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17 febbraio 2023 5 17 /02 /febbraio /2023 10:09
Autosberleffo (foto polaroid di Maurizio Crispi)

Negli anni Ottanta acquistai una macchina Polaroid. 
La usai solo per un periodo di tempo limitato: mi piaceva sperimentare e, soprattutto, mi piaceva poter vedere subito la foto già pronta.
Era l'unica tecnologia visuale, al tempo, che consentiva ciò. 
Oggi al tempo della fotografia digitale, uno può vedere subito l'immagine che ha catturato e di foto ne può fare quante ne vuole, non essendoci il limite posto dal costo delle pellicole, e del loro sviluppo e stampa. Tutto oggi è immediato, senza la necessità di "mediatori".
Allora, benché con quella macchina polaroid la tentazione di fare tanti scatti polaroid fosse enorme, occorreva limitarsi, poiché quelle pellicole - se ben ricordo - avevano un costo abbastanza elevato elevato.
E quindi ogni scatto andava ponderato attentamente.
Queste foto che ho trovato dentro una busta sono gli unici scatti polaroid che mi rimangono di quel periodo. Per la loro stessa natura che consentiva una fruizione immediata (ma nello stesso tempo una non "riproducibilità"), spesso e volentieri gli scatti polaroid venivano regalati ad altri soggetti che vi comparissero.
Di quel periodo ce n'erano, in effetti (le ricordo), ma si sono disperse. 
Molti degli autoritratti (oggi si direbbe selfie) li ho fatti nel corso di una mia permanenza solitaria a Levanzo nell'Aprile del 1988, o giù di lì.
Fu una settimana di solitudine totale e benefica.
L'isola - che era ed è la mia preferita delle Egadi - in quel periodo era poco frequentata. 
Passavo le giornate correndo, andando in canoa, passeggiando e leggendo. 
Ricordo che ebbi il dono di giornate con un meteo eccezionalmente bello e temperature miti. Nessun contatto esterno.  Allora la telefonia mobile era ai suoi primordi e quindi non c'era nessuna possibilità di essere "connesso" o "wired", come si direbbe oggi.

Se uno si metteva fuori tiro, lontano da tutto e da tutti lo era per davvero.
 

Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
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31 gennaio 2023 2 31 /01 /gennaio /2023 12:15
A Trieste - estate 1962 - Abbazia (dal mio archivio di immagini)

Nell'Agosto del 1962, io e la mamma andammo a fare un viaggio estivo e fu la prima volta che partimmo assieme durante le vacanze.

 

La nostra metà fu Trieste, dove era allora di stanza mio zio Luigi che era ufficiale dell'Esercito, assieme alla sua famiglia. 
Fummo loro ospiti in una vecchia casa che era il loro alloggio d'ordinanza. 

 

Quasi ogni giorno facevamo delle escursioni con la zia Adele alla guida di una vecchia  e gloriosa Dauphine. 

 

Andammo un po' dappertutto nei posti più facilmente raggiungibili: ad Abbazia, a Zagabria, alle grotte di Postumia e persino al maestoso Sacrario di Redipuglia (a questa visita partecipò anche lo zio, in divisa). 

 

Nella visita al Castello di Miramare, si unirono a noi anche la zia Jole e la cugina Adamaria che proprio in quell'estate aveva conseguito il diploma di maturità classica.

 

Le foto sono davvero ruspanti, scattate con una macchinetta fotografica 6X6 che mi era stata regalata come mia prima camera. Niente più che una scatoletta e un pulsante per azionare l'otturatore. La pellicola doveva essere estratta e sigillata al buio per evitare che si alluciasse. 

 

Le foto quindi sono assolutamente ruspanti e naif.

 

Ogni tanto si insinua davanti all'obiettivo un dito (in genere è quello della mamma). 
Queste foto hanno un gusto davvero antico, ma fanno riemergere spensierati ricordi di un tempo che fu

Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
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27 gennaio 2023 5 27 /01 /gennaio /2023 09:26
Festa di Cosma e Damiano a Sferracavallo, Anni Sessanta (foto di Maurizio Crispi)

Negli anni Sessanta i miei zii con i miei cugini andarono a trascorrere i mesi estivi a Sferracavallo, borgata marinara di antico corso e apprezzato luogo di villeggiatura estivo sin dai primi del Novecento, che è tuttora una frazione di Palermo, e lo fecero per molti anni sino a quando non si spostarono in una casa di proprietà alla Fossa del Gallo.


Io ci andavo spesso, perché con loro eravamo da sempre molto vicini. Io era già autonomo perché avevo le due ruote motorizzate e prima ancora mi muovevo con molta determinazione con la bici.

Poi, papà prese una piccola concessione della Capitaneria di Porto su terreno demaniale costiero per allocarci una piccola capannuccia di legno proprio sulla scogliera su cui si affacciavano le case di altri amici di famiglia e di più lontani parenti.
Ho un ricordo molto bello di quelle estati, straordinario. 
Estati felici e spensierate. 

 

Grazie ai miei cugini scopersi la festa di Cosma e Damiano che si svolge proprio lì, a Sferracavallo nell'ultima settimana di settembre culminante con la processione dei due santi che vengono portati sulla loro vara per tutte le vie del paese, da i componenti della confraternita che svolgevano (e svolgono tuttora, credo) questo ufficio a piedi scalzi, con soste più o meno prolungate davanti alle diverse case, soprattutto quando veniva elargita un'offerta generosa.

 

Le offerte in denaro venivano appuntate sul petto dei due santi.
Se l'offerta era particolarmente generosa i portatori inscenavano una "danza" portentosa (con movimenti in avanti e indietro e laterali) davanti alla casa da cui proveniva l'offerta, muovendosi avanti e indietro e di lato incoraggiati costantemente dal suono della banda che intonava in queste circostanze dei ritmi bersagliereschi.

Nessuna via del paese veniva tralasciata, anche quelle che allora erano a fondo naturale e pietrose (e allora erano molte), irte di asperità.

Ero alle prime armi con la mia attrezzatura fotografica: credo di aver fatto queste foto con la prima reflex (una Asahi Pentax) che avevo avuto in dono dai miei il Natale precedente.

Nel corso degli anni sono tornato diverse volte a seguire questo evento, ma questi primi scatti sono rimasti in assoluto delle foto "seminali". Anche oggi, riguardandole, ne sono contento.

 

Certo, se allora avessi avuto un teleobiettivo o uno zoom avrei potuto lavorare di più sui dettagli, ma anche così vanno abbastanza a bene e riescono a cogliere lo spirito dell'evento.

 

I portatori erano i pescatori di Sferracavallo che avevano le piante dei piedi callose perché allora non usavano quasi mai scarpe, e questo gli consentiva di portare i Santi a piedi scalzi. Alla fine della giornata c'era una danza frenetica davanti la chiesa con la musica della banda che si faceva sempre più incalzante e con i portatori che ne seguivano il ritmo sempre con i Santi sulle spalle.
Credo proprio che sia così anche oggi.

Gianfranco Salatiello

È così anche oggi... E la vara, in ultimo, doveva entrare in chiesa senza toccare la cornice della porta se no era un anno di sventure e per i pescatori era veramente pericoloso. Ne sono morti, in mare. Viva i Santi Cosimo e Damiano!

Guido Marino

Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi
Foto di Maurizio Crispi

Foto di Maurizio Crispi

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26 gennaio 2023 4 26 /01 /gennaio /2023 07:12
In viaggio con la mamma (dall'archivio fotografico di Maurizio Crispi)

In questa foto io e la mamma stiamo cenando in qualche luogo di un nostro viaggio assieme. Questi viaggi avvennero puntualmente ogni estate da quando io ebbi 11 anni sino ai miei diciassette.
Poi, dopo, non volli più partire con lei perché mi sentivo in imbarazzo (le solite stupidate tardo-adolescenziali). 
Non volevo più apparire come un cocco di mamma, insomma.
Anche se, guardando le cose sotto un diverso punto di vista, quei viaggi furono un'occasione preziosa in cui avevo la mamma tutta per me.
Quando io e la mamma partivamo, mio padre rimaneva con mio fratello.
Nei suoi ultimi anni la mamma mi raccontò che avevano deciso di fare così, per evitare che io fossi troppo penalizzato dalle condizioni (e limitazioni) di mio fratello.
All'inizio, avevano tentato di seguire una via diversa nel senso di offrire a me e a mio fratello le stesse possibilità, ma poi si erano resi conto che le difficoltà con cui confrontarsi per portare in giro una persona con disabilità  - a quel tempo - erano davvero enormi.
Ho uno splendido ricordo di questi viaggi con la mamma che era, tra l'altro, un'ottima guida, attenta e curiosa.
Si noti bene che la camicia che indosso nella foto ce l'ho ancora, in ottime condizioni, e la tengo in campagna.
Si notino anche gli occhialoni con montatura massiccia e lenti scure: allora si usavano così anche per gli interni!

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23 settembre 2022 5 23 /09 /settembre /2022 10:27

Questo è uno scritto che risale al 2006, anche questo sepolto dentro i meandri del mio profilo Facebook. Lo ripropongo qui perché lo trovo carino ed è un bel ricordo, sia della cagnetta che, dopo una lunga vita, se ne è andata, sia perchè vi si racconta di un'interazione con mio Francesco di allora (allora appena tredicenne).

(Palermo, il 3.3.2006) Un giorno come tanti il cibo di Frida era già bell’e pronto nella sua ciotola, fumante.

Ho chiamato Francesco e gli ho detto: "Dai facciamo uno scherzetto a Frida".

Ho cominciato a fingere di mangiare dalla sua ciotola. Ci ho affondato la testa dentro, iniziando ad emettere una sinfonia di goduriosi rumori di masticazione ed ingurgitamento, con un intercalare di ostentati mugolli di piacere.

Poi, ho passato la ciotola a Francesco perché facesse lo stesso.

Frida se ne stava seduta ai nostri piedi e ci divorava con lo sguardo, attentissima.

Più volte ha deglutito: si vedeva chiaramente che aveva l'acquolina in bocca, ma che, nello stesso tempo, si sentiva terribilmente frustrata.

Ad un certo punto, persistendo lo scherzo, si è fatta lamentosa e ha preso ad emettere qualche guaito.

Abbiamo ripetuto la stessa sceneggiata più volte, scambiandoci la ciotola.

E Frida se ne stava sempre lì, seduta, seguendo con lo sguardo attento ora me, ora Francesco, senza perdersi nulla della scena.

Dopo un po' di quest'andazzo ho detto a Francesco, con un conclusivo mugolio di piacere e con una certa ostentazione; "Che ne dici, ne lasciamo un pochino di questo ottimo desinare a Frida"?

"Va bene", mi ha immediatamente fatto eco lui.

Ho posato la ciotola per terra, nel solito posto.

Frida ci si è avventata con furia e ha cominciato a mangiare ingordamente.

Mai l'avevo vista prima ingurgitare il suo cibo così celermente e con tanta foga.

Magari, mentre trangugiava, pensava: "E' meglio che mi sbrighi: se no questi due disgraziati ci ripensano e vogliono di nuovo mangiare dalla mia ciotola...".

Insomma, in quattro e quattrotto, Frida si è spazzolata tutto il cibo e per concludere ha sberleccato con meticolosità ogni centimetro quadro della sua ciotola, sino a renderla lucente e pulita.

Alla fine del fiero pasto ha emesso un rumoroso rutto e, dopo essere stata a ciondolare per un po' vicino a noi, nell'eventualità che ci fosse dell'altro cibo, è andata ad acciambellarsi nel suo solito angolo.

Con un sospiro di soddisfazione, s'è appisolata, sicuramente pensando: "Ma vedi cosa mi tocca subire..."

 

Frida (2003-2018) - Foto di Maurizio Crispi

Ecco la Frida! Osservate come mi guarda, mentre mangio la sua carne… La sua carne? E cos'è successo?

Questa è la piccola storia che posso raccontarvi, a partire da questo sguardo.
Sono andato a fare i soliti lavoretti settimanali in campagna.
Avevo comprato dei petti di pollo da cucinare ai ferri.
Ma invece, per distrazione, ho preso dal surgelatore il pacchetto di tritato della canuzza (tipico!).
Quando mi sono accorto dell'errore, ho detto: "Pazienza! Farò a meno della carne!", avendo anche delle verdure da mangiare.
Ma poi ci ho ripensato: ho condito il tritato con olio, sale, origano, abbondante pepe e peperoncino, pan grattato. E l'impasto ho lasciato a riposare.
Ho preso dei pomodorini, li ho sminuzzati e li ho passati in olio caldo, aggiungendo poi tutto il tritato condito per far soffriggere il tutto.
E, quindi ho preso a degustare la carne trita: "Mmmmmmm! Com'è buona"!
La canuzza che, prima mi ha visto maneggiare il suo pacchetto di carne (ormai lo riconosce benissimo: mica stupida!), si è sentita vittima d'una palese ingiustizia.
Mi guarda vogliosa, comunicandomi, con il suo sguardo languido ed intenso insieme, di sentirsi vittima di un'ingiustizia.
Via! Gliene lascerò un poco!
Anche se la mia pietanza improvvisata é venuta su buonissima e sarà veramente duro metterne via una parte.
Ma le fedeli bestioline non bisogna mai tradirle!

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19 agosto 2022 5 19 /08 /agosto /2022 21:00
La fontana di Palazzo Adriano (foto di Francesco Crispi)

Devo precisare che la foto che dà lo spunto per questa nota (che mi piace tantissimo) non è mia, ma venne scattata da mio padre Francesco, nel corso di una sua visita a Palazzo Adriano, il paese di origine della famiglia Crispi.
La foto (risalente ad una data imprecisata negli anni Sessanta) ritrae la splendida fontana seicentesca che si trova al centro della grande piazza del paese, dominata dalle due chiese, quella cristiano cattolica e quella cattolico ortodossa (la piazza che fu resa celebre dalle scene di Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore) che in determinate ore del giorno fanno quasi una competizione tra loro con vigorosi scampanii.
Palazzo Adriano vide in epoca antica l'insediamento di profughi albanesi (oggi si direbbe arberesh) in fuga dai Balcani e dall'invasione turca. dopo che le ultime battaglie furono perse.
A differenza di Piana degli Albanesi che fu edificata ex-novo in un territorio concesso ai profughi, Palazzo Adriano si costituì come una comunità duplice, eppure integrata e armoniosa, dal momento che in questo caso i fuggiaschi dall'Albania (oggi si userebbe la parola "migranti") - come in molte altre località della Sicilia - si insediarono in una città preesistente.
La migrazione dei profughi dall'Albania lungo i territori della Puglia e della Calabria, sino alla Sicilia, è una lezione della storia che in tempi odierni specialmente, non dovrebbe essere dimenticata.
Mio padre ero molto fiero di queste sue ascendenze e ha trasmesso anche a me questo senso di appartenenza, sin da quando ero piccolo.
Purtroppo la casa che, quando ero piccolo, era ancora nel possesso dei miei nonni (e che era parte dell'abitazione più vasta, una casa padronale, ubicata lungo l'attuale Via Francesco Crispi, proprio dove è stata allocata una targa commemorativa) dove aveva trascorso la sua giovinezza lo statista Francesco Crispi (ma dove anche mio padre andava a trascorrere le estati della sua fanciullezza, assieme ai genitori e ai fratelli) venne venduta. Questa transazione causò grande rammarico e dispiacere in mio padre che era molto legato alle tradizioni di famiglia e sentiva fortemente il senso di appartenenza alla comunità albanese. Per lui, si trattò di un atto scellerato che si ritrovò a subire, dal momento che, quando ciò accadde, era ancora il nonno l'unico proprietario (e, dunque, legalmente, l'unico decisore), assieme ad alcuni suoi parenti che vivevano negli Stati Uniti e che volevano fortemente la vendita).
Papà venne a conoscenza della vendita solo a cose compiute.
Mi disse che se fosse stato informato di questa decisione avrebbe fatto il possibile per acquistare lui stesso la casa e potere così mantenere la continuità della tradizione di famiglia e delle sue radici.
Anche lo zio Luigi, fratello di mio padre, devo dire, era fortemente legato a Palazzo, tanto che - da pensionato - affittó lì una piccola casa dove si ritirava a vivere per mesi interi, assolutamente deliziato di questa sua scelta.
Forse proprio per questo papà ritornava di tanto in tanto a Palazzo Adriano, anche dopo che la famiglia - suo malgrado - si era disfatta di questo bene, forse a respirare le sue origini e credo che questa foto, che egli si trovò a scattare, ben rappresenta l'intensità del suo amore per questa cittadina.

 

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20 maggio 2022 5 20 /05 /maggio /2022 11:02
Uova frantumate (foto di maurizio crispi)

Le immagini da sole sono capaci di raccontare una storia, come - ad esempio - quella di numerose uova spiaccicate sull'asfalto che ho catturato durante una delle mie passeggiate londinesi alcuni anni fa.

Qualcuno ha - per così dire - rotto le uova nel paniere e poi, se n'è andato via, lasciando le uova spiaccicate pronte per una bella frittata e portandosi via il paniere. Si potrebbe dire anche, usando un'altra espressione metaforica che qualcuno ha fatto la frittata e se ne n'è andato, lasciando per terra tracce del guaio appena causato.
Fossimo stati d'estate e in condizioni di carenza alimentare, non saremmo andati tanto per il sottile: avremmo raccolto tutto ciò che di quelle uova avremmo potuto raccatare e ci saremmo potuto allestire un bell'uovo al tegamino oppure le uova strapazzate (scrumbled eggs).
Dei cani di passaggio avrebbero potuto far festa ed integrare la loro alimentazione abitudinaria (specie nel caso dei cani da appartamento) con un bel ovetto. I cani ramdagi di passaggio, macilenti e affamati, avrebbero potuto fare un ricco banchetto.
In effetti, chi possiede i cani e con loro convive d'abitudine sa bene che, in caso di incidenti domestici che portino alla rottura di una o più uova, si convoca il proprio amico a quattro zampe il quale - senza lasciarsi pregare - con rapidissime (e abili) lappate fa immediatamente pulizia, lasciando il pavimento ben lucido e brillante.
Dicono che, durante la guerra d'Africa (e questo si vede in un film di alcuni anni fa, uno degli ultimi di Monicelli, Le Rose del Deserto, 2006), i nostri soldati riuscivano a cucinare le poche uova su cui potevano mettere le mani sui parafanghi dei loro camion, arroventati dal sole del deserto.

(Il primo abbozzo del commento a questo foto lo scrissi il 2 maggio 2014, a Londra)

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19 maggio 2022 4 19 /05 /maggio /2022 10:03
In attesa dell'appanchinato dormiente (foto di Maurizio Crispi)

C'è un piccolo giardinetto nei pressi di casa mia. Grosso modo, ha un'estensione quadrangolare, con aiuole, vialetti e molto verde (che quest'anno è scampato alla mano pesante dei potatori comunali). In primavera, ci sono rigogliosi cespugli di oleandri fioriti e grandi cespi di bouganvillea che, a volte, sganciandosi dai loro supporti-tutori a causa delle folate di vento troppo impetuose, si protendono verso le panchine di pietra che resistono numerose agli atti vandalici. E sembra quasi che quste boungavillee con il loro manto di fiori violacei (ma in realtà, nel loro caso non si tratta di veri e propri fiori, ma di foglie trasformate) vogliano sedersi sulle panchine o addirittura farsi panchina.
C'è anche una grande vasca piena d'acqua che, a volte, è allietata da uno spruzzo che si erge verticalmente per poi ricadere con liquidi rumori. Un tempo, nella vasca c'erano dei pesci rossi che, forse, non sono sopravvissuti all'incuria. E c'è anche un'area giochi per i piccini, recintata da una staccionata di legno che, dopo circa tre anni dalla sua realizzazione, comincia a manifestare i segni dell'usura e, soprattutto - ancora una volta - dell'incuria.
Davanti alla vasca di pietra e, con vista sull'area giochi, si trova una solida panchina di pietra (forse una specie di travertino) con alle spalle degli arbusti arborei di cui ignoro il nome. La panchina è in pieno sole durante le prime ore del giorno, mentre. grazie alla vegetazione che la contorna, nelle ore pomeridiane si ritrova in piena ombra. La vegetazione qui, soprattutto di pomeriggio, sembra racchiudere la panchina dentro una ombrosa alcova (si potrebbe quasi dire che, nel gioco chiaroscurale si configura quasi una privata "camera con vista").
Qui, un pomeriggio di qualche giorno fa, questa panchina era già in piena ombra e, su di essa, s'era accomodato un dormiente (forse un extra-comunitario, ma non è questo ciò che importa), le scarpe levate e ordinatamente riposte come ai piedi d'un letto. La bici di costui era negligentemente accostata alla panca di pietra. Anche lei semi-coricata, in sintonia con il suo proprietario che, dopo aver scrollato a lungo il display del suo telefono, s'era abbandonato ad un pacifico e rilassato sonno ristoratore. INdubbiamente, per il dormiente, questo angolino era "cosy", come si direbbe in Inglese, e del tutto confortevole.
Avrei voluto fotografare questa scena, ma la batteria del mio dispositivo mobile s'era esaurita. E, quindi, niente scatto. Soltanto uno o più scati mentali da archiviare nella mia memoria.
Ed ecco che, la mattina dopo, mi sono ritrovato nello stesso posto e la panchina era, in quel momento, in pieno sole.
Ed io stavolta ero in condizione di fotografare, sì: anzi, ero passato, da questo punto, proprio perchè ricordandomi delle vivide impressioni del giorno prima, volevo comunque fissare il luogo in un'immagine, per quanto dissimile potesse essere da quella del giorno prima.
Ho dunque fotografato la panchina vuota, e la vasca della fontana davanti ad essa, piena d'acqua luccicante di riflessi.
Il vuoto della seduta, tuttavia, per me documentava un’assenza e - per differenza - risultava ancor più vivida nella mia mente l'immagine di quell'uomo profondamnte immerso nell'abbraccio di Morfeo.
I dormienti abbandonati sulle panchine ombrose (o anche per terra, su di un prato, o sul duro cemento) attivano in me una sensazione interiore di dolce melanconia: quando vedo uno di costoro vorrei lasciarmi andare a quel languore tuffandomi in un sonno tranquillo che, all'aria aperta e in totale solitudine, esprime la totale e radicale fiducia di colui che dorme nei confronti del mondo.

 

(Palermo, il 17 maggio 2022)

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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