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21 giugno 2019 5 21 /06 /giugno /2019 07:17
Siegmund Ginzberg, Sindrome 1933, Feltrinelli, Collana Varia, 2019

Il volume di Siegmund Ginzberg, Sindrome 1933 (Feltrinelli, Collana Varia, 2019) si propone come una disamina documentatissima di ciò che accadde nella Germania del 1933, a partire da un'alleanza di governo assolutamente improbabile, scaturita dall'ultima di un'incalzante serie di votazioni politiche che avevano visto l'ascesa lenta, ma continua del partito nazionalsocialista guidato da Hitler.
L'autore discute con lucidità dei successivi passaggi che consentirono ad Hitlerdi diventare Cancelliere del III Reich e di assumerne la guida in modi totalitari, senza praticamente più avversari e con un enorme consenso popolare. E nel fare ciò prende in esame diverse aree tematiche, come ad esempio le strategie economiche, il populismo sempre più sfrenato, il controllo assoluto della stampa sino al più totale imbavagliamento di qualsiasi forma di diffidenza, l'atteggiamento nei confronti dei debiti di guerra, l'individuazione dell'altro da perseguitare e di escludere, di tutte le forme di finanza "creativa" messe in atto per evitare che le strategie populistiche potessero determinare il tracollo della nazione, le battaglie contro gli abissi di disoccupazione che si erano verificati nel dopoguerra e negli anni della Repubblica di Weimar.
Tutto accadde nel corso di quell'anno fatidico: il 1933. E tutti questi temi sono intersecati gli uni con gli altri e l'autore ne dipana i fili, facendo emergere a volte un aspetto. Ogni capitolo ha il supporto di una serie di testi che vengono menzionati in una postilla finale che, più che essere una bibliografia in senso stretto, rappresenta una guida efficace all'approfondimento per i lettori più esigenti.
L'autore non menziona quasi mai il presente e la situazione dell'Italia contemporanea, ma è immediato fare alcune analogie. Egli stesso introduce ad arte dei lapsus, per fare immediatamente marcia indietro, ma lasciando al lettore la possibilità di soppesare i fatti e di farsi una propria idea.
Certo, avverte Ginzberg, è fallace voler leggere il presente con le analogie tratte da un lontano passato che alcuni pensano essere morto e sepolto.
E purtuttavia le analogie possono rappresentare uno stimolo alla riflessione e all'approfondimento di alcune questioni e forniscono degli strumenti per assumere nei confronti di certi accadimenti del presente un atteggiamento critico.
Indubbiamente, la lezione della storia è di fondamentale importanza e sarebbe da stolti pensare che alcuni tristi e sciagurati eventi del passato lontano non possano riproporsi, mutatis mutandis, nel presente. Occorre sempre vigilare ed esercitare il proprio spirito critico: un solo uomo che, improvvisamente per un concorso fortuito di circostanze, si trovi in una compagine di governo, può in effetti - in un tempo brevissimo - provocare dei danni gravissimi alle condizioni di un paese e modificarne l'assetto, influenzando al tempo stesso con un perverso effetto domino la configurazione di altri stati. Nell'evolversi delle democrazie - come è ad esempio il caso di quella americana (si veda per un approfondimento l'ottimo saggio "Ossessioni americane" di Massimo Teodori) - vi è indubbiamente un effetto "pendolo", ci sono corsi e ricorsi, alternarsi di trend che quando si avviano possono avere delle notevoli qualità inerziali e si evolvono in Moloch distruttori che insidiano ogni forma di libertà, dando l'illusione della libertà e della potenza. Ma nello stesso tempo possono verificarsi improvvisi capovolgimenti che portano al recupero di forme di libertà di pensiero divenute apparentemente obsolete. Occorre vigilare ed essere pensanti: il grande rischio delle spinte sovraniste be populiste è infatti quello che riducono, se non aboliscono addirittura in alcuni casi, la capacità di pensiero autonoma in larghi strati della popolazione.
Alla lettura di questo saggio di Ginzberg potrebbe essere utile affiancare il volume di Sergio Rizzo, "02.02.2020. La notte che uscimmo dall'euro" (Feltrinelli, 2018) che si potrebbe definire come uno story telling di fantapolitica capace di illustrare con efficacia come una decisione presa in via unilaterale da politicanti arroganti ed impreparati, possa portare a catastrofiche conseguenze e ad un effetto domino senza precedenti.
Una lettura da brivido per le devastanti conseguenze che ipotizza, altamente consigliata a tutti gli euroscettici e a tutti coloro che - anche solo per scherzo, dicono loro - blaterano di voler uscire dall'euro.
Guardando alle più recenti evoluzioni sino alle soglie della procedura di infrazione da cui è minacciata l'Italia proprio in questi giorni, si possono vedere in filigrana nel modo di reagire di alcuni dei nostri governati (e in particolare di colui che sembra avere assunto il ruolo di leader sempre più incontrastato dell'opinione populista) alcuni degli eventi della reazione a catena descritta da Sergio Rizzo nel suo volume. Da parte loro ci sono parle d'ordine ripetute alla nausea, formule trite e ritrite, dichiarazioni che sembrano essere sempre più pressanti dichiarazioni di intenti. E come, al tempo di Hitler basta un niente perché alcune decisioni vengano prese al di fuori della legge e della costituzione con la sicumera di chi onda il suo dire e il suo fare sulla ferma convinzione di essere supportato dal popolo e dalla nazione. Mentre Ginzberg si ferma all'analogia e si rifiuta di fare previsione allarmistiche, Il volume di Sergio Rizzo. offre una straziante carrellata su ciò che potrebbe accadere se il delirio sovranista e populista dovesse prevalere nei confronti dell'Europa e di un sano spirito europeistico. Ovviamente, come avverte Ginzberg, "Nemo Profeta in Patria", ma comunque sia vale il monito "Attenti a quei due!. E non ultimo, consiglio di leggere il volume double face, a metà tra graphic novel ed excursus storico-biografico dedicato ai nostri due vice-premier (Salvini-Di Maio Una biographic novel, con testi di Giuseppe Angelo Fiori e disegni di Dario Campagna, BeccoGiallo, 2019). E ancora questo volume, per fortuna, non è stato rimosso dalla circolazione dai Vigili del Fuoco (con una non voluta, ma naturale, citazione di Fahreheit 451 di Ray Bradbury che ci riporta in conclusione all'ombra sempre minacciosa di ogni dittatura del pensiero e politica).

(quarta di copertina di Sindrome 1933) Il passato risuona nel presente. Che cosa c'entra la Germania del 1933 con l'Italia del 2019?
Un minaccioso déjà vu può aiutarci a capire dove stiamo andando e, forse, a non commettere gli stessi errori.
Un instant book storico sulle analogie che uniscono minacciosamente il presente al passato.
(Risguardo di copertina. Una campagna elettorale permanente, un partito che non è di destra né di sinistra ma "del popolo", un improbabile contratto di governo, la voce grossa che mette a tacere i giornali, l'odio che penetra nel discorso pubblico, le accuse ai tecnici infidi, il debito, la gestione demagogica e irresponsabile delle finanze. Sono le analogie che minacciano il presente e rischiano di farlo somigliare pericolosamente a un passato che credevamo di esserci lasciati alle spalle. Quando Hitler nel 1933 divenne cancelliere del Reich, i cittadini tedeschi cominciarono a seguire incantati il pifferaio che li portava nel burrone. La cosa più strana, ma niente affatto inspiegabile, è che avrebbero continuato a credere religiosamente in lui anche dopo che erano già precipitati. "I nazisti," scrive Ginzberg, "non erano bravi solo in fatto di propaganda. Toccavano tasti cui la gente era sensibile, blandivano interessi reali e diffusi (non solo gli interessi del grande capitale, come voleva la vulgata). A elargizioni concrete corrispondeva un consenso reale, crescente e formidabile. La cosa che più impressiona è come siano riusciti a trovare consenso anche sui comportamenti più atroci e disumani del regime." Le analogie superficiali possono portare fuori strada. Eppure non possiamo farne a meno. La mente umana funziona per analogie. Le analogie si sono sempre rivelate uno strumento potentissimo per capire e distinguere, cioè l'esatto contrario del fare di ogni erba un fascio.
L'Autore. Siegmund Ginzberg è nato a Instanbul nel 1948 da una famiglia ebrea, che, poco dopo la sua nascita, si è trasferita a Milano. Cresciuto a Milano, dopo gli studi in filosofia ha intrapreso l'attività giornalistica ed è stato una delle storiche firme dell'Unità, quotidiano per cui ha lavorato a lungo come inviato in Cina, India, Giappone, Corea del Nord e del Sud, oltre che a New York e Washington e Parigi. Oltre alla selezione di scritti Sfogliature (2006), ha pubblicato Risse da stadio nella Bisanzio di Giustiniano (2008), il romanzo familiare Spie e zie (Bompiani, 2015) e il recentissimo Sindrome 1933 (Feltrinelli, 2019).

 

 

Sergio Rizzo, 02.02.1920. La notte che uscimmo dall'euro, Feltrinelli, 2019

Sergio Rizzo, 02.02.2020. La notte che uscimmo dall'euro, Feltrinelli, 2018

Un testo di fantapolitica, a tutti gli effetti, che illustra come una decisione presa in via unilaterale da politicanti arroganti ed impreparati, possa portare a catastrofiche conseguenze e ad un effetto domino senza precedenti.
E' sicuramente una lettura da brivido per il devastante scenario ipotizzato, altamente consigliata a tutti gli euroscettici e a tutti coloro che anche solo per scherzo blaterano di voler uscire dall'euro.
E' un libro che tutti dovrebbero leggere, anche chi ci governa (o pretende di farlo), facendo sovente dichiarazioni di intenti vuote ed arroganti.
Peccato che coloro che, allo stato attuale, ci governano e quelli che a loro, eventualmente, seguiranno siano così totalmente ignoranti e che non leggano se non sunti e minestrine predisposte per loro dai rispettivi uffici stampa.

(Dal risguardo di copertina) 2 febbraio 2020. È tutto pronto, il grafico incisore che ha avuto dal ministro dell’Economia l’incarico di disegnare la Lira Nuova ha finito, il punto di verde è perfetto. Banconote e monete verranno messe in circolazione a partire dalla mezzanotte. In ossequio al credo nazionale sono stati abbandonati i poeti, gli artisti e gli scienziati: al loro posto le immagini degli eroi popolari e i martiri del governo sovranista. Il governo è in carica da un anno e mezzo, e ormai la maggioranza è costituita da un partito unico, il Psi – Partito sovranista italiano. Per tener fede alle promesse elettorali il Psi ha fatto saltare i conti pubblici. Così non c’è altro da fare che andare fino in fondo: mettere in atto il piano B, uscire dall’euro. Intanto la speculazione internazionale è già preparata e le corazzate finanziarie sono pronte ad affossare l’Italia. E fra chi scommette contro il paese c’è anche un politico importante, che ha un ruolo di rilievo nell’operazione Morris, com’è stata battezzata in codice. La mattina del 3 febbraio, la nuova valuta crolla in poche ore mentre le Borse vanno a picco. Le banche hanno bloccato i bancomat, la fuga di capitali è immediata e imponente. L’inflazione comincia a galoppare. I tassi d’interesse esplodono, le imprese indebitate dichiarano bancarotta, i mutui vanno alle stelle. Il potere d’acquisto dei salari è divorato dall’impennata dei prezzi, la disoccupazione tocca livelli astronomici, la povertà dilaga. Il paese è in ginocchio. L’Italia sembra uscita da un’altra guerra mondiale. L’unica soluzione è emanare un decreto per vendere i monumenti agli stranieri. I cinesi offrono 100 miliardi di euro per il Colosseo e i russi si prendono Pompei in cambio merce: le forniture di gas naturale all’Italia per 25 anni. Non basterà. Ma neppure si potrà tornare indietro. Il racconto di un’Europa in cui non esistono più scenari impossibili.

L'Autore. Sergio Rizzo è vicedirettore di "Repubblica, editorialista versatile e prolifico autore di saggi sulla contemporaneità.
È coautore con Gian Antonio Stella del libro-inchiesta sul mondo politico italiano La casta che, con oltre 1.200.000 copie e ben 22 edizioni, è stato uno dei volumi di maggior successo del 2007 e ha aperto un vasto dibattito sulla qualità della classe dirigente nazionale e sul suo rapporto con i cittadini-elettori.

 

Giuseppe Angelo Fiori (testi) Dario Campagna (disegni), Salvini-Di Maio. Una biographical novel, Beccogiallo, 2019

Giuseppe Angelo Fiori (testi) Dario Campagna (disegni), Salvini-Di Maio. Una biographical novel, Beccogiallo, 2019
(Soglie) Un flipbook: da una parte la storia di Matteo Salvini e della Lega, dall’altra quella di Luigi Di Maio e del Movimento 5 Stelle. La biografia scritta e disegnata dei due politici più influenti del momento.

«Diversi, talora opposti, ma rinchiusi in questo libro come nel loro contratto di governo» (La Stampa)

Matteo Salvini è uno che ha fatto la gavetta. In sezione, al consiglio comunale, in radio. Ha capito come diventare il centro del dibattito. Ha imparato a muoversi al momento giusto. È così che ha conquistato la Lega Nord, trasformandola in un partito fatto a sua immagine e somiglianza. Luigi Di Maio è un politico nato. In pochi anni, da semplice studente universitario è passato al ruolo di Vice presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. E il Movimento 5 Stelle è l’unico partito attraverso il quale avrebbe potuto realizzare questa incredibile scalata.

Massimo Teodori, Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti, Marsilio Editore (Collana Nodi), 2017

Massimo Teodori, Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti, Marsilio Editore (Collana Nodi), 2017

(il mio commento) Questo saggio è stato scritto a distanza di poco dall'insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump ed è utile per comprendere l'attuale presidente degli Stati Uniti che, pur non avendo un background politico, si è ri connesso (anche grazie agli oculati indirizzi dei suoi consiglieri durante la campagna presidenziale) a movimenti di idee che a ondate sono stati molti fiorenti nel cuore profondo degli Stati Uniti.
Trump sembrerebbe essere un po' una somma ibrida di diverse correnti che si sono succedute negli oltre due secoli di storia americana e lì ci sono le radici più profonde di alcuni degli apparenti colpi di testa di Trump.
Il sistema politico americano non ha mai consentito l'accesso alla Presidenza di alcuni dei pensatori politici più radicali che, pur non entrando mai nella Casa Bianca, tuttavia hanno influenzato variamente gli umori popolari e hanno condizionato in qualche misura i presidenti in carica. 
Trump invece nella sua maniera rozza, prepotente (ma anche abile e moderna se consideriamo i suoi costanti "cinguettii" che rappresentano a tutti gli effetti degli atti politici) è andato dritto allo scopo rispolverando e attivando antiche ossessioni americane come, ad esempio, quella di "America First "(che prima di essere nella parola di Trump è stato un movimento che percorse gli USA negli anni antecedenti la II guerra mondiale e che generò addirittura un movimento di simpatia nei confronti del Nazismo).
Teodori dopo aver passato in rassegna seguendo un criterio cronologico le diverse tipologie di "ossessioni" americane, argomenta che il sistema di "pesi e contrappesi" che regolamenta la democrazia americana è tale da escludere che si possano imporre idee e pratiche liberticide e antidemocratiche. E, quindi, lui stesso suggerisce che il mandato conferito a Trump, al momento di dare alle stampe il volume, non sarebbe dovuto durare durare più di tanto, poiché all'interno della democrazia americana stessa si sarebbero formati gli anticorpi necessari a fermarlo.
Ma, malgrado la previsione di uno storico e politologo esperto di cose americane quale è Teodori, Trump continua a spadroneggiare e ad imperversare con i suoi tweet, malgrado le numerose partite a braccio di ferro con rappresentanti politici e istituzioni USA.
Staremo a vedere. 
In ogni caso il saggio di Teodori è davvero utile per comprendere dove va l'America oggi e per capire anche alcune delle derive europee attuali.

(Risguardo di copertina) La storia degli Stati Uniti non è solo la brillante vicenda di una democrazia aperta, di una società ricca e all’avanguardia del mondo contemporaneo. Accanto all’America come luogo della libertà che amiamo, c’è un lato oscuro, dove le paure e le ossessioni hanno dato corpo negli ultimi due secoli a movimenti politici e sociali capaci di segnare un risvolto dell’identità nazionale. La storia degli Stati Uniti, allora, è anche quella dei nativisti – ossessionati dalla «supremazia bianca» –, dei populisti – cantori dell’America profonda custode delle virtù tradizionali in declino –, degli isolazionisti – che tra le guerre mondiali si rinchiusero nel nazionalismo dell’«America First» contro la guerra a Hitler –, e degli autoritari – che fiorirono in tutte le stagioni fino al Red Scare degli anni venti e al maccartismo degli anni cinquanta. Massimo Teodori descrive come nel tempo gli americani tradizionalisti con le loro ossessioni abbiano trasformato il patriottismo in nazionalismo e l’amore per la propria comunità in razzismo, senza riuscire mai a portare un loro uomo alla Casa Bianca fino alla vittoria di Trump nel 2016.
Il libro conclude che, quali che siano i tentativi autoritari, l’America resta una società aperta che rispetta la democrazia e i diritti civili perché il suo sistema politico e costituzionale possiede gli antidoti per reagire ad ogni abuso di potere presidenziale.
(Quarta di copertina) Nativisti, populisti, isolazionisti e autoritari: la storia degli Stati Uniti attraverso i personaggi più controversi cresciuti all'ombra della democrazia americana.

"Se è vero che la storia politica di Trump viene dal nulla, i suoi istinti affondano le radicinel sottofondo dell'America e fanno emergere l'altra faccia della nazione, carica di paure e di ossessioni. Quel lato oscuro ha espresso protagonisti politici che fin qui non avevano mai conquistato la Casa Bianca, ma che hanno avuto un ruolo importante nella scena nazionale".

L'autore. Massimo Teodori , professore di Storia e istituzioni degli Stati Uniti, è autore di Storia degli Stati Uniti e sistema politico americano, il manuale in materia più diffuso in Italia. È stato parlamentare radicale per tre legislature. Da opinionista collabora con radio, tv e giornali italiani ed esteri. È autore di numerosi libri di americanistica, tra cui The New Left: A Documentary History (1969), i bestseller Maledetti americani (2002) e Benedetti americani (2003), Raccontare l'America (2005). Con Marsilio ha pubblicato Laici. L'imbroglio italiano (2006), Storia dei laici nell'Italia clericale e comunista (2008), Vaticano rapace (2013, 4 edizioni), Complotto! (2014, con M. Bordin), Il vizietto cattocomunista (2015), Obama il grande (2016). Ha vinto numerosi premi tra cui, primo in Italia, la «Menorah d'oro».

www.massimoteodori.it/

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2 giugno 2019 7 02 /06 /giugno /2019 08:22
Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto. Dare un volto alle vittime del Mediterrraneo, Raffaello cortina Editore, 2018

I morti nel Mediterraneo sono tantissimi, migliaia. E sono stati i più delle volte dei morti rimasti senza nome, anche perché di loro non ne è rimasta più traccia alcuna: sono rimasti nel fondo del mare e le loro spoglie si sono disperse. Come accadde nel caso del naufragio, a lungo ignorato, in cui perirono quasi in trecento al largo delle acque di Porto Palo alla fine degli anni Novanta, un carico di migranti in massima parte provenienti dallo Sri Lanka, quando ancora la maggior parte del viaggio era compiuto in mare su navi relativamente grandi e solo la parte finale con il trasbordo a terra su carrette del mare piccole e strapiene. In quel caso, quella tragedia del mare venne a lungo taciuta benché molti sapessero (i pescatori della zona in primis) e soltanto quando ad un giornalista di Repubblica fu inviato un documento di identità srilankese e qualche altro reperto recuperato con le reti da pesca dal fondo del mare, venne avviata un inchiesta giornalistica che permise di evidenziare con un piccolo sommergibile teleguidata l'effettiva presenza di quel relitto. Si trattò dell'affondamento della F174 (divenuto in seguito noto anche come Tragedia di Portopalo o Strage del Natale 1996): un sinistro marittimo avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996 nelle acque internazionali a 19 miglia nautiche (35 km) al largo di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa. Il coraggioso ed intraprendente giornalista a condurre un'inchiesta  in gran parte a sue spese fu Giovanni Maria Bellu: sino al punto che La Repubblica noleggiò una sonda sottomarina telecomandata per esplorare il fondale dove si riteneva avesse avuto l'uogo il naufragio. E gli sforzi di Bellu furono alla fine ricompensati con la divulgazione della drammatica verità: va assolutamente letto il libro che fu la risultante finale dell'inchiesta, I Fantasmi di Porto Palo (che venne poi trasformato in una fiction TV negli anni successivi). Ma quei morti della Strage di Natale rimasero per sempre anonimi e sepolti in mare, dispersi a tutti gli effetti.
A partire dal 2015 Cristina Cattaneo, medico legale presso l'Università di Milano, con il suo sparuto team ha cominciato a porsi un problema innanzitutto etico. Che è quello di ridare identità certa e appartenenza familiare ai corpi recuperati dal mare dei sempre più numerosi naufragi nel corso dei viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo, affrontando un tema considerato di nell'opinione investigativa e giuridica non rilevante, dal momento che l'identificazione di una vittima deve essere compiuta mettendo assieme i riscontri post mortem con quelli ante mortem laddove si ipotizzi un delitto, oppure nel caso di cittadini di un qualsiasi paese europeo vittime di catastrofi naturali, di incidenti di vaste proporzioni o di attentati terroristici (si pensi, ad esempio, al caso del maremoto in Estremo Oriente, esperienza che vide sul campo la stessa Cristina Cattaneo per avviare le procedure di identificazione delle vittime italiane: fu proprio questa esperienza come riferimento interiore, a spingere Cristina Cattaneo a porsi seriamente il problema di agire in modo altrettanto rispettoso nei confronti delle vittime del Mediterraneo e dei loro familiari.
I corpi degli extracomunitari recuperati dal mare, sino al 2015 non venivano trattati con pari dignità e il più delle volte venivano seppelliti in luoghi messi a disposizione dalle istituzioni locali e assolutamente anonimi. Le famiglie di origine, quindi, non potevano piangere i propri morti e, nello stesso tempo, rimanevano prive di quei documenti che, attestando in modo certo la morte del proprio congiunto, potevano essere indispensabili per adempimenti giuridici, per la successione e quant'altro.
Cristina Cattaneo si è impegnata in una vera e propria battaglia per potere restituire dignità e volto alle vittime del mare, quelle di cui fossero stati recuperati i corpi, superando disinteresse, diffidenza, ma nello stesso suscitando condivisione e consenso per quella che ad alcuni - i più illuminati - apparve da subito una causa giusta per la quale valeva la pena spendere energia e risorse, ingaggiando al tempo stesso una battaglia per ottenere riconoscimenti e supporto da parte del Governo e da parte delle organizzazioni internazionali..
La grande occasione venne con l'affondamento di un barcone con oltre mille a bordo, in prevalenza Eritrei , il 15 aprile 2015. Il team di Cristina Cattaneo, che già aveva messo a punto un modello operativo, venne chiamato per attivare tutte le procedure necessarie sui corpi recuperati dal mare (quasi cinquecento su mille naufraghi): dall'esame dei corpi e dei loro effetti personali, all'esame ispettivo dei resti alla ricerca di elementi importanti al riconosicmento, all'esame autoptico vero e proprio, all'esame dentario, alo scopo di raccogliere per ciascuna vittima un quadro post mortem il più possibile completo (compresa un'esaustiva documentazione fotografica) e per raccogliere tramite incontri con i familiari di vittime ancora soltanto presunte di evidenze ante mortem con la creazione di una banca dati che poi alla fine del processo avrebbe consentito di trovare dei match certi o attendibili. Un compito immane che ha richiesto fondi e supporto logistico non indifferente ma che ha visto il convergere di entusiastico consenso da parte di molti, ponendosi nella coscienza collettiva come pietra miliare di in intervento che ha rotto una volta per tutte il muro dell'indifferenza nei confronti di questi morti.
Cristina Cattaneo che pure avava già pubblicato altri volumi sulle vittime del Mediterraneo (uno per Mondadori e l'altro per Franco Angeli) ha pensato di consegnare questo lavoro con tutti i suoi antefatti compreso il percorso di pensiero e di emozioni che lo ha accompagnato ad un libro che, uscito nel 2018 per i tipi di Raffaello Cortina Editore, si intitola, Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo.
Vi si racconta appunto di questa esperienza e si legge con partecipazione ed entusiasmo. il lavoro della Cristina Cattaneo pur essendo fondato su parametri scientifici, medico-legali e antropologico-forensico presenta al lettore inarrivabili squarci di umanità, sia nella descrizione di alcuni reperti rinvenuti sui cadaveri, sia per quanto concerne gli incontri con i familiari delle vittime per accogliere le evidenze ante mortem e per tentare dei possibili riconoscimenti a partire dall'imponente archivio fotografico raccolto. Squarci di umanità che trasfigurano il racconto della Cattaneo che non appare più semplicemente come la cronaca di un'impresa scientifica e che diventa uno story telling vibrante di pathos.

(quarta di copertina) Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca; i resti di un bambino che veste ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Sono i corpi delle vittime del Mediterraneo, morti nel tentativo di arrivare nel nostro paese su barconi fatiscenti, che raccontano di come si può “morire di speranza”. A molte di queste vittime è stata negata anche l’identità. L’emergenza umanitaria di migranti che attraversano il Mediterraneo ha restituito alle spiagge europee decine di migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali non sono mai stati identificati. Il libro racconta, attraverso il vissuto di un medico legale, il tentativo di un paese di dare un nome a queste vittime dimenticate da tutti, e come questi corpi, più eloquenti dei vivi, testimonino la violenza e la disperazione del nostro tempo.
L'autore. Cristina Cattaneo è professore ordinario di Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Milano e direttore del LABANOF
(Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense). È attualmente coinvolta nell’identificazione dei migranti morti in mare, in particolare nei naufragi di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e del 18 aprile 2015. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Crimini e farfalle. Misteri svelati dalle scienze naturali (con M. Maldarella, 2006).

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25 maggio 2019 6 25 /05 /maggio /2019 12:17
Carlo Lucarelli, Navi a perdere, Einaudi Stile Libero Big 2019

Navi a perdere (Einaudi, Collana Stile Libero Big, 2019)  è un racconto-inchiesta di Carlo Lucarelli sulle cosiddette "Navi dei Veleni", navi che scompaiono all'improvviso o che affondano con tutto il loro carico e di navi che, accindentalmete sfuggono all'affondamento e si spiaggiano, rivelando la vera natura di ciò che trasportano. E allora l'affondamento o il tentativo di affondamento assume tutto un altro significato, specie se investigatori intraprendenti e tenaci, uomini che cercano la Verità, si mettono a fare dei collegamenti con altri affondamenti..
Si potrà osservare, guardando tra le soglie del testo che il copyright di Lucarelli è del 2008. Evidentemente, Il racconto-inchiesta, prima di essere trasformato in volume, è stato una sua inchiesta televisiva. In effetti, con il titolo "Navi a perdere - Il mare dei veleni", fu anche oggetto di una trasmissione del programma "Blu Notte", nel 2011.
Il racconto scritto nel classico stile "parlato" di Lucarelli (quello delle inchieste nei palinsesti televisivi) si segue con straordinario interesse, mentre l'autore ci conduce per mano nei meandri della corruzione e del sistema degli affari illeciti che ruota attorno allo smaltimento dei rifiuti tossici, offrendoci un riassunto documentatissimo sulle inchieste che si sono sviluppate a partire dal caso clamoroso della Jolly Rosso che, per errore di calcolo, sfuggì all'affondamento doloso e si spiaggiò, rivelando la natura del suo carico.
Si legge in un paio d'ore.
Avvincente.

(Soglie del testo) All'improvviso affondano, oppure finiscono spiaggiate. E a nessuno importa come e perché. Sono le «navi a perdere». Che cosa trasportano?
Cargo che si arenano su coste isolate e per avarie misteriose, container che spariscono, investigatori che muoiono per cause dubbie. Sono solo alcuni degli episodi su cui si concentra Carlo Lucarelli cercando di seguire il filo rosso di un commercio illegale e poco conosciuto. Il suo è un romanzo-inchiesta, avvincente come un giallo, che dagli anni Ottanta arriva fino a oggi. «L’idea è questa, che qualcuno prenda una nave, la carichi di robaccia piú o meno dichiarata (meglio meno), la porti a fare un giro in mare e poi simuli un naufragio. La nave cola a picco con tutto il suo carico piú o meno (ma sempre meglio meno) dichiarato, ed ecco fatto. Tra l’altro, a giocarsela bene, magari si intascano anche i soldi dell’assicurazione».

L'Autore. Carlo Lucarelli (Parma, 1960) è autore di romanzi, saggi e sceneggiature. Tra i suoi ultimi libri usciti per Einaudi Stile Libero, Albergo Italia (2014), Il tempo delle iene (2015), Intrigo italiano (2017) e Peccato mortale (2018). Questi ultimi due romanzi hanno segnato il ritorno sulla scena del commissario De Luca, già protagonista di una trilogia (pubblicata in origine da Sellerio e ora da Einaudi Stile Libero) che comprende Carta bianca, L'estate torbida e Via delle Oche. Sempre per Einaudi Stile Libero ha pubblicato il romanzo-inchiesta Navi a perdere (2018). Da molti anni conduce trasmissioni televisive in cui ripercorre celebri casi criminali esaminandone gli aspetti rimasti oscuri.

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22 maggio 2019 3 22 /05 /maggio /2019 07:18
Grimm, Fiabe del Focoloare, Einaudi I Millenni, 1969

Le Fiabe dei Fratelli Grimm rappresentano indubbiamente uno degli zoccoli duri su cui poggia gran parte della narrativa favolistica per l'infanzia, anche odierna, e dell'intrattenimento cinematografico. E sono tanti gli autori che per motivi diversi hanno esaminato e studiato l'impianto narrativo delle fiabe e le loro origine. Almeno per ciò che concerne il mondo occidentali uno dei caposaldi e pietra miliare del genere (azzi suo punto di origine) fu rappresentato dall'instacanbile lavorto dei Fratelli Grimm e dal loro lavoro di raccolta e trasformazioni di tradizioni narrative orali in un corps scritto. Da noi in Italia due traduzioni di riferimento sono "Le Fiabe del Focolare" edito a suo tempo da Einaudi nella collana "I MIllenni" sin dal 1951 (che vide successive ristampe)  e una più recente edizione del 2015 per Donzelli, Tutte le Fiabe. Prima edizione integrale 1812-1815.

Alcuni autori hanno percorso e ripercorso le fiabe dei Fratelli Grimm, alcuni riscrivendole secondo la propria sensibilità oppure adeguandole ai tempi moderni, Altri, invece, impegnandosi in uno sforzo esegetico ed interpretativo. Tra i primi non si può non menzionare Angela Carter, con il suo "La Camera di Sangue" (Feltrinelli, 1984), ma anche alcuni insospettabili autori leader di altri generi sono stati plasmati dall'influenza delle fiabe dei Grimm (si veda ad asempio , a proposito dell'archetipo del bosco in cui si perdono i bambini, "La bambina che amava Tom Gordon" di Stephen King).
Tra i secondi, si annoverano molti studiosi sia sul versante della psicoanalisi, come Bruno Bettelheim (con il suo "Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe", Feltrinelli, 1974), sia su quello della Psicologia analitica come Marie-Louise von Franz. In ogni caso, le fiabe dei Fratelli Grimm che furono la risultante di un lavoro certosino di raccolta di racconti dalla tradizione orale e della loro rielaborazione in racconti che incldevano molti elementi difformi, ma anche di successive implementazione, alla maniera dei lavori di ricostruzione archeologica del sito di Cnosso da parte di Evans (una ricostruzione non strettamente filologica, ma "interpretata") fanno riferimento a delle categorie universali e, per questo, persistono nell'immaginario collettivo oppure ci sono già se li consideriamo alla stregua di archetipi. Il bosco, gli animali parlanti, la strega cattiva, il bambino o i bambini che si perdono sempre nel fitto del bosco, le trasformazioni di esseri umani in animali e viceversa e, ovviamente, l'orco che mangia i bambini. E anche chi nella sua saggistica si è occupato di horr e di gotico non ha potuto prescindere dalla necessità di esaminare l'impianto favolistico: in effetti, spesso le fiabe dei Grimm sono oltremodo sanguinarie, per quanto il più delle volte con un lieto fine. Le cose terribili che accadono si possono sempre in qualche modo disfare. In effetti, si può ipotizzare che horr e gotico abbiano anch'essi in quanto generi delle radici profondamente radicate nel sistema delle fiabe in cui, comunque sia c'è sempre l'elemento della paura e del pericolo. Lo stesso Stephen King nel suo saggio sull'horror e sul gotico, "Danse Macabre", non può prescindere da queste radici.

 

Simona Vici, Mai più sola nel bosco, Marsilio, 2019

Simona Vinci nel suo originale percorso in un testo recentemente edito (Mai più sola nel bosco. Dentro le fiabe dei Fratelli Grimm, Marsilio Editore - Collana PassaParola, 2019) conduce il lettore dentro una sua personale rilettura delle fiabe dei Fratelli Grimm in cui si uniscono la sua personale e approfondita conoscenza di queste fiabe derivante dal fatto che esse sono state per lei compagni di lettura di tutta una vita assieme all'emergere di ricordi d'infanzia dove si ritrovano le vere radici della sua vocazione a divenire scrittrice.
E dunque questo libro, in cui gli stilemi del saggio, del memoir e del tributo sono strettamente intrecciati, è anche un tentativo di ripercorrere le origini e alle radici più profonde della sua scrittura.
Ovviamente, leggendo il testo di Simona Vinci, viene immediatamente la voglia di riprendere in mano l'edizione completa de "Le Fiabe del Focolare" per rileggere quelle stesse fiabe cui l'autrice si riferisce in questa sua rivisitazione.

(Soglie del testo) C'è una fiaba in questo libro, e la fiaba racconta di una bambina e di una creatura misteriosa. La Creatura d'acqua scura che striscia nella soffitta è forse il fantasma di un uomo ucciso durante la Resistenza e il cui corpo è stato occultato nello stagno. La Creatura d'acqua scura somiglia - dal buio nel quale la bambina la incontra - al lupo che attende Cappuccetto Rosso, al ginepro che conserva vita e morte nei suoi rami, al fuso di Rosaspina bella addormentata nel bosco, alla mela avvelenata di Biancaneve. La Creatura d'acqua scura torna, come in una favola nera, ad avvertire, raccontare, raccordare la vita adulta e l'infanzia, le colpe e le assoluzioni, i morti propri e quelli degli altri, gli amici perduti e i luoghi ritrovati. Simona Vinci, raccoglitrice di erbe per l'arrosto, fichi per le conserve e storie per queste pagine, continua a dire della sua paura e della nostra, svelando perché abbiamo tutti vissuto nelle fiabe dei fratelli Grimm e come, qualche volta, torniamo a viverci. Un viaggio dentro e fuori "il gusto della paura" di una scrittrice italiana che, per sua stessa ammissione, talvolta vede ancora l'invisibile.
Un viaggio dentro e fuori «il gusto della paura» di una delle più importanti scrittrici italiane contemporanee che, per sua stessa ammissione, l’invisibile, a volte, lo vede ancora
La creatura d’acqua scura che striscia in soffitta è forse il fantasma di un uomo ucciso a Budrio durante la Resistenza e il cui corpo è stato occultato nello stagno. La creatura d’acqua scura somiglia – dal buio nel quale Simona Vinci lo incontra, bambina – alle Cose assiepate dietro i cespugli e che ringhiano nell’udire un rumore di passi, al lupo nei boschi che attende Cappuccetto rosso, agli alberi di ginepro che conservano vita e morte nelle bacche e nei rami, ai briganti antropofagi, ai corvi che sono stati uomini, all’arcolaio di Rosaspina bella addormentata nel bosco, alla mela rossa avvelenata di Biancaneve, alle matrigne tagliagole. La creatura d’acqua scura torna, come le altre, come in una favola, come un gatto nero, famiglio o emissario del male, ad avvertire, salutare, raccontare, raccordare il tempo presente con l’infanzia, le colpe e le assoluzioni, i giochi e i dispetti, i morti propri e quelli degli altri, gli amici perduti e i luoghi ritrovati. I bambini che si crescono con i bambini che si è stati.
Simona Vinci, raccoglitrice di erbe per l’arrosto e fichi per le conserve e di storie per queste pagine, continua a dire della sua paura e della nostra, svelando perché tutti abbiamo vissuto nelle Fiabe dei fratelli Grimm e come, qualche volta, torniamo a viverci. La creatura d’acqua scura non ha intenzioni malvagie, è dolce, e ci abita. Almeno oggi.
«Fin dal suo esordio con Dei bambini non si sa niente, Simona Vinci ha dimostrato di essere una delle migliori scrittrici italiane contemporanee» (la Repubblica)

 

Simona Vinci

L'Autrice. Simona Vinci nata a Milano nel 1970, oggi vive a Bologna. Ha pubblicato Dei bambini non si sa niente (Einaudi Stile libero 1997 e 2018), In tutti i sensi come l’amore (Einaudi Stile libero 1999 e 2018, premio Selezione Campiello 1999), Come prima delle madri (Einaudi 2003, premio Selezione Campiello 2003), Brother and Sister (Einaudi Stile libero 2004), Stanza 411 (Einaudi Stile libero 2006 e 2018), Rovina (Edizioni Ambiente 2007), Strada Provinciale Tre (Einaudi Stile libero 2007), Nel bianco (Rizzoli 2009), La prima verità (Einaudi Stile libero 2016, premio Campiello 2016), Parla, mia paura (Einaudi Stile libero 2017) e In tutti i sensi come l’amore (Einaudi Stile libero 2018). I suoi libri sono tradotti e pubblicati in quindici paesi.

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10 maggio 2019 5 10 /05 /maggio /2019 09:53
Antonio Ferrara, Bambino di guerra, Siké Edizioni (Collana La Biblioteca di Nellina), 2019

Si legge con coinvolgimento e costernazione Bambino di guerra (Siké Edizioni, Collana La Biblioteca di Nellina, 2019), il breve testo di Antonio Ferrara, ciascun blocco di caratteri accompagnato da una illustrazione a piena pagina, 25 in totale, che narrano una storia per immagini curda e poetica al tempo stesso.
Quasi si trattasse, con le immagini disposte serialmente, del tabellone di un moderno contastorie. La voce narrante è quella di un bambino africano che è stato reclutato per diventare un bambino-soldato. Una voce, la sua triste e cruda al tempo stesso. Il luogo è un imprecisato paese dove imperversa la guerra: quindi questo racconto-denuncia assume un valore universale, privato com'é di particolarismi e di specifiche geolocalizzazioni.

Il nostro narratore racconta di tutto - in forma coincisa ed incisiva - dallA CRUDA iniziazione (il dovere assistere all'amputazione delle braccia della sorellina a colpi di machete) ad una possibile salvezza.
Il racconto nel finale così si trasfigura, poichè presenta uno spiraglio, una via di uscita all'incubo. 
Ma è noto quanto siano grandi le difficoltà nel salvare i bambini-soldato dal baratro in cui sono stati fatti precipitare con la sopraffazione e a metterli in una strada di possibile riabilitazione.
Il volume è corredato di una prefazione scritta da padre Alex Zanotelli con il titolo "Rendiamo tabù la guerra", in cui viene brevemente esaminata la situazione di guerre permanenti in molte parti del continente africani e dei suoi perché (tra cui la fabbricazione e l'esportazione di armi leggere da parte dei paesi del blocco occidentale (e l'Italia, a quanto pare, ha il triste primato di essere la seconda produttrice di armi leggere dopo gli USA), ma anche i perché del reclutamento di tanti bambini a fare i soldati, spingendoli a compiere atti di crudeltà efferata. E soprattutto nella sua prefazione viene denunciata l'efferata crudeltà messa in atto nei confronti di bambini ai quali, inducendoli con la violenza ad esercitare violenza, viene di fatto rubata l'infanzia.
Bambino di guerra fa pensare molto al romanzo (ma fondato su fatti veri) di Uzodinma Iweala, Bestie senza patria (Einaudi, Stile Libero, 2006) in cui si racconta la storia di un bambino, Agu, costretto a diventare soldato dai ribelli del suo paese e a obbedire agli ordini di uomini-belva come Comandante" e a uccidere nei più brutali dei modi per non essere ucciso a sua volta. Il divario temporale tra i due volumi mostra che il problema emrgente alle soglie del nuovo secolo e tuttora attuale e drammatico, pur nella profonda differenza tra le due scritture. Ma - sulla spinta di un desiderio di approfondimento - possiamo anche ricordare qui il libro memoir di Ismael Beah, Memorie di un soldato bambino edito da Feltrinelli che, ambientato questa volta in uno specifico paese, la Sierra Leone, condurrà il lettore in una realtà storica ancora antecedente e cioè agli anni Novanta del secolo scorso. E per completare questa carrellata di riferimenti bibliografici non possiamo dimenticare il drammatico saggio di Peter Warren Singer "I signori delle mosche", edito da Feltrinelli nel 2006 e il reportàge "Soldatini di piombo" che una raccolta di storie vere di bambini-soldato tra Uganda e Sierra Leone, trascritte ed elaborate da Giulio Albanese, giornalista e missionario, nel tentativo di affrontare la dolorosa vicenda dei bambini-soldato.

(Ultima di copertina) In venticinque drammatici affreschi – in cui il testo si alterna al bianco, nero, ocra e rosso delle illustrazioni – si racconta la realtà in cui ancora oggi, nel terzo millennio, sono costretti a vivere migliaia di ragazzi africani. Questo è un libro in cui si narra della “guerra” africana. Non una nello specifico, ma le tante guerre che in maniera più o meno eclatante non hanno mai cessato di togliere vita e speranze all'Africa.
Dalle pagine sapientemente costruite dall'autore emerge il dramma personale e sociale dei bambini-soldato. Ragazzi che, nemmeno adolescenti, vengono letteralmente rubati alle loro famiglie dai signori della guerra e trasformati in ubbidienti e impassibili carnefici. Ma anche ubbidienti e impassibili vittime.

Antonio Ferrara

L'autore. Antonio Ferrara è srittore, illustratore e formatore. Nato a Portici (Na), dove ha vissuto fino all’età di vent’anni, si è trasferito a Novara sul finire degli anni Settanta, dove ha lavorato come educatore in una comunità alloggio. Ha ricevuto diversi premi, tra i quali il «Premio Andersen», nel 2012 per il miglior libro oltre i 15 anni, e nel 2015 come illustratore. Nel 2017 è tra i vincitori del «Premio Letteratura Ragazzi» della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento. Nel 2018 ha vinto il 61° Premio Bancarellino.

Uzodimna Iweala, Bestie senza patria (titolo originale: Beasts of No Nation, nella traduzione di Alessandra Montrucchio), Einaudi (Collana Stile Libero), 2006

Uzodimna Iweala, Bestie senza patria (titolo originale:Beasts of No Nation, nella traduzione di Alessandra Montrucchio), Einaudi (Collana Stile Libero), 2006

Non è un memoir personale, ma è stato scritto in forma di romanzo a partire da testimonianze raccolte ed è quindi fondato su fatti realmente accaduti.
(quarta di copertina) Un Paese africano senza nome. Una guerra civile di cui non si conoscono né ragioni né scopi. E un bambino che il padre incita a fuggire. Ma quando il mondo è dominato dalla brutalità, la fuga non è salvezza. È una inarrestabile discesa all'inferno.
Fino a poco tempo fa, nel villaggio si viveva bene. Si facevano feste, si mangiava di tutto. Agu e il suo amico Dike giocavano per strada, davanti al sorriso delle donne e dei vecchi. La mattina andavano a scuola, la domenica in chiesa. E ogni sera, Agu si faceva leggere da sua madre qualche pagina della Bibbia, affascinato dalle mille storie che conteneva. Poi, però, è arrivata la guerra. Agu, costretto a diventare soldato per i ribelli, deve ora obbedire agli ordini di uomini-belva come Comandante. Deve uccidere nel piú brutale dei modi, per non essere ucciso. Impara tutte le atrocità. Solo la fantasia, l’amicizia, la nostalgia della famiglia gli permettono di resistere alla violenza e alla fame. Gli permettono di sopravvivere, come una bestia braccata, una bestia senza patria.
Con un linguaggio tagliente come la lama di un machete eppure capace di improvvisi squarci di poesia, Bestie senza una patria racconta una storia di vita e di morte, la storia di un bambino obbligato a crescere, e a perdere l’innocenza, nel peggiore dei modi (e dei mondi) possibili.
Hanno detto
"Una delle rare occasioni in cui leggi un’opera prima e pensi: questo ragazzo diventerà molto, molto bravo"  (Salman Rushdie)
" Un’opera urgente, potente e viscerale, che annuncia l’arrivo di un grandissimo talento" (Amitav Gosh)

L'autore. Uzodinma Iweala è nato nel 1982 negli Stati Uniti. Bestie senza una patria è il suo primo romanzo e ha ricevuto alcuni tra i piú prestigiosi premi letterari per esordienti, tra cui il New York Library's Young Lions Prize.

Peter Warren Singer, I Signori delle mosche. L'uso militare dei bambini nei conflitti contemporanei, Feltrineli Editore (Collana i Campi del Sapere), 2006

Peter Warren Singer, I Signori delle mosche. L'uso militare dei bambini nei conflitti contemporanei, Feltrineli Editore (Collana i Campi del Sapere), 2006, con un contributo di Alessandro Del Lago.

(quarta di copertina) Questo libro è uno studio serio su come sta cambiando il modo di fare la guerra. Il fenomeno dei bambini soldati è la spia e insieme l’aspetto più atroce di tale trasformazione. La loro presenza sui campi di battaglia è una novità dei conflitti contemporanei: dall’Europa (Balcani, Kurdistan turco) all’Asia (Medio Oriente, fascia caucasica, Sri Lanka, Sudest asiatico), dall’Africa (Sierra Leone, Sudan, Congo) all’America centro-meridionale i bambini vengono ‟reclutati” negli eserciti regolari e irregolari. L’uso sempre più massiccio di bambini soldati nasce dalla fine della Guerra fredda e dall’instabilità che la globalizzazione comporta nella maggior parte dei paesi post-coloniali. Qui, dove gli stati sono fragili, la disponibilità di armi letali e poco costose consente anche a gruppi piccoli, spesso privi di sostegno popolare, di trasformarsi in bande armate che si battono per il controllo delle risorse economiche. Il ‟reclutamento” dei bambini diventa sistematico proprio perché risponde alle esigenze di questi nuovi conflitti: sono facilmente manipolabili, imparano in fretta a maneggiare armi leggere e letali, non costano e sono sostituibili. Vi hanno fatto ricorso piccoli gruppi guidati dai ‟signori della guerra”, ma anche eserciti di stati sovrani, come l’Iran, e il loro utilizzo va diffondendosi in tutto il mondo. L’uso dei bambini cambia le guerre e le rende più violente e atroci. Per stroncarlo bisogna fare in modo che non sia più conveniente. Singer propone che lo si dichiari crimine contro l’umanità. Gli adulti responsabili devono essere giudicati da tribunali ad hoc e da tribunali internazionali. I bambini, al contrario di quanto avviene oggi, non devono essere perseguibili, nonostante siano responsabili di reati gravissimi, proprio perché bambini. Al loro recupero – lungo e difficilissimo e al quale è dedicato l’ultimo capitolo – vanno riservate risorse importanti: la loro riabilitazione è il primo passo per arginare il dilagare della violenza.

L'Autore. Peter Warren Singer ha studiato a Princeton e a Harvard. Insegna a Princeton. È stato consigliere dell'esercito statunitense per le questioni legate al fenomeno dei bambini soldati. È autore di Corporate Warriors. The Rise of the Privatized Military Industry (Cornell University Press, 2003).

Giulio Albanese, Soldatini di piombo. La questione dei bambini-soldato, Feltrinelli Editore, 2007

Giulio Albanese, Soldatini di piombo. La questione dei bambini-soldato, Feltrinelli Editore, 2007

(Quarta di copertina) Giulio Albanese racconta una serie di storie incentrate sul dramma dei bambini soldato in Uganda e in Sierra Leone, due realtà emblematiche per tutti coloro che si battono contro l'arruolamento dei minori. Due paesi in cui la violenza devastante del mondo degli adulti non lascia speranze a un'umanità ancora imberbe, piegata con strumenti di pressione fisica e psicologica a combattere senza pietà: vera e propria ‟carne da cannone” al servizio del gioco del potere degli adulti. Rapiti all'età di dieci-undici anni, i bambini vengono convinti di essere invincibili attraverso strani riti magici di derivazione animistica e dal rilascio progressivo sottopelle di sostanze amfetaminiche. Talvolta la loro cieca violenza è rivolta contro gli stessi villaggi dove sono cresciuti, fatto che poi vanifica, alla fine del conflitto, ogni strategia di reinserimento nelle famiglie di origine.

‟Super Soldier ha nove anni quando viene sequestrato in Sierra Leone dai ribelli del Fronte unito rivoluzionario (Ruf). Qualcuno ha l'ardire di raccontargli che avrebbe dovuto combattere per il bene dei suoi genitori. Peccato che erano stati proprio quei sanguinari aguzzini a massacrare l'intera sua famiglia. Poi tenta di fuggire ma viene catturato nuovamente. Per punizione gli vengono impressi a fuoco sul petto i caratteri del Ruf…”

L'Autore. Giulio Albanese (Roma 1959) ha vissuto in Africa per diversi anni, dove ha svolto la duplice attività giornalistica e missionaria. È stato per alcuni anni in Kenya direttore del ‟New People Media Centre” e di due testate sull'attualità africana in lingua inglese: il ‟New People Feature Service” e il ‟New People. Magazine”. Nel 1997 ha fondato MISNA (Missionary Service News Agency), agenzia di stampa on line in tre lingue (italiano, inglese e francese), un progetto editoriale che ha riscosso un notevole successo a livello internazionale. Collaboratore di varie testate giornalistiche, tra le quali ‟Radio Vaticana”, ‟Avvenire”, ‟Espresso” e ‟Radio Rai”, ha già pubblicato Sudan: solo la speranza non muore (Emi, 1994), Ibrahim amico mio (Emi, 1997), Il mondo capovolto (Einaudi, 2003) e Hic sunt leones. Africa in nero e in bianco (Paoline 2006). Nel luglio del 2003 il presidente Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana per meriti giornalistici nel Sud del mondo. Con Feltrinelli ha pubblicato Soldatini di piombo (2005, 2007).

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1 maggio 2019 3 01 /05 /maggio /2019 09:25
La principessa Alexandra Wolff Stomersee a Palermo (alle sue spalle il Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa) - Fonte wikipedia

Alexandra Wolff Stomersee - conosciuta anche come "Licy" - fu una delle "principesse della psiconanalisi", al pari di Marie Bonaparte o di altre donne europee altolocate e culturalmente all'avanguardia, pronte a cogliere nuovi fermenti, come ad esempio fu Lou Andreas Salomé, che furono attratte dal carisma di Sigmund Freud e che ne divennero allieve e, in alcuni casi, devote sostenitrici. Fortuna volle che Alexandra Wolf approdasse in Sicilia, a Palermo, a seguito del matrimonio con il Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nipote di Pietro della Torretta, marito in seconde nozze della di lei madre, scrittore e autore del celebrato "Il Gattopardo", ma soprattutto uomo di grandissima levatura e cultura.
A Palermo, spinta dal suo interesse per la psicoanalisi, Licy cominciò a frequentare l'ospedale psichiatrico in via Pindemonte che, allora era di recentissima costruzione e moderna concezione. Cominciò presto ad attrarre nella sua sfera culturale alcuni giovani medici che, così come aveva fatto Freud, con la prima generazione dei suoi allievi, si sottoposero ad una psiconanalisi con lei e che poi continuarono ad approfondire il loro interesse nella psicoanalisi e ad avere i propri pazienti. E così, con questa diretta ascendenza freudiana, la Psiconanalisi arrivò a Palermo, con una serie di rilanci a livello nazionale, in virtù della vivacità intellettuale di Alexandra Wolff Stomersee. Uno dei suoi allievi fu Francesco Corrao che, per lungo tempo unico psiconalista didatta di Palermo e della Sicilia, forgiò da solo un'intera generazione di psicoanalisti siciliani.
Quindi Alexandra Wolff Stomersee è una figura di grandissimo rilievo non solo per la storia della cultura, ma anche per quella della psicologia e della psicoanalisi italiana (per quanto rigarda quest'ultimo campo la sua figura è stata di cruciale importanza per gettare le fondamenta di un movimento psicoanalitico siciliano). Nell'ambito italiano della psiconanalisi, fu il primo presidente della Società Italiana di Psiconalisi, come riconoscimento per la sua attività di studiosa e di pioniera della disciplina.
La sua figura è stata delineata nel film del 2000 di Roberto Andò, Il Manoscritto del Principe, nel quale si raccontano gli ultimi anni di vita del Principe di Lampedusa (qui è impersonata da Jeanne Moreau) e del romanzo memoir di Susy Izzo, sua paziente e allieva, La Dama e il Gattopardo.

 Gabriele Bonafede, Appunti di una giovane anima. Alexandra Tomasi di Lampedusa (pubblicazione indipendente, 2018)

Recentemente, é arrivata in libreria, l'opera di Gabriele Bonafede, Appunti di una giovane anima. Alexandra Tomasi di Lampedusa (pubblicazione indipendente, 2018) che, in forma romanzata seppure rigorosamente fondata su fonti storiche, prova a raccontare la vita di Alexandra Wolff e del marito. Il volume verrà presentato martedì 14 maggio 2019, alle ore 18.00 a Palazzo Sant'Elia (Palermo). Tale evento si iscrive all'interno della manifestazione "Settimana delle Culture" (dall'11 al 19 maggio) che giunge alla sua 8^ edizione.
Non si tratterà soltanto della presentazione tout court del volume di Bonafede, ma di una tavola rotonda rievocativa e di studio sulla complessità di Alexandra Wolff Stomersee, come indica il titolo dell'evento: "Ricordando Alexandra Tomasi di Lampedusa, tra storia, letteratura e psicoanalisi".
Oltre all'autore, interverranno Clara Monroy, Antonio Riolo, Giancarlo Decimo e Filippo Pecoraino. Verranno anche presentate in video le interviste inedite di Isabella Crescimanno Pecoraino (2009) e di Beppe Aiello (2019).
Letture di brani scelti deal volume verranno fatte da Viviana Lombardo e da Giuseppe Tumminello.

(dal retro di copertina) "Appunti di una giovane anima. Alexandra Tomasi di Lampedusa" narra mezzo secolo (1904-1954) della storia d'Europa, compresa la Russia, attraverso la vita di una coppia straordinaria: Alexandra Wolff von Stomersee e lo scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (autore de Il Gattopardo). La vicenda si svolge nel mezzo di tragedie e rovine delle due famiglie, dovuta in gran parte alle distruzioni e trasformazioni delle due guerre mondiali con il sapore del "mondo felice perduto" evidente ne Il Gattopardo. Come il marito Giuseppe, Alexandra Tomasi di Lampedusa, soprannominata "Licy" e anche "Principissa", parlava almeno cinque lingue ed era una profonda conoscitrice di Shakespeare e della letteratura russa ed europea. Donna dalla personalità duale, fu inoltre la prima presidente della Società italiana di Psicoanalisi e la prima donna psicoanalista in Italia e in Sicilia. Rivoluzionaria nell'intimo ma politicamente "zarista", nella sua giovinezza iniziò a lavorare intensamente con i pionieri della psicoanalisi ed ebbe al contempo involontari contatti con esponenti politici che posero le basi delle teorie del nazifascismo e con emanazioni della dittatura staliniana. Sposandosi in seconde nozze con Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dopo un martoriato matrimonio con un principe baltico dichiaratamente omosessuale, si scontrò altresì con un mondo profondamente diverso da quello dove era cresciuta: il mondo siciliano. In particolare si trovò a fronteggiare il ristretto mondo della speciosa aristocrazia palermitana, tendente a sostenere Mussolini negli stessi anni in cui in Lettonia, dove Licy ha vissuto a lungo, le donne avevano già ottenuto il diritto al voto. Il romanzo ha diversi piani narrativi e, oltre ai protagonisti, sono presenti altri personaggi-chiave, reali o verosimili, che ruotano intorno alla coppia così come all'Europa del "secolo breve". A partire dalla narratrice, una "bambina eterea", ovvero una "giovane anima", che rivelerà solo nelle ultime righe la propria identità: come un piccolo "giallo" incastonato in una storia d'avventura, di viaggi, di letteratura e di relazione culturale e psicologica tra un uomo e una donna straordinari. E che hanno fatto epoca.

L'autore. Gabriele Bonafede (Palermo 1965), ha ottenuto il Master in Public Policy and Planning alla facoltà d'economia della Northeastern University di Boston (USA) nel 1993 e il dottorato di ricerca in pianificazione territoriale in Italia nel 1994. Nel 1996 si è specializzato in Regional Studies in Developing Countries al MIT di Cambridge (USA). Poliglotta, lavora nell'ambito della cooperazione internazionale. Ha pubblicato cinque saggi su temi d'economia e sviluppo e articoli accademici in italiano e inglese.
Dal dicembre 2015 pubblica e dirige il web magazine www.maredolce.com

 

 

 

 

 

Appunti di una giovane anima. In una biografia romanzata la storia di Alexandra Wolff Stomersee, personaggio di rilievo nella storia della psicologia e della psicoanalisi

Il manoscritto del Principe è un film drammatico del 2000, diretto da Roberto Andò. Il film è ambientato a Palermo negli anni cinquanta. Vi si racconta la parte finale della vita e le ultime gesta dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in particolare del suo rapporto con gli allievi ventenni Guido e Marco e la stesura de Il Gattopardo. In questo film Licy è impersonata da Jeanne Moreau. Il film su youtube è disponibile nella sua interezza.

Susy Izzo, La Dama e il Gattopardo, Memori, 2010 (disponibile anche in formato ebook)

Per completezza aggiungo qualche notizia sul volume scritto da Susy Izzo.
(Fonte: mezzocielo.it) Nel suo libro “La dama e il gattopardo” la psichiatra e psicoterapeuta Susy Izzo (psichiatra e psicoterapeuta, scomparsa nel 2017) ci offre un ritratto, per alcuni aspetti inedito, della principessa Alexandra Wolff Stomersee, moglie di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con la quale condusse la propria analisi personale e didattica. L’autrice ricostruisce quello che fu il particolare sodalizio che nacque e si consolidò negli anni tra lei, ragazza anticonformista degli anni settanta, di sinistra, alla ricerca di una nuova identità femminile rispetto ai modelli del passato e un’anziana signora austera, appartenente alla nobiltà e cresciuta alla corte dello zar Nicola II. Due figure lontanissime tra di loro ed apparentemente antitetiche, ma unite da un rapporto di reciproca stima e rispetto che col tempo si tramutò in una affettuosa amicizia che durò fino alla scomparsa della principessa, avvenuta nel 1982.

Figlia del barone baltico Boris Wolff Stomersee e di Alice Barbi, apprezzata cantante lirica di origini italiane, Alexandra nacque a Nizza nel 1896 e trascorse i primi anni della sua vita a Pietroburgo formandosi in un ambiente colto e raffinato, sebbene espressione del decadente mondo zarista. Intorno agli anni venti si trasferì a Berlino per frequentare l’Istituto di Psicoanalisi e durante un soggiorno a Vienna ebbe l’opportunità di conoscere personalmente anche Freud. A Londra conobbe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nipote del secondo marito della madre, Pietro Tomasi della Torretta allora ambasciatore italiano nel Regno Unito. Si sposarono nel 1932 e dopo la confisca definitiva delle sue proprietà in Lettonia da parte delle autorità sovietiche, si trasferirono a vivere definitamente in Italia dividendosi tra Roma e Palermo.

A Roma la principessa strinse fin da subito rapporti con i maggiori psicoanalisti del tempo e divenne presto membro della giovane Società di Psicoanalisi. Dopo la guerra fu sempre lei, assieme a Cesare Musatti, che si adoperò per rifondare la Società, soppressa durante il fascismo, di cui fu anche la prima donna a ricoprire la carica di presidente (Da allora, bisognerà aspettare fino alla recente nomina di Anna Nicolò per trovare un’altra donna alla presidenza della SPI).

Rimasta sola, Alexandra condusse una vita di parziale isolamento, continuando però a lavorare con i pazienti e proseguendo nella sua attività didattica fino alla fine. Così come era stata a fianco del marito durante la stesura del Gattopardo, in seguito si occupò della pubblicazione postuma del romanzo.

Il libro di Susy Izzo si riferisce proprio all’ultimo periodo della sua vita, raccontando dei loro incontri che si svolsero sia nella casa romana di Corso Trieste sia a Palermo, nel palazzo Lampedusa-De Pace in via Butera 28. Con una prosa molto garbata, l’autrice ci svela alcuni tratti personali della principessa, discrete confidenze condivise con l’allieva, accenni nostalgici al suo passato e ricordi di un mondo ormai scomparso, soprattutto se paragonato con l’incalzare degli eventi sociali e politici che contraddistinsero gli anni 70 ed 80 del Novecento.

(risguardo di copertina) Cosa ci fanno una ragazza degli anni '70 (un pizzico bolscevica e appassionata di psicoanalisi) in jeans e maglietta e la principessa Alexandra Wolffstornesse Tomasi di Lampedusa, (sinceramente antibolscevica), psicoanalista, allieva di Freud con bastone e cappello con veletta, su una Spider decappottabile color amaranto?
Tutto comincia a Palermo. Per l'esattezza a via Butera 23, nel fascinoso e decadente scenario profumato di gelsomino del palazzo dei Tomasi di Lampedusa. Sarà lì che la ragazza in jeans, attraverso un lungo percorso analitico, scoprirà se stessa e imparerà a stimare e amare Alexandra, la moglie, la consigliera, la donna perdutamente innamorata dell'ultimo dei gattopardi.
Prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi
Postfazione di Marco Spagnoli

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21 aprile 2019 7 21 /04 /aprile /2019 09:53

"Abitanti di un mondo in declino, trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi, le civiltà al tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colore, di preghiera e furore. Il mondo di domani" (Domenico Quirico)

Domenico Quirico

Domenico Quirico, Esodo, Neri Pozza 2016

Esodo. Storia del nuovo millennio di Domenico Quirico (Neri Pozza Editore, Collana I Colibrì, 2016) nasce da una raccolta di reportage, supportati da un progetto unitario e scritti attraverso un'esperienza da lui fatta direttamente sui percorsi delle migrazioni dai punti di partenza negli stati dell'Africa sub-sahariana, ai punti di raccolta e di imbarco, ai transiti e, poi, ai dolenti e difficili percorsi delle miriadi di migranti in Italia e altrove in Europa. Benchè pubblicato nel 2016, mantiene intatta anche oggi una sua profonda attualità. E mostra anche come per osservare questo fenomeno occorre una corda empatica e soprattutto e sorattutto attrezzarsi per imparare a convivere con qualcosa che porterà a delle grandi irreversibili mutazioni, di marca epocale.

Anzi, a fronte del grezzo populismo di marca salviniana, dovrebbe essere riletto ancora e ancora.
E' un libro che tutti dovrebbero leggere e conoscere per farsi un'idea di prima mano su cosa significa essere migranti in questo nuovo millennio spinti dalle necessità, dalla fame, dalle guerre.
Molti su questi temi, in testa a tutti i "politici" che parlano il più delle volte spinti dai propri pregiudizi o dalle opportunità del momento, ma che nel complesso sono all'asciutto di una conoscenza vera, poiché ciò che, al massimo, assorbono sono delle rassegne stampe confezionate ad hoc dai loro stessi uffici, quindi in assenza di punti di vissta alternativi e fondati sui fatti e sulla realtà delle cose) avranno spinto di riflessione e di meditazione, traendone un modo di verso di vedere il fenomeno da quanto ci viene presentato dai notiziari TV e dai quotidiani della carta stampata che, anche loro, il più delle volte su questi temi sono sordi e ciechi.
Quest'opera di Quirico è a tutti gli effetti un libro-testimonianza, scritto da uno che, secondo il suo stile, prima di scrivere vuole mettersi in gioco di persona, toccare evedere, sperimentando su se stesso, nei limiti del possibile.
E la sua conclusione (che appare anche nel sottotitolo) deve far riflettere. E' inutile opporre argini, erigere barriere, creare ostacoli. Ciò che sta accadendo è epocale e scriverà la storia del nuovo millennio: e alla fine di questo lungo processo l'Europa e l'Occidente non saranno più gli stessi. E, in un certo senso, tutto ciò sta accadendo come Nemesi di ciò che le potenze dell'Occidente hanno fatto all'Africa con il succedersi delle spoliazioni coloniali e post-colonianli, sino al recentissimo e scandaloso fenomeno del "land grabbing" (di cui ancora una volta i quotidiani della carta stampata parlano pochissimo).

(Risguardo di copertina) Dopo lo strabiliante successo de Il Grande Califfato, Domenico Quirico ritorna con un libro che illumina l’altro evento fondamentale del nostro tempo: la grande migrazione. E' la cronaca dei viaggi fatti in compagnia dei migranti nei principali luoghi da cui partono, e in cui sostano o si riversano. In questo senso, è il racconto in presa diretta dell’Esodo che sta già mutando il mondo e la storia a venire. Una Grande Migrazione che ha inizio là dove parti intere del pianeta si svuotano di uomini, di rumori, di vita: negli squarci sterminati di Africa e di Medio Oriente, dove la sabbia già ricopre le strade e ne cancella il ricordo; nei paesi dove tutti quelli che possono mettersi in cammino partono e non restano che i vecchi.
Termina nel nostro mondo, dove file di uomini sbarcano da navi che sono già relitti o cercano di sfondare muri improvvisati, camminano, scalano montagne, hanno mappe che sono messaggi di parenti o amici che già vivono in quella che ai loro occhi è la meta agognata: l’Europa, il Paradiso mille volte immaginato.
In realtà, il Paradiso è soltanto l’albergo fatiscente di civiltà sfiancate e inerti, destinate, come sempre accade nella Storia, a essere prese d’assalto da turbini di uomini capaci di lasciarsi dietro il passato, l’identità, l’anima.
Da Melilla, l’enclave spagnola che si stende ai piedi del Gourougou, in Marocco – dodici, sonnolenti chilometri quadrati cinti da un Muro in cui l’Europa è, visivamente, morta – fino alla giungla di Sangatte, a Calais, dove la disperata fauna dei migranti macchia, agli occhi delle solerti autorità francesi, le rive della Manica con la sua corte dei miracoli, tutto l’Occidente, dai governanti ai sudditi, sembra ingenuamente credere di poter continuare a respirare l’aria di prima, di poter vivere sulla medesima terra di prima, mentre «il mondo è rotolato in modo invisibile, silenzioso, inavvertito, in tempi nuovi, come se fossero mutati l’atmosfera del pianeta, il suo ossigeno, il ritmo di combustione e tutte le molle degli orologi».
Dopo lo strabiliante successo de Il Grande Califfato, Domenico Quirico ritorna con un libro che illumina l’altro evento fondamentale del nostro tempo: la grande migrazione.

Domenico Quirico

L'autore. Domenico Quirico è giornalista de La Stampa, responsabile degli esteri, corrispondente da Parigi e ora inviato. Ha seguito in particolare tutte le vicende africane degli ultimi vent’anni dalla Somalia al Congo, dal Ruanda alla primavera araba. Ha vinto i premi giornalistici Cutuli e Premiolino e, nel 2013, il prestigioso Premio Indro Montanelli. Ha scritto quattro saggi storici per Mondadori (Adua, Squadrone bianco, Generali e Naja) e Primavera araba per Bollati Boringheri. Presso Neri Pozza, oltre a Esofo ha pubblicato Gli Ultimi. La magnifica storia dei vinti, Il paese del male, 152 giorni in ostaggio in Siria (2013), Il grande califfato (2015) e Aleppo (2017).

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18 aprile 2019 4 18 /04 /aprile /2019 07:50
Rupert Thomson, Katherine o gli inattesi colori del destino, Enne Enne Editore, 2016

Rupert Thomson è uno scrittore che indubbiamente merita di essere esplorato. A Katherine o gli inattesi colori del destino (traduzione di Federica Aceto, NN Editore, 2016) ci sono giunto attraverso la lettura di "Morte di un'assassina", pubblicato da Einaudi (Collana Stile Libero) nel 2011, che mi è piaciuto molto, anche perché si trattava di una narrazione insolita, decisamente fuori dall'ordinario e molto di qualità.

Da questo punto di partenza, come spesso mi capita nell'approccio ad autori per me nuovi, ho cercato di rintracciare altre sue opere tradotte in Italiano, e ci sono riuscito anche se con molta fatica, poichè la maggior parte non sono più disponibili nel mercato librario cartaceo, benché di pubblicazione relativamente recente (per esempio su IBS compare solo Katherine, ma in formato ebook). Alcuni li ho potuti rintracciare second hand attraverso Il Libraccio.
E quindi a poco a poco ho cominciato a leggere i suoi romanzi. Ho fatto fatica a portare avanti sino alla fine "Le cinque porte dell'Inferno", benchè anche questo fosse decisamente originale. Ma la sorpresa vera è arrivata con "Katherine..." che ha sin dalle prime battute monopolizzato in modo assoluto la mia attenzione.

La 18enne Katherine, proveniente da un embrione prodotto in vitro e successivamente impiantato nel grembo della madre dopo mesi di attesa in un congelatore, ha perso da poco la madre (portata via da un tumore) con la quale aveva un rapporto di profondo affetto e si sente abbandonata o non riconosciuta dal padre, impegnato senza soste nella sua attività di giornalista di grande fama. Conosce le sue origini e forse proprio per questa cresce la sensazione di essere figlia di nessuno: come in una spy story, matura un suo progetto, lasciandosi guidare dalle causalità e dalle coincidenze che la inducono a partire per un lungo viaggio, cancellando sistematicamente ogni traccia del suo passaggio.
Il romanzo è decisamente una storia di ricerca e di formazione, iniziata in verità come un'avventura-pellegrinaggio alla ricerca di una dissoluzione del proprio sé che, a poco a poco, attraverso un lavoro costante dei ricordi che vanno via via emergendo, consente alla giovane protagonista di desiderare di nuovo di riallacciare i rapporti con il suo passato dal quale si è sentita sradicata ed esule.
Katherine affronta un lungo viaggio dal noto all'ignoto, verso lande sempre più desolate, buie e fredde, passando da Berlino ad Arcangel'sk in Siberia, per poi approdare infine in un luogo sperduto delle Isole Svalbard, quasi ricercando un punto di contatto con le sue origini, essendo lei stata, prima ancora che figlia dei suoi genitori, figlia di una provetta.

Questo viaggio in luoghi che diventano immediatamente luoghi della mente e, nello stesso tempo, la fitta attività di fantasticherie di Kit si svolgono su note affascinanti: sino alla fine, da lettore-testimone, si vuole andare avanti assieme a lei per capire dove il suo percorso la porterà, se sarà veramente verso la dissoluzione e l'annientamento di ogni legame interno ed esterno, oppure se ci sarà una possibile redenzione e il ritorno ad una vita piena di affetti e di colori. Il romanzo si costruisce tutto attorno a questo asse: il desiderio di dissoluzione (ovvero quello di scomparire al mondo) che si trasforma in quello speculare dells rinascita ad una nuova vita di affetti, in un perfetto ciclo di morte-rinascita.
Proprio nel distacco radicale da ogni affetto, si ponfgono le premesse per la ricerca dentro di sé di più saldi punti di radicamento.

(Dal risguardo di copertina) Katherine è nata da fecondazione in vitro dopo essere stata congelata per otto anni. Da sempre avverte un vuoto, anche se da qualche tempo il destino le manda dei messaggi, piccoli indizi che trova sulla sua strada e che le riempiono la vita di colore. A diciannove anni Katherine vive a Roma, da sola: la madre è mancata dopo una malattia e il padre è spesso lontano per lavoro. Così un giorno decide di seguire i segni del destino. E scappa facendo perdere le sue tracce. Il viaggio, che la porta da Berlino fino ai confini estremi della Russia, è l’occasione per prendere consapevolezza delle sue origini e per venire a patti con l’assenza del padre e la morte della madre.
Con una prosa lucida, cristallina e cinematografica, Rupert Thomson ci racconta di una donna che con la forza del carattere riesce a portare la sua vita fuori dal vicolo cieco del passato e a lanciarsi nel futuro con coraggio, libertà e passione.
(retro di sovracoperta) Questo libro è per chi si specchia nella buccia di una mela rossa, per chi non ha mai ascoltato What a difference a day makes cantata da Shilpa Ray, per chi si sente a casa quando riconosce il profumo dei pini, e per chi ha gettato via d’impulso un oggetto del passato creando così un nuovo ricordo impalpabile {questa nota sul retro della sovracoperta, si comprende meglio se si considera che la Casa Editrice Enne Enne, nel suo sito, propone per i lettori dei suoi libri una collana sonora che accompagni la lettura di alcuni dei suoi volumi].

Rupert Thomson

L'autore. Rupert Thomson, nato a Eastbourne nel 1955, ha lavorato a Londra come copywriter per 4 anni fino a quando ha deciso di dedicarsi interamente alla scrittura. È considerato uno degli scrittori più originali delle ultime generazioni.
Tra le sue opere: Le cinque porte dell'Inferno (Bompiani, 1992), A nudo (Passigli 2004), Divided kingdom. Sei collerico, malinconico, flemmatico o sanguigno? (Isbn 2005), Il lato oscuro (Passigli 2006) e Morte di un'assassina (Einaudi 2011). Molti dei suoi romanzi non sono stati ancora in Italiano.

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14 aprile 2019 7 14 /04 /aprile /2019 18:05

Lettori - ossessivi, possessivi, ostinati, occasionali, distratti, sognatori - come tenete il segno?
Orecchietta o segnalibro?🤔
Rispondete al nostro sondaggio

Il Libraccio (Facebook Page)

segnalibri (fonte web)

Questo è l'interessante quesito - e non banale - che è stato posto in un "poll" (sondaggio) da Il Libraccio nella sua pagina Facebook.
Io, al quesito posto, ho risposto "segnalibro" (risposta che sino ad ora ha ottenuto l''80% dei consensi), anche se la semplice risposta "sì" o "no" non è di per sè esaustiva. E, pertanto, come molti altri che avevano aderito al sondaggio proposto, ho ritenuto opportuno aggiungere un mio commento che desse conto di alcune delle sfaccettature contenute, nel mio personale rapporto con i libri, tra i due corni del dilemma.
Ho condiviso nel mio profilo facebook il poll, invitando tutti i lettori a provare a dare una risposta, aggiungendo eventuali commenti esplicativi, come del resto mi sono sentito di fare io stesso, consapevole del fatto che ciascuna alternativa apre la stada ad infinite vartiazioni narrative relativamente al rapporto che ogni lettore intrattiene con i libri che si trova a leggere e allo story  telling che ne scaturisce.

Questo il mio commento al dibattito che si è attivato tra i partecipanti al sondaggio (riveduto e corretto, ma anche con qualche piccola - necessaria - aggiunta):

Segnalibro, anche se qualche volta il ricorso all'"orecchietta" si rende necessario (pur trattandosi di soluzione a breve termine).
A proposito di segnalibri, qualche volta me li creo da me, incollando delle piume trovate per strada su di un cartoncino bianco oppure su di un preesistente segnalibro e poi plastificando il tutto. Si possono utilizzare ovviamente anche fogli di carta ripiegati, cartoline, biglietti da visita, bastoncini del gelato). La fantasia nell'uso del segnalibro è di prammatica, anche se conviene avere sempre sottomano sempre un'ampia scorta di segnalibri pubblicitari di altri libri che a volte non sono triviali.
Di rigore, il segnalibro va lasciato dentro il libro finito di leggere, mai riciclato per una differente lettura. Quindi i segnalibri a disposizione devono essere necessariamente numerosi.
Personalmente, non ho alcuna remora a "macchiare" i libri. Scrivo sempre sui libri che leggo: per me non è sciuparli, ma personalizzarli. Di prammatica annotare la data di inizio e di fine dellla lettura (cosa che ad un approccio successivo mi consente di circostanziare quella prima volta, dandomi dei riferimenti per ricordarmi "come ero" e illuminarmi sulla prima chiave di lettura). Si sa che, lo stesso libro può essere letto in modo diverso nelle diverse età della vita.
A volte, i miei libri sono segnati da macchie di caffè o dalla caduta di gocce di marmellata o miele. dipende da cosa facevo mentre li leggevo.
Anche questi segni fanno parte della storia dei libri che si sono letti.
Leggere un libro significa farlo proprio, possederlo, farne un'estensione della propria mente.

Un esempio di orecchietta al libro che si legge

Vorrei ricordare qui che mettere le "orecchiette" ai libri che si leggono, come quella di sottolineare o di scrivere a margine, oppure quella di utilizzare le pagine bianche alla fine del volume per annotare pensieri che con il contenuto di quel libro non c'entrano niente, o quasi, come anche quella di incollare su alcune pagine delle decalmanie, per non parlare di quella consuetudine ben più antica di applicare a ciascun volume della propria biblioteca un ex libris personalizzato, sono considerate da taluni abitudini deplorevoli, o comunque controverse.
Ma fatto sta che ciascuno, con i propri libri, debba avere un rapporto assolutamente personale ed unico.
Io vedo maggiormente aderente con le mie attitudini di lettore il bisogno di personalizzazione di ogni libro, in ogni modo possibile ed immaginabile: ma questa mia tendenza ha preso piede e si è sviluppata nel corso degli anni. Nei miei primi anni di lettore "adulto" prevaleva il bisogno di mantenere ciascun libro il più possibile intonso. Il cambiamento è sopravvenuto più avanti forse in relazione al bisogno di costruire con ciascun libro un rapporto dialogico e di interazione, lasciando traccia di questa dialettica nel caso di una sua riapertura nel corso del tempo.

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3 aprile 2019 3 03 /04 /aprile /2019 12:18

Il "Diario" è considerato una testimonianza dell'Olocausto: questo è soprattutto ciò che non è.

Dalla òòa quarta di copertinau

Generazioni di lettori si sono abituate ad un approccio al famoso Diario di Anne Frank, in modi che sono stati distorti sia da precedenti edizioni espunte, sia dalla riduzione teatrale e poi cinematografica (si ricordare il famoso film firmato da Frank Capra). Letture che sono state determinate sia da un mal riposto rispetto nei confronti dei pensieri più intimi e crudi espressi da Anne Frank, sia da necessità ideologiche. Bisogna riportare il testo alla sua interezza e leggerlo, innanzitutto come un'opera letteraria di grande valore ed una testimonianza esistenziale, riducendo invece il sovradimensionamento di dolente racconto dell'Olocausto che esso ha ricevuto nel corso del tempo per esigenze ideologiche e/o ermeneutiche, sino a farlo divenire quasi emblema di quell'insieme di eventi e la sua Autrice un'icona quasi universale dell'innocenza ferita e mortificata. Infatti, il Diario che venne bruscamente interrotto dall'irruzione della Polizia olandese - allora al servizio dei Tedeschi invasori - nell'alloggio segreto non ha un suo finale, se non il non detto scaturente da una crescente sensazione di precarietà.
Del modo "vero" in cui si conclude la storia di Anne Frank, prima tradotta ad Auschwitz e poi da lì trasferita con una delle marce della morte a Bergen-Belsen dove morì di Tifo e di privazioni, poco prima della liberazione dei campi di sterminio, si sa da altre fonti e quindi dell'orrore dei mesi successivi all'ultimo aggiornamento non c'è nulla che sia stato scritto personalmente da Anne Frank non si sa nulla.
Questa ed altre considerazioni sull'uso spigliato e traditore del testo-testimonianza di Anne Frank sono contenute in un libro di recente - e meritoria - pubblicazione per i tipi de La Nave di Teseo. Si tratta di Di chi è Anne Frank? (titolo originale: Who Owns Anne Frank? nella traduzione di Chiara Spaziani, Collana Le Onde, 2019).

Il testo di Cynthia Ozick, proposto da La Nave di Teseo, venne originariamente pubblicato sulle pagine del "New Yorker" nel 1997.
Non era mai stato tradotto in lingua italiana.
Con lucidità l'autrice espone i motivi per i quali, secondo lei, il testo originale di Anne Frank sia stato tradito.
Le pagine del manoscritto, infatti, videro una serie di rimaneggiamenti, innanzitutto effettuato dallo stesso padre di Anne Frank e unico sopravvissuto all'Olocausto. Otto Frank, infatti, decise di omettere tutto ciò che ritenne irrilevante dal punto di vista della storia dell'Alloggio secreto: una serie di censure che indubbiamente hanno alterato l'immagine della figlia adolescente, con un'edulcorazione dei pensieri e delle emozioni. Questa prima edizione del Diario portò immediatamente alla costruzione di Anne Frank come "icona", anche perchè ai tempi della prima pubblicazione della Shoah si sapeva ancora bene. Dice la Ozick che ogni storia che si rispetti deve avere un finale e che nel Diario un finale manca. O meglio il finale - aggiunge ancora la Ozick - il lettore lo può conoscere soltanto se ha letto Primo Levi (con il suo I Sommersi e i Salvati) oppure Elie Wiesel (La Notte): quindi in ciò, secondo la Ozick, in stesso il Diario non è una testimonianza dell'Olocausto.
In ogni caso, ella dice, il Diario rivela che Anne Frank aveva della grandi potenzialità di scrittrice e che, se non fosse intervenuto quel tragico finale, avrebbe potuto realizzare grandi cose nel campo della letteratura.

 

Anne Frank, Il Diario. L'alloggio segreto, 12 giugno 1942 - 1° agosto 1944, Winaudi, 2015

Altri tradimenti furono effettuati, come ad esempio, nelle lunghe trattative che portarono alla realizzazione di una sceneggiatura per un lavoro teatrale rivolto al pubblico americano (riduzione curata dopo molte controversie sull'assegnamento del lavoro a Frances Goodrich e a Albert Hackett) e che avrebbe a sua volta ispirato il film - divenuto famoso - di George Stevens (USA, 1957).
O ancora, quando il Diario venne tradotto dall'Olandese al Tedesco, quando riferimenti ai Tedeschi invasori che avrebbero potuto urtare la sensibilità dei Tedeschi vennero ulteriormente espunti.
Solo tardivamente, il testo di Anne Frank venne pubblicato nella sua integrità (e un'edizione critica annotata e corretta di tale testo integrale venne a suo tempo pubblicata da Einaudi) e questo consentì di fare riemergere un'immagine più completa di Anne, certamente meno "buona" in alcuni suoi giudizi ed anche portatrice di sentimenti e di emozioni che potrebbero disturbare il lettore rispetto all'immagine edulcorata che era stata costruita prima proprio grazie a quei rimaneggiamenti del testo.
Insomma, sostiene la Ozick, la storia (e i testi storici e di testimonianze che ci pervengono) non dovrebbero mai essere traditi: soltanto così essi possono continuare a trasmettere intatta la propria forza.
E la stessa cosa è per la Memoria: il ricordo non deve essere mai edulcorato. E questo è un dovere morale.

(dal risguardo di copertina) Apparso per la prima volta nel 1997 sulle pagine del “New Yorker”, questo impetuoso, lucidissimo saggio di Cynthia Ozick strappa il velo di dissimulazione e retorica che negli anni ha ovattato e mistificato la limpida voce di Anne Frank e del suo Diario. Troppo spesso e troppo a lungo oggetto di interpretazioni semplificate e fuorvianti, di appropriazioni indebite, tradimenti e comode “santificazioni”, il Diario è servito da lasciapassare per un’amnesia collettiva – storica e culturale – sulle cause e le circostanze della morte della sua autrice e di milioni di altre vittime dell’Olocausto. La depravazione e la ferocia dei nazisti, il male che ha consumato la protagonista, sono stati attenuati e sorpassati nel tempo dal solo battere della critica, dell’editoria, dei lettori e persino del padre – Otto Frank – sul tema della bontà e della forza umana, utilizzando strumentalmente la voce di Anne per costruire un discorso sul passato tanto rassicurante quanto sterile. Cynthia Ozick, ripercorrendo con il ritmo e la forza che le sono propri, le vicissitudini storiche, editoriali e teatrali del libro universalmente considerato il simbolo della Shoah, ci mette in guardia dalle conseguenze di questa tendenza: ammorbidire la Storia, nel tentativo di renderla più sopportabile, equivale a tradirla; tradirla equivale a negare – in una discesa inarrestabile verso il buio della ragione – ciò che è stato, gettando le basi perché possa avvenire ancora.
Cynthia Ozick, ripercorrendo con il ritmo e la forza che le sono propri, le vicissitudini storiche, editoriali e teatrali del libro universalmente considerato il simbolo della Shoah, ci mette in guardia dalle conseguenze di questa tendenza: ammorbidire la Storia.

(Quarta di copertina) Il "Diario" è considerato una testimonianza dell'Olocausto: questo è soprattutto ciò che non è.

Cynthia Ozik

L'Autrice. Cynthia Ozick è autrice di numerose opere, sia di narrativa sia di saggistica, riconosciute a livello internazionale. Ha vinto il National Book Critics Circle Awards, ed è stata finalista al Premio Pulitzer e al Man Booker International Prize. I suoi racconti hanno vinto per quattro volte l’O. Henry First Prize. Per Feltrinelli ha pubblicato Lo scialle e Eredi di un mondo lucente (2005). Presso Bompiani sono usciti La farfalla e il semaforo (2010), Corpi estranei (2011).

«Era mio dovere allargare il piú possibile la cerchia di coloro che volevano accogliere il messaggio di Anne, e per questo il teatro e il cinema erano i mezzi piú adatti. Dopo molte riflessioni e discussioni con scrittori è stata creata l'opera teatrale. Io sono convinto che essa adempie a una missione, e questa è la cosa piú importante».

Otto Frank, padre di Anne Frank

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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