - dire di no a certe pratiche omologate, a sistemi curativi pseudoscientifici non è soltanto espressione di coerenza con le proprie idee, ma può portare a dei risultati e può aprire delle crepe in un apparato “curativo” omologato e omologante (non solo nei confronti dei “pazienti” ma degli stessi operatori che vi lavorano), con un’azione di dissenso (alla maniera del melvilliano Bartleby lo scrivano) verso l’imperante “manicomializzazione diffusa” nel territorio che, accanto ai circa trecento mini-manicomi a degenza breve sparsi nel territorio nazionale, vede il proliferare sempre più importante ed imponente di strutture per degenze medio-lunghe, come le CTA oppure di Case di Cura convenzionate che accolgono pazienti psichiatrici per periodi di svariati mesi, funzionanti in base al principio della “porta girevole”.
È un piacere profondo leggere le considerazioni e le riflessioni di Cipriano, poiché egli riesce a realizzare sempre una brillante sintesi tra letture e approfondimenti fatti, film visti e la propria viva e inconfondibile esperienza clinica nella quale s’intravede in filigrana una profonda umanità.
Nelle sue pagine si coglie un vivido percorso di volontà di crescita professionale che si arricchisce di giorno in giorno, dove letture e riflessioni scritte servono a decostruire e a ricostruire di continuo delle buone prassi e a trovare continuamente lo stimolo interiore per porsi delle domande (ed é più importante, sempre, porsi delle domande, nutrire dei dubbi, anziché procedere avendo delle certezze assolute ed irremovibili).
Esperienza quotidiana, letture, studio, confronto e reminiscenza sono tutti elementi che confluiscono nelle scritture diaristiche, nelle riflessioni e nelle narrazioni a volte fiction di Cipriano che, essendo fuori dagli schemi, si definisce (e può essere senz’altro definito) uno “psichiatra anarchico”.
Non manca - come nei due precedenti volumi della “trilogia” - un ricco apparato bibliografico, un vero e proprio pozzo delle meraviglie, che consente ai lettori più esigenti di approfondire dei propri percorsi di lettura o di lasciare che si attivino proficue risonanze intellettuali nel caso quelle letture le abbia già esplorate precedentemente, ma cogliendo l’opportunità di rivisitare alcune tematiche viste in una nuova, originale, sintesi.
Cipriano non è soltanto un neo-basagliano, uno psichiatra riluttante, uno psichiatra anarchico (o anarcoide), ma è anche un esploratore impenitente che cerca di venire fuori dalle sue personali contraddizioni, trovando una propria strada che, per successive approssimazioni, lo porta a vivere sempre più coerentemente la propria professione.
Non vedo l’ora di leggere gli altri suoi libri che scaturiscono appunto da questa continua ed indefessa ricerca che nella sua più recente evoluzione è approdato ad un interessamento nei confronti della neo-psichedelia e del potere curativo di certe pratiche rituali messe in atto nelle culture tradizionali e che, dunque, in questa sua più recente evoluzione di pensiero e di interessi culturali si allinea con i grandi psiconauti del nostro tempo (di cui il nostro Giorgio Samorini è un rappresentante importante nonchè portavoce di altri studiosi del settore).

Ma, prima di concludere, diamo voce a Piero Cipriano che, in un paragrafo sintetico e denso, ci spiega chi e cosa è uno psichiatra riluttante.

"Chi è, oggi, uno psichiatra riluttante?
Uno che non accondiscende ai dogmi della psichiatria e alle sue pratiche, quasi sempre repressive. Uno psichiatra critico, radicale. Non ho trovato di meglio per definirmi. Non sono il primo e spero di non essere l'ultimo. Anzi, lo so di essere in buona compagnia. Eppure per molti anni, nei luoghi dove ho esercitato il mio mestiere mi sono sentito completamente solo. Come un cane sciolto. O meglio, come un cane in chiesa. Come se fossi rimasto l'ultimo uomo sulla terra. Su pianeta abitato da zombie. E cosa può fare un uomo rimasto solo, su un pianeta disumanizzato, o su un'isola, o in un faro, o in un reparto psichiatrico blindato, se non scrivere, raccontarsi, provare a rimanere se stesso, o, perfino, rimanere vivo, per non lasciarsi andare alla disperazione, e cercare alleati, altri come lui: i riluttanti appunto." (ib.,
p11)

Trovo che queste parole di Piero Cipriano siano bellissime e particolarmente adatte per concludere questa breve recensione: molto meglio che una puntuale disamina capitolo per capitolo delle diverse tematiche trattate con competenza e con forte attitudine critica.


(Risguardo di copertina) "Ho vissuto metà del mio tempo nei luoghi dove si deposita la follia più indesiderata e tutta la possibile devianza dalla norma.
"E ho visto, da questo luogo privilegiato, in che modo gli uomini si trasformano, sia i curanti che i devianti
".
Si chiude con queste crude storie che raccontano il mal di vivere della nostra epoca la trilogia della riluttanza iniziata con "La fabbrica della cura mentale" e proseguita con "Il manicomio chimico".
A partire dalla sua frequentazione quotidiana con la sofferenza psichica, Cipriano si misura con quella stanchezza esistenziale, sbrigativamente definita depressione, che la nostra società antropofaga prima alimenta e poi cerca di etichettare con quel furore diagnostico e categoriale che le è proprio. A ogni deviante la sua etichetta, medica o psichiatrica, ma anche sociologica o giudiziaria, che così diventa una sorta di tatuaggio identitario, un destino imposto da cui tutto il resto deriva: gli obblighi, i percorsi, le scuole, le cure, i farmaci, le prigioni, ciò che ognuno potrà o non potrà fare (ed essere) nella sua vita.

Piero Cipriano (DAL WEB)

L'autore. Piero Cipriano (1968), medico psichiatra e psicoterapeuta, di formazione cognitivista ed etnopsichiatrica, ha lavorato in vari Dipartimenti di Salute Mentale d'Italia, dal Friuli alla Campania, e da qualche anno lavora in un SPDC di Roma. Autore di numerosi saggi sull'argomento, con Elèuthera ha pubblicato «la trilogia della riluttanza», che comprende, insieme a La fabbrica della cura mentale (2022 n.e.), anche Il manicomio chimico (2023 n.e.) e La società dei devianti (2016), oltre a un volume dedicato allo psichiatra che più lo ha influenzato: Basaglia e le metamorfosi della psichiatria (2018).

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25 dicembre 2023 1 25 /12 /dicembre /2023 19:44

Non avrei mai potuto lasciare andare Holly Gibney. Doveva essere una comparsa in Mr Mercedes' e ha finito per conquistare la scena e il mio cuore. Holly è tutto suo.

Stephen King

Stephen King, Holly, Sperling&Kupfer, 2023

Qualche giorno fa ho finito di leggere l'ultimo romanzo tradotto e pubblicato in Italia di Stephen KingHolly (nella traduzione di Luca Briasco), pubblicato come sempre da Sperling&Kupfer, nel 2023
Holly si inserisce nel filone, inaugurato da Mr Mercedes (con Bill Hodges, poliziotto in pensione che rioorna sulla scena del delitto da investigatore privato, protagonista indiscusso) e continuato poi con altri due romanzi "Chi perde paga" (quando già l'agenzia investigativa creata da Bill Hodges procede a tutto regime) e "Fine turno" che vede la morte del detective in pensione Bill Hodges e l'emergere in modo sempre più definito di Holly Gibney che, con la scomparsa di Bill, diventa l'anima portante dell'agenzia investigativa da loro fondata  con il nome di "Finders Keepers".
Nel successivo "Outsider" emergono prepotentemente l'abilità investigativa di Holly e soprattutto il suo acume e la sua tenacia, nel confronto con alcuni casi di omicidio particolarmente brutali ed efferati, dietro i quali si nasconde un'entità soprannaturale,
In questo romanzo che si svolge nel pieno dell'epidemia di Covid ed interamente dedicato a lei, Holly (nel momento in cui è costretta a confrontarsi con il lutto per la scomparsa della madre, proprio a causa del Covid) è chiamata ad occuparsi di un caso che visto la scomparsa di una giovane donna e sua committente è Penny Dahl, la madre, affranta e desiderosa di vederci chiaro e di avere delle risposte (dov'è andata a finire? E' viva? E' morta? Perchè?).
Holly prende ad indagare con la tenacia e il metodo che la contraddistinguono (mentre i suoi collaboratori sono tutti out, chi per Covid e chi per altre vicissitudini personali) per rendersi conto che a questo caso di scomparsa ne sono connessi altri avvenuti nell'arco di circa dieci anni nella stessa zona (casi registrati come semplici "scomparse" di cui nessuno sembra essersi eccessivamente preoccupato).
In parallelo all'indagine di Holly noi lettori possiamo gettare uno sguardo dietro le quinte temporali della narrazione e seguire così gli eventi che portano alla scomparsa di questi individui: a poco a poco, veniamo condotti dentro la verità (nel senso che noi lettori apprendiamo prima di Holly chi sono i responsabili delle scomparse e veniamo condotti con abile mano a comprendere i loro perché e le loro motivazioni, in modo dosato e graduale: anche qui l'autore cerca di non spoilerare se stesso).
Ovviamente, a questo punto non si può dire di più, per non dover essere accusati a nostra volta di essere degli spoiler.
Si arriverà alla fine ad una epicrisi, cioè ad una risoluzione che significherà soltanto la possibilità di dire ai familiari degli scomparsi cosa sia accaduto veramente.
"Holly" è un romanzo vagamente disturbante (o, forse, decisamente perturbante) per via del tema trattato.
Ma la cosa più inquietante di tutte, questa volta, è che - mentre nelle indagini precedenti (anche quelle condotte assieme al suo mentore Bill Hodges) Holly era alle prese con entità in qualche modo soprannaturali, che la conducono "ai confini della realtà" e forse anche oltre - qui, invece, i rapitori (e gli assassini) sono delle persone "normali" di cui non si potrebbe dire mai e poi mai che siano tali.
Insomma, vi è in queste pagine una efficace rappresentazione del Male e della "banalità" dei suoi esecutori.
In questo, la narrazione di Stephen King è estremamente efficace.

"Non avrei mai potuto lasciare andare Holly Gibney. Doveva essere una comparsa in Mr Mercedes' e ha finito per conquistare la scena e il mio cuore. Holly è tutto suo." - Stephen King

Come spiega, lo stesso autore, un antefatto di questa vicenda lo si trova in un romanzo breve, contenuto nell'antologia pubblicata nel 2019 con il titolo "Se scorre il sangue, si vende" (che ha dato il titolo all'intera raccolta) che oltre a questo contiene altri tre romanzi brevi tra i quali "Il telefono del sig. Harrigan" (splendido! e che ha ispirato il film omonimo).


(dal risguardo di copertina) Holly Gibney è tornata. Uno dei personaggi più amati dai lettori e dal suo stesso autore sarà protagonista di un nuovo agghiacciante caso: una tranquilla città del Midwest. Una scia di sparizioni misteriose. Una detective che non teme di raccogliere le sfide impossibili.
Quando Penny Dahl chiama l'agenzia Finders Keepers nella speranza che possano aiutarla a ritrovare la sua figlia scomparsa, Holly Gibney è restia ad accettare il caso. Il suo socio, Pete, ha il Covid. Sua madre, con cui ha sempre avuto una relazione complicata, è appena morta. E Holly dovrebbe essere in ferie. Ma c'è qualcosa nella voce della signora Dahl che le impedisce di dirle di no. A pochi isolati di distanza dal punto in cui è scomparsa Bonnie Dahl, vivono Rodney ed Emily Harris. Sono il ritratto della rispettabilità borghese: ottuagenari, sposati da una vita, professori universitari emeriti. Ma nello scantinato della loro casetta ordinata e piena di libri nascondono un orrendo segreto, che potrebbe avere a che fare con la scomparsa di Bonnie. È quasi impossibile smascherare il loro piano criminale: i due vecchietti sono scaltri, sono pazienti. E sono spietati. Holly dovrà fare appello a tutto il suo talento per superare in velocità e astuzia i due professori e le loro menti perversamente contorte.

 

Hanno detto:
«King in Holly ci chiede ancora una volta cosa sia quella forza nera che ognuno di noi ha sentito, almeno una volta, dentro di sé - o molto più probabilmente che sentiamo di continuo - da cui alcuni si lasciano sopraffare, e che altri invece riescono a riconvertire in resistenza, difesa, attacco all'oscuro.» - Antonella Lattanzi, la Lettura
«Siamo di fronte ad un thriller in piena regola, pertanto, che in un serrato alternarsi di piani temporali diversi svela dettagli sempre più raccapriccianti e cruenti a mano a mano che la complessa indagine portata avanti da Holly si snoda tra drammi personali, emergenza Covid, indizi e intuizioni.» - Isabelle Mollard per Maremosso

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12 dicembre 2023 2 12 /12 /dicembre /2023 07:17

Queste riflessioni sono state originariamente pubblicate su FB (Meta) l'11 dicembre 2021, a corredo della foto che potete vedere subito sotto.
Riporto quelle brevi riflessioni con qualche adattamento e soltanto poche modifiche rispetto al testo originario

Maurizio Crispi

Le mie letture mattutine dell'11 dicembre 2021

Le mie letture mattutine dell'11 dicembre 2021

Molti libri in contemporanea, di ciascuno poche pagine alla volta, senza fretta. Un boccone alla volta. Le parole vanno masticate e assaporate come chicchi d'uva o altre pietanze prelibate
Faccio la prima colazione e mangio libri
Poi, durante il giorno (ed anche nella notte) leggo altri libri, sempre con lo stesso criterio che è quello di giocare su tanti tavoli contemporaneamente
In ogni stanza di casa mia c’è un angolo preposto alla lettura (direbbero gli Inglesi: un cosy corner) e collocato vicino ci sta un mucchietto (o mucchione, a seconda dei casi, altri direbbero una catasta) di libri lettura
Il principio è che i libri in lettura non mi seguono da una stanza all’altra
Ma sono piuttosto loro che mi attendono in ogni stanza preposta alla lettura
Ci sono anche dei libri che tengo in auto, per le attese
E dei libri "da zaino"
Ciò è anche possibile, poiché ho un panorama di letture e gusti piuttosto variegato, in cui saggi di vario genere o raccolte di racconti fanno da intermezzo
A volte i libri, più che letti da cima a fondo, vanno guardati e sfogliati, in modo tale da acquisire dimestichezza con il loro contenuto, con una lettura a volo d’uccello di prefazioni e postfazioni varie e dell’indice anche
Sono un lettore ingordo?
O forse mi piacciono la varietà e la differenziazione?
Non so
Mi chiedo come io sia arrivato a questo punto
Adesso che ho 74 anni continuo ad essere assillato dal pensiero che non ho più abbastanza tempo per leggere tutti i libri che vorrei leggere, anche se so che non ci riuscirò mai del tutto

D'altra parte, è Umberto Eco - scrittore, erudito e grande bibliofilo - a dire che non è necessario leggere per intero, da cima a fondo, ognuno dei libri che si possiedono.

È sciocco pensare che si debbano leggere tutti i libri che si comprano, come è sciocco criticare chi compra più libri di quanti ne potrà mai leggere. Sarebbe come dire che bisogna usare tutte le posate o i bicchieri o i cacciavite o le punte del trapano che si sono comprate, prima di comprarne di nuove. Nella vita ci sono cose di cui occorre avere sempre una scorta abbondante, anche se ne useremo solo una minima parte. Se, per esempio, consideriamo i libri come medicine, si capisce che in casa è bene averne molti invece che pochi: quando ci si vuole sentire meglio, allora si va verso "l’armadietto delle medicine" e si sceglie un libro. Non uno a caso, ma il libro giusto per quel momento.

Ecco perché occorre averne sempre una nutrita scelta! Chi compra un solo libro, legge solo quello e poi se ne sbarazza, semplicemente applica ai libri la mentalità consumista, ovvero li considera un prodotto di consumo, una merce. Chi ama i libri sa che il libro è tutto fuorché una merce.»

Umberto Eco (1932-2016)

Umberto Eco (1932-2016) nella sua biblioteca privata

Umberto Eco (1932-2016) nella sua biblioteca privata

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1 dicembre 2023 5 01 /12 /dicembre /2023 06:20
Piero Cipriano, La fabbrica della salute mentale, Eleuthera

Ho scoperto solo adesso - molto di recente - Piero Cipriano, forse perché - avendo ripreso dopo anni di pensionamento a lavorare in ambito psichiatrico - in una CTA per essere precisi - sto sentendo il bisogno di aggiornamento intellettuale e di contributi critici allo stato attuale della Psichiatria e che diano nello stesso tempo dei colpi all'impero dello Psicofarmaco e di Big Pharma.
Sino ad ieri, in sostanza, non sapevo nulla di Piero Cipriano e, quindi, come sono arrivato ai suoi libri? 
Semplice! 
Ho sentito parlare di lui in una trasmissione su RAI 3 (che è quella gestita al mattino da Nicola La Gioia ed altri che si alternano nel commentare quotidianamente una selezione di articoli culturali comparsi nella stampa e sul web) nel corso della quale il collega Cipriano veniva anche brevemente intervistato (in occasione della recente uscita del suo più recente volume "Ayahuasca e cura del mondo", Politi Seganfreddo Edizioni, 2023) e ho trovato che ciò che egli aveva da dire fosse estremamente stimolante, ed anche critico.

Ho anche percepito che Cipriano si poneva come una voce fuori dal coro.
Di conseguenza, sono passato immediatamente dal dire al fare e ho ordinato alcuni dei suoi volumi disponibili: e subito mi sono immerso nella lettura de "La fabbrica della salute mentale" (Eleuthera, 2012 con una nuova edizione nel 2019). 
Il caso ha voluto (senza che io ne avessi alcuna consapevolezza nel momento in cui l’ho scelto come prima lettura) che si trattasse anche del primo volume della trilogia dello "psichiatra riluttante" che poi è lo stesso Cipriano che si confessa ed espone le sue idee di psichiatra libertario e che dice no (almeno cerca di farlo) all’uso estensivo delle “fasce” nei “moderni” reparti di psichiatria, per non parlare di altri aspetti coercitivi (come l'uso delle sbarre alle finestre o delle porte chiuse a chiave, come è nella maggior parte dei circa 300 SPDC in Italia, salvo poche e lodevoli eccezioni, come ad esempio quella rappresentata dall'SPDC di Ravenna dove gli operatori hanno deciso nel 2021 di passare ad una pratica di cura e assistenziale e di cura no restraint, ma ne esistono altri in tutta Italia, forse una quindicina in tutto).
Finito questo volume  (anzi  sarebbe meglio dire, avendolo "divorato", mi correggo), sono passato alla lettura di quello che è la seconda pietra miliare della trilogia, sempre pubblicato da Eleuthera, ovvero Il Manicomio Chimico
In questo primo approccio,  ho apprezzato la lucidità e la nettezza di scrittura di Cipriano, il suo modo di dire le cose utilizzando registri narrativi diversi tra la puntata diaristica, il saggio breve, le modalità proprie del pamphlet critico e accusatorio (ma sempre documentato): questo apprezzamento scaturisce,  ovviamente, da una condivisione intellettuale di alcune delle tematiche esposte.
Apprezzo la scrittura di Cipriano per il semplice motivo che mi ci rispecchio molto e torno a rivedere le molte battaglie culturali combattute contro i pregiudizi e gli stereotipi, quando vennero fondati i primi servizi per il trattamento delle tossicodipendenze sul finire degli anni Settanta e nessuno sapeva ancora nulla di questa problematica, in assenza persino di una letteratura decente che potesse servire da guida. Ricordo le molte battaglie intraprese anche soltanto per potersi intendere con altri colleghi operanti nello stesso settore e che avevano concezioni delle tossicodipendenze e della loro cura radicalmente diverse. Battaglie che sovente dovevano necessariamente partire da una definizione linguistica degli ambiti di cui dovevamo occuparci e della capacità di sfrondare dal discorso tutte le aggiunzioni e ridondanze connotative legate a termini di comune uso come "droga" e "drogato".
Scrivere serve, se attraverso la scrittura si divulga un pensiero "altro", se si viene letti e se, attraverso ciò, si creano sacche di pensiero alternativo rispetto a prassi consolidate, erronee o fondate su presupposti pseudoscientifici, le quali poi possono diventare caposaldi per un possibile cambiamento di paradigma più estensivo.
E ricordo appunto che, ai tempi della mia pratica pionieristica nel campo delle tossicodipendenze giovanili, scrivevo e scrivevo, quando possibile pubblicavo, coinvolgendo anche altri in questi progetti di scrittura, cercando di dire le cose come stavano, di correggere il tiro, creare degli assessment innovativi e le premesse di buone prassi.
Cipriano è un basagliano convinto, di seconda generazione, decisamente critico nei confronti della cosiddetta "restraint" psichiatria (cioè della psichiatria che pratica la contenzione, a tutti i livelli: porte chiuse e finestre sbarrate, contenimento chimico, uso delle fasce) che, di fatto, dietro un esile paravento di scientificità e di modernizzazione tradisce la spirito della riforma del 1978 che abolì i manicomi vecchia maniera, ma è anche un fervente seguace delle idee e delle pratiche di Tobie Nathan, un altro grande pensatore e clinico (nell'ambito clinico -psichiatrico applicato al presunto "diverso", che pure io apprezzo e che ho letto, traendone molti spunti di riflessione e di ispirazione.
Indubbiamente, sia Basaglia sia Nathan si possono considerare due maestri del pensiero (nel senso più lato), ma anche attivamente propositori di "buone" pratiche eticamente fondate, soccorrevoli, empatiche e attente al benessere effettivo di chi chiede di essere curato, in forme e secondo modalità che siano inclusive e fondate sulla comprensione, in primo luogo e sul desiderio di risolvere i conflitti là dove essi si sono generati.
La lettura di alcuni capitoli de La Fabbrica della Salute mentale mi ha indotto a riprendere alcune delle pagine di Basaglia che hanno fatto parte del mio bagaglio formativo e culturale (anche se certamente non incluso nel programma di studi della scuola di specializzazione che frequentai a suo tempo).
Basaglia - se ci si pensa bene - risulta tuttora troppo scardinante rispetto ad un approccio che vuole essere di controllo e sedazione, "clinostatico" come dice Cipriano (con l'ammalato sdraiato sul letto, quindi - fondamentalmente in posizione down o - per tornare a Basaglia - in un'atmosfera in cui si pratica la medicina del "corpo morto") ma di base scarsamente evolutivo in termini di effettivo miglioramento della salute psichica delle persone sofferenti, poiché manca quasi del tutto un approccio "umanistico" e il supporto di strutture territoriali agili ed efficienti che consentano di sviluppare programmi articolati di psichiatria di comunità con una possibilità di presa in carico H24 di un paziente, ma direttamente a contatto del territorio in cui vive, là dove sono sorti i problemi e là dove essi possono essere risolti, soprattutto per quanto concerne conflitti e contraddizioni.
Leggere le considerazioni di Cipriano a distanza di quasi cinquant'anni dal fatidico 1978, anno dell’entrata della legge che sancì l’abolizione dei manicomi e l’avvio di una “nuova” psichiatria, spinge a riflettere sul fatto che, al di là dell'apparente rinnovamento (la chiusura dei manicomi e a partire dal 2013 anche dei Manicomi Giudiziari), si sia creato un mondo di assistenza psichiatrica, fondato su di una "manicomalità diffusa" e del crescere di quello che Cipriano con un ardito neologismo definisce "terricomio" (in cui al posto di pochi giganteschi manicomi abbiamo adesso una quantità impressionante di mini-manicomi sparsi nel territorio a degenza breve come sono appunto gli SPDC oppure a degenza medio-lunga come sono alcune case di cura convenzionate che sono in condizione di tenere i pazienti per lunghi periodi di tempo oppure le cosiddette CTA, ovvero le Comunità Terapeutiche Assistite per pazienti psichiatrici.
Cipriano si definisce uno psichiatra riluttante, prendendo a prestito la parola dal titolo di un libro da lui letto (anche io lo conosco) che è "Il fondamentalista riluttante": un romanzo in cui fa da protagonista un fondamentalista (che tale è stato addestrato ad essere) ma che tuttavia attenendosi alla propria coscienza e a valori etici più universali, non vuole esserlo: ed è per questo motivo un "riluttante", uno psichiatra che lotta quotidianamente per evitare i compromessi e per improntare la propria pratica quotidiana a principi etici irrinunciabili.

 

(quarta di copertina) Nonostante siano passati oltre quarant'anni dall'approvazione della legge che avrebbe dovuto sancire il superamento definitivo della barbarie manicomiale, Piero Cipriano – psichiatra riluttante, come si definisce – ci racconta in presa diretta cos'è oggi un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Grazie al suo sguardo impietoso, quei luoghi che avrebbero dovuto garantire una gestione umana ed efficace delle crisi psichiatriche ci appaiono invece come le nuove roccaforti di una rinata «cultura manicomiale» in cui il potere del sano sul malato è ancora gestito in modo arbitrario e burocratico. 
Con alcune notevoli differenze rispetto al passato: se il manicomio tradizionale ricordava un campo di concentramento, l'attuale SPDC ricorda piuttosto una fabbrica, dove il primario è il direttore, lo psichiatra il tecnico specializzato addetto alla catena di montaggio umana e il malato la macchina biologica rotta da aggiustare. 
E quando il farmaco non basta, ecco che tornano le fasce: proprio come nei vecchi manicomi.

 

L’autore. Piero Cipriano (1968), medico psichiatra e psicoterapeuta, di formazione cognitivista ed etnopsichiatrica, ha lavorato in vari Dipartimenti di Salute Mentale d'Italia, dal Friuli alla Campania, e da qualche anno lavora in un SPDC di Roma. 
Autore di numerosi saggi sull'argomento, con Elèuthera ha pubblicato «la trilogia della riluttanza», che comprende, insieme a La fabbrica della cura mentale (2022 nuova edizione), anche Il manicomio chimico (2023, n.e.) e La società dei devianti. Depressi, schizoidi, suicidi, hikikomori, nichilisti, rom, migranti, cristi in croce e anormali d’ogni sorta (altre storie di psichiatria riluttante) (2016), oltre a un volume dedicato allo psichiatra che più lo ha influenzato: Basaglia e le metamorfosi della psichiatria (2018).

 

Piero Cipriano. Il manicomio chimico. Cronache di uno psichiatra riluttante, Eleuthera

Piero Cipriano con Il manicomio chimico. Cronache di uno psichiatra riluttante (uscito per la prima volta nel 2015 e riedito nel 2023 per i tipi di Eleuthera) prosegue le riflessioni iniziate in “La fabbrica della salute mentale”. 
Si muove anche qui tra memorie personali, riflessioni legate alla sua pratica lavorativa ed anche piccoli voli fantastici in cui elementi della realtà si mescolano con suggestioni letterarie discendenti da alcuni dei suoi autori preferiti.
Cipriano - come già detto - è un basagliano convinto e ciò è un grande pregio in un momento in cui, mentre ci avviciniamo al cinquantenario della Legge che ha abolito i manicomi e, dopo il 2013, anche i manicomi giudiziari, Basaglia e le sue critiche destruenti contro qualsiasi forma di psichiatria costrittiva, sembrano essere dimenticati, anzi radicalmente rimossi dalla coscienza collettiva.
Cipriano, nel suo assetto di seguace delle idee di Basaglia ed essendo contrario a qualsiasi pratica restrittiva sia essa contenzione fisica (uso delle fasce, sbarre alle finestre e porte chiuse)  o farmacologica ad libitum, si definisce anche uno psichiatra “riluttante” nel senso di essere portatore di una voce critica nei confronti delle pratiche imperanti (quelle del farmaco e dei molti modi per esercitare forme di costrizione), all'infuori di poche isole virtuose. 
Più avanti, Piero Cipriano si definirà anche uno psichiatra “anarchico” in quanto sostenitore del principio che uno psichiatra deve essere in condizione di essere in pace con la propria coscienza, dando sempre maggior risalto a decisioni e a modus operandi che siano “etici” anche al costo di scardinare pratiche consuetudinarie.
Le riflessioni di Cipriano sulle prassi psichiatriche attuali sono imbevute di un profondo senso etico.
Per tutti questi motivi, Cipriano è spesso entrato in rotta di collisione con il il sistema dominante e da parte di alcuni si è meritato la nomea di essere uno “psichiatra eccentrico”.
Ho già letto “La fabbrica della salute mentale” e non posso non ammirare la ricchezza di contenuti che traspare da questo secondo volume e la coerenza profonda delle riflessioni che vi vengono sviluppate.
Questo volume, ben più corposo del precedente, meriterebbe una disamina dettagliata dei suoi contenuti e magari lo farò in altra sede. Tra i diversi argomenti dettagliati vi è una disamina-sunto dell'interessantissimo studio di Robert Whitaker, Indagine su di un'epidemia (Fioriti Editore, 2013) che in maniera molto documentata e rigorosa sfata miti della moderna psichiatria farmacologica e mostra la nuda verità di un incremento inarrestabile delle patologie psichiatriche, suggerendo l'ipotesi (con il sostegno di studi effettuati) che sia  proprio l'utilizzo degli psicofarmaci a incrementare l'incidenza e la cronicizzazione delle patologie psichiatriche. 

 

Robert Whitaker, Indagine su di un epidemia, Fioriti, 2013


 

(sintesi del volume di Whitaker) Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci.
Se quello che ci è stato raccontato finora è vero, cioè che la psichiatria ha effettivamente fatto grandi progressi nell’identificare le cause biologiche dei disturbi mentali e nello sviluppare trattamenti efficaci per queste patologie allora possiamo con concludere che il rimodellamento delle nostre convinzioni sociali promosso dalla psichiatria è stato positivo.
Ma se scopriremo che la storia è diversa – che le cause biologiche dei disturbi mentali sono ancora lontane dall’essere scoperte e che gli psicofarmaci stanno, di fatto, alimentando questa epidemia di gravi disabilità psichiatriche – cosa potremo dire di aver fatto? Avremo documentato una storia che dimostra quanto la nostra società sia stata ingannata e, forse, tradita.


Quella del secondo volume della trilogia dello psichiatra riluttante è una lettura che consiglio caldamente a chiunque desiderasse farsi un’idea critica dello stato dell’arte del sistema dell’assistenza psichiatrica in Italia, oggi


(Risguardo di copertina) Oggi il manicomio non è più costituito da fasce, muri, sbarre, ma è diventato astratto, invisibile. Si è trasferito direttamente nella testa, nelle vie neurotrasmettitoriali che regolano i pensieri. Il vero manicomio, oggi, sono gli psicofarmaci. Stiamo oltretutto assistendo a una vera e propria mutazione antropologica: agli psichiatri, e alle case farmaceutiche, non bastano più i malati da curare, ma servono anche i sani. Lutto, tristezza, rabbia, timidezza, disattenzione, non sono stati d'animo fisiologici, ma patologie da curare con il farmaco adatto. Dal suo punto di osservazione privilegiato, Cipriano, il nostro psichiatra riluttante, sottopone a una critica severa i principali dogmi della psichiatria «moderna», a cominciare dalla diagnosi, ovvero l'urgenza burocratica di considerare «malattia » qualunque disagio psichico, cui segue l'immancabile prescrizione di un farmaco. E quando i farmaci non sono sufficienti, ritorna l'uso nascosto delle fasce e dell'elettrochoc. È questo il nuovo manicomio, meno appariscente, più discreto, in cui diagnosi e psicofarmaco dominano la scena.

Seguendo il link sotto potete accedere alla recensione del terzo volume della trilogia dello psichiatra riluttante

La società dei devianti. Continuano - in un terzo volume - le riflessioni e narrazioni di Piero Cipriano, psichiatra riluttante

 

Quello linkato sopra è un articolo di Zanfini Roberto, Crescenti Maria Cristina, Correddu Giuseppina, Gottarelli Lorenzo, Linari Federica, Ricci Manuela, Bandini Barbara (SPDC di Ravenna, AUSL della Romagna)

L’articolo descrive come il SPDC di Ravenna sia divenuto, dal 2016 un reparto no-restraint. Viene descritto come il no restraint non sia una posizione ideologica ma un metodo di lavoro che, se applicato, può portare al superamento della contenzione meccanica. Alla base del no restraint vi sono: a) fattori architettonici del reparto b) organizzazione interna e gestione delle interfacce; c) attività clinica e assistenziale; d) formazione.
Vengono portati dati a supporto del fatto che il no restraint, oltre che etico, riduce il numero delle giornate perse per infortunio del personale, il numero degli episodi di aggressività nei confronti del personale, la spesa sanitaria complessiva per ricovero. Infine vi sono suggestioni che possono anche essere ridotte le giornate in TSO. Servono comunque ulteriori studi a supporto di questi dati preliminari.

Questo il mio pensiero, scaturito da una mia riflessione sul campo, dopo il mio rientro lavorativo, presso una struttura che si occupa di pazienti psichiatrici.

Su oltre trecento SPDC sono solo una trentina quelli in cui non si pratica contenzione (bandita oggi per legge, ma praticata per "necessità"). Rimangono delle case di cure per disturbi mentali che accolgono pazienti per periodi protratti di tempo o, in alternativa, in alcune regioni si è attivata una rete di CTA a gestione privata e convenzionate con le Regioni, in cui i pazienti psichiatrici possono stare per periodi protratti (in Sicilia sino a sette anni (con un conteggio di tipo cumulativo che riguarda anche periodi diversi, intervallati con altri tipi di intervento). In molte regioni pochissimo si è investito per sviluppare degli interventi intermedi, diffusi nel territorio con strutture di accoglienza (Day Hospital, strutture di accoglienza, Centri diurni) con una modalità operativa H24 in modo che le famiglie e gli stessi individui possano ricorrere in tutte le diverse circostanze.
Vi è un gap enorme, incolmabile tra gli SPDC e le strutture di ricovero e residenziali a lungo termine, un vuoto che non potrà mai essere colmato se le diverse regioni continuano a restringere i budget della Sanità e, nello specifico, quelli assegnati alla Salute Mentale.
Cipriano nelle sue analisi ha ragione: nell'assenza delle regioni, nella mancata pianificazione di interventi capillari ed organici nel territorio, è ben difficile costruire buone prassi e cercare di ridurre quanto più sia possibile l'impregnazione farmacologica dei pazienti psichiatrici.
E questa è purtroppo la nostra realtà regionale (in Sicilia).
E' chiaro che quanto più si diffondono le CTA a gestione privata (che a tutti gli effetti rappresentano un business lucrativo) convenzionate con la Regione, tanto meno la Regione investirà nello sviluppo di interventi organici nel territorio.
Spinto dall'entusiasmo derivante dalla scoperta degli scritti di Cipriano, l'ho contattato attraverso i social e gli ho scritto una breve lettera per raccontargli la mia esperienza e desideroso di un confronto.

Buongiorno, Piero!
Sono un collega psichiatra, ormai un po’ anzianotto
Dopo anni di quiescenza (sono andato in pensione nel 2008) ho ripreso a lavorare in una struttura convenzionata, una CTA
Sto toccando con mano le incongruenze del sistema dell’assistenza psichiatrica qui in Sicilia
Mancano quasi del tutto le strutture intermedie, i CSM aperti H24 sarebbero un’utopia (e se proposti a chi governa e decide sarebbero considerati una blasfemia)
Manca il personale per far funzionare adeguatamente le strutture esistenti
Per esempio, in uno CSM decentrato un solo psichiatra, in un SPDC nella provincia di Palermo solo due, tanto per fare esempi di cose di cui sono a conoscenza.

Le CTA a gestione privata sono di fatto dei mini-manicomi territoriali per degenze medio-lunghe (con proroghe di sei mesi in sei mesi, sino ad un massimo di sette anni).
Dopo, il nulla.
Ho scoperto casualmente di te e dei tuoi libri che sto leggendo con molto interesse ed apprezzamento
Nel tuo modo di accostarti alle tematiche per sviscerarne in modo critico ritrovo tanto di me stesso giovane, anche per via del tuo stile non tanto di saggista ma di giornalista “gonzo” che ama mettere se stesso in gioco anziché ricorrere alla pratica del giornalismo in cui chi scrive si defila e mantiene una sua neutralità.
La lettura dei tuoi libri procede a gonfie vele e sono già al terzo volume della trilogia dello psichiatra riluttante, mentre in parallelo leggo a piccoli pezzi quello sull’ayauasca.

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27 ottobre 2023 5 27 /10 /ottobre /2023 07:02
Stephen King

Sono ad una convention dei fan di Stephen King

 

Di questo sogno ricordo poca roba
Con maggiore chiarezza
soltanto il momento della registrazione dei partecipanti,
quando, al termine di un lungo viaggio,
tutti in gruppo o alla spicciolata, 
arriviamo sovraeccitati e stanchi
in una vecchia casa fatiscente, 
piena di boiserie e di inquietanti scricchiolii
che, con il suo aspetto goticheggiante
e molto old America,
sembra essere lo scenario perfetto
per la convention 
Io ho portato co me
molti romanzi del Re,
poiché intendo chiedergli degli autografi
È stato scritto chiaramente nei flyer 
che sono stati fatti circolare da alcuni giorni
e che mi sono pervenuti:
sarà presente il Re in persona,
anche se non è stato detto quando

 

Ci sono vivaci conversazioni,
mosse più che da un reale desiderio
di conoscersi, dal bisogno di ambientarsi
e per meglio calarsi nell’atmosfera
(un po’ nel registro di 10 piccoli indiani)
Sono previsti diversi eventi
dark, horror e mistery
Sono molti quelli che indossano
perfette maschere al silicone
che riproducono le fattezze del Re
in diversi momenti della sua vita

 

Naturalmente, come in tutte le convention che si rispettano, 
c’è un’infinità varietà 
di partecipanti in maschera 
che impersonano i principali caratteri dei romanzi del Re, 
alcune pedisseque e precise al dettaglio,
altre assolutamente fantasiose 
e ciò nondimeno inquietanti
Moltissimi sono i Pennywise,
ma ci sono anche tutti gli altri,
in un’infinità galleria animata
L’effetto è davvero perturbante
Mi domando come è che faremo,
quando sarà il momento
della sua entrata in scena, 
a riconoscere il vero King
dalle imitazioni che ci circondano
Io no,
non indosso alcuna maschera,
non ho adottato alcun travestimento:
sono solo me stesso
con la mia curiosità 
Se avessi voluto travestirmi,
quale personaggio avrei potuto impersonare?, 
mi chiedo

 

Non ho dubbi al riguardo
La risposta è: Roland di Gilead,
l’Ultimo Pistolero o anche l'Ultimo Cavaliere,
detto anche The Gunslinger,
della serie The Dark Tower
(la Torre Nera)
e da ciò che posso vedere in questa convention
non c’è nessuno che lo rappresenti

 

Una grave mancanza!

 

Staremo a vedere

 

Accadono molte altre cose
che non ricordo più

 

Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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