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20 aprile 2024 6 20 /04 /aprile /2024 09:41
Robin Cook, Sindrome fatale (Toxin), Sperling&Kupfer

Sindrome fatale (Toxin, traduzione di Linda De Angelis) è un thriller medico scritto nel 1998 dallo scrittore statunitense Robin Cook, pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer, e mi sono ritrovato a leggerlo di recente, perchè, animato da un'improvvisa voglia di uno dei libri di questo autore, sono andato a pescarne uno in giacenza nella mia libreria e messo da parte appunto, per questo improvviso tipo di voglia.
Robin Cook è uno scrittore che coltivo di quando in quando.
Non di quelli i cui libri mi precipito ad acquistare in libreria appena sono usciti, no.
Solitamente non ricevono la mia priorità.
Li acquisto se ne ho la possibilità se ne trovo a prezzo scontato.
Nel corso del tempo ne ho infatti trovati diversi attraverso le vendite remainder.
Sono dei libri con titoli incisivi e inquietanti ero roboanti assieme, tipo “Febbre”, “Morbo”, “Epidemia”, “Contagio”, “Pandemic”, e così via (in calce a questo post sono elencati tutti i suoi titoli).

Di questi romanzi acquistati a prezzi scontatissimi e di cui ho fatto riserva, ogni tanto ne pesco uno e lo leggo.
Devo dire anche che le trame di Robin Cook, in generale, mi acchiappano (forse anche per via della mia formazione medica), perché in generale introducono il lettore immediatamente all’interno di una questione scottante che, a seconda dei casi, può riguardare la sanità pubblica e le sue storture, le malversazioni di sistemi corrotti le manipolazioni di Big Pharma ed altre tematiche scottanti e attuali.
In generale, si tratta di romanzi estremamente documentati che, senza ombra di dubbio, aprono la strada a delle riflessioni e aiutano a porsi degli interrogativi.
In questo romanzo, ad esempio, si affronta il tema delle aziende che forniscono il mercato alimentare di carni macinate, il problema della loro conservazione e del loro possibile inquinamento da parte di pericolosi agenti patogeni, ma anche delle collusioni tra i produttori e gli organismi statali di controllo.
Vi si parla anche delle tossinfezioni sostenute da un particolare ceppo di Escherichia coli che si diffondono attraverso le carni macinate non ben cotte (e possibilmente già contaminate in origine a causa degli inconvenienti procedurali legati alla gestione delle macellazioni su grande scala) e che negli Stati Uniti - al tempo della scrittura di questo romanzo - producevano diverse centinaia di morti all’anno, soprattutto come complicazione della sindrome tossica correlata (la cosiddetta Sindrome emolitica-uremica). 
Leggendo alcune pagine di questo “Sindrome fatale” (il cui titolo inglese tra l’altro è “Toxin”), viene indubbiamente voglia di non mangiare più le carni rosse, soprattutto quelle macinate che vengono dalla grande distribuzione.
Per Robin Cook scrivere è un modo per denunciare le malversazioni, le storture e le collusioni, ma anche per sensibilizzare il grande pubblico su queste grandi tematiche di sanità pubblica, sugli usi distorti dei progressi tecnologici in Medicina e sulla necessità di un superamento dei problemi segnalati attraverso l’adozione di comportamenti più responsabili.
Dal punto di vista stilistico, tuttavia, i romanzi di Robin Cook lasciano un po’ a desiderare (benché egli abbia venduto milioni e milioni di copie), soprattutto perché quando lo spunto tematico si esaurisce egli introduce nella macchina narrativa elementi che, essendo sono più da action thriller, a mio modo di vedere, fungono più da riempitivo e hanno uno scarso valore letterario.
Ciò non sminuisce il fatto che gli spunti narrativi siano sempre più che buoni.
E quindi mi sento di poter perdonare le sue cadute stilistiche.

 

Scrive l’autore in exergo:
Questo libro è dedicato alle famiglie che hanno sofferto per il flagello dell’Escherichia Coli 0157:H7 e per altre malattie contratte attraverso il cibo

 

Trama. Kim Reggis è un cardiochirurgo che non solo ha divorziato da poco, ma ha anche perso la posizione di primario del proprio reparto. E i suoi guai non finiscono qui, perché la figlioletta Becky viene colpita da una grave intossicazione alimentare. L'inesorabile progredire della sindrome, che porta alla morte Becky a causa del batterio E. coli, lo spinge a un'indagine dagli esiti agghiaccianti. L'industria della carne e l'organismo statale preposto al controllo risultano infatti legati da una segreta complicità ai danni dei consumatori e chi volesse far luce su questa sporca faccenda potrebbe rimetterci la vita.

 

Robin Cook (dal web)

L'autore. Robin Cook (New York, 4 maggio 1940) è un medico e scrittore statunitense, affermato autore di gialli, è considerato il padre dei thriller medici, e cioè dei gialli di argomento scientifico-biologico.
Si è laureato in medicina alla Columbia University e specializzato ad Harvard. Decise di abbandonare la professione dopo aver scoperto che in un ospedale in cui lavorava la cartella clinica di un paziente ricoverato da tre settimane non era stata ancora letta. Cominciò così a scrivere thriller per divulgare i maggiori problemi della sanità e della ricerca medica, temi che altrimenti non avrebbero appassionato. Dopo un primo tentativo con Year of the Intern, ottiene successo con Coma dal quale viene tratto il film Coma profondo, interpretato da Michael Douglas.
Cook ha scritto una trentina di libri che hanno ispirato anche altri film, tutti tradotti in italiano tranne il primo. Nei suoi romanzi Cook affronta diverse tematiche: dall'ingegneria genetica alle intossicazioni alimentari, dall'inquinamento chimico alla clonazione umana e qualcuno dei suoi lavoro appartiene al filone della fantascienza.
Ha venduto in tutto il mondo oltre 100 milioni di copie.

Cook scrive i suoi libri con l'assistenza di altri medici e specialisti della professione. 

 

Le opere
1972: Year of the Intern
1977: Coma (Coma)
1979: L'ombra del faraone (Sphinx)
1981: Cervello (Brain)
1982: Febbre (Fever)
1983: Al posto di Dio (Godplayer)
1985: Sotto controllo (Mindbend)
1988: Progetto di morte (Mortal Fear)
1989: La mutazione (Mutation)
1990: Sonno mortale (Harmful Intent)
1993: Vite in pericolo (Fatal Cure)
1993: Morbo (Terminal)
1996: Alterazioni (Acceptable Risk)
1997: Invasion (Invasion)
1998: Sindrome fatale (Toxin)
2000: Esperimento (Abduction)
2001: Shock (Shock)
2003: La cavia (Seizure)
2013: In caso di morte (Death Benefit)
2013: Nano
2014: Cell
2015: Host
2017: Charlatans
Serie Marissa Blumenthal
1987: Contagio (Outbreak)
1991: Segni di vita (Vital Signs)
Serie Stapleton e Montgomery
1992: Sguardo cieco (Blindsight)
1995: Epidemia (Contagion)
1997: Cromosoma 6 (Chromosome 6)
1999: Vector, minaccia mortale (Vector)
2005: Marker, segnali d'allarme (Marker)
2006: Crisi mortale (Crisis)
2007: Fattore di rischio (Critical)
2008: Corpo estraneo (Foreign Body)
2011: Il segreto delle ossa (Intervention)
2012: La cura (Cure)
2018: Pandemic

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28 marzo 2024 4 28 /03 /marzo /2024 13:47
Dario Musso sedato e sottoposto a TSO

Il video che riporto sopra racconta un evento increscioso al tempo del lockdown, accaduto qui in Sicilia, complici i camici bianchi in funzione puramente repressiva e nella veste di garanti dell’ordine pubblico.
Il camice bianco, in questa circostanza, in modo palese diventa emblema di potere, di cui si fa senza mezzi termini abuso.
Lo voglio riportare qui giusto per non dimenticare alcuni degli eccessi che sono stati perpetrati in tempo di Covid e per riflettere su alcune storture dell’apparato psichiatrico che continua, purtroppo, a ripetere quelle pratiche aborrite discendenti dalla legge manicomiale del 1904 che, pur essendo stata formalmente superata dalla legge 180 del 1978, continua ad essere viva e presente nella mente di molti (il Manicomio continua ad essere presente e vivo nella mente di molti, moltissimi, e rimane come costrutto di pensiero che salta sempre fuori).

Devo il recupero dell'assurdo episodio alla recente lettura (ancora in corso) di un testo di Piero Cipriano, Il libro bolañiano dei morti. Esercizi di ego dissoluzione (2020).

Complottista secondo me era pure Dario Musso ragazzo drammatico e teatrale di Ravanusa che il lockdown (non vedo l’ora di dimenticare questa parola) come a tutti gli aveva spezzato la pazienza e inizia a fare video inquietanti in cui si punta un cacciavite alla tempia e incita alla rivolta e pochi giorni prima viene fermato da un carabiniere Che assiste allibito a lui ti ha contrattacca gli dice che fare il carabiniere di questi tempi affermare persone innocenti è una merda e brucia la sua carta d’identità e il giorno del fermo sanitario e in giro nella sua auto con un megafono che incita alla disobbedienza a non abboccare alle favole governative non c’è nessun virus dice, togliete le mascherine riaprite negozi, uscite…
(ora confessate di non averlo pensato almeno una volta pure voi tutto ciò) lo circondano carabinieri e agenti municipali, lui fa un video in diretta in cui prova a mantenere la calma, scende, resta calmo, bravo Dario così si fa, ma non basta perché arrivano tre sanitari uno dei quali ha una siringa, il sanitario non gli va incontro davanti per parlargli no, lo aggira gli punta la siringa, vuol siringarlo da dietro con tutti i pantaloni, stato di necessità diranno poi nel processo che si farà ma io dico, dalle immagini, non c’era nessuno stato di necessità, legittima difesa dite? Nemmeno eppure un carabiniere lo prende per le gambe e lo atterra, il sanitario col camice e la siringa lo infila, la donna che fa il video grida atterrita in siciliano lo stanno sedando lo stanno sedando. Finisce il video inizia l’audio, il fratello di Dario, avvocato, prova per giorni a chiamare all’ospedale di Canicattì, al reparto psichiatrico dove Dario è ricoverato in TSO sedato legato cateterizzato ma la dottoressa balbetta, dice non possiamo dare notizie lui richiama e lei dice suo fratello dorme lui richiama lei dice non abbiamo il cordless lui richiama lei dice ho un’urgenza ho un ricovero ora non posso parlare, sono imbarazzato per lei per questa poverina che senza dignità né etica si schermisce. Dopo cinque sei giorni tali le pressioni, le lettere, le telefonate, ai medici e al sindaco, tra queste quella di Gisella Trincas dell’UNASAM (associazione di familiari dei pazienti psichiatrici) o del garante nazionale dei detenuti o di me stesso che provo a parlare invano con la dottoressa che ha sempre un’urgenza e non può rispondere, insomma Dario viene (altrettanto selvaggiamente) dimesso e per fortuna non fa la fine di Franco Mastrogiovanni o Giuseppe Casu o Elena Ca sì setto (cioè: non muore legato al letto).
” (ib., pp. 116-117)

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12 gennaio 2024 5 12 /01 /gennaio /2024 07:33
Piero Cipriano, La Società dei Devianti, Eleuthera

Con La società dei devianti. Depressi, schizoidi, suicidi, hikikomori, nichilisti, rom, migranti, cristi in croce e anormali d'ogni sorta (Altre storie di uno psichiatra riluttante), pubblicato da Eleuthera nel 2016,
ho completato la lettura del terzo volume della trilogia dello “psichiatra riluttante” di Piero Cipriano, preceduto da "La Fabbrica della salute mentale: diario di uno psichiatra riluttante" e da "Il manicomio chimico: cronache di uno psichiatra riluttante" (sempre editi da Elèuthera)

Quale sia il progetto che emerge da questi tre volumi così ricchi di contenuti, eppure percorsi da un unico - coerente - filo conduttore, ce lo chiarisce in una breve, ma efficace, sintesi di intendimenti lo stesso Cipriano nell'incipit dell'ultimo capitolo di questo terzo volume della "Trilogia": una dichiarazione di intenti che ha tanto il sapore - mutatis mutandis - di quella poetica ed intimista - eppure di intensa critica sociale dei suoi tempi - di H. D. Thoreau, quando in una delle più celebrate pagine di Walden, ovvero Vita nei boschi, cerca di spiegare a se stesso e ai suoi futuri lettori il motivo della sua scelta di ritirarsi a vivere in maniera semplice in un luogo appartato nella selva, in una capanna da lui stesso costruita. Thoreau rimane pur sempre un fulgido esempio di un pensiero anarco-libertario e credo che Cipriano si possa in qualche collegare a quel tipo di pensiero che io mi sento di condividere profondamente e, del resto, per lui la transizione dalla definizione di sé come psichiatra riluttante a quella di "psichiatra anarchico" è stata naturale e spontanea.

Ma ecco le parole di Cipriano:

"Prima vorrei chiarire perché ho deciso di scrivere questi tre libri: Perché ad un certo punto della mia carriera, ho deciso che non avevo più voglia di fare carriera nel mondo, per lo più fuorilegge (fuorilegge in senso lato, per significare selvaggio, primitivo, ferino, immorale, anetico) della psichiatria, e avevo voglia, al contrario di intraprendere (nel mio piccolo specifico, sull'esempio dei grandi maestri dell'anticarriera psichiatrica, Franz Fanon e Franco Basaglia, per capirci) una carriera ritroso, l'anticarriera del medico mentale che si distrugge come soggetto di sapere e potere ai danni del malato e si ricostruisce come suo alleato" (ib., p. 217)


In questo terzo volume della trilogia, in circa trenta capitoli, Piero Cipriano, basagliano convinto, porta avanti le sue riflessioni che seguono vari filoni con un’attenzione questa volta più accentuata verso diverse forme di devianza e di intolleranza nei confronti dei diversi.
Cipriano si definisce, oltre che seguace delle idee di Franco Basaglia, uno psichiatra “riluttante” nei confronti dell’applicazione di misure contenitive e restrittive nel trattamento di ogni forma di disagio psichico, e quindi si proclama contrario a tutte le pratiche psichiatriche “restraint” (siano esse fisicamente o chimicamente contenitive). In ciò, sicuramente è uno psichiatra non allineato, uno che assieme a pochi altri (eredi di Basaglia, come lui) cerca di praticare una psichiatria che curi e che consenta in maniera autentica di liberare dalle sofferenze, di risolvere le conflittualità e di promuovere percorsi di liberazione.
Porta avanti il suo pensiero con coerenza, in maniera non omologata, incurante del fatto che molti colleghi operanti nell’ambito della psichiatria possano considerarlo un eccentrico (o anche un rompiscatole).
Eppure - e Cipriano ce lo mostra con efficacia - dire di no a certe pratiche omologate, a sistemi curativi pseudoscientifici non è soltanto espressione di coerenza con le proprie idee, ma può portare a dei risultati e può aprire delle crepe in un apparato “curativo” omologato e omologante (non solo nei confronti dei “pazienti” ma degli stessi operatori che vi lavorano), con un’azione di dissenso (alla maniera del melvilliano Bartleby lo scrivano) verso l’imperante “manicomializzazione diffusa” nel territorio che, accanto ai circa trecento mini-manicomi a degenza breve sparsi nel territorio nazionale, vede il proliferare sempre più importante ed imponente di strutture per degenze medio-lunghe, come le CTA oppure di Case di Cura convenzionate che accolgono pazienti psichiatrici per periodi di svariati mesi, funzionanti in base al principio della “porta girevole”.
È un piacere profondo leggere le considerazioni e le riflessioni di Cipriano, poiché egli riesce a realizzare sempre una brillante sintesi tra letture e approfondimenti fatti, film visti e la propria viva e inconfondibile esperienza clinica nella quale s’intravede in filigrana una profonda umanità.
Nelle sue pagine si coglie un vivido percorso di volontà di crescita professionale che si arricchisce di giorno in giorno, dove letture e riflessioni scritte servono a decostruire e a ricostruire di continuo delle buone prassi e a trovare continuamente lo stimolo interiore per porsi delle domande (ed é più importante, sempre, porsi delle domande, nutrire dei dubbi, anziché procedere avendo delle certezze assolute ed irremovibili).
Esperienza quotidiana, letture, studio, confronto e reminiscenza sono tutti elementi che confluiscono nelle scritture diaristiche, nelle riflessioni e nelle narrazioni a volte fiction di Cipriano che, essendo fuori dagli schemi, si definisce (e può essere senz’altro definito) uno “psichiatra anarchico”.
Non manca - come nei due precedenti volumi della “trilogia” - un ricco apparato bibliografico, un vero e proprio pozzo delle meraviglie, che consente ai lettori più esigenti di approfondire dei propri percorsi di lettura o di lasciare che si attivino proficue risonanze intellettuali nel caso quelle letture le abbia già esplorate precedentemente, ma cogliendo l’opportunità di rivisitare alcune tematiche viste in una nuova, originale, sintesi.
Cipriano non è soltanto un neo-basagliano, uno psichiatra riluttante, uno psichiatra anarchico (o anarcoide), ma è anche un esploratore impenitente che cerca di venire fuori dalle sue personali contraddizioni, trovando una propria strada che, per successive approssimazioni, lo porta a vivere sempre più coerentemente la propria professione.
Non vedo l’ora di leggere gli altri suoi libri che scaturiscono appunto da questa continua ed indefessa ricerca che nella sua più recente evoluzione è approdato ad un interessamento nei confronti della neo-psichedelia e del potere curativo di certe pratiche rituali messe in atto nelle culture tradizionali e che, dunque, in questa sua più recente evoluzione di pensiero e di interessi culturali si allinea con i grandi psiconauti del nostro tempo (di cui il nostro Giorgio Samorini è un rappresentante importante nonchè portavoce di altri studiosi del settore).

Ma, prima di concludere, diamo voce a Piero Cipriano che, in un paragrafo sintetico e denso, ci spiega chi e cosa è uno psichiatra riluttante.

"Chi è, oggi, uno psichiatra riluttante?
Uno che non accondiscende ai dogmi della psichiatria e alle sue pratiche, quasi sempre repressive. Uno psichiatra critico, radicale. Non ho trovato di meglio per definirmi. Non sono il primo e spero di non essere l'ultimo. Anzi, lo so di essere in buona compagnia. Eppure per molti anni, nei luoghi dove ho esercitato il mio mestiere mi sono sentito completamente solo. Come un cane sciolto. O meglio, come un cane in chiesa. Come se fossi rimasto l'ultimo uomo sulla terra. Su pianeta abitato da zombie. E cosa può fare un uomo rimasto solo, su un pianeta disumanizzato, o su un'isola, o in un faro, o in un reparto psichiatrico blindato, se non scrivere, raccontarsi, provare a rimanere se stesso, o, perfino, rimanere vivo, per non lasciarsi andare alla disperazione, e cercare alleati, altri come lui: i riluttanti appunto." (ib.,
p11)

Trovo che queste parole di Piero Cipriano siano bellissime e particolarmente adatte per concludere questa breve recensione: molto meglio che una puntuale disamina capitolo per capitolo delle diverse tematiche trattate con competenza e con forte attitudine critica.


(Risguardo di copertina) "Ho vissuto metà del mio tempo nei luoghi dove si deposita la follia più indesiderata e tutta la possibile devianza dalla norma.
"E ho visto, da questo luogo privilegiato, in che modo gli uomini si trasformano, sia i curanti che i devianti
".
Si chiude con queste crude storie che raccontano il mal di vivere della nostra epoca la trilogia della riluttanza iniziata con "La fabbrica della cura mentale" e proseguita con "Il manicomio chimico".
A partire dalla sua frequentazione quotidiana con la sofferenza psichica, Cipriano si misura con quella stanchezza esistenziale, sbrigativamente definita depressione, che la nostra società antropofaga prima alimenta e poi cerca di etichettare con quel furore diagnostico e categoriale che le è proprio. A ogni deviante la sua etichetta, medica o psichiatrica, ma anche sociologica o giudiziaria, che così diventa una sorta di tatuaggio identitario, un destino imposto da cui tutto il resto deriva: gli obblighi, i percorsi, le scuole, le cure, i farmaci, le prigioni, ciò che ognuno potrà o non potrà fare (ed essere) nella sua vita.

Piero Cipriano (DAL WEB)

L'autore. Piero Cipriano (1968), medico psichiatra e psicoterapeuta, di formazione cognitivista ed etnopsichiatrica, ha lavorato in vari Dipartimenti di Salute Mentale d'Italia, dal Friuli alla Campania, e da qualche anno lavora in un SPDC di Roma. Autore di numerosi saggi sull'argomento, con Elèuthera ha pubblicato «la trilogia della riluttanza», che comprende, insieme a La fabbrica della cura mentale (2022 n.e.), anche Il manicomio chimico (2023 n.e.) e La società dei devianti (2016), oltre a un volume dedicato allo psichiatra che più lo ha influenzato: Basaglia e le metamorfosi della psichiatria (2018).

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1 dicembre 2023 5 01 /12 /dicembre /2023 06:20
Piero Cipriano, La fabbrica della salute mentale, Eleuthera

Ho scoperto solo adesso - molto di recente - Piero Cipriano, forse perché - avendo ripreso dopo anni di pensionamento a lavorare in ambito psichiatrico - in una CTA per essere precisi - sto sentendo il bisogno di aggiornamento intellettuale e di contributi critici allo stato attuale della Psichiatria e che diano nello stesso tempo dei colpi all'impero dello Psicofarmaco e di Big Pharma.
Sino ad ieri, in sostanza, non sapevo nulla di Piero Cipriano e, quindi, come sono arrivato ai suoi libri? 
Semplice! 
Ho sentito parlare di lui in una trasmissione su RAI 3 (che è quella gestita al mattino da Nicola La Gioia ed altri che si alternano nel commentare quotidianamente una selezione di articoli culturali comparsi nella stampa e sul web) nel corso della quale il collega Cipriano veniva anche brevemente intervistato (in occasione della recente uscita del suo più recente volume "Ayahuasca e cura del mondo", Politi Seganfreddo Edizioni, 2023) e ho trovato che ciò che egli aveva da dire fosse estremamente stimolante, ed anche critico.

Ho anche percepito che Cipriano si poneva come una voce fuori dal coro.
Di conseguenza, sono passato immediatamente dal dire al fare e ho ordinato alcuni dei suoi volumi disponibili: e subito mi sono immerso nella lettura de "La fabbrica della salute mentale" (Eleuthera, 2012 con una nuova edizione nel 2019). 
Il caso ha voluto (senza che io ne avessi alcuna consapevolezza nel momento in cui l’ho scelto come prima lettura) che si trattasse anche del primo volume della trilogia dello "psichiatra riluttante" che poi è lo stesso Cipriano che si confessa ed espone le sue idee di psichiatra libertario e che dice no (almeno cerca di farlo) all’uso estensivo delle “fasce” nei “moderni” reparti di psichiatria, per non parlare di altri aspetti coercitivi (come l'uso delle sbarre alle finestre o delle porte chiuse a chiave, come è nella maggior parte dei circa 300 SPDC in Italia, salvo poche e lodevoli eccezioni, come ad esempio quella rappresentata dall'SPDC di Ravenna dove gli operatori hanno deciso nel 2021 di passare ad una pratica di cura e assistenziale e di cura no restraint, ma ne esistono altri in tutta Italia, forse una quindicina in tutto).
Finito questo volume  (anzi  sarebbe meglio dire, avendolo "divorato", mi correggo), sono passato alla lettura di quello che è la seconda pietra miliare della trilogia, sempre pubblicato da Eleuthera, ovvero Il Manicomio Chimico
In questo primo approccio,  ho apprezzato la lucidità e la nettezza di scrittura di Cipriano, il suo modo di dire le cose utilizzando registri narrativi diversi tra la puntata diaristica, il saggio breve, le modalità proprie del pamphlet critico e accusatorio (ma sempre documentato): questo apprezzamento scaturisce,  ovviamente, da una condivisione intellettuale di alcune delle tematiche esposte.
Apprezzo la scrittura di Cipriano per il semplice motivo che mi ci rispecchio molto e torno a rivedere le molte battaglie culturali combattute contro i pregiudizi e gli stereotipi, quando vennero fondati i primi servizi per il trattamento delle tossicodipendenze sul finire degli anni Settanta e nessuno sapeva ancora nulla di questa problematica, in assenza persino di una letteratura decente che potesse servire da guida. Ricordo le molte battaglie intraprese anche soltanto per potersi intendere con altri colleghi operanti nello stesso settore e che avevano concezioni delle tossicodipendenze e della loro cura radicalmente diverse. Battaglie che sovente dovevano necessariamente partire da una definizione linguistica degli ambiti di cui dovevamo occuparci e della capacità di sfrondare dal discorso tutte le aggiunzioni e ridondanze connotative legate a termini di comune uso come "droga" e "drogato".
Scrivere serve, se attraverso la scrittura si divulga un pensiero "altro", se si viene letti e se, attraverso ciò, si creano sacche di pensiero alternativo rispetto a prassi consolidate, erronee o fondate su presupposti pseudoscientifici, le quali poi possono diventare caposaldi per un possibile cambiamento di paradigma più estensivo.
E ricordo appunto che, ai tempi della mia pratica pionieristica nel campo delle tossicodipendenze giovanili, scrivevo e scrivevo, quando possibile pubblicavo, coinvolgendo anche altri in questi progetti di scrittura, cercando di dire le cose come stavano, di correggere il tiro, creare degli assessment innovativi e le premesse di buone prassi.
Cipriano è un basagliano convinto, di seconda generazione, decisamente critico nei confronti della cosiddetta "restraint" psichiatria (cioè della psichiatria che pratica la contenzione, a tutti i livelli: porte chiuse e finestre sbarrate, contenimento chimico, uso delle fasce) che, di fatto, dietro un esile paravento di scientificità e di modernizzazione tradisce la spirito della riforma del 1978 che abolì i manicomi vecchia maniera, ma è anche un fervente seguace delle idee e delle pratiche di Tobie Nathan, un altro grande pensatore e clinico (nell'ambito clinico -psichiatrico applicato al presunto "diverso", che pure io apprezzo e che ho letto, traendone molti spunti di riflessione e di ispirazione.
Indubbiamente, sia Basaglia sia Nathan si possono considerare due maestri del pensiero (nel senso più lato), ma anche attivamente propositori di "buone" pratiche eticamente fondate, soccorrevoli, empatiche e attente al benessere effettivo di chi chiede di essere curato, in forme e secondo modalità che siano inclusive e fondate sulla comprensione, in primo luogo e sul desiderio di risolvere i conflitti là dove essi si sono generati.
La lettura di alcuni capitoli de La Fabbrica della Salute mentale mi ha indotto a riprendere alcune delle pagine di Basaglia che hanno fatto parte del mio bagaglio formativo e culturale (anche se certamente non incluso nel programma di studi della scuola di specializzazione che frequentai a suo tempo).
Basaglia - se ci si pensa bene - risulta tuttora troppo scardinante rispetto ad un approccio che vuole essere di controllo e sedazione, "clinostatico" come dice Cipriano (con l'ammalato sdraiato sul letto, quindi - fondamentalmente in posizione down o - per tornare a Basaglia - in un'atmosfera in cui si pratica la medicina del "corpo morto") ma di base scarsamente evolutivo in termini di effettivo miglioramento della salute psichica delle persone sofferenti, poiché manca quasi del tutto un approccio "umanistico" e il supporto di strutture territoriali agili ed efficienti che consentano di sviluppare programmi articolati di psichiatria di comunità con una possibilità di presa in carico H24 di un paziente, ma direttamente a contatto del territorio in cui vive, là dove sono sorti i problemi e là dove essi possono essere risolti, soprattutto per quanto concerne conflitti e contraddizioni.
Leggere le considerazioni di Cipriano a distanza di quasi cinquant'anni dal fatidico 1978, anno dell’entrata della legge che sancì l’abolizione dei manicomi e l’avvio di una “nuova” psichiatria, spinge a riflettere sul fatto che, al di là dell'apparente rinnovamento (la chiusura dei manicomi e a partire dal 2013 anche dei Manicomi Giudiziari), si sia creato un mondo di assistenza psichiatrica, fondato su di una "manicomalità diffusa" e del crescere di quello che Cipriano con un ardito neologismo definisce "terricomio" (in cui al posto di pochi giganteschi manicomi abbiamo adesso una quantità impressionante di mini-manicomi sparsi nel territorio a degenza breve come sono appunto gli SPDC oppure a degenza medio-lunga come sono alcune case di cura convenzionate che sono in condizione di tenere i pazienti per lunghi periodi di tempo oppure le cosiddette CTA, ovvero le Comunità Terapeutiche Assistite per pazienti psichiatrici.
Cipriano si definisce uno psichiatra riluttante, prendendo a prestito la parola dal titolo di un libro da lui letto (anche io lo conosco) che è "Il fondamentalista riluttante": un romanzo in cui fa da protagonista un fondamentalista (che tale è stato addestrato ad essere) ma che tuttavia attenendosi alla propria coscienza e a valori etici più universali, non vuole esserlo: ed è per questo motivo un "riluttante", uno psichiatra che lotta quotidianamente per evitare i compromessi e per improntare la propria pratica quotidiana a principi etici irrinunciabili.

 

(quarta di copertina) Nonostante siano passati oltre quarant'anni dall'approvazione della legge che avrebbe dovuto sancire il superamento definitivo della barbarie manicomiale, Piero Cipriano – psichiatra riluttante, come si definisce – ci racconta in presa diretta cos'è oggi un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Grazie al suo sguardo impietoso, quei luoghi che avrebbero dovuto garantire una gestione umana ed efficace delle crisi psichiatriche ci appaiono invece come le nuove roccaforti di una rinata «cultura manicomiale» in cui il potere del sano sul malato è ancora gestito in modo arbitrario e burocratico. 
Con alcune notevoli differenze rispetto al passato: se il manicomio tradizionale ricordava un campo di concentramento, l'attuale SPDC ricorda piuttosto una fabbrica, dove il primario è il direttore, lo psichiatra il tecnico specializzato addetto alla catena di montaggio umana e il malato la macchina biologica rotta da aggiustare. 
E quando il farmaco non basta, ecco che tornano le fasce: proprio come nei vecchi manicomi.

 

L’autore. Piero Cipriano (1968), medico psichiatra e psicoterapeuta, di formazione cognitivista ed etnopsichiatrica, ha lavorato in vari Dipartimenti di Salute Mentale d'Italia, dal Friuli alla Campania, e da qualche anno lavora in un SPDC di Roma. 
Autore di numerosi saggi sull'argomento, con Elèuthera ha pubblicato «la trilogia della riluttanza», che comprende, insieme a La fabbrica della cura mentale (2022 nuova edizione), anche Il manicomio chimico (2023, n.e.) e La società dei devianti. Depressi, schizoidi, suicidi, hikikomori, nichilisti, rom, migranti, cristi in croce e anormali d’ogni sorta (altre storie di psichiatria riluttante) (2016), oltre a un volume dedicato allo psichiatra che più lo ha influenzato: Basaglia e le metamorfosi della psichiatria (2018).

 

Piero Cipriano. Il manicomio chimico. Cronache di uno psichiatra riluttante, Eleuthera

Piero Cipriano con Il manicomio chimico. Cronache di uno psichiatra riluttante (uscito per la prima volta nel 2015 e riedito nel 2023 per i tipi di Eleuthera) prosegue le riflessioni iniziate in “La fabbrica della salute mentale”. 
Si muove anche qui tra memorie personali, riflessioni legate alla sua pratica lavorativa ed anche piccoli voli fantastici in cui elementi della realtà si mescolano con suggestioni letterarie discendenti da alcuni dei suoi autori preferiti.
Cipriano - come già detto - è un basagliano convinto e ciò è un grande pregio in un momento in cui, mentre ci avviciniamo al cinquantenario della Legge che ha abolito i manicomi e, dopo il 2013, anche i manicomi giudiziari, Basaglia e le sue critiche destruenti contro qualsiasi forma di psichiatria costrittiva, sembrano essere dimenticati, anzi radicalmente rimossi dalla coscienza collettiva.
Cipriano, nel suo assetto di seguace delle idee di Basaglia ed essendo contrario a qualsiasi pratica restrittiva sia essa contenzione fisica (uso delle fasce, sbarre alle finestre e porte chiuse)  o farmacologica ad libitum, si definisce anche uno psichiatra “riluttante” nel senso di essere portatore di una voce critica nei confronti delle pratiche imperanti (quelle del farmaco e dei molti modi per esercitare forme di costrizione), all'infuori di poche isole virtuose. 
Più avanti, Piero Cipriano si definirà anche uno psichiatra “anarchico” in quanto sostenitore del principio che uno psichiatra deve essere in condizione di essere in pace con la propria coscienza, dando sempre maggior risalto a decisioni e a modus operandi che siano “etici” anche al costo di scardinare pratiche consuetudinarie.
Le riflessioni di Cipriano sulle prassi psichiatriche attuali sono imbevute di un profondo senso etico.
Per tutti questi motivi, Cipriano è spesso entrato in rotta di collisione con il il sistema dominante e da parte di alcuni si è meritato la nomea di essere uno “psichiatra eccentrico”.
Ho già letto “La fabbrica della salute mentale” e non posso non ammirare la ricchezza di contenuti che traspare da questo secondo volume e la coerenza profonda delle riflessioni che vi vengono sviluppate.
Questo volume, ben più corposo del precedente, meriterebbe una disamina dettagliata dei suoi contenuti e magari lo farò in altra sede. Tra i diversi argomenti dettagliati vi è una disamina-sunto dell'interessantissimo studio di Robert Whitaker, Indagine su di un'epidemia (Fioriti Editore, 2013) che in maniera molto documentata e rigorosa sfata miti della moderna psichiatria farmacologica e mostra la nuda verità di un incremento inarrestabile delle patologie psichiatriche, suggerendo l'ipotesi (con il sostegno di studi effettuati) che sia  proprio l'utilizzo degli psicofarmaci a incrementare l'incidenza e la cronicizzazione delle patologie psichiatriche. 

 

Robert Whitaker, Indagine su di un epidemia, Fioriti, 2013


 

(sintesi del volume di Whitaker) Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci.
Se quello che ci è stato raccontato finora è vero, cioè che la psichiatria ha effettivamente fatto grandi progressi nell’identificare le cause biologiche dei disturbi mentali e nello sviluppare trattamenti efficaci per queste patologie allora possiamo con concludere che il rimodellamento delle nostre convinzioni sociali promosso dalla psichiatria è stato positivo.
Ma se scopriremo che la storia è diversa – che le cause biologiche dei disturbi mentali sono ancora lontane dall’essere scoperte e che gli psicofarmaci stanno, di fatto, alimentando questa epidemia di gravi disabilità psichiatriche – cosa potremo dire di aver fatto? Avremo documentato una storia che dimostra quanto la nostra società sia stata ingannata e, forse, tradita.


Quella del secondo volume della trilogia dello psichiatra riluttante è una lettura che consiglio caldamente a chiunque desiderasse farsi un’idea critica dello stato dell’arte del sistema dell’assistenza psichiatrica in Italia, oggi


(Risguardo di copertina) Oggi il manicomio non è più costituito da fasce, muri, sbarre, ma è diventato astratto, invisibile. Si è trasferito direttamente nella testa, nelle vie neurotrasmettitoriali che regolano i pensieri. Il vero manicomio, oggi, sono gli psicofarmaci. Stiamo oltretutto assistendo a una vera e propria mutazione antropologica: agli psichiatri, e alle case farmaceutiche, non bastano più i malati da curare, ma servono anche i sani. Lutto, tristezza, rabbia, timidezza, disattenzione, non sono stati d'animo fisiologici, ma patologie da curare con il farmaco adatto. Dal suo punto di osservazione privilegiato, Cipriano, il nostro psichiatra riluttante, sottopone a una critica severa i principali dogmi della psichiatria «moderna», a cominciare dalla diagnosi, ovvero l'urgenza burocratica di considerare «malattia » qualunque disagio psichico, cui segue l'immancabile prescrizione di un farmaco. E quando i farmaci non sono sufficienti, ritorna l'uso nascosto delle fasce e dell'elettrochoc. È questo il nuovo manicomio, meno appariscente, più discreto, in cui diagnosi e psicofarmaco dominano la scena.

Seguendo il link sotto potete accedere alla recensione del terzo volume della trilogia dello psichiatra riluttante

La società dei devianti. Continuano - in un terzo volume - le riflessioni e narrazioni di Piero Cipriano, psichiatra riluttante

 

Quello linkato sopra è un articolo di Zanfini Roberto, Crescenti Maria Cristina, Correddu Giuseppina, Gottarelli Lorenzo, Linari Federica, Ricci Manuela, Bandini Barbara (SPDC di Ravenna, AUSL della Romagna)

L’articolo descrive come il SPDC di Ravenna sia divenuto, dal 2016 un reparto no-restraint. Viene descritto come il no restraint non sia una posizione ideologica ma un metodo di lavoro che, se applicato, può portare al superamento della contenzione meccanica. Alla base del no restraint vi sono: a) fattori architettonici del reparto b) organizzazione interna e gestione delle interfacce; c) attività clinica e assistenziale; d) formazione.
Vengono portati dati a supporto del fatto che il no restraint, oltre che etico, riduce il numero delle giornate perse per infortunio del personale, il numero degli episodi di aggressività nei confronti del personale, la spesa sanitaria complessiva per ricovero. Infine vi sono suggestioni che possono anche essere ridotte le giornate in TSO. Servono comunque ulteriori studi a supporto di questi dati preliminari.

Questo il mio pensiero, scaturito da una mia riflessione sul campo, dopo il mio rientro lavorativo, presso una struttura che si occupa di pazienti psichiatrici.

Su oltre trecento SPDC sono solo una trentina quelli in cui non si pratica contenzione (bandita oggi per legge, ma praticata per "necessità"). Rimangono delle case di cure per disturbi mentali che accolgono pazienti per periodi protratti di tempo o, in alternativa, in alcune regioni si è attivata una rete di CTA a gestione privata e convenzionate con le Regioni, in cui i pazienti psichiatrici possono stare per periodi protratti (in Sicilia sino a sette anni (con un conteggio di tipo cumulativo che riguarda anche periodi diversi, intervallati con altri tipi di intervento). In molte regioni pochissimo si è investito per sviluppare degli interventi intermedi, diffusi nel territorio con strutture di accoglienza (Day Hospital, strutture di accoglienza, Centri diurni) con una modalità operativa H24 in modo che le famiglie e gli stessi individui possano ricorrere in tutte le diverse circostanze.
Vi è un gap enorme, incolmabile tra gli SPDC e le strutture di ricovero e residenziali a lungo termine, un vuoto che non potrà mai essere colmato se le diverse regioni continuano a restringere i budget della Sanità e, nello specifico, quelli assegnati alla Salute Mentale.
Cipriano nelle sue analisi ha ragione: nell'assenza delle regioni, nella mancata pianificazione di interventi capillari ed organici nel territorio, è ben difficile costruire buone prassi e cercare di ridurre quanto più sia possibile l'impregnazione farmacologica dei pazienti psichiatrici.
E questa è purtroppo la nostra realtà regionale (in Sicilia).
E' chiaro che quanto più si diffondono le CTA a gestione privata (che a tutti gli effetti rappresentano un business lucrativo) convenzionate con la Regione, tanto meno la Regione investirà nello sviluppo di interventi organici nel territorio.
Spinto dall'entusiasmo derivante dalla scoperta degli scritti di Cipriano, l'ho contattato attraverso i social e gli ho scritto una breve lettera per raccontargli la mia esperienza e desideroso di un confronto.

Buongiorno, Piero!
Sono un collega psichiatra, ormai un po’ anzianotto
Dopo anni di quiescenza (sono andato in pensione nel 2008) ho ripreso a lavorare in una struttura convenzionata, una CTA
Sto toccando con mano le incongruenze del sistema dell’assistenza psichiatrica qui in Sicilia
Mancano quasi del tutto le strutture intermedie, i CSM aperti H24 sarebbero un’utopia (e se proposti a chi governa e decide sarebbero considerati una blasfemia)
Manca il personale per far funzionare adeguatamente le strutture esistenti
Per esempio, in uno CSM decentrato un solo psichiatra, in un SPDC nella provincia di Palermo solo due, tanto per fare esempi di cose di cui sono a conoscenza.

Le CTA a gestione privata sono di fatto dei mini-manicomi territoriali per degenze medio-lunghe (con proroghe di sei mesi in sei mesi, sino ad un massimo di sette anni).
Dopo, il nulla.
Ho scoperto casualmente di te e dei tuoi libri che sto leggendo con molto interesse ed apprezzamento
Nel tuo modo di accostarti alle tematiche per sviscerarne in modo critico ritrovo tanto di me stesso giovane, anche per via del tuo stile non tanto di saggista ma di giornalista “gonzo” che ama mettere se stesso in gioco anziché ricorrere alla pratica del giornalismo in cui chi scrive si defila e mantiene una sua neutralità.
La lettura dei tuoi libri procede a gonfie vele e sono già al terzo volume della trilogia dello psichiatra riluttante, mentre in parallelo leggo a piccoli pezzi quello sull’ayauasca.

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22 settembre 2023 5 22 /09 /settembre /2023 07:03

...il film vuole essere soprattutto didascalico di un ipotesi che secondo alcuni è remota ed improbabile, secondo altri, invece, sempre più incombente, anche perché l'odierna tecnologia medica ha di fatto abbassato la guardia nei confronti delle malattie infettive che, nel nostro non lontano passato, rappresentavano uno degli spettri più temibili.

Maurizio Crispi (2011)

Contagion (2011, USA)

Contagion è un film del 2011 diretto da Steven Soderbergh, e vede come protagonisti Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet e Bryan Cranston.
Visto nei giorni passati su Amazon Prime, convinto di non averlo mai visto prima.
Se ne era parlato ai tempi dell'esorfio della pandemia e avevo cercato di vederlo, ma niente. Poi, nel 2022 è comparso su Prime.
Se consideriamo che il film di Sonderbergh venne realizzato nel 2011, lo possiamo sicuramente prendere come una realistica (e pessimistica) messa in scena di quanto è avvenuto un decennio dopo e sta tuttora accadendo, con una precisa rappresentazione delle diverse fasi di una pandemia e degli scenari che si vanno via via aprendo.
Vengono vagliate tutte le ipotesi possibili sull’origine del virus letale.

Per alcuni versi il film sembra avere delle doti quasi visionarie per quanto concerne ciò che ci è capitato successivamente a partire dalla fine del 2019 con la pandemia di COVID.

La realtà è che già molti epidemiologi, da tempo, sostenevano che qualcosa del genere sarebbe accaduto, grazie al fenomeno dello spillover.
Il film è narrato in modo spettacolare e coinvolgente e si avvale di un cast di attori davvero eccezionale.
Il film affronta il tema della diffusione di una malattia nuova e letale, causata da un virus trasmesso da goccioline respiratorie e fomiti, del tentativo inutile da parte di ricercatori medici e ufficiali di salute pubblica di identificare e contenere il virus, della conseguente perdita di ordine sociale in una pandemia e dell'introduzione di un vaccino per fermarne la diffusione.
Per seguire diverse trame il film fa uso dello stile multi-narrativo "hyperlink", utilizzato in diversi film di Soderbergh.

A vederlo adesso ci sembra robetta passato. Ma nel 2011 non eravamo ancora pronti a recepire il suo messaggio.



E quella che segue è la recensione che ne scrissi, dopo averlo visto al cinema il 19 settembre 2011.

Contagion (2011)

Contagion è un film del 2011, diretto da Steven Soderbergh, con protagonisti Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow e Kate Winslet.

«Non parlare con nessuno. Non toccare nessuno» (tagline del film)

Il film è incentrato sulla minaccia rappresentata da un contagio mortale simile all'influenza suina e su un team internazionale di medici assunti dal CDC per affrontare l'epidemia.
Dopo essere stata ad Hong Kong in viaggio d'affari, Beth Emhoff crolla a terra apparentemente per una banale influenza. Portata velocemente in ospedale, muore poco dopo il suo ricovero a causa di una malattia sconosciuta. La donna viene quindi indicata come la prima persona conosciuta ad aver contratto questa malattia.
Nella ricerca di una possibile cura il dottor. Ellis Cheever, capo del CDC, incarica la dottoressa Erin Mears di indagare sui primi casi di morti negli Stati Uniti. Contemporaneamente la dottoressa Leonora Orantes viene inviata in un villaggio cinese alla ricerca del paziente zero.
Negli anni più recenti l'epidemia virale "aviaria" o quella detta "suina" hanno intimorito l'opinione pubblica, hanno seminato nel mondo intero panico e timori relativi all'allargarsi a macchia d'olio del contagio.
E' stato tutto gonfiato dai mass media, a loro volta "imbeccati" nel modo giusto da fonti accreditate che però erano interessate affinché l'opinione pubblica e le relative decisioni politico-strategico si muovessero in un certo modo piuttosto che in un altro. E ci sono riuscite egregiamente: in Italia, il Servizio Sanitario ha acquistato decine di migliaia di dosi vaccinali che poi sono rimaste inutilizzate, tanto per fare un esempio.
In simili casi, alla luce degli eventi recenti, c'è da diffidare degli allarmismi che sono in parte pilotati. Tuttavia nel mondo della globalizzazione in cui tutti si muovono con una velocità pazzesca da un punto all'altro del mondo, la possibilità di una diffusione epidemica che esce fuori dal controllo è pur sempre una realtà da tenere nel debito conto.
Per non parlare poi delle scorte (sicuramente non distrutte) di pericolosi agenti patogeni prodotti per uso militare e che, da qualche parte, come segnalano fonti accreditate continuano ad essere conservati.
Per non parlare di agenti infettivi noti, nei cui confronti si è abbassato il livello di guardia: sempre fonti accreditate sostengono che se, per ipotesi, si dovesse riaccendere il vaiolo (come?

Anche qui si fa ancora riferimento alle armi biologiche accantonate e secretate) il mondo sarebbe impreparato ad affrontarlo adeguatamente, perché le scorte di vaccino sono in pratica del tutto esigue. 
Nel 1918 ci fu un'impressionante epidemia influenzale prodotta da un ceppo virale particolarmente aggressivo che impazzò nel mondo, provocando ben 18.000.000 di morti.
Ecco, il film Contagion, fa riferimento a tutto questo, mettendo in evidenza come la causalità dei contatti, a partire dal punto 0 (quello della prima comparsa dell'infezione nella popolazione) e la velocità degli spostamenti possano provocare una rapida diffusione del morbo, con l'accendersi di focolai sparsi in tutti i punti del globo e, soprattutto nelle realtà, ad elevata densità abitativa, le grandi metropoli in particolar modo.
Tutto il resto è una corsa contro il tempo: l'identificazione dell'agente virale, il tentativo di dar vita con un ceppo attenuato un vaccino efficace, la sperimentazione di esso.
Il ritmo del film è abbastanza incalzante, l'esito è scontato, ma con un conto finale di oltre 33.000.000 morti.
Bravi gli attori: un accorato Matt Damon, misteriosamente immune, che tenta di salvare la figlia dall'esposizione, una Gwineth Paltrow scelta per impersonare il caso n°1 e una serie di altri attori, bravi interpreti di parti da routine che vengono sviluppate prescindendo dalla situazione specifica (l'infezione virale): il punto centrale è quello di studiare come si sviluppano le reazione dei diversi personaggi in una situazione "estrema", di sconvolgimento del proprio assetto esistenziale e di incombente pericolo di vita.

 

Del resto, il film vuole essere soprattutto didascalico di un ipotesi che secondo alcuni è remota ed improbabile, secondo altri, invece, sempre più incombente, anche perché l'odierna tecnologia medica ha di fatto abbassato la guardia nei confronti delle malattie infettive che, nel nostro non lontano passato, rappresentavano uno degli spettri più temibili.
 

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29 giugno 2023 4 29 /06 /giugno /2023 06:52
Peter May, 7 notti di sangue

Sette notti di sangue (The Firemaker, nella traduzione di M. Borelli), pubblicato da Piemme, 2005 (originariamente dato alle stampe in lingua originale nel 1999) è il primo dei romanzi che compongono la "serie cinese" di Peter May.
Al riguardo, questo è scritto sulla scheda Wikipedia in Inglese a lui dedicata:

After quitting television May wrote a series of six novels known as the China Thrillers. To research the series, May made annual trips to China and built up a network of contacts including forensic pathologists and homicide detectives. He gained access to the homicide and forensic science sections of Beijing and Shanghai police forces and has made a study of the methodology of Chinese police and forensic pathology systems.
As a mark of their respect for his work, the Chinese Crime Writers' Association made him an honorary member of their Beijing Chapter. He is the only Westerner to receive this honour. He has also contributed a monthly column to the Chinese Police Magazine Contemporary World Police.
The books were first published in the UK between 1999 and 2004 and subsequently published worldwide in translation. New editions were published for the United States and UK in 2016/17 with an introduction by May explaining the historical setting of the books.


Sono dei romanzi di particolare interesse perché raccontano molto bene nella cornice della crime story le importanti transizioni sociali e culturali avvenute in Cina dopo l'apertura all'Occidente. E, di fatto, questi romanzi rappresentano il suo esordio letterario dopo aver abbandonato la sua carriera di giornalista televisivo.
Questi sono i romanzi della serie "i China Thriller" e si badi bene che, non tutti sono stati tradotti in Italiano.

  • The Firemaker (Hodder & Stoughton 1999), (St Martin's Press 2005), (Poisoned Pen Press 2008), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2016) - Tradotto
  • The Fourth Sacrifice (Hodder & Stoughton 2000), (St Martin's Press 2007) (Poisoned Pen Press 2008), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2016) - Tradotto
  • The Killing Room (Hodder & Stoughton 2001), (St Martin's Press 2008) (Poisoned Pen Press 2009), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2016) - Tradotto (credo)
  • Snakehead (Hodder & Stoughton 2002), (Poisoned Pen Press 2009), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2017)
  • The Runner (Hodder & Stoughton 2003), (Poisoned Pen Press 2010), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2017)
  • Chinese Whispers (Hodder & Stoughton 2004), (Poisoned Pen Press 2009), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2017)
  • The Ghost Marriage (Éditions Didier 2010), (Quercus 2017)

Questo Sette notti di sangue (The Firemaker), originariamente pubblicato nel 1999 è super avvincente in quanto riporta il primo incontro tra Li Yan, ispettore della polizia cinese, appena promosso ad un rango superiore, e l'anatomopatologa forense Margaret Campbell, giunta a Pechino dagli USA per un ciclo di lezioni agli studenti universitari.
In virtù delle sue competenze (è specializzata nello studio anatomopatologico forense di corpi fortemente danneggiati dal fuoco) viene coinvolta nelle indagini relative ad un uomo che è stato rinvenuto ancora in fiamme all'interno di un affollato parco cinese.
Da qui scattano le indagini a pieno campo che ricevono linfa vitale dalle intuizioni di Margaret. Ma vi sono delle forze contrarie che si muovono per impedire che la verità venga a galla e che vengano identificati i colpevoli.
Il romanzo si conclude con una serie di finti lanci d'agenzia che commentano dei fatti di rilevanza internazionali, scatenati dall'emergere di un'inquietante verità.
Letto dopo i tempi della pandemia, questo romanzo di Peter May acquista delle qualità quasi visionarie e prospetta scenari sicuramente angoscianti, tanto più se si tiene nella debita considerazione il romanzo Lockdown scritto dallo stesso Peter May nel 2014 e rifiutato dal suo editore, perché ritenuto troppo funesto, subito dopo la pandemia Sars appena scampata e finalmente pubblicato dopo il primo evolversi della pandemia da SarsCoV-2 nel 2020, quando i tempi per quel tipo di messaggio erano ormai maturi.
Anche se quest'ultimo romanzo non è una continuazione di Sette notti di sangue e non vi è alcuna diretta connessione tra i due (quanto a situazioni e a personaggi) si può leggere come il naturale sviluppo di quelle ultime tre pagine di "falsi" lanci d'agenzia.
Sette notti di sangue mi è piaciuto.
Mi chiedo perché l'editore italiano (prima Piemme e successivamente Einaudi) abbia perso interesse nella narrativa di Peter May e abbia smesso di tradurre le sue opere.
Secondo me è un grande autore di crime story.


(Risguardo di copertina) Margaret Campbell è una brillante anatomopatologa di Chicago. Li Yan è un ispettore della polizia di Pechino alle prese con il cadavere carbonizzato di un uomo dall'identità misteriosa. Insieme, i due indagano su quello che sembra un caso di suicidio. Ma nuove morti portano a galla un'altra verità: qualcuno di molto potente è pronto a tutto pur di fermare Margaret e Li. Loro non mollano, continuano a porsi e a porre domande sempre più scomode, sulle tracce di un disegno criminale dalle implicazioni agghiaccianti. Sullo sfondo di una città esotica e brulicante, una vicenda incalzante costellata di colpi di scena.

 

Peter May

L'autore. Peter May è nato a Glasgow nel 1951 e vive in Francia. Giornalista e autore di innumerevoli serie televisive, ha scritto una quindicina di romanzi. L'isola dei cacciatori di uccelli (Einaudi Stile Libero 2012) è il primo volume di una trilogia ambientata sull'isola di Lewis, e ha ottenuto uno straordinario successo di critica e pubblico in Gran Bretagna e in Francia. Nel 2013 Einaudi Stile Libero ha pubblicato il secondo volume della trilogia, L'uomo di Lewis, e nel 2015 il terzo e conclusivo, L'uomo degli scacchi. Sempre per Einaudi, ha pubblicato, nel 2017, Il sentiero e nel 2020 Lockdown. Nel 2018 Einaudi ha pubblicato nei Super ET la Trilogia dell'isola di Lewis che comprende: L'isola dei cacciatori di uccelli, L'uomo di Lewis e L'uomo degli scacchi.
 

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25 giugno 2023 7 25 /06 /giugno /2023 16:21

Il valore della relazione medico-paziente appartiene sempre meno al sentimento della comunità. Oggi assistiamo alla scomparsa della medicina generale e al predominio di quella specialistica, il corpo intero svanisce per lasciar posto alle sue parti. E quando le parti sono curate come separate, senza poi essere riunite nella mente del medico, il rischio è perdere di vista il compito principale: curare il malato, non solo la malattia. Instaurare una relazione di conoscenza e fiducia. Paradossalmente, sono proprio i successi bei confronti delle malattie ad avere determinato gli insuccessi nei confronti delle persone.

Dalla prefazione di Vittorio Lingiardi (p. 10)

John Berger e Jean Mohr, Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna, Il Saggiatore, 2022

Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna (A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor, nella traduzione di Maria Nadotti che é anche curatrice dell’opera) di John Berger, con le foto di Jean Mohr, pubblicato per Il Saggiatore, è un libro davvero straordinario che è diventato fruibile per i lettori italiani soltanto nel 2022 a distanza di oltre 50 anni dalla sua uscita in lingua originale (1967), significativamente, dopo i tempi del Covid e del consolidarsi di una pratica della Medicina sempre più spersonalizzata ed ipertecnologica.
C'è da rammaricarsi che nessuno abbia avuto l'idea di tradurlo e diffonderlo già al tempo della sua prima pubblicazione, perché ha tanto da insegnare, non soltanto ad un pubblico di lettori "laici", ma anche a tanti che esercitano la professione medica. 
Credo che sia un libro che tutti coloro che si affacciano alla professione medica dovrebbero leggere, poiché è profondamente formativo e soprattutto mostra quanto dietro l'aspetto tetragono e distaccato di colui che cura vi possa essere un "guaritore ferito". che continuamente si risana attraverso il gesto della cura, attraverso il suo esserci, attraverso la sua capacità di custodire in sé la memoria storica di ciascuno dei suoi "pazienti"

E' un libro che parla della vita di un "medico di campagna" (come dice il sottotitolo) a cui viene attribuito il nome di John Sassall (un medico che vive ed opera in una piccola regione rurale dell'Inghilterra (nel villaggio di St Briavels, nella contea del Gloucestershire, poco distante da Bristol), avendo il carico di circa 2000 anime, gli "uomini del bosco" come vengono definiti da John Berger.
John Berger e Jean Mohr, quest'ultimo in veste di fotografo, hanno vissuto per tre mesi in quei luoghi, osservando e documentando l'attività di John Sassall, riflettendo sul suo modo di relazionarsi con i suoi assistiti (meglio con le "anime" che gli erano affidate), senza burocrazia di mezzo e con molta fattualità e attenzione.

Cosa sono tre mesi nella vita di un uomo? Niente, si potrebbe obiettare. Eppure possono anche essere un periodo molto lungo, ed essere isomorfici con tutto il resto che rimane nell'ombra, non espresso e non documentato, sufficiente a mettere in luce ciò che è nascosto e a dare un senso generale. E quindi, questi tre mesi di osservazione sono stati pregnanti: hanno consentito ai due atori a costruire il ritratto efficace di un medico di campagna, ma prima ancora di un uomo che sembra dedicare la vita agli altri, con estrema dedizione.

In questo testo, semplice e complesso nello stesso tempo, non ci sono conclusioni definitive, ovviamente. Rimane come un testo aperto, dal quale ciascuno può trarre le sue conclusioni
I due autori (uno attraverso le parole, l'altro con le immagini) fanno soltanto delle illazioni, propongono delle ipotesi. Quello che emerge è una buona prassi medica, il gesto di cura, l'attenzione per le persone che appunto sono persone, individui, portatori d'un carico di umanità e di storie, prima ancora dei semplici "assistiti" burocratizzati.

Per tutto ciò che è raccontato, la comunità, i luoghi, le persone, fa da tramite lui, John Sassall, "buon" medico di campagna che segue con abnegazione i suoi pazienti - in quanto curante - anche quando vengono ricoverati nel presidio ospedaliero della vicina Bristol.

Di Sassall non si sa molto altro, poiché viene visto elettivamente nella sua pratica di medico. Non viene minimamente menzionato se abbia  una famiglia, dei figli (o meglio, viene appena accennato). Non si sa se vi sia dentro di lui n cuore di tenebra che crei delle turbative. E' ciò che fa, in sostanza.
Ed é' un medico abile, a quanto pare. Si è forgiato durante la guerra, come chirurgo militare. E' in condizione di affrontare le emergenze, di praticare piccoli interventi chirurgici, di assistere le partorienti. Gira in continuazione da una casa all'altra con il suo repertorio di farmaci; riceve i pazienti nel suo ambulatorio; si intrattiene con loro; assiste i morenti, è membro attivo della comunità, conosce - per quanto è possibile - i segreti di ciascuno.

In alcune foto lo si vede da solo, sperso nella vasta natura boschiva o mentre si incammina lungo un sentiero in salita per raggiungere un cottage; altre volte si vedono vasti paesaggi o l'ansa di un fiume, fiancheggiata da una strada bianca ed un auto che la percorre (sarà Sassall che, a bordo del suo veicolo, si reca in visita domiciliare da qualcuno dei suoi pazienti?)

E' probabilmente, anche, un uomo sofferente al suo interno, anche se non lo dà a vedere (e, d'altra parte, nella scelta di fare il medico, vi è spesso questo elemento, come fattore motivante e come carburante interiore).

Berger sottolinea nella sua narrativa che forse, all'inizio della sua pratica, per Sassall era importante "salvare vite" e che il suo intervento era questione di vita o di morte (senza possibili sfumature intermedie: in questo forte orientamento, Berger lo paragona ad un personaggio conradiano e in particolare al capitano di una nave che si accinge ad affrontare il mare in tempesta, avendo la responsabilità di tutte le anime a bordo e che non riuscendoci porterà il peso della colpa su di sé per il resto della vita.

Soltanto in seguito, questa posizione - un po' onnipotente secondo una griglia di lettura psicoanalitica - si stempererà in un assetto più accogliente delle sfumature intermedie: se non si può guarire, si può far star meglio; la cura medica si fonda allora anche sul conforto dell'anima, attraverso un approccio che non è più soltanto tecnico, ma dialogico, di apertura ed interesse nei confronti dell'Altro, di un suo riconoscimento.

A quanto pare questa trasformazione sarebbe avvenuta in Sassall, quando - prendendo atto di un suo nucleo di sofferenza interna - prese a a leggere e a consultare le opere di Sigmund Freud. 

La sua pratica allora assume i contorni di una dedizione e di una capacità ancora più intensa di entrare in una "relazione di cura", a 360 gradi, con la consapevolezza che l'oggetto relazionale (che in questo caso è il Paziente, in tutte le sue possibili declinazioni) non sempre può essere risanato in maniera totale e definitiva e che, in talune circostanze, occorrerà accettare che rimanga come un "oggetto danneggiato" (in termini relazionali) che potrà essere aiutato a vivere meglio o semplicemente supportato  dal conforto di parole e di attenzione. E ciò passa necessariamente attraverso l'accettazione di essere in primo luogo un "guaritore ferito", ciò uno che occupandosi di far star meglio gli altri risana in qualche modo il proprio nucleo interiore di sofferenza (che mai guarirà, tuttavia, in modo definitivo). Tutto questo non è semplice, poichè passa attraverso una presa di contatto della propria sofferenza: tutto l'opposto di chi si rifugia nella pratica medica per non dover sentire, per non doversi confrontare con i propri nuclei interni di sofferenza, costruendo attorno a sè una dura scorza di cinismo e di indifferenza (che è quella che, purtroppo, molte scuole di medicina odierne stanno insegnando, puntando tutto sulla iper-specializzazione, sulla settorializzazione, sul tecnicismo esasperato che scompongono la persona malati, in organi e apparati danneggiati)

Ecco questo è il ritratto di Sassall che Berger ci consegna.
Perchè viene definito un "uomo fortunato"?

Ecco ciò che ci viene detto quando il racconto si avvia ormai alla chiusura:

"Sassall è nondimeno un uomo che fa ciò che vuole. O, per essere più precisi, un uomo che persegue ciò che desidera perseguire. A volte la sua ricerca comporta tensione e sconforto, ma di per sé è la sua unica fonte di soddisfazione. Come un artista o come chiunque altro creda che il proprio lavoro giustifichi la propria la propria vita, Sassall - secondo i miserabili standard della nostra società - é un uomo fortunato" (ib., p. 176)

Poi, più avanti, si legge:

"Sassall, con l'intuizione astuta di cui ogni uomo fortunato necessita al giorno d'oggi per poter continuare a lavorare a ciò in cui crede, ha creato la situazione di cui ha bisogno. Non senza un costo, ma nel complesso soddisfacente: In essa lavora. E' al lavoro adesso, nel momento in cui scrivo" (ib. p. 187)

Ed qui che prende l'avvio la riflessione di John Berger sul fatto che questo scritto rimarrà incompiuto e non potrà giungere a conclusione definitive sulla vita e le opere di John Sassall, sul suo modo di essere stato medico, sul suo operare, esattamente come si farebbe con un artista che ha scritto i suoi romanzi o ha dipinto i suoi quadri, esaminando in maniera postuma le sue opere e mettendole in relazione con gli eventi della sua vita.

Un giudizio definitivo - dice Berger - può esser dato soltanto soltanto dopo, a posteriori (e non sempre una valutazione globale è possibile farla in una maniera compiuta: ogni vita è in qualche modo "unfinished", incompleta, ma in ogni caso, guardando a uomini ordinari che compiono cose straordinarie, ponendosi come un piccolo capolavoro, unico e irripetibile).

Mi è sembrato di leggere, dico "sembrato", perché poi questa frase non sono più riuscita a trovarla da nessuna parte nel testo, per quanto accuratamente ne abbia sfogliato le pagine, che dopo alcuni anni, Sassall abbia abbandonato la sua posizione e che sia andato a fare il "medico scalzo" cioè un medico che opera nei contesti rurali con uno strumentario minimo e spostandosi a piedi da un luogo all'altro. E' una leggenda? E' una mia allucinazione testuale? E poi dove? In Cina dove era diffusa, tradizionalmente questa figura? Oppure rimanendo in patria?

Certo è che la prassi del medico scalzo, un medico che viene ricompensato soltanto quando i suoi pazienti non manifestano segni e sintomi di malattia e che applica nel modo più corretto i precetti ippocratici, quali "il poco è il meglio" e l'attenzione estrema al potere delle acque, dell'aria, degli altri elementi e dell'alimentazione di interferire con la salute individuale e collettiva, rappresenta un logico sviluppo della medicina incentrata sulla relazione e sulla capacità del medico di essere egli stesso "farmaco".

Ma ritornando a quanto dicevo, circa l'impossibilità di emettere un giudizio definitivo, quindici anni dopo (nel 1999), in un'edizione successiva, Berger si sentirà in obbligo di aggiungere una postfazione, una postilla più che altro, per discutere dell'esito imprevisto e drammatico della vita di John Sassall che lascia aperto ed irrisolto l'enigma che lo riguarda e che, forse, apre uno spiraglio inquietante sul nucleo duro di sofferenza che egli si portava dentro.


 

Il testo scritto è corredato dalle splendide foto di Jean Mohr che mostrano i luoghi, la gente, il medico sia nell'esecuzione di atti propriamente medici sia nei momenti di relazionalità con i suoi pazienti e in momenti sociali, come nelle foto che documentano la discussione sul modo per intervenire per risanare il "Fossato" e restituirlo alla fruizione della comunità. 
Il testo offre delle chiavi di lettura alle foto, ma nello stesso le foto arricchiscono le possibili chiavi di lettura del testo.
"Il dialogo tra testo e foto è uno degli aspetti più suggestivi di questo libro: la conversazione tra la scrittura di Berger e la fotografia di Mohr coinvolge lettrice e lettore in un'intimità partecipe, spesso dolente, mai invadente" (Vittorio Lingiardi, Prefazione, p. 11)
La prefazione scritta da Vittorio Lingiardi fa da "viatico" al testo,  fornendogli chiavi di lettura,  ulteriore spessore, ramificazioni concettuali e spunti di approfondimento, come ad esempio il riferimento alle teorizzazioni di Michael Balint e al presupposto di ogni pratica medica umanistica in cui sia il curante stesso a somministrare se stesso come farmaco.
Segue una breve introduzione di Iona Heath, la quale dice:
"Se nel corso della vita, mi fosse dato di leggere un solo libro sulla medicina generale, sarebbe questo. Per questo testo meraviglioso e senza età abbiamo un enorme debito di gratitudine
nei confronti di John Berger e di Jean Mohr
". (ib., p. 22)

 


(Risguardo di copertina) "Un uomo fortunato" è una riflessione in parole e immagini sui rapporti tra l'individuo e la comunità che lo circonda. È un ritratto, allo stesso tempo poetico e sociologico, della dimensione più umana del lavoro del medico e di cosa significhi appartenere a una collettività e mettersi al suo servizio. Nel 1966 John Berger e il fotografo Jean Mohr seguono per tre mesi l'attività del medico di campagna John Sassall, documentandone la vita, le abitudini e gli incontri. Sassall vive nella foresta di Dean, in Inghilterra, tra i suoi pazienti, e ogni giorno si muove all'interno del territorio rurale per curare i malati, gli anziani e le persone sole. Ciò che affascina Berger e Mohr è che Sassall non si limita a prescrivere medicine, ma per la gente del luogo è anche un confidente, un depositario di ricordi. È preciso, attento e premuroso. Prima di fare un'iniezione pronuncia frasi rassicuranti. In inverno, quindici minuti prima di visitare un paziente, accende la termocoperta così da non fargli sentire freddo. È presente a tutte le nascite e a tutte le morti. In ogni situazione riconosce l'istante in cui può fare la differenza, ma conosce anche i propri limiti, come persona e come medico. Arricchita da una prefazione di Vittorio Lingiardi e da una introduzione di Iona Heath, quest'opera, finora inedita in Italia, ci rivela con grande delicatezza come ogni territorio, se guardato o osservato a distanza, sia ingannevole. Esso è infatti, innanzitutto, la rete disegnata dai gesti e dai pensieri dei suoi abitanti, dalle loro lotte, conquiste e sventure.
 

Gli autori
John Berger, nato nel 1926 a Londra è morto nel 2017, è stato critico d’arte, giornalista, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale e disegnatore.
Nel 1972 assurge a grande popolarità quando la BBC trasmette una serie di documentari da lui ideati e condotti, con il titolo Ways of seeing. 
In questi inviti a vedere l'arte nel quotidiano, Berger si è ispirato in parte all'opera di Walter Benjamin, e segnatamente a L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica.
Da sue sceneggiature, il regista svizzero Alain Tanner ha tratto i film Jonas qui aura 25 ans en l'an 2000 e Les années lumières.
Tra i suoi libri di narrativa tradotti in italiano, ricordiamo Qui, dove ci incontriamo (Bollati Boringhieri, 2005), Una volta in Europa e Lillà e Bandiera (Bollati Boringhieri, 2003 e 2006), Festa di nozze (Il Saggiatore, 1996), Ritratto di un pittore (Bompiani, 1961), Confabulazioni (Neri Pozza, 2017). Tra le altre opere: Modi di vedere (Bollati Boringhieri, 2004), Questione di sguardi (Il Saggiatore, 1998) e Sul guardare (Bruno Mondadori, 2003).

____________________________
 

Jean Mohr, fotografo svizzero,(1925-2018) è stato compagno di strada e di avventure di John Berger, suo collaboratore e ‘complice’ a partire dal 1962, quando si incontrarono per la prima volta a Ginevra. Risale a quell’anno l’avvio di un sodalizio professionale che, nel tempo, si è trasformato anche in una formidabile amicizia. 
Ne sono nati una serie di libri la cui importanza politica, sociale, artistica e letteraria resta non solo attuale, ma tuttora anticipatrice: A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor (1967), inedito in Italia, A Seventh Man (1975) [Il settimo uomo, Contrasto, 2017], Another Way of Telling. A Possible Theory of Photography (1982), da noi ancora inedito. 

Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire

Una conversazione con Maria Nadotti sul volume "Un uomo fortunato" da lei curato

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25 maggio 2023 4 25 /05 /maggio /2023 09:10
David Quammen, Senza respiro, Adelphi, 2022

Spillover. L'evoluzione delle pandemie (Adelphi) di David Quammen venne scritto e pubblicato in lingua originale attorno al 2013, presentandosi per alcuni versi come un testo profetico rispetto a quanto si sarebbe verificato di lì a pochi anni. Con Senza respiro. La corsa della scienza per sconfiggere un virus letale (Breathless. The Scientific Race to Defeat a Deadly Virus, nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), pubblicato da Adelphi (Fabula), nel 2023, costruisce un seguito a quel volume, raccontando i modi attraverso cui la pandemia da Coronavirus si è sviluppata, estendendosi a tutto il globo terracqueo e della corsa "senza respiro" compiuto dalla comunità scientifiche per identificare il virus e sequenziarlo, arrivando in tempi brevi (impensabili in altri tempi) a costruire dei vaccini. Cosa che non sarebbe stata possibile senza un lavoro intenso in altre direzioni condotto negli anni precedenti dai genetisti e dai virologi, le cui risultanze sono state messe a frutto ed applicate a questo caso particolare.
Questo saggio divulgativo, ma di ottimo livello, è scaturito da materiali di prima mano raccolti in approfondite interviste con biologi, virologi, genetisti, cerca di tirare le fila di tutto ciò che si sa sulla pandemia da Sars-CoV-2, dal suo esordio sino alla più recente evoluzione con la variante omicron.
Al pari di “Spillover”, anche questo saggio si legge come un romanzo che lascia il lettore avvinto alle pagine, tenendolo quasi “senza respiro”.
Si apprendono molte cose a cui i media non hanno dato il necessario risalto, altre vengono collocate in una corretta prospettiva, nel pieno rispetto dialettico delle diverse posizioni.
Quammen ci fornisce riflessioni, fatti, dati, lasciando a noi lettori il compito di trarre le conclusioni per quanto provvisorie.
Molto spazio viene dato all’origine del virus responsabile dell’attuale pandemia (da dove viene? Dove va?), toccando anche la vexata quaestio sulle sue possibili origini da una manipolazione in laboratorio, sfuggita di mano.
Certo è che la pandemia da Sars-CoV-2 è nata come una tempesta perfetta, a partire da una condizione di particolare adattabilità del virus a molte specie diverse di mammiferi (come evidenzia l'autore riportando un'ampia casistica e tutte le evidenze laboratoristiche, come ad esempio l'identificazione del "sito di scissione della furina" ed è altrettanto vero che dovremo convivere con esso ancora per molto tempo, poiché - come ci viene rammentato in uno dei capitoli più avvincenti - vi sono delle evidenze particolarmente significative sul fatto che il virus abbia innestato nel corso della pandemia un suo “ciclo silvestre” stante appunto la sua grande adattabilità a diverse specie di mammiferi selvatici.
Per esempio, si legge in uno degli ultimi capitoli: 
Questo virus ci accompagnerà per sempre. Sarà negli esseri umani - sempre da qualche parte - e sarà in alcuni degli animali che ci circondano. ‘Mai dire mai’ é una regola di buon senso, ma nessun esperto oggi può dirci in che modo potrà mai essere debellato il Sars-CoV-2. Nonostante decenni di sforzi non abbiamo debellatoné la polio né il morbillo, due virus che non hanno nessun altro posto dove nascondersi a parte gli uomini. Questo ha molte più alternative. Potremmo eliminarlo da ogni essere umano sulla faccia del pianeta (ma non è probabile) e rimarrà comunque nei cervi a coda bianca dell’Iowa, o nei visoni scappati dagli allevamenti che vagano nei boschi della Danimarca. 
Continuerà a cambiare. Si adatterà ai nostri adattamenti. L’ultima variante nel momento in cui scrivo queste frasi, la Omicron, sembra esserne un esempio lampante
”. (p. 403).
Sono affermazioni che devono far riflettere e che sono riferite in maniera nuda e cruda senza i giri di parole o le cautele dei politici che, a seconda di come gira il vento delle opportunità di consenso, minimizzano, nascondono, oppure amplificano e fanno allarmismo.
La dura verità degli scenari di viene immediatamente circonstanziata dalla previsione d'un incremento dei contagi da Covid-19 in Cina, nei prossimi mesi, dove si parla anche di picchi 60-65 milioni di nuovi contagi alla settimana.
L’intera trattazione di Quammen dovrebbe servirci ad acuire la nostra sensibilità verso altre possibili minacce virali ancora sconosciute, ma ciò nondimeno possibili (per eventi di spillover da parte di altri virus più letali). 
Si vedano a tal riguardo le recenti dichiarazioni del Direttore dell’OMS divulgate in rete.
David Quammen tiene a precisare che tutti i virgolettati sono stati estrapolati dalle interviste da lui effettuate, alcune della durata di ore. Per completezza di documentazione in calce al volume l'autore fornisce le schede coni dati essenziali su tutti gli scienziati intervistati e sulle circostanze delle interviste.
Il volume è corredato inoltre di indice analitico e di un’amplissima bibliografia riportante gli estremi di gran parte delle pubblicazioni citate (all’infuori dei “pre-print” (spesso di vita effimera) che sono citati solo nel testo.
Se mi è piaciuto? Sì, moltissimo!

 


(Soglie del testo) Il nuovo saggio dell’autore del bestseller Spillover racconta la battaglia per affrontare il Covid-19 dall'inizio della pandemia a oggi.
Secondo la teoria del caos, il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del pianeta – e allo stesso modo il battito delle grigie ali di un pipistrello in una caverna nel Sud della Cina può seminare lutti a Times Square. Dall’inizio della pandemia, sei milioni e mezzo di persone sono morte nel mondo. Il Big One, descritto in termini quasi profetici in Spillover, ha bussato alle nostre porte, e non eravamo pronti. La nostra reazione ha seguito lo schema già illustrato da Lucrezio a proposito della peste di Atene: alla sottovalutazione iniziale è subentrata la ricerca di un capro espiatorio, poi il panico, e infine l’impulso, altrettanto irrazionale, della rimozione. La creazione dei vaccini ha ridotto il margine di manovra del virus, ma il nostro avversario ha già risposto con una contromossa, la « variante Omicron », che potrebbe essere la fusione di due ceppi diversi, ciascuno dei quali non è stato ancora ben indagato. Stiamo dunque assistendo a una battaglia non dissimile dalla partita a scacchi che nel Settimo sigillo vede il Cavaliere (la scienza, ma senza il conforto della religione) sfidare la Morte. Chi vincerà| Probabilmente si giungerà al pareggio, il che significa che dovremo convivere col virus in una guerra « a bassa intensità ». Ma al di là delle sofferenze inflitte al genere umano dal SARSCoV- 2, Quammen ci ricorda che i virus, come il fuoco, sono un fenomeno non necessariamente negativo, e che può anche portare vantaggi. Come i batteri, fanno parte di noi. Sono « gli angeli oscuri dell’evoluzione », meravigliosi e terribili, e questo li rende meritevoli di essere compresi, più che temuti e aborriti.

 

Hanno detto

«Il divulgatore scientifico americano, come già nel suo precedente scritto Spillover, di cui questo Senza respiro è (volenti o nolenti e con tutte le riserve del caso) una sorta di seguito spirituale, sceglie di accompagnarci nella lettura portandoci esattamente dove vuole lui, senza fretta, prendendosi i suoi tempi, ma con una scrittura agile e precisa, che non tralascia nulla e che analizza e viviseziona eventi, date, genomi di Rna.» - Filippo Ghiglione per Maremosso

 

David Quammen

L'autore. David Quammen (nato nel 1948, a Cincinnati) è un divulgatore scientifico, scrittore e giornalista del «National Geographic». Ha studiato letteratura a Oxford; oggi vive in Montana, ma viaggia molto per conto del «National Geographic». Ha lavorato anche per altre riviste e giornali, tra cui «Harper's», «Rolling Stone» e il «New York Times».
In Italia ha pubblicato saggi divulgativi con Adelphi e Codice. In particolare da ricordare Spillover. L'evoluzione delle pandemie, pubblicato nel 2017

Quammen, Perchè non eravamo pornti, Adelphi

David Quammen, Perché non eravamo pronti (nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), Adelphi Editore (collana Microgrammi), 2020
In questo piccolo volume che si legge comodamente in poco meno di due ore, sono raccolti due articoli di David Quammen, “The Warnings” e “Did Pangolin Trafficking Cause the Coronavirus Pandemic?”, pubblicati ambedue su “The New Yorker”, rispettivamente l’11 maggio 2020 e il 31 agosto successivo.
Si tratta di due testi che esaminano gli esordi della attuale pandemia. Nel primo dei due articoli, l’autore prende in considerazione i motivi per cui il mondo non è stato pronto ad affrontare la pandemia, considerando le avvisaglie di precedenti episodi epidemici sostenuti da agenti infettivi diversi che avrebbero dovuto determinare un’attitudine di vigilanza. Nel secondo, invece, egli esamina l’influenza del traffico illecito dei pangolini nella diffusione della pandemia, tra l’altro demolendo l’idea che l’iniziale suo epicentro fosse stata la città di Wuhan. Il Coronavirus circolava già da prima, proprio a causa del commercio dei pangolini vivi che hanno amplificato il Coronavirus, consentendogli il salto di specie all’uomo.
Ma, avverte l’autore, per capire meglio la sequenza degli eventi e per poter essere meglio preparati in futuro, occorre fare delle ulteriori ricerche per meglio comprendere i meccanismi che hanno portato il virus a compiere lo spillover dal suo serbatoio naturale (i pipistrelli) al pangolino, nel quale all’inizio della pandemia é stato identificato un Coronavirus, affine geneticamente al 99%  con quello sequenziato ai primordi dell’attuale pandemia.
Quammen è un grande divulgatore.
Sapevamo come, e anche dove, i coronavirus ci avrebbero potuto colpire, eppure - eppure siamo a oggi, all'oggi inquietante e incerto da dove partono, proprio con questo testo, le nuove ricerche di David Quammen.

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28 febbraio 2023 2 28 /02 /febbraio /2023 11:27
Charles Kenny, La danza della peste, Bollati Boringhieri

La danza della peste. Storia dell’umanità attraverso le malattie (The Plague Cycle. The Unending War between Humanity and Infectious Diseases, nella traduzione di Bianca Bertola), di Charles Kenny, proposto da Bollati Boringhieri (nella collana Saggi Storia) nel 2021, è un studio approfondito sul ruolo che le malattie infettive hanno avuto nello sviluppo dell’Umanità. 
Dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, secondo San Giovanni, inviati sulla Terra per “sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere”, il Quarto sembra essere la morte stessa, il Terzo é universalmente riconosciuto come la carestia e il Secondo come la guerra, ma rimangono accese le discussioni sul Primo Cavaliere, anche se alcuni studiosi propendono a ritenere che si tratti delle pestilenze.
Dunque, ci avverte l’autore che anche se avevamo ritenuto che nel XXI secolo le maggiore piaghe dell’Umanità avrebbero potuto essere guerre e carestie, l’avvento del Covid-19 ci ha dovuto far ricredere e ci ha indotto a ridare al Terzo Cavaliere la sua giusta importanza.
Il Covid-19 è stata solo un’avvisaglia di altri eventi analoghi che potranno verificarsi in un futuro non lontano. In un mondo sovrappopolato e di scambi globali frenetici, di continua erosione degli ambienti naturali e di contaminazioni tra l’uomo e specie animali che sono vettrici di virus ancora sconosciuti e patogeni, la possibilità di altri eventi infettivi su larga scala e oltremodo possibile. E quindi bisogna essere preparati e non abbassare la guardia.
Non si può non apprezzare un'esposizione della materia da parte dell’autore assolutamente articolata e lucida.
È un saggio che, in una successione di capitoli tematici e senza appesantimenti, ma con il supporto di una vasta bibliografia e di un apparato di note, consente di arricchire le proprie conoscenze e farsi delle proprie idee. 

 

Hanno detto (quarta di copertina):
«Splendido […]. La forza intellettuale de La danza della peste è la sua analisi storica approfondita in grado di svelare la complessità delle relazioni tra globalizzazione, prevenzione delle malattie e stabilità politica ed economica… un saggio davvero magnifico!» Dorothy Porter, University of California, San Francisco 
«Una visione completamente nuova della storia del mondo: ampia, umana e sfortunatamente attuale
» - Tim Harford 
«Un libro assolutamente da leggere se si vuole davvero comprendere la crisi generata dal Covid-19, ed essere preparati a ciò che potremmo dover vedere di nuovo» - Richard Florida 
«Il racconto brillante di ciò che potrebbe sembrare l’argomento più importante di questi anni, ma che Charles Kenny dimostra essere l’argomento più importante degli ultimi cinquemila anni. Con chiarezza, profondità e arguzia, Kenny ci offre il quadro generale delle pandemie e del loro sviluppo nella storia» - Steven Pinker, Harvard University, autore di Come funziona la mente 

 

(Risguardo di copertina) Se osserviamo lo sviluppo dell’umanità nello scorrere dei millenni, ci rendiamo conto che la vitalità degli imperi, di qualsiasi età e latitudine, è sempre stata influenzata da una costante ineludibile: le malattie infettive. Colpendo a ondate reiterate, questa «danza della peste» ha imposto il ritmo della crescita e del declino di ogni civiltà umana, nessuna esclusa. Charles Kenny analizza la grande Storia della nostra specie tramite la lente, spesso trascurata, delle infezioni. Un’esplorazione che va dai vecchi imperi dissolti a causa di nemici invisibili fino all’emergere del concetto di igiene e sanità pubblica, dalle rotte degli schiavi ai genocidi causati dal vaiolo, dalle quarantene nella storia delle migrazioni fino all’HIV e all’Ebola, dagli albori delle campagne vaccinali ai movimenti no-vax. Grazie ai progressi della medicina, nelle ultime generazioni pareva che l’umanità si fosse liberata dalla morsa dei cicli pandemici, dando vita a un mondo globalizzato e spensieratamente florido. Ma questo incredibile sviluppo è diventato precario proprio a causa degli insidiosi aspetti di una prosperità apparentemente senza limiti. Le fluttuazioni della popolazione, il commercio globale e il cambiamento climatico hanno reso l’umanità di nuovo vulnerabile alle epidemie, come ha dimostrato fin troppo chiaramente il caso del Covid-19. In queste pagine, chiare e puntuali, scopriamo aspetti inediti della storia dell’uomo, informazioni a tratti inquietanti che pure è quanto mai necessario conoscere. Ma capiamo anche quanto sia urgente una maggiore cooperazione globale verso una salute sostenibile se vogliamo rimettere l’umanità sul cammino virtuoso già intrapreso contro le infezioni.

 

L’autore. Charles Kenny è ricercatore presso il Center for Global Development di Washington. Si è laureato in Storia a Cambridge, specializzandosi successivamente presso la Johns Hopkins University e la School of Oriental and African Studies di Londra. Ha collaborato alle riforme politiche in materia di salute globale, al peacekeeping e alla lotta alla corruzione finanziaria internazionale. Ha trascorso quindici anni come economista presso la Banca Mondiale, operando a Baghdad, Kabul, Brasilia e Pechino. Per Bollati Boringhieri ha pubblicato Va già meglio. Lo sviluppo globale e le strategie per migliorare il mondo (2012).

I quattro cavalieri dell'apocalisse nella famosa incisione di Albrecht Durer

(da wikipedia) I Cavalieri dell'Apocalisse sono quattro figure simboliche introdotte nell'Apocalisse di Giovanni 6,1-8, successivamente presenti nella cultura medievale e in quella contemporanea.

Essi si presentano all'apertura da parte dell'Agnello (Gesù Cristo) dei primi quattro di sette sigilli che tengono chiuso un rotolo di papiro o di pergamena che Dio tiene nella mano destra. A parte l'ultimo, chiamato Morte/Peste (il termine greco θάνατος, thánatos, ha entrambi i significati), i nomi dei cavalieri non sono menzionati e perciò il loro significato simbolico deve essere dedotto dai loro attributi.

Nella celebre xilografia di Albrecht Dürer (ca. 1497–98) quattro cavalieri cavalcano in gruppo, guidati da un angelo, per portare morte, fame, guerra e conquista militare.
Le interpretazioni degli esegeti, tuttavia, sono discordanti, soprattutto per quanto riguarda il primo cavaliere, quello che monta un cavallo bianco. Numerosi tratti, infatti, "collocano il primo cavaliere in un ruolo e in un'atmosfera diversa da quelli chiaramente negativi in cui si muovono gli altri tre. Così sentivano i commentatori antichi che nel primo cavaliere vedevano il Cristo o la corsa vittoriosa della predicazione cristiana. Dopo che poi, soprattutto per influsso della xilografia di A. Dürer (1498), per qualche secolo è stata dominante l'interpretazione negativa di quel cavaliere, ora si torna a sentire come gli antichi con sempre maggiore insistenza".

Secondo una diffusa interpretazione moderna, invece, essi sarebbero tutti e quattro portatori di una punizione divina che precorre il giudizio universale. 
Essi, infatti, simboleggerebbero nell'ordine la conquista militare (cavallo bianco, cavaliere con arco), violenza e stragi (cavallo rosso, cavaliere con spada), carestia (cavallo nero, cavaliere con bilancia), morte e pestilenza (cavallo verdastro). 
Citazioni moderne nella cultura pop e nei media contemporanei hanno associato agli ultimi tre gli appellativi di Guerra, Carestia e pestilenza/morte.

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30 dicembre 2022 5 30 /12 /dicembre /2022 12:03
Bill Gates, Come prevenire la prossima pandemia, La Nave di Teseo, 2022

La pandemia da Coronavirus-19, esplosa in Europa nei primi mesi del 2020 non è ancora finita. Certo, si è attenuata, ma siamo costantemente alle prese con nuove varianti, legate anche al fatto che in alcune regioni del mondo i programmi vaccinali non sono stati condotti in modo adeguato. Stiamo assistendo, proprio in questi giorni, ad una forte ripresa della pandemia in Cina, proprio per via del basso livello di immunizzazione della popolazione.
Nello stesso tempo, adesso, abbiamo a che fare con un virus influenzale particolarmente contagioso ed aggressivo (la cosiddetta influenza "australiana") e con altri ceppi virali circolanti nella popolazione che è particolarmente sensibile, perché viene da lunghi periodi di confinamento e di riduzione dei contatti sociali, abbinati all'uso della mascherina. Quindi, da una situazione di forte abbassamento delle infezioni da virus influenzali nel 2020-21 si è passati ad un nuovo loro cospicuo incremento.
Bill Gates che, da filantropo, ha investito parecchio nel monitoraggio delle malattie infettive e nei programmi vaccinali, sostiene il punto di vista che bisogna fare tesoro di ciò che abbiamo appreso dalla pandemia del 2020-21, sia in termini di azioni virtuose sia in termini di errori compiuti, per essere preparati ad affrontare la prossima pandemia. 
Maggiori saranno le risposte coordinate da parte di tutti gli stati del mondo maggiore sarà l'efficacia dell'azione.
In Come prevenire la prossima pandemia (How to Prevent the Next Pandemic, nella traduzione di Andrea Silvestri),  pubblicato nel 2022 da La Nave di Teseo (Collana I Fari), Bill Gates conduce il lettore in una disamina di tutti i diversi aspetti implicati in questa tematica, suggerendo una serie di capisaldi da attenzionare, attivando il più possibile la collaborazione internazionale  e lo scambio di informazioni, ma soprattutto colmando il divario sanitario tra paesi ricchi e paesi poveri.
Il saggio mi è sembrato intelligente e ben fatto poiché consente di raggiungere un punto di vista unitario e articolato su tutte le diverse questioni che si attivano quando si parla di pandemia.
Capisco anche che alcuni, soprattutto coloro che militano nelle schiere dei no-vax ad oltranza e fondamentalisti, detestano Bill Gates e ritengono che egli sia una delle molteplici espressioni dello schieramento complottista che predicando il verbo della prevenzione e delle vaccinazioni, mira ad indebolire i popoli, soggiogandoli a forme di controllo occulto.
Tuttavia, la lettura di questo testo che ha rispolverato alcune mie conoscenze già acquisite e che mi ha fatto conoscere alcuni temi nuovi, mi ha dato delle impressioni sicuramente positive. 
Il volume è arricchito da un indice analitico che consente di orientarsi nella grande mole di informazioni, di acronimi e di personaggi che vi vengono menzionati.

 

(dal risguardo di copertina) La pandemia da COVID-19 non è ancora finita, ma i governi di tutto il mondo, mentre lavorano per lasciarsela alle spalle, iniziano già a pensare a cosa accadrà in futuro. Come possiamo impedire che una nuova pandemia uccida milioni di persone e distrugga l'economia mondiale? Si può anche solo sperare di riuscirci? 
Bill Gates crede di sì, e in questo libro espone in modo chiaro e convincente ciò che il mondo dovrebbe imparare da COVID-19 e cosa possiamo fare per scongiurare un altro disastro come questo. Basandosi sulle competenze condivise dai massimi esperti mondiali e sulla propria esperienza tramite la Fondazione Gates nella lotta contro le malattie mortali, Gates ci aiuta a capire le malattie infettive dal punto di vista scientifico. E ci mostra come le nazioni di tutto il mondo, lavorando in sinergia tra loro e con il settore privato, siano in grado non solo di scongiurare un'altra catastrofe simile al COVID, ma anche di sconfiggere definitivamente tutte le malattie respiratorie, compresa l'influenza. 
Un appello chiaro, forte, esaustivo e di capitale importanza, da uno dei più grandi e incisivi pensatori e attivisti del nostro tempo.

 

Bill Gates

L'Autore. Bill Gates è un tecnologo, imprenditore e filantropo. Nel 1975, ad Albuquerque, ha avviato Microsoft con il suo amico d'infanzia Paul Allen. Nel 2000, insieme alla moglie Melinda, ha istituito la Bill & Melinda Gates Foundation, una fondazione privata di beneficenza. Successivamente ha lanciato Breakthrough Energy, un programma per commercializzare energia pulita e altre tecnologie legate al clima.
Nel 2021, La Nave di Teseo ha pubblicato il suo saggio Clima. Come evitare un disastro. Le soluzioni di oggi, le sfide di domani.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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