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10 febbraio 2022 4 10 /02 /febbraio /2022 11:32

«Il fatto è che la gente è sola. Terribilmente sola»

Sofie Divry, La custode di libri, Einaudi, 2012

Sophie Divry, La custode di libri, Einaudi

La custode dei libri di Sophie Divry, esordiente scrittrice francese di appena trent'anni  (Einaudi, 2012) è il racconto - in forma di monologo - di una donna che nella vita è stata ferita tante volte, ha sofferto per amore ed ora trova la sua serenità tra i suoi adorati libri riposti nella biblioteca in cui lavora, relegata in un sotterraneo.
E' un lungo e pensoso monologo in cui la donna (che sino alla fine rimarrà senza nome) parla in continuazione dalla prima all’ultima frase.
Il suo interlocutore (altrettanto senza nome) è un ragazzo che si è rifugiato nel seminterrato della biblioteca nelle ore notturne, e che la donna - mattiniera - ha scoperto addormentato poco prima dell'apertura al pubblico della Biblioteca e dell'arrivo degli altri impiegati e funzionari.
La bibliotecaria si rivolge a lui in un lungo flusso associativo tra amarcord, personali riflessioni e preferenze sulla lettura e sui libri, ma anche considerazioni sul lavoro del bibliotecario e della storia delle biblioteche pubbliche come strumento per edificare e acculturare il Popolo e del sistema di catagolazione universale che s'è andato sviluppando dalle loro prime esitanti origini. E in questo percorso, fornisce anche preziosi elementi che riguardamo la storia francese a partire dalla Rivoluzione in avanti e sul modo in cui lo silupparsi dell'interesse universale per la lettura si è intersecato con i fatti storici.
La bibliotecaria ha le sue personali idiosincrasie, certo, e non le nasconde, ma è molto amareggiata del dover vivere in un epoca che predilige il frastuono e che ha girato le spalle al vero piacere della lettura che è da consumarsi nell'intimità con se stessi e in un silenzio meditativo.
Ma la donna (con continue escursioni e sarabande associative) non esita anche a raccontare al suo silenzioso interlocutore della sua vita privata e dei suoi sentimenti: nelle sue parole emerge un terzo interlocutore, un interlocutore mancato - in verità - un ragazzo - forse uno studente universatario - che frequenta la biblioteca e, in particolar modo, la sezione di cui la donna è responsabile per portare avanti una sua ricerca (forse una tesi di laurea). La donna lo apprezza per la sua serietà e vorrebbe intrecciare un dialogo con lui, di cui studia da lontano la nuca che, appena coperta da capelli ricci, assume per lei un'intensa connotazione erotica, ma non trova corrispondenza al suo sguardo. Afferma anche che, quando viene interpellata, è come se rimanesse sempre invisibile: il destino di tutti i bibliotecari del mondo, afferma lei per consolarsi.
La sua voce è dolce e soave e porta nel cuore il dolore d'un amore finito male e solo attraverso i  suoi libri - e la segregazione di una vita nel sotterraneo di una biblioteca di una città di provincia - riesce a placare quella sofferenza.
Il libro va letto di getto senza fermarsi, per rimanere nello spirito del monologo: è quello che ho fatto in un pomeriggio piovoso, seduto in un bar sorseggiando un paio di tazze di the ( il tempo necessario: un paio di ore appena: si può fare dunque).
Fermarsi spezzerebbe il senso e il ritmo del monologo e ucciderebbe l'atmosfera emozionale che si va creando attraverso questa originale rappresentazione della lettura, dei libri e delle Biblioteche che certamente può toccare nel profondo tutti quelli che amano i libri e li considerano perennemente un oscuro oggetto di desiderio, ma li vedono anche come porte costantemente aperte verso altri mondi.
Poi, magari, dopo una prima lettura fatta di getto, si potrà tornare indietro per assaporarne in maniera più meditata, specifiche parti.
Un libro che consiglio vivamente a tutti quelli che amano leggere.

(Dal risguardo di copertina) È una querula bibliotecaria di provincia la donna che parla dalla prima all'ultima riga di questo incantevole monologo. Il suo interlocutore è un ragazzo che usa il seminterrato della biblioteca come bivacco notturno. A lui la custode si rivolge mischiando vita privata, libri, invettive. E la confessione di un tenero rapimento verso uno studente di cui però contempla solo la nuca. La sua voce ci arriva sommessa, un po' nevrotica, la voce di una donna ferita da un amore andato male, chiusa in un riserbo che solo i suoi amati romanzi riescono a scheggiare. Li ama, li classifica, li commenta convinta che solo l'ordine monastico della biblioteca è medicina per il caos dei sentimenti e degli uomini tutti. E poi d'un tratto la sua voce si accende e dalla donna autoreclusa nel sottosuolo esce una pasionaria della letteratura, una tenace sentinella del silenzio, che dalla sua misera trincea di provincia difende la vertigine della bellezza letteraria contro il chiassoso vociare della subcultura di massa.
Sophie Divry ha trent'anni e vive a Lione. La custode di libri è il suo primo romanzo.

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3 febbraio 2022 4 03 /02 /febbraio /2022 11:20

Per me, in quanto artista che ha dedicato la gran parte del suo lavoro all'adattamento di romanzi e racconti in forma grafica, è comprensibile che la l'inquietante storia di mia nonna seduca a distanza di anni non solo perchè (...) è diventata una sorta di cimelio di famiglia, ma anche perchè è un'opera narrativa talmente potente da necessitare di una trasposizione esatta e sfaccettata. E' un apparato tanto perfetto da concedere ben poco spazio di manovra. Certi libri si espandono, sognano e si perpetuano in modo da aprire le porte a frotte di immagini. La lotteria no: è una struttura pragmatica, sostanzialmente ermetica; parole unite con precisione orafa.

Dalla prefazione di Miles Hyman

La lotteria. Adattamento grafico autorizzato (Shirley Jackson e Miles Hyman)

Scorrendo IBS alla ricerca di edizioni delle opere di Shirley Jackson, che mi fossero sfuggite, ho trovato un volume firmato congiuntamente da Shirley Jackson e Miles Hyman, riportante come titolo "La lotteria. Adattamento grafico autorizzato". Il volume, nella traduzione di Franco Salvatorelli, è stato editato da Adelphi (Fuori Collana), nel 2019. L'ho immediatamente ordinato dal mio libraio di fiducia: e appena l'ho avuto tra le mani mi sono reso che si trattava di una vera e propria chicca.
Di cosa si tratta? Ovviamente, si parte dal famoso e incisivo racconto di Shirley Jackson, quello che le diede la notorietà e la fece diventare una scrittrice cult, solo che qui quel racconto viene riproposto in forma di graphic novel da Miles Hyman, nipote della scrittrice e già autore di numerose opere di questo tipo.
Miles Hyman è riuscito così a dare un grande tributo alla nonna Shirley, traducendo con indimenticabili immagini quel racconto magistrale (riflettente esperienze e sensazioni delle scrittrice quando si era ritirata a vivere in una piccola cittadina assieme al marito) che causò un shock culturale nei suoi primi lettori, quando dovettero confrontarsi  con la sua imprevedibile (e perturbante) conclusione e che alla scrittrice conferì imperitura fama.
La graphic novel, preceduta da una bella introduzione dello stesso Hyman, é così una preziosa integrazione al racconto omonimo di Shirley Jackson.

"Il libro che state per leggere rappresentsa una fedele resa della storia e al tempo stesso una totale ristrutturazione visiva della sua delicata architettura, una meticolosa riformulazione in un linguaggio del tutto nuovo. (...) Ho atteso trent'anni per disegnare "La Lotteria" di mia nonna, ma ne è valsa la pena." (dalla prefazione di Miles Hyman, p. XV).


(Soglie del testo) Il racconto da cui è nata la leggenda di Shirley Jackson è stato molte cose. Il testo più letto nella lunga e gloriosa storia del «New Yorker», ad esempio, e la storia che ha inaugurato una stagione nuova del gotico americano. Ora, grazie alla matita di Miles Hyman, La lotteria si trasforma in qualcosa di ancora diverso: una straordinaria partitura visiva, dove il disegno e la precisione rivelano un volto inedito del terrore.
Il racconto di Shirley Jackson intitolato "La lotteria" ricorda da vicino, per la fama che lo circonda, la famigerata lettura radiofonica della Guerra dei Mondi di Orson Welles. Fama non immeritata, giacché la pubblicazione sul "New Yorker" nel 1949, scatenò un pandemonio. Molti lo presero alla lettera, reagendo all'istante e poi per lungo tempo con missive indignate o atterrite alla redazione. Certe cose non potevano, non dovevano succedere.

Shirley Jackson, La Lotteria, Adelphi

Eppure la storia si presenta in tutta innocenza quale pura e semplice descrizione della lotteria che si svolge nell'atmosfera pastorale, quasi idilliaca, di un villaggio del New England in un luminoso mattino di giugno, come ogni anno da tempo immemore. Ma giunto al termine di questo racconto, come degli altri che compongono l'intensa silloge qui proposta, il lettore scoprirà da sé, in un crescendo di "brividi sommessi e progressivi" - come diceva Dorothy Parker che cosa li rende dei classici del terrore. Secondo un altro illustre ammiratore della Jackson, oltre che maestro del genere, Stephen King, lo sono perché "finiscono con una svolta che porta dritto in un vicolo buio".
 

Gli autori.
Shirley Jackson è stata una scrittrice e giornalista statunitense, nota soprattutto per L'incubo di Hill House del 1959 e La lotteria. Ha esordito scrivendo per il prestigioso «The New Yorker» nel 1948. Nella sua carriera ha scritto anche opere per bambini, come Nine Magic Wishes, e persino un adattamento teatrale di Hansel e Gretel, The Bad Children. Muore per infarto nel 1965, forse a causa della terapia a base di psicoformaci che stava seguendo.
Miles Hyman (born September 27, 1962) is an author and illustrator best known for his graphic novel adaptation of Shirley Jackson's short story The Lottery, called Shirley Jackson's "The Lottery": The Authorized Graphic Adaptation.

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10 gennaio 2022 1 10 /01 /gennaio /2022 10:50
Stephen King, Billy Summers, Sperling&Kupfer

Cosa posso dire? Aspetto sempre con ansia l'uscita di ogni nuovo libro di Stephen King. E dunque mi sono quasi subito impegnato nella lettura del nuovo romanzo uscito sul finire del 2021, Billy Summers (Sperling&Kupfer, 2021).
Ed ora anche questo volume lo posso archiviare! Ed è anche il primo libro finito del 2022, anche se la sua lettura è iniziata nel corso del 2021.
Un buon segno: continuità e discontinuità, cambiamento e trasformazione.
Un libro a cavallo di due diversi anni, come Giano bifronte, Dio guardiano delle soglie e benevolo (o accigliato, a seconda dei casi) supervisore dei viaggi, dei transiti e dei passaggi… e delle trasformazioni.

Di questa trama posso dire che è notevole l’incipit, così come notevole nèe è a costruzione narrativa a scatole cinesi, con narrazioni che si innestano nella narrazione principale.
Ed è anche un libro sulla scrittura creativa e sulle narrazioni autobiografiche ed anche sul modo in cui si può arrivare a scrivere una storia che si elevi dal rango di semplice affabulazione autobiografica a romanzo.
In Billy Summers riecheggia Misery, ma si riaffaccia anche con una sua presenza inquietante ed ominosa l’Overlook Hotel.
Ed ancora, accanto a Billy summers, eroe dai mille volti, si affaccia e si definisce un personaggio femminile che costruisce il progetto di volersi dedicare alla scrittura che si configura come un vero e proprio alter ego al femminile di Billy Summers e di Stephen King.


(Dal risguardo di copertina) Billy Summers è un sicario, il migliore sulla piazza, ma ha una sua etica: accetta l'incarico solo se la vittima designata è una persona veramente spregevole. Dopo anni di servizio, ora vorrebbe uscire dal giro, ma gli è stato appena offerto un nuovo contratto, per un compenso vertiginoso. Se accetta, dovrà trasferirsi forse per mesi in una piccola città nel Sud degli Stati Uniti, in attesa del suo bersaglio. Come copertura, si fingerà un aspirante scrittore, impegnato a finire il suo primo romanzo. Billy è un lettore incallito: i suoi autori preferiti sono Thomas Hardy ed Émile Zola, anche se con i clienti finge di leggere soltanto fumetti - perché meno gli altri sanno di te, meno possono farti del male. Ha accarezzato l'idea di scrivere un libro in più di un'occasione, ma non ci mai provato sul serio. Chissà che questa non sia la volta buona. Billy è parecchio tentato di accettare quest'ultimo incarico prima di uscire di scena. Dopotutto, è tra i più abili cecchini al mondo, un veterano decorato della guerra in Iraq: non ha mai sbagliato un colpo, non si è mai fatto beccare - una specie di Houdini quando si tratta di svanire nel nulla a lavoro compiuto. Cosa potrebbe mai andare storto? Ovviamente, stavolta, praticamente tutto. Del resto, il migliore dei romanzi è quello di cui non puoi prevedere nessun giro di trama.
Tracciando la parabola umana di un personaggio destinato a diventare leggenda, Stephen King tesse magistralmente più romanzi in uno. Billy Summers è una storia che parla di giustizia e destino, amore e redenzione, e dell'incredibile potere catartico della scrittura. Un romanzo impossibile da posare. Un protagonista impossibile da dimenticare.Billy Summers è un sicario, il migliore sulla piazza, ma ha una sua etica: accetta l'incarico solo se il bersaglio è un uomo davvero spregevole. Ora ha deciso di uscire dal giro, ma prima deve portare a termine un'ultima missione. Veterano decorato della guerra in Iraq, Billy è tra i più abili cecchini al mondo: non ha mai sbagliato un colpo, non si è mai fatto beccare – una specie di Houdini quanto si tratta di svanire nel nulla a lavoro compiuto. Cosa potrebbe andare storto? Stavolta, praticamente tutto.
Tracciando la parabola umana di un personaggio destinato a diventare leggenda, Stephen King tesse magistralmente più romanzi in uno. Billy Summers è una storia che parla di giustizia e destino, amore e redenzione, e dell'incredibile potere catartico della scrittura. Un romanzo impossibile da posare. Un protagonista impossibile da dimenticare.

 

 

«Uno dei massimi scrittori di sempre. Sul suo impero narrativo non tramonta mai il sole»

Antonio D'Orrico, la Lettura

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7 gennaio 2022 5 07 /01 /gennaio /2022 17:08
H. P. Lovecraft, I taccuini di Randolph Carter, Einaudi, 2021

Howard P. Lovecraft è stato una delle mie passioni giovanili. La lettura dei suoi racconti è entrata trionfalmente nel mio scenario mentale subito dopo l’esplorazione dei territori di Edgar Allan Poe.
I suoi racconti mi hanno colpito a dismisura e alcuni dei suoi incubi sono divenuti materiale dei miei stessi incubi notturni, quando mi svegliavo di botto, sudato e con il cuore impazzito.
Lovecraft è uno scrittore che parla di orrori viscerali: egli, con le sue costruzioni da corpo ai suoi deliri ipocondriaci, mettendoli fuori da sé. Spesso egli si ispirava ai suoi stessi sogni, tanto che alcuni lo hanno definito un “onironauta”.
Ma l'aver maneggiato questi materiali nel suo laboratorio di scrittura creativa e averli esternalizzati, non fu per lui un modo sufficiente per liberarsene del tutto: non bisogna dimenticare che il Solitario di Providence - come egli venne definito -, alla fine, cedette ai suoi stessi deliri ipocondriaci che presero a brulicare dentro di lui fino a causarne la morte per tumore intestinale.
Il mio furore per i libri mi ha portato ad impossessarmi, nel corso degli anni, di svariate edizioni delle sue opere, saggi, epistolari e biografie. Di quando in quando mi piace rivisitare qualcuno dei suoi racconti e ogni volta provo gli stessi brividi alla schiena e l’attrazione-repulsione quasi febbrile determinata dalle sue parole e dalle sue architetture narrative, allucinate e deliranti.

Di recente Einaudi ha pubblicato nella collana Letture Einaudi (2021), I taccuini di Randolph Carter, un’edizione critica preceduta dall’esaustiva prefazione del curatore Marco Peano. In questo volume sono stati raccolti i racconti che vedono come narratore-protagonista Randolph Carter, anch’egli scrittore interessato al paranormale e all’occulto e, sostanzialmente, alter ego di Lovecraft.
Questi racconti sono in sé dei gioielli del Gotico e prototipo dell’horror kinghiano.
Le parole di Randolph Carter introducono gradatamente il lettore in una marcia di avvicinamento stringente all’orrore più puro che in quanto tale rimane indicibile ed indescrivibile e può essere visualizzato (e immaginato) solo attraverso i suoi effetti negli incauti esploratori dell’occulto (e di onironauti) che vi si imbattono per curiosità estrema e perniciosa, per desiderio di conoscere o per totale stoltezza.
La scrittura di Lovecraft è sempre eccellente e si presta benissimo alla declamazione ad alta voce.

Mi sento di consigliare questo piccolo volume a quanti desiderassero cominciare ad esplorare l’universo narrativo del Solitario di Providence.

 

(Dal risguardo di copertina) «La prima volta che Randolph Carter fa la sua comparsa è in un breve racconto datato 1919. Come spessissimo accade in Lovecraft, la scintilla creativa che ha dato origine alla scrittura va rintracciata in un sogno; la sua inarrestabile vita onirica lo spinse col tempo a darsi un compito: afferrare l'impalpabilità delle visioni prodotte dal suo subconscio per poter riversare ogni cosa sulla pagina. Svegliandosi nel pieno di un incubo - con le immagini ancora vivide impresse nella memoria, cercando di prolungare a dismisura lo stato di dormiveglia - si metteva a scrivere tutto quanto riuscisse a ricordare prima che svanisse ogni traccia. E fu cosí che in una notte di dicembre Lovecraft sognò, e poi trascrisse sul suo taccuino nella maniera piú accurata possibile, la storia di un uomo (se stesso, a cui avrebbe dato il nome di Randolph Carter) che insieme a un amico si avventura in un cimitero spingendosi «nelle spire del puro orrore». Il suo alter ego piú importante era appena nato». - dalla prefazione di Marco Peano

Noto soprattutto per i «Miti di Cthulhu», Lovecraft ha parallelamente edificato un universo di altipiani desolati, lande sterminate, abissi senza fine, giardini lussureggianti e antiche rovine. Un paesaggio inafferrabile eppure concretissimo che testimonia un passato fatto di palazzi dalle guglie dorate e di mari tempestosi a cui si può accedere soltanto sognando. Sono luoghi dove la nostalgia e il fantastico compongono un impasto unico e prezioso. È proprio in questo contesto che si muove e agisce Randolph Carter, riconoscibilissimo alter ego dell’autore e protagonista di un ciclo di storie composte tra il 1919 e il 1932: questo volume vuole illuminare una zona meno esplorata della narrativa di Lovecraft, quella onirica, dove l’orrore è soltanto suggerito, bisbigliato, intravisto. Un tassello fondamentale nel percorso di un autore che non cessa di parlare al nostro presente.

Stelle si dilatarono fino a farsi albe e albe esplosero in fontane d'oro, carminio e viola - e ancora il sognatore cadeva

Howard Philip Lovecraft

L'autore. H. P. Lovecraft (Providence, Rhode Island, 1890-1937) è uno scrittore statunitense. Influenzato da Poe e dalla tradizione «gotica», pubblicò su riviste specializzate le sue storie di orrore e di fantascienza, raccolte in volume soltanto dopo la morte, quando fu finalmente annoverato tra i geniali creatori del «fantastico» contemporaneo. Il richiamo di Chthulhu (The call of Chthulhu, 1929) è il più famoso di una serie di racconti in cui compaiono i Grandi Anziani, divinità preistoriche in grado di superare le barriere spazio-temporali, mentre La casa delle streghe (The dreams in the witch house, 1932) narra la storia di uno studente di fisica quantica che dalla propria stanza s’inoltra negli abissi di un’America visionaria. Tra le altre opere più note sono L’orrore di Dunwich (The Dunwich horror, 1927) e Le montagne della follia (At the mountains of madness, 1936) che si apre su paurosi paesaggi onirici, rivelando il debito di L. verso il Gordon Pym di Poe. L. è anche l’autore di un importante saggio sul «fantastico», L’orrore soprannaturale in letteratura (Supernatural horror in literature, 1927).

 

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16 dicembre 2021 4 16 /12 /dicembre /2021 10:47

Questo mi ritrovai a scrivere, una decina di anni fa (il 16 dicembre 2010) in occasione di una nuave edizione (con nuova traduzione) di un classico autobiografico di Jack London

Jack London, John Barleycorn, Mattioli 1885, 2010

Per chi ama la grande scrittura di Jack London, è uscita il 9 dicembre 2010 una nuova edizione di John Barleycorn. Memorie alcoliche,  curata da Davide Sapienza uno dei massimi conoscitori dell'opera del grande scrittore nordamericano, per l'editore Mattioli 1885, che sta ripubblicando vere e proprie chicche di London In questo testo,  per la prima volta dato alle stampe nel 1913, vi è l’autobiografia di un bevitore (rispecchiante senza pudori le personali esperienze dell'autore), dal rifiuto dell’alcol all’impossibilità di vivere senza, sino alla difficile vittoria finale.

"Il John Barleycorn di queste pagine è un vero e proprio personaggio che si incunea nella personalità, che spezza in due l'essere umano, che lo aiuta ad auto ingannarsi: una figura che appartiene alla vita di milioni di persone e non per forza sotto forma di dipendenza dall'alcol (la lobotomia della televisione odierna, è probabilmente il nostro John Barleycorn più insidioso che addormenta le coscienze e distrugge i sentimenti profondi). London scrisse John Barleycorn consapevole di dare scandalo, perché mai prima di allora uno scrittore così famoso aveva fatto un simile coming out nel nome del popolo, che nel libro egli definisce come la sua ultima illusione" (dalla prefazione di Davide Sapienza)

Alla sua uscita, l'opera di Jack London ebbe una vasta risonanza; sia perchè per la prima volta un bevitore veniva allo scoperto raccontando la sua esperienza sino al punto dell'"aver toccato il fondo" (esperienza negata alla fine del testo dallo stesso autore: "Ma la mia non è la storia di un ubriacone redento. Non sono mai stato un ubriacone e non mi sono mai redento", p.248, edizione 1980), sia perchè il suo contenuto s'innestava sulle campagne moralizzatrici tendenti a ridimensionare, nella società anglosassone e nordamericana del tempo, l'abuso alcolico, in cui faceva comodo indubbiamente rappresentare lo stesso Jack London come un ubriacone perso. Vedi ad esempio l'azione pressante in questo senso dell'Esercito della Salvezza negli Stati Uniti od anche il movimento dei tee-totallers in Gran Bretagna.

Infatti,  "...ministri di culto lo considerarono [e lo citarono come - nda] una lezione morale contro l'alcoolismo, movimenti a favore della sobrietà, organizzazioni proibizionistiche, leghe antisaloon, ne fecero proprio l'assunto, ne stamparono stralci in opuscoli che diffusero a centinaia di migliaia di copie... Dal libro fu tratto un film; i distillatori impegnarono grosse somme di denaro per farlo sopprimere (...) Benchè vi avesse dipinto la sua vittoria sull'alcool, il pubblico che così spesso stravolge il senso di ciò che legge, bollò Jack London come un ubriacone..." (da un commento di Irving Stone, citato in quarta di copertina dell'edizione italiana del 1980, per i tipi di Serra e Riva Editore, con la traduzione di Stefania Bertola).

Mitografia di John Barleycorn

Il titolo del romanzo autobiografico di Jack London è, peraltro, cogente ed evocativo, sia perchè si innesta nella cultura pop-rock, sia perchè affonda le sue radici nel mito e nelle credenze arcaiche del mondo contadino.

John Barleycorn (letteralmente: John Grano d'Orzo) è un album della progressive rock band inglese Traffic, pubblicato nel 1970. Il brano dell'album che dà il titolo alla raccolta è l'arrangiamento di una ballata tradizionale inglese e, per chi si ricorda, venne anche incluso nella colonna sonora del film Nirvana di Gabriele Salvatores.

"John Barleycorn" è una ballata tradizionale diffusa in Inghilterra e in Scozia, incentrata su questo personaggio popolare, che è poi lo spirito e la personificazione della birra e del whisky.
Del testo della canzone esistono diverse versioni, raccolte in varie epoche, a partire dal 1600, tra cui una versione più ampia curata dal poeta nazionale scozzese Robert Burns. Di seguito, si può leggere la traduzione del brano nella versione più comune, quella usata dai Traffic. Molti altri cantanti e gruppi inglesi hanno comunque interpretato questo pezzo tradizionale: gli Steeleye Span, Martin Carthy, John Renbourn e altri.
Nella canzone tradizionale inglese confluiscono miti, credenze e usanze scaramantiche che arrivano direttamente dagli albori della civiltà, dall'inizio della civiltà contadina, usanze che sono state seguite in Inghilterra in queste forme fino ai primi decenni del '900.

 

C'erano tre uomini che venivano da occidente, per tentare la fortun
e questi tre uomini fecero un solenne voJohn Barleycorn deve morire
loro avevano arato, avevano seminato, loro avevano dissodato
e avevano gettato zolle di terra sulla sua testa
e questi tre uomini fecero un solenne voto
John Barleycorn era morto
lo lasciarono giacere per un tempo molto lungo, fino a che scese la pioggia dal cielo
e il piccolo sir John tirò fuori la sua testa e lasciò tutti di stucco
loro l'avevano lasciato steso fino al giorno di mezza estate e fino ad allora lui era sembrato pallido e smorto
e al piccolo Sir John crebbe una lunga lunga barba e così divenne un uomo
loro avevano assoldato uomini con falci veramente affilate per tagliargli via le gambe
l'avevano avvolto e legato tutto attorno, trattandolo nel modo più brutale
avevano assoldato uomini con i loro forconi affilati che avevano conficcato nel (suo) cuore
e il carrettiere lo trattò peggio di così
perché lo legò al carro
e andarono con il carro tutto intorno al campo finché arrivarono al granaio
e fecero un solenne giuramento sul povero John Barleycorn
assoldarono uomini con bastoni uncinati per strappargli via la pelle dalle ossa
e il mugnaio lo trattò peggio di così
perché lo pressò tra due pietre
e il piccolo Sir John con la sua botte di noce e la sua acquavite nel bicchiere
e il piccolo sir John con la sua botte di noce dimostrò che era l'uomo più forte dopo tutto
il cacciatore non può suonare il suo corno così forte per cacciare la volpe
e lo stagnaio non può riparare un bricco o una pentola senza un piccolo (sorso) di grano d'orzo.

Il significato metaforico del testo è abbastanza chiaro: è una allegoria della produzione del whisky, "nettare" in cima ai desideri alcolici degli inglesi, dalla semina fino al raccolto; ma perché il piccolo John Barleycorn deve essere ucciso, e perché in questo modo brutale? E dopo essere diventato un uomo?

Sembrerebbe che, nella ballata, convergano delle rappresentazioni ben più antiche sulla morte e la rinascita, collegate agli antichi riti pagani della fertilità.

La copertina dell'album dei Traffic

John Barleycorn così è la personificazione dello "spirito del grano", che si ritrova in tutte le società agricole fin dalla preistoria, a volte in forma maschile a volte in forma femminile (la madre del grano).

Lo spirito del grano è la spiegazione mitica del mistero contenuto nel continuo rinnovarsi della vita: dai semi del grano vecchio (che muore) nascerà l'anno successivo il nuovo raccolto.

La nascita del grano nuovo, e quindi del cibo, fonte principale e quasi unica di sostentamento e vita nella civiltà contadina, non era certo un fatto secondario: giustificava attenzioni particolari, fino a sacrifici propiziatori rituali, in alcuni casi anche umani, o, più tardi, a rappresentazioni allegoriche degli antichi sacrifici.

Perché lo spirito del grano doveva morire? Era una metafora del ciclo della mietitura, il grano crescente doveva essere mietuto, quando finiva era finito il raccolto; il mietitore che mieteva l'ultimo covone simbolicamente uccideva il raccolto di quell'anno, e quindi, così facendo, uccideva lo spirito del grano, prendendo in qualche modo su di sé la sventura della fine della vita e della morte.

Ma lo spirito sarebbe rinato l'anno dopo, bastava sincerarsi che morisse in modo certo per garantirne la rinascita: per questo motivo doveva essere inscenata una uccisione simbolica e inappellabile (nella canzone è il "voto solenne"), con le forme e la brutalità del sacrificio.

Le modalità simboliche dell'uccisione descritte nella canzone sono proprio quelle in uso nelle campagne inglesi del Devonshire e della Scozia fino ai primi decenni del '900.

 

Jack London: John Barleycorn. Memorie alcoliche (ed. Mattioli 1885)

 

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6 dicembre 2021 1 06 /12 /dicembre /2021 06:50
Meridiani e melograno vizzo (foto di Maurizio crispi)

Ci sono certe combinazioni di dettagli che, se riesci a coglierli estrapolati da tutto il resto, assumono un fascino incredibile, come se fossero stati messi lì proprio per provocare quell'effetto.

Ma devi poter vedere, per renderti conto: un vedere, che non sia un semplice guardare che si limita all'apparenza degli oggetti che si presentano alla nostra attenzione e alla loro mera fisicità.
La buona Letteratura (ed anche la Fotografia, anche se con un linguaggio ben più sintetico ed immediato) sono così.

Assolvono alla funzione di aiutare altri a "vedere".

Lo scrittore, in questo senso, è un "visionario" perché con le sue affabulazioni non fa che proporre realtà alternative o realtà nascoste nelle pieghe del Reale ordinario, apparentemente prosaico e scontato.

Entrare e stare in una libreria è come penetrare all'interno di uno scrigno di tesori: come avere accesso alla caverna di Ali Baba e dei quaranta ladroni, piena all'inverosimile di inenarrabili tesori.

Per poterli vedere ed ammirare occorre conoscere la parola magica che possa di volta in volta introdurti in quel mondo fantastico e consentirti di accedere allo scrigno che li contiene.

(Una mia breve nota, risalente al 2012)

La foto la scattai al "Punto Einaudi" di Palermo (Francesco Passarello)

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29 novembre 2021 1 29 /11 /novembre /2021 07:32
Libri e torri di libri (foto di Maurizio Crispi)

Questa nota, risale a circa 11 anni fa (27 novembre 2010). Mi ci sono imbattuto casualmente, attraverso i "ricordi" riproposti dall'algoritmo di Facebook. Si tratta di uno scritto che non ho mai pubblicato nei mie blog. Sono lieto di riproporlo qui. Sempre attuale...

Ieri, camminando ho visto un cumulo di rifiuti che ingombrava il marciapiedi

Erano tanti, davvero tanti, e sparsi tutti in giro:

per proseguire il mio cammino,

ci dovevo per forza camminare di sopra.

Si strattava di vecchi stracci, vecchie riviste e libri.

Poveri libri smembrati pronti per il macero...

E' una cosa tristissima vedere i libri buttati via:

se posso li recupero e me li porto a casa. Li accudisco. lì sistemo.

A volte la gente non capisce proprio nulla

Dico io: ma come si fa a buttare un libro?

Questa volta la mia attenzione è stata catturata

dalle pagine disassemblate di un libro in particolare...

Un tempo rilegato con le cuciture,di grande formato,

con le pagine scritte a caratteri fitti, disposti su due colonne.

Il frontespizio salvo.

Della copertina rigida nessuna traccia,

mentre le quinterne di pagine

erano desolatamente sparse in giro senza nessun ordine

Aveva piovuto e molte dei fogli erano già intrisi d'acqua

S'intravedevano delle belle illustrazioni:

alcune, in quadricromia, a piena pagina fuori testo;

altre a tratti grossi di penna nera, molto semplici a mezza pagina.

Dal frontespizio si leggeva il titolo "Fiabe di tutto il mondo"

Mi sono emozionato: quelle illustrazioni hanno evocato subito qualcosa.

Era lo stesso volume (appartenente ad un'opera in più tomi)

che possedeva la zia Mariannù e da cui lei frequentemente mi leggeva ad alta voce

quando ero ancora un bimbetto

Mi piacevano moltissimo quei libri

che per me erano magici

Quando mia zia aveva terminato di leggermi la fiaba del giorno,

io indugiavo a lungo a guardare le figure

Ho sempre pensato a quei libri,

come appartenenti ad una sorta di Eden perduto

Quando la zia si sposò con il marito Joe

e andò a vivere a New York

quei libri - credo - li portò con sé.

Chi sa dove saranno adesso,

ora che la zia è morta

Forse perirono in un incendio:

la casa della zia, prima che lei morisse,

andò a fuoco e nulla si salvò dal rogo

Quel libro smembrato mi ha riempito di tristezza.

Avrei voluto prenderlo, ma ormai era troppo tardi per metterlo in salvo.

Così, ho girato le spalle e me ne sono andato

con il cuore dolente ed un groppo in gola

 

Palermo, il 27.11.2010

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4 novembre 2021 4 04 /11 /novembre /2021 10:27
Koontz, Il Silenzio Uccide, Sperling&Kupfer, 2017

Dean R. Koontz, da sempre, si può considerare il grande antagonista di Stephen King.
Carriera simile, poichè entrambi hanno cominciato come insegnanti di scuola prima di darsi alla scrittura a tempo pieno: e ciascuno ha al suo attivo un numero incredibile di libri. Forse quanto a numero Koontz batte King, dal momento che i suoi libri sono oltre 120. Koontz ha scritto prevalentemente romanzi e si è poco occupato della narrativa breve. E, inoltre, molti dei primi romanzi sono piuttosto brevi adatti ad una pubblicazione in collane pulp.
D'altra parte sia Koontz, sia King hanno un seguito di infiniti lettori: Koontz, in particolare, ha al suo attivo più di 500 milioni di copie vendute. Come King - a differenza di alcuni scrittori di bestseller di successo - Koontz è un artigiano della scrittura. Non si avvale - a mio avviso - dell'opera di scrittori-ombra e nemmeno di un team composto da professionisti con funzioni diversificate per tracciare l'approccio ad un nuovo romanzo e costruirne l'ossatura.
Con "Il silenzio uccide" (titolo originale: The silent angle, nella traduzione di Tessa Bernardi), pubblicato da Fanucci Editore (TimeCrime), si vede l'esordio di una tetralogia che ha come protagonista l'agente FBI, Jane Hawk.
Il titolo della traduzione italiana è lievemente fuorviante rispetto a quello inglese che è - come ho scritto - "The Silent Angle", per spiegare il quale l'Autore ha inserito in epigrafe il seguente lemma:
"L'angolo del silenzio: Chi sparisce dalla circolazione e non può essere rintracciato da alcuna tecnologia, ma è comunque in grado di muoversi liberamente e di usare internet, si trova nel cosiddetto angolo del silenzio".
La nostra eroina, dopo la morte del marito per suicidio, non essendo affatto convinta che si sia trattato di questo, comincia ad indagare sotto traccia su analoghi casi di morte apparentemente autoinfilitta, avvicinandosi a poco a poco ad un'inquietante verità.
Il romanzo è scritto con uno stile più asciutto rispetto alla prosa molto rifinita utilizzata da Koontz nei suoi ultimi romanzi, con un'oscillazione tra noir e detective story, percorsa da venature fortemente complottiste.
Infatti, Jane Hawk scopre ben presto che la sua curiosità, il suo mettere il naso dove non dovrebbe,  sta suscitando delle reazioni e che, di consegenza, lei e i suoi cari sono tenuti sotto mira e sono, forse, a rischio di vita. Jane Hawk deve pertanto mettersi nell'"angolo del silenzio" per poter continuare indisturbata ed illesa la sua ricerca, trovando nel percorso inaspettate ed improbabili alleanze.
Senza dire nulla oltre questo della trama per evitare di fare spoiling, dirò soltanto che qui, oltre all'aspetto poliziesco e agli inevitabili risvolti di momenti di azione (uccisoni e sparatorie), convergono tematiche differenti che sono quelle dei gruppi occulti che tendono a realizzare un controllo totale della popolazione, altrimenti ignara, e quella dell'utilizzo aberrante di nanotecnologie per scopi deprecabili, e infine quella dello scienzato pazzo che, perseguendo la sua voglia di manipolazione, si trasforma in demiurgo onnipotente, stravolgendo l'etica della ricerca scientifica. 

Richard Condon, Il candidato della Manciuria

Il romanzo, sviluppando questo filone, rende peraltro omaggio allo splendido romanzo di qualche decennio fa, Il candidato della Manciuria di Richard Condon (The Manchurian Candidate) che in una parte del testo viene espressamente citato.
Una lettura che, a me, è risultata appassionante.

(dal risguardo di copertina) Dopo aver perso suo marito, Jane Hawk è una donna a pezzi. Giovane marine pluridecorato, Nick è morto suicida, lasciando ai suoi cari un biglietto agghiacciante al quale la moglie non riesce a rassegnarsi. Convinta che Nick non avrebbe mai potuto compiere un gesto simile e abbandonare da un giorno all'altro lei e il piccolo Travis, Jane è decisa a scoprire la verità, costi quel che costi. Lasciato il lavoro, si immerge anima e corpo in un'indagine serrata per capire cosa si nasconda dietro l'allarmante aumento del tasso dei suicidi in America. Suo malgrado, però, si ritrova a scoperchiare un terrificante vaso di Pandora e a trasformarsi nella fuggitiva numero uno di potenti e spietati nemici senza volto né nome, custodi di un delicato segreto e pronti a far fuori chiunque intralci il loro cammino. La cospirazione implacabile e senza scrupoli che ordiscono per costringerla al silenzio non sembra tuttavia sufficiente a fermare una donna intelligente e coraggiosa come Jane, guidata da una rabbia nata dall'amore che i suoi nemici non sono in grado di provare né comprendere...
Determinazione, adrenalina e suspense per una storia che con passo silenzioso conduce ad un'amara conclusione.

L'autore. Dean R. Koontz, nato nel 1945 in Pennsylvania, é autore di thriller di successo e autore bestseller di fama internazionale. Per tanti anni è stato insegnante di Inglese in una scuola superiore, prima di dedicarsi alla scrittura, pubblicando nel 1968 il suo primo romanzo: Jumbo-10. Il Rinnegato. Con più di 120 titoli all’attivo e oltre 500 milioni di copie vendute, Dean Koontz è considerato uno dei maestri del genere thriller. Il silenzio uccide, con cui fa il suo ingresso nel catalogo Timecrime, è stato opzionato per una serie tv prodotta da Paramount Television e Anonymous Content. Seguono La notte uccide (Jane Hawk#2), e L’inganno uccide (Jane Hawk#3), tutti pubblicati nel catalogo Timecrime. Nel 2020 esce Abisso. Coronavirus: il romanzo della profezia (Timecrime).

 

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9 ottobre 2021 6 09 /10 /ottobre /2021 11:27
Roberto Sottile, Suca. Storia e usi di una parola, Navarra Edizioni, 2021

Ho appena finito la lettura di Suca. Storia e usi di una parola di Roberto Sottile (edito da Navarra Editore nel 2021). Si tratta di un piccolo, ma esaustivo trattato sulla celebre parola che, inizialmente espressione disfemica confinata all’uso linguistico siciliano, si è progressivamente universalizzata.
Si tratta di un vero e proprio saggio linguistico, reso accessibile alla fruizione di molti grazie all’inserimento in coda al volume di un glossario che spiega in un linguaggio semplice i termini più astrusi della disciplina linguistica.
L’autore analizza nel volume tutti i diversi aspetti dell'icastica espressione che altri hanno definito l’”imperativo popolare”, comprendendo nella sua analisi le scritture esposte e il linguaggio dei media, oltre ai sempre più numerosi esempi del suo utilizzo nella letteratura contemporanea.
Il volume è arricchito da un apparato di note e da una cospicua bibliografia delle opere citate, ed è corredato da immagini esemplificative e paradigmatiche.
Roberto Sottile, docente di Linguistica italiana del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Ateneo palermitano, è deceduto improvvisamente l’8 agosto 2021.
È stato sempre apprezzato per l’originalità della sua ricerca, fortemente radicata nella sua terra.

 

(Dal risguardo di copertina) L'origine della parola siciliana suca è rintracciabile nel verbo sucari 'succhiare', con un valore originariamente triviale. Ma, nel tempo, "l'imperativo palermitano" ha sviluppato una miriade di significati e usi figurati che si sono via via affermati in ambiti comunicativi diversi dal dialetto: nell'italiano colloquiale come nell'italiano giovanile, nelle scritture esposte come nei social, nei mass media come nel linguaggio delle tifoserie calcistiche. E, piano piano, ha perfino cambiato forma passando da SUCA a 800A e dimostrandosi capace di trasformarsi ancora, fino a diventare 751A. Oggi, suca e le varie espressioni in cui ricorre si usano per negare qualcosa o per esprimere una certa contrarietà nei confronti di una richiesta, una situazione, una "verità", ma questa contrarietà procede per gradi: può essere più forte o più attenuata a seconda che con essa si voglia comunicare rabbia o sfida, un sentimento di scherno oppure di dispetto. A Palermo, dove l'imperativo è nato, continua a reinventarsi, con nuove soluzioni grafiche e nuovi sensi figurati, trovando anche applicazioni nell'arte e nell'ambito di un costituendo Made in Sicily. Con un glossario di Kevin De Vecchis. Foto dell'opera di Giuseppe Mazzola.

 

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15 settembre 2021 3 15 /09 /settembre /2021 13:47

Scienza ed etica delle maschere della salute interagiscono dialetticamente in modo esplicito all'interno della 'logica medica' di qualsiasi estradizione. Sono due dimensioni che (paradossalmente) si sovrappongono storicamente sia nell'ambito della cultura medica occidentale (biomedicina), che nell'ambitodelle culture mediche tradizionali (etnomedicina). In entrambi questi contesti i "professionisti della salute' (i chirurghi e i medici da una parte, gli stregoni e gli sciamani dall'altra) usano le maschere come strumenti per prevenire (l'infezione e la malattia) ed evitare (il maligno e il male), ma anche ad assistere (le maschere terapeutiche per la ventilazine assistita) per guarire il malato e a curare (con le maschere-talismano apotropaiche) per 'allontanare' la malattia (...)

Vittorio A. Sironi, Le maschere della solute, capitolo conclusivo, pag. 110

'Mascherarsi' rappresenta oggi, in piena pandemia, un dovere personale, un atto indispensabile da parte di chi è consapevole e responsabile. L'inosservanza di questo dovere civico, a volte esibita con con indifferenza o addirittura con tracotanza, è un gesto che 'smaschera' la persona irresponsabile, colpevole di non rispettare gli altri e di disprezzare il prossimo.

ib. pag. 110

Vittorio A. Sironi, Le Maschere della Salute. Dal Rinascimento ai tempi del Coronavirus, Carocci Editore, 2021

Sono ormai diverse decine i volumi sugli argomenti più svariati che, usciti in tempo di Covid,  spaziano dalla narrativa distopica (si veda ad esempio il recente romanzo di Tullio Avoledo in cui si allude alla pandemia che fa da sfondo alla sua vicenda come a "La Situazione") alla diaristica ai saggi che tentano di raccontare lo stato dell'arte della pandemia, utilizzando i più diversi vertici di osservazione.
In questo variegato panorama, si distingue particolarmente il saggio del'antropologo e storico della Medicina, Vittorio A. Sironi, con il titolo Le maschere della salute. Dal Rinascimento ai tempi del coronavirus, pubblicato da Carocci Editore (Biblioteca di testi e studi, sezione Sanità e Professioni Sanitaria), nel corso dei primi mesi del 2021
Ed è di particolare interesse perchè tratta, in maniera longitudinale (dall'antichità ad oggi) e trasversale (l'uso delle maschere protettive e quindi genericamente denominarte come le "maschiere della salute", dell'utilizzo delle maschere protettive nei più diveri ambiti e  Questo saggio è in grado di fornire tutte le risposte necessarie per saperne di più sulle "mascherine" e della loro funzione.
Esse non sono un oggetto "alieno" piovuto su di noi a causa della pandemia da Coronavirus, ma qualcosa che, in mille fogge diverse, ha accompagnato le pratiche mediche (e non solo), sin dai primordi a partire dalle attività dei guaritori tribali e degli sciamani.
Esse - le mascherine - sono "le maschere della salute" del titolo, poiché, in varia misura, servono - e sono servite - a tutelare la salute, a proteggere e, in alcuni casi, a garantire il mantenimento delle funzioni vitali ed anche a guarire (si veda ad esempio il caso della maschera respiratoria collegata ad un pallone Ambu, oppure di quelle respiratorie collegate ai ventilatori polmonari).
Leggendo il testo - un capitolo dopo l'altro - si acquisiscono tutti gli elementi di conoscenza per rappacificarsi con la "mascherina" (vista non solo come presidio medico, ma anche come strumento di convivenza sociale) e rendersi conto che il loro utilizzo non solo potrà essere utile ancora molto a lungo per limitare i danni dell'attuale pandemia, ma potrebbe essere un presidio di cui continuare a servirsi anche in futuro per garantire una minore propagazione degli agenti infettivi (nel corso del 2020 ed anche del 2021, l'uso esteso della mascherina ha garantito il crollo delle malattie infettive stagionali, ad esempio). Non manca un capitolo molto approfondito sulla simbologia delle maschere della salute e sulle ricadute psicologiche del loro utilizzo.
Il volume è arricchito da una ricca documentazione iconografica, da un apparato di note e da un'accurata bibliografia, perchè è concepito come un vero e proprio saggio scientifico, benché scritto con prosa accattivante e fluida.
Il testo è preceduto da una premessa di Giorgio Cosmacini, illustre storico e filosofo della Medicina, ed è  seguito da una postfazione dell'antropologo Antonio Guerci.
Ne suggerisco vivamente la lettura, poichè prima di dire di no, occorre leggere e documentarsi, attingendo a testi accreditati, anziché basarsi su notizie scarsamente verificabili e piene di pregiudizi che circolano nel web e che alimentano le posizioni insensate di complottisti, negazionisti, no-vax e quant'altro.

 

(Quarta di copertina) Consigliate o addirittura obbligatorie, le mascherine protettive sono entrate a far parte della nostra vita, diventando il segno visibile dell'emergenza legata alla pandemia di Covid-19. Sono una barriera protettiva per impedire il contagio, un confine per separare la popolazione sana da quella malata, un nuovo indumento che cela parte del viso rendendo difficile riconoscere l'identità individuale. Queste "maschere della salute" hanno una lunga storia in ambito medico (dalle maschere della peste alle mascherine chirurgiche) e costituiscono ormai strumenti di prevenzione anche nel lavoro e nello sport. Il loro significato supera talvolta la semplice funzione sanitaria e protettiva, assumendo una rilevanza simbolica con implicazioni psicologiche e sociali, culturali e antropologiche. Tutte dimensioni che, insieme a quella storica, sono analizzate in questo volume.

L'Autore. Vittorio A. Sironi, neurochirurgo, storico e antropologo, insegna Storia della Medicina e della Sanità e Antropologia Medica all'Università di Milano Bicocca, dive dirige il Centro Studi sulla storia del pensiero biomedico (www.cespeb.eu). E' autore di numerosi studi sulla storia della medicina e della salute.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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