Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
27 ottobre 2023 5 27 /10 /ottobre /2023 07:02
Stephen King

Sono ad una convention dei fan di Stephen King

 

Di questo sogno ricordo poca roba
Con maggiore chiarezza
soltanto il momento della registrazione dei partecipanti,
quando, al termine di un lungo viaggio,
tutti in gruppo o alla spicciolata, 
arriviamo sovraeccitati e stanchi
in una vecchia casa fatiscente, 
piena di boiserie e di inquietanti scricchiolii
che, con il suo aspetto goticheggiante
e molto old America,
sembra essere lo scenario perfetto
per la convention 
Io ho portato co me
molti romanzi del Re,
poiché intendo chiedergli degli autografi
È stato scritto chiaramente nei flyer 
che sono stati fatti circolare da alcuni giorni
e che mi sono pervenuti:
sarà presente il Re in persona,
anche se non è stato detto quando

 

Ci sono vivaci conversazioni,
mosse più che da un reale desiderio
di conoscersi, dal bisogno di ambientarsi
e per meglio calarsi nell’atmosfera
(un po’ nel registro di 10 piccoli indiani)
Sono previsti diversi eventi
dark, horror e mistery
Sono molti quelli che indossano
perfette maschere al silicone
che riproducono le fattezze del Re
in diversi momenti della sua vita

 

Naturalmente, come in tutte le convention che si rispettano, 
c’è un’infinità varietà 
di partecipanti in maschera 
che impersonano i principali caratteri dei romanzi del Re, 
alcune pedisseque e precise al dettaglio,
altre assolutamente fantasiose 
e ciò nondimeno inquietanti
Moltissimi sono i Pennywise,
ma ci sono anche tutti gli altri,
in un’infinità galleria animata
L’effetto è davvero perturbante
Mi domando come è che faremo,
quando sarà il momento
della sua entrata in scena, 
a riconoscere il vero King
dalle imitazioni che ci circondano
Io no,
non indosso alcuna maschera,
non ho adottato alcun travestimento:
sono solo me stesso
con la mia curiosità 
Se avessi voluto travestirmi,
quale personaggio avrei potuto impersonare?, 
mi chiedo

 

Non ho dubbi al riguardo
La risposta è: Roland di Gilead,
l’Ultimo Pistolero o anche l'Ultimo Cavaliere,
detto anche The Gunslinger,
della serie The Dark Tower
(la Torre Nera)
e da ciò che posso vedere in questa convention
non c’è nessuno che lo rappresenti

 

Una grave mancanza!

 

Staremo a vedere

 

Accadono molte altre cose
che non ricordo più

 

Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Una convention dei fan di Stephen King
Condividi post
Repost0
7 ottobre 2023 6 07 /10 /ottobre /2023 06:36
Suzanne Simard, L'albero madre. Alla scoperta del respiro e dell'intelligenza della foresta (Finding the Mother Tree, nella traduzione di S. Albesano), Mondadori (Le Strade Blu), 2022

L'albero madre. Alla scoperta del respiro e dell'intelligenza della foresta (Finding the Mother Tree, nella traduzione di S. Albesano) scritto da Suzanne Simard e pubblicato da Mondadori (Le Strade Blu), nel 2022 è un testo di fondamentale importanza per la comprensione dell'ambiente secondo un paradigma totalmente differente da quello dominante che è fondamentalmente ispirato al pensiero di Darwin, fondata sulla competizione tra specie e sulla sopravvivenza del più adatto e del più forte.
Tale paradigma ci ha indotto a ritenere che, nel mondo animale, vigesse "la legge del più forte" e del più adatto alla sopravvivenza e ci ha spinto a costruire un mondo di relazioni tra esseri viventi basato sulla competizione e sull'accaparramento delle risorse.
Questo pensiero ha del pari permeato il modo di rappresentare il mondo vegetale.
Suzanne Simard con le sue intuizioni e con le sue ricerche pluridecennali (per sostenere le quali ha dovuto duramente lottare contro le idee inamovibili dell'establishment accademico) ha rovesciato questo paradigma, mostrando che gli alberi e le piante (non solo simili, ma anche appartenenti a specie diverse) costruiscono una vasta rete sotterranea in cui i collegamenti avvengono attraverso le terminazioni radicali, ma anche con il supporto di un reticolo di ife fungine (le cosiddette micorrize) che connettono le radici di alberi consimili (o anche appartenenti a specie diverse), facilitando il travaso e la circolazione di principi nutritivi (e non solo: anche di informazioni attraverso sostanze chimiche che possono considerarsi l'equivalenti dei mediatori chimici nel nostro cervello).
Nel corso del tempo, il pensiero della Simard è andato ulteriormente avanti sino ad ipotizzare che gli alberi - visti nel loro insieme - si connettono dando vita ad una sorta di mente collettiva grazie alla quale alcuni alberi sono avvisati tempestivamente (attraverso messaggi chimici veicolati lungo la rete di collegamenti) di noxae che agiscono su di un altro albero-individuo connesso alla rete di radici intercomunicanti con l’intermediazione del reticolo costituito dalle ife fungine, sicché gli altri possano prepararsi producendo enzimi e altre sostanze utili a contrastare l'azione della noxa (in questa specifica circostanza si ha una comunicazione attraverso sostanze chimiche che viaggiano nelle radici inter-connesse).
Sì è sviluppata, pertanto, nel pensiero della Simard l'idea feconda che gli alberi si accudiscano tra di loro e che, in particolar modo, quelli di una stessa specie, possano stabilire tra loro dei rapporti privilegiati mentre con quelli di altre si possono stabilire forme di auto-aiuto sulla base delle diverse peculiarità di ciascuna specie, come - ad esempio - nella interazione tra abete di Douglas e betulla.
Ed è nato così anche il concetto di "Albero Madre" (da cui il titolo del libro) che tiene d'occhio i propri "piccoli", facendoli crescere protetti nel suo cono d'ombra e fornendo alle loro radici nutrienti fondamentali per la loro crescita, sino al punto in cui questi potranno trasformarsi in "madricine" (ovvero "piccole madri"), cominciando a propria volta a dare vita attraverso i primi semi a nuovi alberi.
Il pensiero della Simard s'è sviluppato controcorrente, superando la diffidenza e l'ostilità dei cattedratici arroccati sulla loro idea della competizione darwiniana e della necessità di applicare rigorosamente nei rimboschimenti la tecnica della monocultura.
Le battaglie della Simard sono state portate avanti con intraprendenza e perseverazione e proseguendo nella via di sperimentazioni di lunga durata.
Tutto questo la Simard ci racconta in questo straordinario saggio autobiografico che è, assieme, una pietra miliare in una nuova visone della botanica e nella storia delle idee.
Si legge in modo appassionato anche perché l'autrice non esita a mettere a nudo la sua vita personale e la sua forte determinazione nell'andare avanti.
Il volume è corredato da due inserti di splendide foto a coloro e in bianconero.
Un libro assolutamente da leggere, a mio parere.

Ovviamente leggendo questo testo, è facile fare il collegamento con la teoria esposta da Lovelock e al suo costrutto di Gaia, in cui il nostro pianeta va vissto come un unico e articolato organismo vivente.

Le teorie della Simard hanno profondamente influenzato alcune elaborazioni culturali, nella narrativa come anche nella cinematografia: uno degli esempi più ragguardevoli in questo secondo ambito è il film Avatar, con il suo seguito recente Avatar 2. La via dell'acqua.
 

 

(Soglie del testo) In queste pagine, commoventi e profondamente personali, l'autrice condivide il suo mondo, ricordandoci che la scienza non è un regno separato dalla vita ordinaria, ma profondamente connesso con la nostra umanità.
(risguardo di copertina) Docente alla British Columbia ed ecologista di fama mondiale, Suzanne Simard è una pioniera nel campo della comunicazione e dell'intelligenza delle piante. 
Quando nel 1997 «Nature» pubblicò un suo articolo nel quale dimostrava come gli alberi comunicassero tra loro attraverso un'immensa rete di funghi sottoterra, nessuno poteva immaginare che questa scoperta avrebbe riscritto uno dei paradigmi della teoria evoluzionistica, quello secondo cui è la competizione tra le piante a modellare le foreste. Simard suggeriva infatti che fossero la vicinanza e la collaborazione, la diversità e l'inclusione a garantire la vita, l'ecologia e il benessere dei grandi boschi. Un'intuizione che le indagini condotte nei vent'anni successivi hanno ampiamente confermato. Ora, in queste pagine, commoventi e profondamente personali, l'autrice condivide il suo mondo. Svela i segreti che accompagnano la vita degli alberi come creature sociali, mostrando da vicino come questi modellino il loro comportamento ai bisogni della comunità cui appartengono, come si prendono cura gli uni degli altri. Perché la foresta è un ecosistema dove tutto è connesso, dove le specie si adattano, si sviluppano, crescono, completano il loro ciclo vitale mettendo in comune risorse e informazioni, diffondendo energia, saggezza, protezione. Come un'orchestra impegnata nell'esecuzione di una sinfonia, o come una famiglia che cresce attraverso il dialogo, l'aiuto reciproco, la condivisione di saperi e ricordi. 

Suzanne Simard

Ma soprattutto la Simard racconta come questo intreccio apparentemente miracoloso ruoti attorno a entità potenti e meravigliose, gli Alberi Madre, esemplari più anziani che non solo provvedono al nutrimento degli alberi più giovani, ma come dei veri genitori forniscono loro le «ricette migliori» per mantenersi in salute, contribuendo così, generazione dopo generazione, alla salvaguardia dell'ecosistema. 
L'Albero Madre ci accompagna nel complesso ciclo della vita nella foresta, ricordandoci che la scienza non è un regno separato dalla vita ordinaria, ma profondamente connesso con la nostra umanità.


L’autrice. Suzanne Simard insegna ecologia forestale presso l’Università della British Columbia. Autrice di oltre duecento pubblicazioni scientifiche, dal 2015 è a capo del progetto «Albero Madre». I suoi interventi ai TED Talks sono stati seguiti da più di dieci milioni di persone in tutto il mondo.
La sua è stata una vita di scienziata votata alle ricerche sul campo, nelle quali la Simard ha travasato la sua passione per la natura e le foreste, maturata sin dalla più tenera età

Condividi post
Repost0
15 settembre 2023 5 15 /09 /settembre /2023 07:20
1793

1793 di Niklas Natt Och Dag, (nella traduzione di Gabriella Diverio e Alessandra Scali), pubblicato da Einaudi (nelle collane Stile Libero Big/ Super ET, 2019 e SuperET, 2020) è Il primo volume di una trilogia storica ambientata nella Stoccolma di fine Settecento, con risvolti cupi e da noir:  stato per me una piacevole sorpresa, per quanto di difficile digestione.
Ho letto molto delle condizioni di vita durissime della maggior parte della gente non abbiente (quindi la maggior parte della popolazione residente) nella Londra dell'Ottocento, niente ancora sulla Stoccolma di quel periodo o anche prima. E quindi quest'opera ha suscitato un mio forte interesse, perché mi ha condotto nel cuore di un pianeta ancora a me del sconosciuto.
Ciò che emerge è una separazione abissale tra i "poveri", i nullatenenti, i disperati e l'aristocrazia. Due pianeti del tutto separati. E' inimmaginabile, al giorno d'oggi, pensare che si potesse vivere in quelle condizioni: in più in condizioni in cui gli "ultimi" (la maggior parte) si trovavano a dipendere dalla sopraffazione e dall'abuso di guardiani e di amministratori della giustizia corrotti e prevenuti.
Questa è la ricostruzione che emerge dal primo dei tre volumi della trilogia storica scandinava.
Tutto ruota attorno al ritrovamento di un corpo orrendamente mutilato nelle acque limacciose di Stoccolma: e si trovano ad indagare due particolari personaggi, una coppia male assortita, eppure efficace, pur tormentata dalle crisi di mal sottile e dagli accessi melanconici di uno dei due, (Cecil Winge) e dalle intemperanze alcooliche dell'altro (Mickell Cardell).
Eppure, alla fine, i due investigatori (pur così squinternati, sia pure per motivi diversi) districheranno la matassa, giungendo ad una soluzione. Il tutto con ampi excursus sulla vita di altri personaggi che contribuiscono ad arricchire il quadro. Ma il carattere principale (ed anche il protagonista assoluto) è la Stoccolma di quell'anno, turbata dai veti rivoluzionari che vengono dalla Francia, con un Re appena assassinato e con un reggente assetato di potere, mentre il popolo langue e affoga nella miseria e in fiumi d'alcool.
Molti dei luoghi descritti e dei particolari storici non mi sono risultati usuali e, quindi, la lettura è stata supportata da frequenti incursioni su Wikipedia per saperne di più sui luoghi descritti e sui personaggi storici menzionati.
Ci vuole indubbiamente molto stomaco per leggere alcuni passaggi, ma si va avanti, perché la voglia di conoscere di più e il desiderio di seguire il filo rosso della narrazione hanno la meglio.
#lemieletture #narrativa #narrativascandinava #thrillerstorici #romanzistorici

 

(quarta di copertina) Stoccolma, Anno Domini 1793. In una città oltraggiata dalla povertà e dal privilegio, la notizia di un corpo ripescato in un lago scuote nobili e prostitute, preti e tagliagole. Toccherà a un ex soldato con un braccio di faggio e a un giudice malato cercare la verità fra i bassifondi e i palazzi del potere. Un caso internazionale che segna la nascita di un folgorante talento letterario.


(Risguardo di copertina) È l’autunno del 1793. Gustavo III è morto e la Svezia geme sotto il pugno di ferro di Gustaf Adolf Reuterholm, il lord reggente. Il Paese è affamato, sfinito dalle troppe guerre del defunto re. La paranoia prolifera come un morbo e per i vicoli di Stoccolma si sussurra di cospirazioni e complotti. Cosí la scoperta di un cadavere orrendamente mutilato sull’isola di Södermalm diventa una questione della massima urgenza.
L’incarico di risolvere il mistero viene affidato a Cecil Winge, un geniale procuratore ormai consumato dalla tisi. Con lui, Mickel Cardell, un reduce della guerra contro la Russia che, nonostante abbia lasciato il braccio sinistro sul campo di battaglia, possiede ancora una forza quasi sovrumana.

 

Niklas Natt Och Dag

Hanno detto
«Coinvolgente e scioccante» - The Times
«Un romanzo livido, febbrile, di una potenza palpabile. Un esordio eccezionale. Un autore da seguire» - Le Parisien
«Un thriller trascinante» - The Observer
«Un viaggio vivido e avvincente nella Stoccolma del xviii secolo, nelle sue ingiustizie e nei suoi luoghi oscuri» - The Guardian

L'autore. Niklas Natt Och Dag è il discendente della più antica famiglia aristocratica svedese, da tempo decaduta. 1793, il suo primo romanzo, ha vinto il premio di libro dell'anno in Svezia ed è stato pubblicato in Italia nel 2019 da Einaudi.
Hanno fatto seguito 1794 e 1795, quest'ultimo uscito in Italia per Einaudi nel 2022

#lemieletture #narrativa #narrativascandinava #thrillerstorici #romanzistorici

Finito di leggere ad Agosto del 2022

 

 

(Margherita Guizzo del gruppo FB "Parliamo di libri, parliamo di noi") All'inizio del 2020, appena terminato di leggere questo libro, scrivevo il seguente commento. Praticamente siamo d'accordo su tutto. Poi ho acquistato il secondo della trilogia, ma non l'ho ancora affrontato.
"Ecco un libro da leggere quando hai il naso tappato dal raffreddore e non ti arrivano gli effluvi che dalle pagine di carta e perfino dallo schermo asettico del kindle si alzano a sconvolgere le tue mucose nasali.
È un libro di odori, odori cattivi, che nella Stoccolma del 1793, appena morto re Gustavo III per un attentato, ristagnano dappertutto e non danno pace.
È l'afrore dei corpi, il fango putrido delle strade, il vomito degli ubriachi, le fogne che confluiscono nei canali, le montagne di merda, i cadaveri accatastati in attesa di sepoltura.
"" Producono sapone, sia quello con cui i poveracci grattano via lo sporco quando si fanno il bagno a Natale, sia quello che usano le nobildonne per la toilette mattutina. La lavorazione è la stessa. La differenza sta nell'esclusività del profumo. Ma prima del profumo c'è la puzza, quella emanata dai cadaveri degli animali. Li si fa sciogliere per ottenerne il grasso, che poi viene mescolato con altri ingredienti... ""
Comunque, superato l'impatto olfattivo, il libro è bello e meritevole di lettura.
I critici lo chiamano giallo storico.
Dal punto di vista della Storia - ho verificato - tutto a posto. Come giallo, segue la falsariga dei capostipiti di genere con la classica coppia di investigatori: il genio e l'aiutante. Qui l'emulo di Holmes è Cecil Winge, giudice consumato dalla tisi, che ti chiedi come abbia fatto a non morire lungo le 496 pagine di questo romanzo affascinante e complesso.
Mickel Cardell (Watson, per capirci) è un reduce di guerra dal braccio di legno, guardia controvoglia tra una sbornia e una scazzottata, quando capita. Capita spesso, ma in fondo è un bravo ragazzo.
Dalla capitale svedese così descritta, sembra lontana la Rivoluzione Francese degli stessi anni; invece c'entra e la troverete fra le pagine:
"" Le lamentele che corrono di bocca in bocca sono sempre le stesse: l'economia che va a rotoli, l'incompetenza dei governanti, la necessità urgente di cambiare le cose. ""
A proposito di miseria e nobiltà, il giovane autore di questa opera prima pare sia l'ultimo rampollo della più antica casata nobiliare svedese, il cui lignaggio evidentemente non basta a sopravvivere oggidì. Fa il giornalista ed ora lo scrittore di successo. (Pensate un po' se l'idea venisse a qualcuno di casa Savoia, non oso nemmeno pensarci).
(Comunque il rimando in copertina a Umberto Eco è esagerato, checché ne dica il Washington Post)"

Un bellissimo commento!

Condividi post
Repost0
14 settembre 2023 4 14 /09 /settembre /2023 06:39
Luca di Fulvio, La ragazza che toccava il cielo, Rizzoli

Dopo il successo di “La gang dei sogni” presso i lettori tedeschi (da me recensito in un mio precedente blog), i successivi romanzi di Luca Di Fulvio sono stati tradotti e pubblicati in tedesco, prima ancora che in edizione italiana, un successo travolgente da milioni di copie vendute. 
Nulla in confronto al successo di pubblico in Italia, dove é rimasto come scrittore onorevolmente apprezzato, anche se di nicchia (senza cioè mai raggiungere punte da best seller).
Ho letto La ragazza che toccava il cielo (uscito nel nel 2013 e pubblicato da Rizzoli)  con immenso piacere: siamo in una Venezia di inizio Seicento, in cui si ritrovano diversi personaggi alcuni che giungono da lontano, e altri veneziani.
Venezia, nell'arco temporale in cui si svolge la vicenda, comincia ad essere percorsa da intolleranze religiose (che portano gli Ebrei ad essere confinati nel ghetto e ad essere tacciati di stregoneria da fanatici religiosi), mentre imperversa il Mal Francioso (la sifilide) che in quegli anni aveva ancora un decorso tumultuoso e un andamento epidemico.
In questo scenario si sviluppa un amore appassionato tra Mercurio, un ladruncolo con abilità trasformiste, giunto da Roma alla ricerca di fortuna, e di Giuditta, figlia di un ebreo sedicente medico (anche loro provenienti da lontano dopo molte traversie).

Molti dei personaggi sono impegnati a trasformarsi e ad elevarsi e ciò a scapito di gelosie, odi vendicativi, meschine ritorsioni e rese dei conti. 
Le costruzioni narrative sono rutilanti e si susseguono, tenendo avvinto il lettore, con una precisa ricostruzione degli ambienti, delle location sin quasi a condurlo a percepire con verosimiglianza colori, suoni e odori. Venezia appare fatiscente, invasa dalle puzze dell'acqua stagnante dove vengono riversati liquami, escrementi e residui organici di ogni genere, mentre l'igiene delle persone e degli ambienti è precaria e approssimativa, e molti - i più - vivono in condizioni di grande miseria: eppure, v'è tutto il fascino d'una città che si erge sull'acqua con gli sfarzi e le bellezze sublimi che, come fiori di indicibile bellezza, nascono da una base di mortifera decomposizione (per questi aspetti, il romanzo di Luca di Fulvio ricorda molto la Stoccolma di fine Settecento tratteggiata in 1793 dello svedese Niklas Natt Och Dag)
 

Non anticipo altro della trama, per non fare da spoiler a coloro che vorranno leggere questo romanzo, ma dirò soltanto che vi si parla, in definitiva, del perseguimento di un sogno e di un riscatto possibile, inseguendo il cielo e le stelle. e di un avventure verso un agognato nuovo mondo.

 

Grazie, Luca di Fulvio!


(Risguardo di copertina) 1515. Mercurio è un artista della truffa. Scaltro, veloce, abile nei travestimenti, ha fatto delle fogne di Roma la propria casa, imparando dalla strada che l'unico modo per sopravvivere è non avere altri cui pensare tranne se stesso. Convinto di avere ucciso un mercante ebreo che ha appena derubato, è costretto a fuggire: lontano potrà rimettere insieme i cocci della sua vita. Certi vasi, però, nascono rotti, e non basta portarli altrove per farli sentire meno a pezzi. Eccolo allora a Venezia, nel suo ingannevole intreccio di canali, dove conosce Giuditta, arrivata in laguna con l'illusione di trovare un luogo libero dalle persecuzioni contro gli ebrei. Ma l'amore che nasce tra i due è destinato a incontrare insidie e ostacoli: la gelosia della giovane Benedetta, innanzitutto, e la nascita, proprio a Venezia, di quello che sarà il primo ghetto d'Europa. Nel labirinto di calli malfamate perdersi è la norma, e a Mercurio non resterà che smarrire se stesso per ritrovare Giuditta, il pezzo mancante nella mappa strappata del suo cuore.

 

Luca Di Fulvio

L’autore. Luca Di Fulvio, nato nel 1957 a Roma (morto nel 2023), è stato un autore, attore e drammaturgo italiano. 
Ha vissuto a Roma dove si è diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, entrando a far parte della comunità teatrale americana “Living Theatre”.
Successivamente ha lavorato con Andrej Waida ne “L’affare Danton”. Ha fondato con Pino Quartullo la compagnia teatrale “La Festa Mobile”. Oltre a numerosi spettacoli di successo, i due hanno realizzato il cortometraggio “Exit” vincitore della Concha de Oro al Festival di San Sebastian e nominato agli Oscar.
Ha vinto il Premio Under 35 e segnalazione speciale dell’Istituto del Dramma Italiano con l’atto unico “Solo per amore” scritto con Carla Vangelista.
Nel 1996 ha esordito nella scrittura con il romanzo breve Zelter, pubblicato da Zelig-Baldini&Castoldi cui fa seguito nel 2000 L’impagliatore, romanzo noir pubblicato da Mursia che in breve ottenne grandi consensi. Acquistato dalla casa di produzione Cattleya, viene portato al cinema da Eros Puglielli col titolo “Occhi di cristallo” e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2004 L’impagliatore viene ristampato da Einaudi. Segue Dover Beach, pubblicato da Mursia e acquistato da Vittorio Cecchi Gori.
Con lo pseudonimo di Duke J. Blanco ha scritto il romanzo per ragazzi I misteri dell’Altro Mare, vincitore del premio Selezione Bancarellino.
Nel 2006 è approdato a Mondadori con il romanzo La scala di Dioniso [splendido romanzo], acquistato per il cinema da Gabriele Salvatores, cui fanno seguito nel 2008 La gang dei sogni e Il Grande Scomunicato del 2011.
I suoi libri sono tradotti da importanti case editrici come Gallimard e Albin Michel (Francia), Luebbe (Germania), Azbooka (Russia), Hayakawa (Giappone), Bitter Lemon Press (Inghilterra, Canada e USA) e poi in Spagna, Serbia, Olanda, Croazia, Slovenia, Grecia.
Nel 2015, viene pubblicato il romanzo Il bambino che trovò il sole di notte (pubblicato in contemporanea in lingua tedesca). 
Nel 2019 esce per Rizzoli La figlia della libertà (addirittura pubblicato l'anno precedente in lingua tedesca) e nel 2020 La ballata della città eterna, ultimo suo romanzo.
Luca Di Fulvio si è spento a Roma il 31 maggio 2023.

Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Luca di Fulvio attraverso un fecondo e stimolante scambio epistolare, sia prima che dopo la pubblicazione de "La scala di Dioniso", di cui Luca mi ha fatto omaggio di una copia autografa.

Luca Di Fulvio

Attraverso Facebook, ho scoperto con dispiacere che se è andato, il 31 maggio 2023, LUCA DI FULVIO, uno scrittore italiano eclettico, versatile e geniale, forse poco conosciuto dalle nostre parti ma tradottissimo in altre lingue e soprattutto in Tedesco (e in Germania specie con i suoi ultimi romanzi di carattere storico ha goduto di tantissima popolarità).
Mi pregio di averlo seguito sin dai primi suoi romanzi e di essere stato a lungo negli anni passati in contatto epistolare.
Pur essendo di natura schiva è riservata, era uno scrittore che non si tirava indietro e che volentieri e con affabilità rispondeva generosamente ai lettori che gli scrivevano.
Ho letto moltissimi dei suoi romanzi, soprattutto quelli della prima maniera, prima della svolta verso il romanzo ad ambientazione storica.
Merita indubbiamente di essere ricordato.

Arrivederci, Luca Di Fulvio!

 

Di seguito i titoli delle sue opere narrative

  • 1996 Zelter
  • 2000 L'impagliatore
  • 2002 Dover Beach
  • 2006 La scala di Dioniso
  • 2008 La gang dei sogni
  • 2011 Il grande scomunicato
  • 2013 La ragazza che toccava il cielo
  • 2015 Il bambino che trovò il sole di notte
  • 2019 La figlia della libertà
  • 2021 La ballata della città eterna

Di questi segnalo particolarmente La scala di Dioniso e La Gang dei sogni che credo si possano considerare i romanzi della sua maturità di scrittore, in transizione da opere di genere e prima della svolta "storica" che lo ha reso così popolare all'estero.

Condividi post
Repost0
30 agosto 2023 3 30 /08 /agosto /2023 06:11
Il detective Kindaichi, Sellerio editore, 2019

Il detective Kindaichi (nella traduzione di Francesco Vitucci), pubblicato da Sellerio (collana La Memoria), nel 2019, , é' una crime story uscita dalla penna di Yokomizo Seishi e molto ben costruita poichè ripropone in modo assolutamente originale il classico mistero della letteratura poliziesca dell’omicidio perpetrato in una camera chiusa dall'interno, così come tiene a precisare il narratore, proprio a partire da alcuni classici, in testa a tutti quello di Gaston Leroux (Il Mistero della Camera Gialla) e a seguire alcuni dei romanzi di John Dickson Carr, anche lui maestro degli enigmi della camera chiusa.

Per la risoluzione del mistero proposto in questo breve romanzo entra in scena una singolare figura di investigatore privato, Kosuke Kindaichi che si presenta sulla scena del doppio delitto e, dopo aver raccolto degli elementi sparsi, a tutti incomprensibili (semplici "anomalie" ritenute dagli investigatori fficiali elementi senza importanza) li ricompone in un racconto coerente e assolutamente verosimile, fornendo alle persone coinvolte e ai lettori la spiegazione per comprendere un "delitto perfetto".  
Le rivelazioni finali come in tutte le crime story - si pensi alle narrazioni di Agatha Christie, ad esempio - avvengono nel corso di una riunione in cui è Kundaichi stesso a mettere assieme i diversi pezzi del puzzle e a fornire anche per ciascuna sua affermazione le necessarie dimostrazioni sulla veridicità di ciò che afferma.
A questo primo romanzo con l'investigatore Kindaichi, nella veste di protagonista/risolutore del caso, ne hanno fatto seguito altri di cui due sono stati pure editati da Sellerio, rispettivamente "La Locanda del Gatto Nero" e "Fragranze di morte".
L'ho letto con autentico piacere.


"Yokomizo Seishi era soprannominato il «John Dickson Carr giapponese». Come il grande giallista di lingua inglese dell’«epoca d’oro», le trame di Yokomizo fanno perno su un enigma «impossibile»; e il mistero è avvolto in dettagli impressionanti, talvolta apparentemente soprannaturali, che sembrano mandare un messaggio nascosto. In un quadro di questo genere, il marchio del detective non può essere la normalità, ma l’eccentricità e il ragionamento acuto".


(Risguardo di copertina) Un doppio omicidio. Un enigma della camera chiusa. Un bizzarro detective privato, giovanissimo, trasandato nel vestire quasi oltre la decenza, presuntuoso a rasentare lo sprezzo. Uno dei romanzi di fondazione del mystery nipponico e l'esordio delle indagini del detective Kindaichi Kōsuke. Un classico di livello internazionale.
Un enigma della camera chiusa. Doppio omicidio nella dépendance della grande magione degli Ichiyanagi, ricchi e influenti possidenti. Il primogenito Kenzō, assieme alla giovane moglie, è ritrovato sgozzato, immersi i due corpi in un lago di sangue, nello stesso giorno delle nozze. L'ambiente dove è avvenuto il delitto è ermeticamente chiuso dall'interno, e l'arma del delitto, una spada tradizionale giapponese, giace a terra fuori dalla porta. Un brivido di terrore in più, che raggela gli abitanti della dimora, viene dal suono inspiegabile, nelle tardissime ore della notte, di un antico strumento a corde, il koto (il narratore della vicenda si riferisce ad essa come al «caso del koto stregato»). E nei dintorni si aggira uno strano personaggio, il viso sfregiato e solo tre dita nella mano, le cui impronte si trovano dappertutto. Yokomizo Seishi, massimo esponente della crime story nipponica, attivissimo nei decenni di metà secolo scorso nell'epoca d'oro del giallo deduttivo, aveva una passione per il sottogenere della camera chiusa, tanto da essere soprannominato il «John Dickson Carr giapponese». In comune con il suo omologo anglosassone, aveva la capacità di tinteggiare le atmosfere di un terrore che sfiorava il soprannaturale, oltre al

Seichi Yokomizo

talento di ideare «miracoli criminali». Gli ingredienti essenziali di questo sottogenere sono tre. La tensione del mistero inspiegabile che si scioglie con la scoperta del geniale marchingegno dell'assassino. L'ambientazione suggestiva: come è appunto quella inusuale, tenebrosa, alquanto esotica del mondo dei grandi ex feudatari nipponici. E infine il fascino del bizzarro investigatore: e quello di Yokomizo Seishi, il detective privato Kindaichi Kōsuke, è giovanissimo, un ventenne, di piccola statura, trasandato nel vestire quasi oltre la decenza, presuntuoso a rasentare lo sprezzo.

 

L’Autore. Dopo aver lavorato nella farmacia di famiglia e in seguito come giornalista letterario, negli anni Trenta del Novecento iniziò a pubblicare i primi romanzi. Con le sue trame di misteri ottenne un grande seguito di lettori divenendo in Giappone modello della crime story. Tra i suoi libri: oltre a Il detective Kindaichi (Sellerio, 2019), La Locanda del Gatto Nero e Fragranze di morte.
 

 

#crimefiction #polizieschi #letturedimauriziocrispi

(Letto nel corso del 2022)

Condividi post
Repost0
29 giugno 2023 4 29 /06 /giugno /2023 06:52
Peter May, 7 notti di sangue

Sette notti di sangue (The Firemaker, nella traduzione di M. Borelli), pubblicato da Piemme, 2005 (originariamente dato alle stampe in lingua originale nel 1999) è il primo dei romanzi che compongono la "serie cinese" di Peter May.
Al riguardo, questo è scritto sulla scheda Wikipedia in Inglese a lui dedicata:

After quitting television May wrote a series of six novels known as the China Thrillers. To research the series, May made annual trips to China and built up a network of contacts including forensic pathologists and homicide detectives. He gained access to the homicide and forensic science sections of Beijing and Shanghai police forces and has made a study of the methodology of Chinese police and forensic pathology systems.
As a mark of their respect for his work, the Chinese Crime Writers' Association made him an honorary member of their Beijing Chapter. He is the only Westerner to receive this honour. He has also contributed a monthly column to the Chinese Police Magazine Contemporary World Police.
The books were first published in the UK between 1999 and 2004 and subsequently published worldwide in translation. New editions were published for the United States and UK in 2016/17 with an introduction by May explaining the historical setting of the books.


Sono dei romanzi di particolare interesse perché raccontano molto bene nella cornice della crime story le importanti transizioni sociali e culturali avvenute in Cina dopo l'apertura all'Occidente. E, di fatto, questi romanzi rappresentano il suo esordio letterario dopo aver abbandonato la sua carriera di giornalista televisivo.
Questi sono i romanzi della serie "i China Thriller" e si badi bene che, non tutti sono stati tradotti in Italiano.

  • The Firemaker (Hodder & Stoughton 1999), (St Martin's Press 2005), (Poisoned Pen Press 2008), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2016) - Tradotto
  • The Fourth Sacrifice (Hodder & Stoughton 2000), (St Martin's Press 2007) (Poisoned Pen Press 2008), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2016) - Tradotto
  • The Killing Room (Hodder & Stoughton 2001), (St Martin's Press 2008) (Poisoned Pen Press 2009), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2016) - Tradotto (credo)
  • Snakehead (Hodder & Stoughton 2002), (Poisoned Pen Press 2009), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2017)
  • The Runner (Hodder & Stoughton 2003), (Poisoned Pen Press 2010), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2017)
  • Chinese Whispers (Hodder & Stoughton 2004), (Poisoned Pen Press 2009), (Quercus E-books 2012), (Riverrun 2017)
  • The Ghost Marriage (Éditions Didier 2010), (Quercus 2017)

Questo Sette notti di sangue (The Firemaker), originariamente pubblicato nel 1999 è super avvincente in quanto riporta il primo incontro tra Li Yan, ispettore della polizia cinese, appena promosso ad un rango superiore, e l'anatomopatologa forense Margaret Campbell, giunta a Pechino dagli USA per un ciclo di lezioni agli studenti universitari.
In virtù delle sue competenze (è specializzata nello studio anatomopatologico forense di corpi fortemente danneggiati dal fuoco) viene coinvolta nelle indagini relative ad un uomo che è stato rinvenuto ancora in fiamme all'interno di un affollato parco cinese.
Da qui scattano le indagini a pieno campo che ricevono linfa vitale dalle intuizioni di Margaret. Ma vi sono delle forze contrarie che si muovono per impedire che la verità venga a galla e che vengano identificati i colpevoli.
Il romanzo si conclude con una serie di finti lanci d'agenzia che commentano dei fatti di rilevanza internazionali, scatenati dall'emergere di un'inquietante verità.
Letto dopo i tempi della pandemia, questo romanzo di Peter May acquista delle qualità quasi visionarie e prospetta scenari sicuramente angoscianti, tanto più se si tiene nella debita considerazione il romanzo Lockdown scritto dallo stesso Peter May nel 2014 e rifiutato dal suo editore, perché ritenuto troppo funesto, subito dopo la pandemia Sars appena scampata e finalmente pubblicato dopo il primo evolversi della pandemia da SarsCoV-2 nel 2020, quando i tempi per quel tipo di messaggio erano ormai maturi.
Anche se quest'ultimo romanzo non è una continuazione di Sette notti di sangue e non vi è alcuna diretta connessione tra i due (quanto a situazioni e a personaggi) si può leggere come il naturale sviluppo di quelle ultime tre pagine di "falsi" lanci d'agenzia.
Sette notti di sangue mi è piaciuto.
Mi chiedo perché l'editore italiano (prima Piemme e successivamente Einaudi) abbia perso interesse nella narrativa di Peter May e abbia smesso di tradurre le sue opere.
Secondo me è un grande autore di crime story.


(Risguardo di copertina) Margaret Campbell è una brillante anatomopatologa di Chicago. Li Yan è un ispettore della polizia di Pechino alle prese con il cadavere carbonizzato di un uomo dall'identità misteriosa. Insieme, i due indagano su quello che sembra un caso di suicidio. Ma nuove morti portano a galla un'altra verità: qualcuno di molto potente è pronto a tutto pur di fermare Margaret e Li. Loro non mollano, continuano a porsi e a porre domande sempre più scomode, sulle tracce di un disegno criminale dalle implicazioni agghiaccianti. Sullo sfondo di una città esotica e brulicante, una vicenda incalzante costellata di colpi di scena.

 

Peter May

L'autore. Peter May è nato a Glasgow nel 1951 e vive in Francia. Giornalista e autore di innumerevoli serie televisive, ha scritto una quindicina di romanzi. L'isola dei cacciatori di uccelli (Einaudi Stile Libero 2012) è il primo volume di una trilogia ambientata sull'isola di Lewis, e ha ottenuto uno straordinario successo di critica e pubblico in Gran Bretagna e in Francia. Nel 2013 Einaudi Stile Libero ha pubblicato il secondo volume della trilogia, L'uomo di Lewis, e nel 2015 il terzo e conclusivo, L'uomo degli scacchi. Sempre per Einaudi, ha pubblicato, nel 2017, Il sentiero e nel 2020 Lockdown. Nel 2018 Einaudi ha pubblicato nei Super ET la Trilogia dell'isola di Lewis che comprende: L'isola dei cacciatori di uccelli, L'uomo di Lewis e L'uomo degli scacchi.
 

Condividi post
Repost0
25 giugno 2023 7 25 /06 /giugno /2023 16:21

Il valore della relazione medico-paziente appartiene sempre meno al sentimento della comunità. Oggi assistiamo alla scomparsa della medicina generale e al predominio di quella specialistica, il corpo intero svanisce per lasciar posto alle sue parti. E quando le parti sono curate come separate, senza poi essere riunite nella mente del medico, il rischio è perdere di vista il compito principale: curare il malato, non solo la malattia. Instaurare una relazione di conoscenza e fiducia. Paradossalmente, sono proprio i successi bei confronti delle malattie ad avere determinato gli insuccessi nei confronti delle persone.

Dalla prefazione di Vittorio Lingiardi (p. 10)

John Berger e Jean Mohr, Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna, Il Saggiatore, 2022

Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna (A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor, nella traduzione di Maria Nadotti che é anche curatrice dell’opera) di John Berger, con le foto di Jean Mohr, pubblicato per Il Saggiatore, è un libro davvero straordinario che è diventato fruibile per i lettori italiani soltanto nel 2022 a distanza di oltre 50 anni dalla sua uscita in lingua originale (1967), significativamente, dopo i tempi del Covid e del consolidarsi di una pratica della Medicina sempre più spersonalizzata ed ipertecnologica.
C'è da rammaricarsi che nessuno abbia avuto l'idea di tradurlo e diffonderlo già al tempo della sua prima pubblicazione, perché ha tanto da insegnare, non soltanto ad un pubblico di lettori "laici", ma anche a tanti che esercitano la professione medica. 
Credo che sia un libro che tutti coloro che si affacciano alla professione medica dovrebbero leggere, poiché è profondamente formativo e soprattutto mostra quanto dietro l'aspetto tetragono e distaccato di colui che cura vi possa essere un "guaritore ferito". che continuamente si risana attraverso il gesto della cura, attraverso il suo esserci, attraverso la sua capacità di custodire in sé la memoria storica di ciascuno dei suoi "pazienti"

E' un libro che parla della vita di un "medico di campagna" (come dice il sottotitolo) a cui viene attribuito il nome di John Sassall (un medico che vive ed opera in una piccola regione rurale dell'Inghilterra (nel villaggio di St Briavels, nella contea del Gloucestershire, poco distante da Bristol), avendo il carico di circa 2000 anime, gli "uomini del bosco" come vengono definiti da John Berger.
John Berger e Jean Mohr, quest'ultimo in veste di fotografo, hanno vissuto per tre mesi in quei luoghi, osservando e documentando l'attività di John Sassall, riflettendo sul suo modo di relazionarsi con i suoi assistiti (meglio con le "anime" che gli erano affidate), senza burocrazia di mezzo e con molta fattualità e attenzione.

Cosa sono tre mesi nella vita di un uomo? Niente, si potrebbe obiettare. Eppure possono anche essere un periodo molto lungo, ed essere isomorfici con tutto il resto che rimane nell'ombra, non espresso e non documentato, sufficiente a mettere in luce ciò che è nascosto e a dare un senso generale. E quindi, questi tre mesi di osservazione sono stati pregnanti: hanno consentito ai due atori a costruire il ritratto efficace di un medico di campagna, ma prima ancora di un uomo che sembra dedicare la vita agli altri, con estrema dedizione.

In questo testo, semplice e complesso nello stesso tempo, non ci sono conclusioni definitive, ovviamente. Rimane come un testo aperto, dal quale ciascuno può trarre le sue conclusioni
I due autori (uno attraverso le parole, l'altro con le immagini) fanno soltanto delle illazioni, propongono delle ipotesi. Quello che emerge è una buona prassi medica, il gesto di cura, l'attenzione per le persone che appunto sono persone, individui, portatori d'un carico di umanità e di storie, prima ancora dei semplici "assistiti" burocratizzati.

Per tutto ciò che è raccontato, la comunità, i luoghi, le persone, fa da tramite lui, John Sassall, "buon" medico di campagna che segue con abnegazione i suoi pazienti - in quanto curante - anche quando vengono ricoverati nel presidio ospedaliero della vicina Bristol.

Di Sassall non si sa molto altro, poiché viene visto elettivamente nella sua pratica di medico. Non viene minimamente menzionato se abbia  una famiglia, dei figli (o meglio, viene appena accennato). Non si sa se vi sia dentro di lui n cuore di tenebra che crei delle turbative. E' ciò che fa, in sostanza.
Ed é' un medico abile, a quanto pare. Si è forgiato durante la guerra, come chirurgo militare. E' in condizione di affrontare le emergenze, di praticare piccoli interventi chirurgici, di assistere le partorienti. Gira in continuazione da una casa all'altra con il suo repertorio di farmaci; riceve i pazienti nel suo ambulatorio; si intrattiene con loro; assiste i morenti, è membro attivo della comunità, conosce - per quanto è possibile - i segreti di ciascuno.

In alcune foto lo si vede da solo, sperso nella vasta natura boschiva o mentre si incammina lungo un sentiero in salita per raggiungere un cottage; altre volte si vedono vasti paesaggi o l'ansa di un fiume, fiancheggiata da una strada bianca ed un auto che la percorre (sarà Sassall che, a bordo del suo veicolo, si reca in visita domiciliare da qualcuno dei suoi pazienti?)

E' probabilmente, anche, un uomo sofferente al suo interno, anche se non lo dà a vedere (e, d'altra parte, nella scelta di fare il medico, vi è spesso questo elemento, come fattore motivante e come carburante interiore).

Berger sottolinea nella sua narrativa che forse, all'inizio della sua pratica, per Sassall era importante "salvare vite" e che il suo intervento era questione di vita o di morte (senza possibili sfumature intermedie: in questo forte orientamento, Berger lo paragona ad un personaggio conradiano e in particolare al capitano di una nave che si accinge ad affrontare il mare in tempesta, avendo la responsabilità di tutte le anime a bordo e che non riuscendoci porterà il peso della colpa su di sé per il resto della vita.

Soltanto in seguito, questa posizione - un po' onnipotente secondo una griglia di lettura psicoanalitica - si stempererà in un assetto più accogliente delle sfumature intermedie: se non si può guarire, si può far star meglio; la cura medica si fonda allora anche sul conforto dell'anima, attraverso un approccio che non è più soltanto tecnico, ma dialogico, di apertura ed interesse nei confronti dell'Altro, di un suo riconoscimento.

A quanto pare questa trasformazione sarebbe avvenuta in Sassall, quando - prendendo atto di un suo nucleo di sofferenza interna - prese a a leggere e a consultare le opere di Sigmund Freud. 

La sua pratica allora assume i contorni di una dedizione e di una capacità ancora più intensa di entrare in una "relazione di cura", a 360 gradi, con la consapevolezza che l'oggetto relazionale (che in questo caso è il Paziente, in tutte le sue possibili declinazioni) non sempre può essere risanato in maniera totale e definitiva e che, in talune circostanze, occorrerà accettare che rimanga come un "oggetto danneggiato" (in termini relazionali) che potrà essere aiutato a vivere meglio o semplicemente supportato  dal conforto di parole e di attenzione. E ciò passa necessariamente attraverso l'accettazione di essere in primo luogo un "guaritore ferito", ciò uno che occupandosi di far star meglio gli altri risana in qualche modo il proprio nucleo interiore di sofferenza (che mai guarirà, tuttavia, in modo definitivo). Tutto questo non è semplice, poichè passa attraverso una presa di contatto della propria sofferenza: tutto l'opposto di chi si rifugia nella pratica medica per non dover sentire, per non doversi confrontare con i propri nuclei interni di sofferenza, costruendo attorno a sè una dura scorza di cinismo e di indifferenza (che è quella che, purtroppo, molte scuole di medicina odierne stanno insegnando, puntando tutto sulla iper-specializzazione, sulla settorializzazione, sul tecnicismo esasperato che scompongono la persona malati, in organi e apparati danneggiati)

Ecco questo è il ritratto di Sassall che Berger ci consegna.
Perchè viene definito un "uomo fortunato"?

Ecco ciò che ci viene detto quando il racconto si avvia ormai alla chiusura:

"Sassall è nondimeno un uomo che fa ciò che vuole. O, per essere più precisi, un uomo che persegue ciò che desidera perseguire. A volte la sua ricerca comporta tensione e sconforto, ma di per sé è la sua unica fonte di soddisfazione. Come un artista o come chiunque altro creda che il proprio lavoro giustifichi la propria la propria vita, Sassall - secondo i miserabili standard della nostra società - é un uomo fortunato" (ib., p. 176)

Poi, più avanti, si legge:

"Sassall, con l'intuizione astuta di cui ogni uomo fortunato necessita al giorno d'oggi per poter continuare a lavorare a ciò in cui crede, ha creato la situazione di cui ha bisogno. Non senza un costo, ma nel complesso soddisfacente: In essa lavora. E' al lavoro adesso, nel momento in cui scrivo" (ib. p. 187)

Ed qui che prende l'avvio la riflessione di John Berger sul fatto che questo scritto rimarrà incompiuto e non potrà giungere a conclusione definitive sulla vita e le opere di John Sassall, sul suo modo di essere stato medico, sul suo operare, esattamente come si farebbe con un artista che ha scritto i suoi romanzi o ha dipinto i suoi quadri, esaminando in maniera postuma le sue opere e mettendole in relazione con gli eventi della sua vita.

Un giudizio definitivo - dice Berger - può esser dato soltanto soltanto dopo, a posteriori (e non sempre una valutazione globale è possibile farla in una maniera compiuta: ogni vita è in qualche modo "unfinished", incompleta, ma in ogni caso, guardando a uomini ordinari che compiono cose straordinarie, ponendosi come un piccolo capolavoro, unico e irripetibile).

Mi è sembrato di leggere, dico "sembrato", perché poi questa frase non sono più riuscita a trovarla da nessuna parte nel testo, per quanto accuratamente ne abbia sfogliato le pagine, che dopo alcuni anni, Sassall abbia abbandonato la sua posizione e che sia andato a fare il "medico scalzo" cioè un medico che opera nei contesti rurali con uno strumentario minimo e spostandosi a piedi da un luogo all'altro. E' una leggenda? E' una mia allucinazione testuale? E poi dove? In Cina dove era diffusa, tradizionalmente questa figura? Oppure rimanendo in patria?

Certo è che la prassi del medico scalzo, un medico che viene ricompensato soltanto quando i suoi pazienti non manifestano segni e sintomi di malattia e che applica nel modo più corretto i precetti ippocratici, quali "il poco è il meglio" e l'attenzione estrema al potere delle acque, dell'aria, degli altri elementi e dell'alimentazione di interferire con la salute individuale e collettiva, rappresenta un logico sviluppo della medicina incentrata sulla relazione e sulla capacità del medico di essere egli stesso "farmaco".

Ma ritornando a quanto dicevo, circa l'impossibilità di emettere un giudizio definitivo, quindici anni dopo (nel 1999), in un'edizione successiva, Berger si sentirà in obbligo di aggiungere una postfazione, una postilla più che altro, per discutere dell'esito imprevisto e drammatico della vita di John Sassall che lascia aperto ed irrisolto l'enigma che lo riguarda e che, forse, apre uno spiraglio inquietante sul nucleo duro di sofferenza che egli si portava dentro.


 

Il testo scritto è corredato dalle splendide foto di Jean Mohr che mostrano i luoghi, la gente, il medico sia nell'esecuzione di atti propriamente medici sia nei momenti di relazionalità con i suoi pazienti e in momenti sociali, come nelle foto che documentano la discussione sul modo per intervenire per risanare il "Fossato" e restituirlo alla fruizione della comunità. 
Il testo offre delle chiavi di lettura alle foto, ma nello stesso le foto arricchiscono le possibili chiavi di lettura del testo.
"Il dialogo tra testo e foto è uno degli aspetti più suggestivi di questo libro: la conversazione tra la scrittura di Berger e la fotografia di Mohr coinvolge lettrice e lettore in un'intimità partecipe, spesso dolente, mai invadente" (Vittorio Lingiardi, Prefazione, p. 11)
La prefazione scritta da Vittorio Lingiardi fa da "viatico" al testo,  fornendogli chiavi di lettura,  ulteriore spessore, ramificazioni concettuali e spunti di approfondimento, come ad esempio il riferimento alle teorizzazioni di Michael Balint e al presupposto di ogni pratica medica umanistica in cui sia il curante stesso a somministrare se stesso come farmaco.
Segue una breve introduzione di Iona Heath, la quale dice:
"Se nel corso della vita, mi fosse dato di leggere un solo libro sulla medicina generale, sarebbe questo. Per questo testo meraviglioso e senza età abbiamo un enorme debito di gratitudine
nei confronti di John Berger e di Jean Mohr
". (ib., p. 22)

 


(Risguardo di copertina) "Un uomo fortunato" è una riflessione in parole e immagini sui rapporti tra l'individuo e la comunità che lo circonda. È un ritratto, allo stesso tempo poetico e sociologico, della dimensione più umana del lavoro del medico e di cosa significhi appartenere a una collettività e mettersi al suo servizio. Nel 1966 John Berger e il fotografo Jean Mohr seguono per tre mesi l'attività del medico di campagna John Sassall, documentandone la vita, le abitudini e gli incontri. Sassall vive nella foresta di Dean, in Inghilterra, tra i suoi pazienti, e ogni giorno si muove all'interno del territorio rurale per curare i malati, gli anziani e le persone sole. Ciò che affascina Berger e Mohr è che Sassall non si limita a prescrivere medicine, ma per la gente del luogo è anche un confidente, un depositario di ricordi. È preciso, attento e premuroso. Prima di fare un'iniezione pronuncia frasi rassicuranti. In inverno, quindici minuti prima di visitare un paziente, accende la termocoperta così da non fargli sentire freddo. È presente a tutte le nascite e a tutte le morti. In ogni situazione riconosce l'istante in cui può fare la differenza, ma conosce anche i propri limiti, come persona e come medico. Arricchita da una prefazione di Vittorio Lingiardi e da una introduzione di Iona Heath, quest'opera, finora inedita in Italia, ci rivela con grande delicatezza come ogni territorio, se guardato o osservato a distanza, sia ingannevole. Esso è infatti, innanzitutto, la rete disegnata dai gesti e dai pensieri dei suoi abitanti, dalle loro lotte, conquiste e sventure.
 

Gli autori
John Berger, nato nel 1926 a Londra è morto nel 2017, è stato critico d’arte, giornalista, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale e disegnatore.
Nel 1972 assurge a grande popolarità quando la BBC trasmette una serie di documentari da lui ideati e condotti, con il titolo Ways of seeing. 
In questi inviti a vedere l'arte nel quotidiano, Berger si è ispirato in parte all'opera di Walter Benjamin, e segnatamente a L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica.
Da sue sceneggiature, il regista svizzero Alain Tanner ha tratto i film Jonas qui aura 25 ans en l'an 2000 e Les années lumières.
Tra i suoi libri di narrativa tradotti in italiano, ricordiamo Qui, dove ci incontriamo (Bollati Boringhieri, 2005), Una volta in Europa e Lillà e Bandiera (Bollati Boringhieri, 2003 e 2006), Festa di nozze (Il Saggiatore, 1996), Ritratto di un pittore (Bompiani, 1961), Confabulazioni (Neri Pozza, 2017). Tra le altre opere: Modi di vedere (Bollati Boringhieri, 2004), Questione di sguardi (Il Saggiatore, 1998) e Sul guardare (Bruno Mondadori, 2003).

____________________________
 

Jean Mohr, fotografo svizzero,(1925-2018) è stato compagno di strada e di avventure di John Berger, suo collaboratore e ‘complice’ a partire dal 1962, quando si incontrarono per la prima volta a Ginevra. Risale a quell’anno l’avvio di un sodalizio professionale che, nel tempo, si è trasformato anche in una formidabile amicizia. 
Ne sono nati una serie di libri la cui importanza politica, sociale, artistica e letteraria resta non solo attuale, ma tuttora anticipatrice: A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor (1967), inedito in Italia, A Seventh Man (1975) [Il settimo uomo, Contrasto, 2017], Another Way of Telling. A Possible Theory of Photography (1982), da noi ancora inedito. 

Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire

Una conversazione con Maria Nadotti sul volume "Un uomo fortunato" da lei curato

Condividi post
Repost0
13 giugno 2023 2 13 /06 /giugno /2023 10:55
Bill Clegg, Novanta giorni, Il Saggiatore

Novanta giorni (Ninety Days, nella traduzione di Sara V. Barberis), pubblicato da Il Saggiatore, nel 2013, è un libro memoir di Bill Clegg, noto agente letterario e scrittore statunitense, una preziosa testimonianza che si pone come seguito ideale dell’autobiografico “Ritratto di un tossico da giovane” (Einaudi) dello stesso autore.
Se in quest'ultimo testo vi è la storia dell'evolversi di una grave forma di dipendenza patologica in cui si intrecciano abuso di sostanze ed eccessi sessuali e della descrizione lucida del modo in cui si strutturano e si mantengono le "abbuffate" di droga e sesso, con l'evolversi di gravi manifestazioni psicopatologiche (tipiche di chi fa uso massiccio di sostanze stimolanti di tipo dopaminergico in maniera massiccia e in un arco di tempo limitato, con subentranti assunzioni), in "90 giorni" troviamo l'altra faccia della medaglia e cioè, dopo un periodo di permanenza prolungato in una struttura riabilitativa residenziale in cui Bill è stato tenuto controllato e protetto, in sostanza avulso dal contesto sociale, il difficile percorso verso la sobrietà nella condizione di chi è ora "libero", nel senso di essere costretto a fronteggiare tutti i dilemmi dell'autodeterminazione: qui, dunque, la sobrietà è uno stato che non deriva semplicemente dall'astenersi dall'uso di sostanze (e di tutti i comportamenti correlati), ma dalla capacità (tutta da costruire) di combattere le forze interiori e i riflessi condizionati che spingono verso la ricaduta (relapse, come si dice in Inglese).

Alcuni passaggi sono eloquenti, come quello a pag. 92 (e seguenti) in cui Bill descrive la sua terza ricaduta.

"Anche se passano otto ore dalla telefonata iniziale, nulla mi distoglie dalla droga. E' come se avessi premuto un interruttore e fossi in pilota automatico. Nessuna telefonata, ripensamento o pensiero delle conseguenze può dissuadermi dal consumare droga".
 

E, in un attimo, undici giorni di sobrietà, si annullano e Bill deve ricominciare il conteggio da zero.
 

Come già con il suo prequel, ci troviamo di fronte ad una narrazione autobiografica tesa e vibrante, a tratti anche dura, senza sconti per il lettore (e nemmeno per colui che scrive che si mette a nudo sino all'osso, senza pudore, affrontando catarticamente la piena confessione, sino ai dettagli più scioccanti) e che consente di guardare con lucidità sin nelle pieghe più riposte della mente di un tossico in riabilitazione che - come in un gioco dell’oca - percorre la sua via verso la stabilizzazione dall’uso di ogni droga, costellata di trappole e di fallimenti, alla ricerca della sua prima meta (che non sarà mai quella definitiva) e cioè del raggiungimento dell'obiettivo di novanta giorni consecutivi di astensione dall'uso di qualsiasi droga (incluso l'alcool) ovvero di "sobrietà" che una delle parole cardine di A.A.. Da qui il titolo.
Dietro questo doloroso (e faticoso) percorso che si muove all'interno della filosofia degli Alcoolisti Anonimi (A.A.) (che, con piccole variazioni ed aggiustamenti, può essere applicata a tutte le diverse forme di dipendenza patologiche, ivi incluse quelle non farmacologiche: e si veda a tal riguardo un libro - pure memoir - di recente pubblicazione, dal titolo "Azzardo" che racconta la storia di una donna dedita al gioco con le slot e soccombente ad una devastante dipendenza) c’è la ricerca della Verità - per quanto dolorosa possa essere - e della solidarietà di altri e verso altri con i quali si condivide lo stesso percorso.
Ogni tossicodipendente sarà per il resto della sua vita “riabilitazione” e la sua sobrietà dipenderà esclusivamente dalla capacità di comunicare senza infingimenti e menzogne le proprie difficoltà e le proprie debolezze all’interno della complessa relazione che si viene a creare tra il tossico in riabilitazione, il proprio sponsor e altri tossici che magari stanno peggio e nei cui confronti può attivarsi il senso di responsabilità e la sollecitudine (secondo il modello originario scaturito dall'incontro di due alcolisti (tra i quali il co-fondatore Bill W.) che avevano smesso di bere e cercavano di mantenere la propria sobrietà). 
Tutto questo mediato dalle “stanze” dove avvengono le riunioni di auto-aiuto in cui si concretizza la filosofa degli AA con molteplici occasioni di incontro, di confronto e di discussioni, in cui ciascuno è incoraggiato a partecipare, mantenendo l'anonimato e che poi diventano anche delle stanze mentali, profondamente interiorizzate.
Novanta giorni é, infine, un libro che può interessare chiunque perché ragiona dell’importanza estrema della ricerca della verità nelle relazioni interpersonali.


(Risguardo di copertina) Novanta giorni è l'obiettivo. Novanta giorni puliti per uscire dal buio, solo novanta giorni. La sostanza di Bill è il crack. Ma le crisi di astinenza, le ricadute, il rehab si ripetono per ogni dipendenza. Novanta giorni è infatti la storia di chiunque sia caduto, almeno una volta, in quella spirale. È la storia di persone interrotte che insieme cercano di mettere ordine nelle loro vite. I nuovi amici di Bill sono ex tossici che provano, un giorno alla volta, a non farsi. Una comunità che si incontra, discute, partecipa a riunioni settimanali, s'incoraggia con entusiasmo sportivo e premura fraterna, una rete di solidarietà che condivide un obiettivo: la libertà dai lacci della compulsione. Legami che per il vecchio Bill, brillante agente letterario diviso fra cocktail mondani e attici sulla Fifth Avenue, sarebbero stati impensabili. Nei reticoli di Manhattan si incrociano i destini di Polly, insegnante elementare cocainomane, che non riesce a smettere perché vive con la sua gemella Heather che ancora si droga; Lotto, figlio adottivo di una coppia di gioiellieri ebrei, che ha girato dodici centri di riabilitazione e pensa di poter prendere in giro la vita ancora una volta; Asa, giovane studente, rosso di capelli, innamorato di Bill, salvifico e silenzioso. E Bill, che grazie ai suoi nuovi amici impara a raccontare la verità, la sua verità.
 

Bill Clegg

L’autore. Bill Clegg, agente letterario americano, è autore dei memoir Ritratto di un tossico da giovane (Einaudi, 2011) e 90 giorni (Il Saggiatore, 2013). Il suo primo romanzo, Mai avuto una famiglia (Bompiani, 2016), è stato selezionato per il National Book Award, il Man Booker Prize, la Andrew Carnegie Medal ed è stato definito uno dei migliori libri del 2015 tra gli altri dal Library Journal, da Booklist, dal Guardian, da Kirkus Reviews.

Bill Clegg, Ritratto di un tossico da giovane, Einaudi

Questo memoir che racconta la storia tossicomanica di Bill Clegg, prima che entrasse nel mondo della riabilitazione, è interessante, ma è una lettura davvero faticosa, capace di mostrare, quasi al microscopio i meccanismi e le dinamiche interiori che scattano quando uno è preso dalla voglia smodata e irrefrenabile di consumare la sua droga preferita e, in questo caso, si tratta del "crack", che - in forma di cristalli - si fuma in apposite pipette con il principio attivo che, in funzione della manipolazione chimica che ha subito per essere tramutato in cristalli, penetra la barriera emato-cerebrale, provocando degli effetti massivi e rapidissimi che, dopo poco svaniscono. Da qui la tendenza del consumatore di rimanere intrappolato nel meccanismo devastante del craving che lo spinge verso un consumo ripetuto a brevissimi intervalli di tempo, magari con la contemporanea assunzione di alcool e di altre sostanze psicoattive.
La dipendenza dal crack è una delle più devastanti in assoluto, poiché il consumatore immerso in un modello di consumo detto anche drug-binge (parola che che in italiana può essere tradotta con "abbuffata") è capace di spendere nel giro di pochissimo tempo quantità enormi di denaro, indebitandosi sino al collo ed incurante delle conseguenze su se stesso e sugli altri, familiari, parenti e amici.

E, naturalmente, il memoir di Bill Clegg è intessuto anche di ricordi antichi (storie infantili ed adolescenziali), il che è corretto, poiché il percorso che porta una persona (e in questo caso è Bill) a coinvolgersi in esperienze di uso dipendente di sostanze psicoattive, nasce da lontano, dalle dinamiche familiari, dal modo in cui si è costruito il rapporto con il corpo, da come si sono svolte le prime esperienze di masturbazione (e, soprattutto, se queste hanno assunto un carattere compulsive e sono state oggetto di un non-detto).
 

«L’orrore strisciante delle ultime settimane: ricascarci; mollare Noah, il mio ragazzo, al Sundance Film Festival quasi una settimana prima; mandare una e-mail alla mia socia in affari, Kate, dicendole di fare quello che le pareva della nostra attività, che io non sarei tornato; entrare e subito uscire da una clinica di riabilitazione di New Canaan, nel Connecticut; passare una sfilza di notti all’hotel 60 Thompson per poi buttarmi a capofitto nello scabroso clima drogato dell’appartamento di Mark, con gli sbandati che rimediano un po’ di crack gratis quando qualcuno organizza un’abbuffata. L’orripilante film dei miei recenti trascorsi mi balena dietro le palpebre, e il futuro senza una bustina, nella consapevolezza che passeranno ore prima di vederne un’altra, si staglia con l’evidenza del nuovo giorno che sorge».

Come Bill Clegg, giovane agente letterario di successo, si lascia travolgere dalla tossicodipendenza e perde tutto, dal lavoro agli affetti, sprofondando in una vita fatta di mille alberghi tutti uguali, voli aerei mai presi, avidità e paranoia, incontri maschili e sesso consumato senza ombra di passione.
Un memoir lacerante: l'esplorazione di una deriva cieca, narrata senza facili giustificazioni e priva di autocompiacimento.
La storia di una dipendenza assoluta, senza un vero perché.
Una discesa negli abissi della paranoia, raccontata con l'implacabile precisione ed eleganza della grande letteratura.

Di quest'opera hanno detto

«Bill Clegg ha scritto un memoir snello, teso, rutilante. Anche se sappiamo da subito come dovrebbe finire la storia, è difficile credere che il protagonista riuscirà a sopravvivere all’ordalia che descrive con tanta, terrificante ricchezza di dettagli».
Jay McInerney

«Questa storia di un uomo – quasi sempre rinchiuso in camere d’albergo e impegnato in una guerra straziante con se stesso – è destinata a diventare un vero e proprio classico della letteratura sulla droga».
Irvine Welsh

Alessandra Mureddu, Azzardo, Einaudi

Azzardo di Alessandra Mureddu (Einaudi, Collana "Gli Unici, 2023) viene presentato come un romanzo per il quale vige la formula “ogni riferimento a persone esistenti e a persone è puramente casuale”.

Ma, in realtà, si tratta di una storia fortemente autobiografica, come del resto ha rivelato l’autrice in successive interviste.
C’è il racconto di anni e anni di dipendenza dal gioco d’azzardo (che oggi con una recente definizione onnicomprensiva viene definito "ludopatia"), soprattutto da quello istantaneo e fulmineo delle macchinette, ovvero dalle slot machine.
Sono descritti nel libro tutti i passaggi di un’esistenza votata al gioco e alla dissipazione, apparentemente alla ricerca della vincita e della mitica cascata di monetine, ma in realtà dolorosamente porterà verso la sconfitta e la ripetizione coatta di questa esperienza.
Tutti i momenti e i passaggi vengono ritratti lucidamente nella loro essenza, compreso il disfacimento esistenziale che fa da inevitabile corteo alla ludopatia, come a quasi tutte le altre forme di dipendenza patologica.
È una lettura faticosa e dolente, per alcuni versi irritante.
Io stesso che ho lavorato per quasi tutta la mia vita professionale a contatto con le dipendenze patologiche e che dovrei avere gli strumenti per comprendere mi sono sentito fortemente irritato dal racconto, soprattutto dalla debolezza intrinseca di questa donna incapace di resistere al richiamo del gioco.
Come recita il Verbo degli Alcolisti Anonimi, applicabile a tutte le forme di dipendenza, soltanto il riconoscimento quotidiano della propria debolezza e della propria inemendabile condizione di dipendente possono essere d’aiuto nel fronteggiare - giorno dopo giorno - il richiamo illusorio dell’oggetto della dipendenza e dunque proteggere dallo spettro della ricaduta.

L’astinenza va conquistata giorno dopo giorno senza lasciarsi mai travolgere dalla hybris, con l'aiuto di un'implacabile ricerca della Verità, davanti a se stessi e davanti agli altri.

 

Per me si è trattato di una lettura di studio piuttosto che di svago o intrattenimento.

 

 

(Soglie del testo) «Entro nella sala col passo trionfale di chi va a riprendersi il mondo. Le banconote da cinquanta, a colpi di un euro al secondo, spariscono nella fessura una via l’altra. Le conchiglie, quando escono, fanno pof, come lo schiocco di labbra di un pesce».

A quarantun anni, nella pienezza della propria vita, una donna decide di salvare il padre, avvocato e giocatore patologico. E salvarlo significa addentrarsi nel mondo delle sale da gioco: un mondo senza finestre in cui non si distingue il giorno dalla notte, e neppure chi vince da chi perde, perché ogni vincita è destinata a finire nella fessura della slot: se ti è andata bene vorrai vincere di piú, se stai perdendo continuerai a giocare per rifarti. Cosí, la figlia che voleva salvare il padre si ritrova a dover salvare se stessa dalla malattia del gioco, che la trascina in un gorgo senza fine. Il conto si svuota, i capelli si imbiancano, il corpo sparisce sotto una larga tunica nera. Le relazioni, gli amici, i colleghi, la famiglia: tutto viene intaccato in nome di questa febbre morbosa. Gli ori di famiglia rubati ai genitori e svenduti nei «Compro oro» per una manciata di contanti da dilapidare in fretta.

Se può esserci salvezza, passerà forse dai Dodici Passi del Programma di recupero per i Giocatori Anonimi, ma le ricadute eroderanno ogni volta qualcosa di piú profondo. O forse la salvezza s’insinuerà in un sogno o in un piccolo gesto come quello del padre nella pagina finale del libro.

A raccontare questa storia, la sua storia, è una donna che ha superato da poco i quarant'anni. La sua voce è esatta, limpida, dura, il suo sguardo senza filtri. La sua mano non fa che infilare banconote nella fessura delle slot e premere il tasto start, per anni. Mentre la sua vita va a rotoli, lei aspetta «l'eco prolungata del solfeggio, le schegge di luce che si propagano al monitor». Perché ogni vincita è un battito in piú nel petto. Alessandra Mureddu racconta dall'interno, con una scrittura infiammata, potentissima, un mondo che pochi conoscono, eppure descrive un sentimento in cui è impossibile non rispecchiarsi: la dipendenza di cui parla - che passa dalle macchinette alle relazioni sessuali e affettive, al padre, al cane, e potrebbe estendersi a qualsiasi cosa - è il segno del nostro tempo. Azzardo è uno sfolgorante e feroce romanzo su ciò che abbiamo di piú umano: le nostre debolezze.

 

Per approfondire sui temi del gioco d'azzardo rinvio a questi miei articoli su questo stesso blog

Condividi post
Repost0
6 giugno 2023 2 06 /06 /giugno /2023 08:44
Robert Heinlein, Non temerò alcun male, Bompiani

Nel 1970 Robert Heinlein, uno dei più grandi maestri della SF pubblicò un opera che si colloca tra quelle in cui egli riflette sul fine vita, Non temerò alcun male (I Will Fear No Evil), il cui titolo originale è tratto dal Salmo 23:4 della Bibbia. Ricordo che lo lessi (lo divorai) nella forma di un tascabile Bompiani (uscito nel 1977) e, in effetti, la sua prima edizione italiana era stata fatta da Bompiani, nel 1972

Qui, in un mondo sovrappopolato nel XXI secolo, un tycoon, molto anziano e gravemente ammalato decide di avvalersi di un'avveniristica tecnologia per sfuggire al destino che l'attende e che gli consentirà di trasferire la sua mente in un corpo giovane.

Johann Sebastian Bach Smith, nato come Schmidt, ormai novantenne e decrepito, è tenuto in vita da un supporto medico, sicché decide di far trapiantare il proprio cervello in un nuovo corpo, offrendo un milione di dollari ai congiunti di un donatore in stato di morte cerebrale.

Non appena le circostanze lo consentono viene effettata l'operazione (a Heinlein non interessa dare spiegazioni tecnologiche sul perché e sul per come sia possibile compiere una simile cosa, non si sofferma sui dettagli tecnici: dice che è possibile e basta. E il lettore deve seguirlo). Le circostanze per dar corso alla "rinascita" di Schmidt sono che sia disponibile un corpo recipiente, in buona salute e in stato di morte cerebrale: la sorte vuole che il corpo donatore sia quello di una giovane donna che è Eunice Branca, sua segretaria che è stata uccisa da un balordo, e Schmidt nelle clausole del contratto avevo omesso di specificare controindicazioni circa il sesso del recipiente.
Quindi, al suo risveglio, Schmidt si ritrova dentro il corpo di una donna e, per giunta, molto avvenente e desiderabile.

Robert Heinlein, Non temerò alcun male, Bompiani (tascabili), 1977

Inizia così a vivere una nuova vita, avendo assunto l'identità di Joan Smith, guardando il mondo attraverso gli occhi di una donna, ma rimanendo uomo di esperienza e di appetiti sessuali assolutamente rinvigoriti (anche se orientati per necessità di cose verso il sesso maschile). Questo genera delle situazioni a volte imbarazzanti, a volte comiche, soprattutto quando egli si ritrova a confrontarsi con il suo più fedele collaboratore che è il suo avvocato di sempre Jakob Moshe Solomon) ed è nel fiore degli anni. Da donna (con quell'alchimia ormonale) si ritrova a desiderare un contatto sessuale con lui, ma la sua mente è quella di un uomo: insomma, Schmidt dovrà confrontarsi con grandi difficoltà interiori, sino a compiere il grande passo, dopodiché finirà per sposarlo.

Molti interrogativi restano aperti, tuttavia: cede a questo impulso perché è il corpo da donna che vuole così, oppure è lui - ancora uomo nella mente - che in modo inatteso - scopre delle valenze omosessuali dentro di sé?

Sin dall'inizio le cose si complicano ancor di più, poiché  probabilmente per via della persistenza della mente che aveva abitato quel corpo, la personalità del corpo recipiente si risveglia, iniziando un dialogo con Schmidt, prima occasionale e a sprazzi, poi sempre più costante e serrato.
Quindi, nel rapporto (che presto diventa stabile relazione) con l'uomo sono adesso in due ad interagire con una fantasmagoria di effetti. Il costante dialogo con Eunice Branca, aiuta Schmidt a destreggiarsi nella sua nuova identità.

E, alla fine, colpo di scena finale, Jakob Moshe Solomon muore all'improvviso per un ictus e, per una strana alchimia (anche qui Heinlein non ci fornisce alcuna spiegazione) entra nel corpo di Eunice Branca che già ospita la mente di Schmidt e quella di Eunice e quindi nel finale si trovano tutti e tre assieme a dialogare e a confrontarsi.
 

Ricordo che questo romanzo mi entusiasmò, al pari di "Straniero in terra straniera" che lessi subito dopo: ma questo forse ancor di più, perché Heinlein affrontava il tema del fine vita e dell'immortalità che del resto compare in altre opere come in Lazarus Long, l'immortale oppure nel precedente I figli di Matusalemme.

E qui si tratta di un Heinlein più maturo che affronta i grandi temi filosofici della vita e della morte, ben lontano da quello delle prime opere "spaziali", tipo "La fanteria dello spazio", considerato una vera pietra miliare nel contesto della Space Opera militare.

Perché tutta questa tiritera su Heinlein?

Ieri, scartabellando Netflix, mi sono imbattuto tra i new release in un film non troppo recente (USA, 2015) il cui titolo è "Self/less", con un buon cast di attori e di buona fattura.

Le battute d'inizio della pellicola mi hanno fatto pensare irresistibilmente a "Non temerò alcun male", perché anche qui un ricco tycoon, ammalato gravemente, con metastasi diffuse e destinato a morire di lì a poco, decide di rivolgersi ad una società (quasi clandestina e solo da pochi conosciuta per via del passaparola) che si rivolge ad una audience di clienti facoltosi e motivati per aiutarli a sopravvivere alla propria prossima morte. 

Self/less

L'industriale ultramilionario Damian Hale, maestro nell'arte del potere, allontanato dalla figlia Claire, si scopre malato di cancro. Di fronte alla propria malattia terminale, viene a sapere di un'organizzazione scientifica segreta che gli propone la creazione in laboratorio di un corpo sano in cui la sua brillante mente potrà continuare a vivere, secondo gli studi di transumanesimo del professor Jensen. Dopo aver inscenato la sua morte pubblica di fronte all' amico Martin O'Neil e al mondo, Damian si sottopone alla procedura si trasferimento della sua mente in un corpo giovane (che ritiene sia stato clonato), detta "shedding", risvegliandosi secondo le promesse in un nuovo corpo giovane. Successivamente ad un periodo di riabilitazione, inizia la sua nuova vita, dovendo però dipendere dall'organizzazione che gli fornisce misteriose pillole antirigetto avvisandolo di possibili allucinazioni post intervento che presto tuttavia spariranno.


La parte iniziale del film potrebbe essere stata presa di peso dal romanzo di Heinlein, anche se poi i dettagli e l'evoluzione successiva divergono fortemente dal modello originario. 

Poi, tuttavia, la storia di Self/less diverge radicalmente da quella raccontata magistralmente (e con grande ironia) da Robert Heinlein. Cosa accomuna, in realtà, il romanzo e questo film (come anche un altro film simile che mi è capitato di vedere recentemente sempre su Netflix e di cui in questo momento - sfortunatamente - non ricordo il titolo)?

Simbolo del Transumanesimo

Credo che sia il tema del "transumanesimo" (ovvero del "Transhumanism") di cui questa, presa da wikipedia, è una possibile - sintetica definizione: Il transumanesimo (o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus) è un movimento culturale che sostiene l'uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l'invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana.

Quando Heinlein scrisse il suo libro di transumanesimo ancora non si parlava del tutto e il termine non era stato nemmeno coniato: e, quindi, egli è stato, da questo punto un autentico precursore e un visionario. Ma questa è, del resto, l'essenza della più pura declinazione della SF.

Ho trovato in rete, un articolo in cui, nel contesto di considerazioni più ampie, viene tracciato un parallelismo tra "Non temerò alcun male" e il transumanesimo: 

"La scienza sta vivendo oggi un pericolo crescente: quello di trasformarsi in tecnoscienza tendente ad abbandonare l’approccio olistico del disallineamento fisico della persona umana e ad eliminare il rapporto medico-malato. Stanno aprendosi varchi di consenso a teorie che si inscrivono nella corrente del Transumanesimo  ipotizzante un trasferimento dei dati di coscienza degli umani dentro una memoria delocalizzata totalitaria, una specie di titanico CLOUD da utilizzare per una successiva reviviscenza del contenuto di una mente dentro altri corpi e/o dispositivi esogeni. Sul tema, fanno pensare le implicazioni tecno-etiche dello scrittore di fantascienza Robert Heinlein nel suo memorabile libro NON TEMERO’ ALCUN MALE nel quale viene narrata la cascata di effetti collaterali rivenienti da un trapianto di cervello di un uomo in un corpo di donna. Il Transumanesimo sta per essere a sua volta sorpassato a sinistra dalla corrente dell’INTRASPECISMO  dove la differenza tra umani e animali scompare in nome della eliminazione del pensiero antropocentrico..."1

Il film non tributa nessun credito letterario, d'altra parte. C'è da dire anche che la SF letteraria, nel corso degli anni, ha creato dei modelli che sono entrati con forza nell'immaginario collettivo e che, quindi, poi finiscono per permeare in modo originale altre opere oppure danno vita a nuovi modi di vedere, senza che si abbia più alcuna consapevolezza della loro scaturigine.

Guardate questo film (che merita), ma soprattutto leggete il romanzo di Heinlein!

 

__________________________________________

Note

1. Tratto dall'articolo Gli effetti delle pandemie e la tecnoscienza che incombe (dettiescritti.it). Maiuscoletti nel testo originario.

Condividi post
Repost0
18 maggio 2023 4 18 /05 /maggio /2023 11:01
Stephen King, Fairy Tale, Sperling&Kupfer, 2022

Qualche tempo fa, quando ho cominciato la lettura dell'ultimo romanzo di Stephen King, Fairy Tale (nella traduzione di Luca Briasco), pubblicato nel 1922 da Sperlinga&Kupfer (Pandora), ho scritto nel mio profilo social: “Con enorme piacere ho cominciato la lettura dell’ultimo romanzo di Stephen King, pubblicato in traduzione. Mi sta piacendo moltissimo e lo sto centellinando per non arrivare subito alla fine. Richiede una fine degustazione”.

E adesso che sono arrivato alla frase fatidica “The End”, mi sono dovuto commiatare dai suoi personaggi e soprattutto dall’avventuroso protagonista Charles Reade, che - per un concorso di circostanze - trova l’accesso ad un mondo fantastico, il Reame di Enpis - un tempo bellissimo, ma ora preda di una maledizione e corrotto, di cui Charlie in persona diverrà il salvatore e della sua fedele cagna di pastore tedesco Radar (Rades), ricevuta in eredità da un Howard Bodwitch, suo vicino di casa (che vive in una dimora dall'aspetto misterioso in cima ad una collina, un po' tetra e spaventosa, tanto che viene indicata dai ragazzi del quartiere come "la casa di Psycho"), primo scopritore di questo mondo, uomo dai molti misteri, e che proprio a Charlie Reade trasferisce la conoscenza del mistero e della meraviglia di quest'altro mondo.


A tutti gli effetti, Fairy Tale potremmo definirlo un romanzo "dark-fantasy".

Le ultime cento pagine le ho letteralmente centellinate, proprio perché non sarei mai voluto arrivare alla parola fine di questa avventura che tanto mi ha fatto immergere nella magia di una narrazione assolutamente all’altezza de Il Talismano (scritto a quattro mani con Peter Staub) e di altri romanzi del migliore King (come ad esempio, con una tematica affine, è stata la narrazione di "22/11/1963", in cui il protagonista, essendogli data la possibilità di spostarsi indietro nel tempo, tenterà di evitare l'assassinio di J. F. Kennedy).
Eppure ogni storia finisce, anche la più bella.
Ma potrà essere ri-narrata e, nel caso, ri-letta più volte.
Il volume è corredato dalle splendide splendide illustrazioni di due diversi disegnatori: i capitoli pari con quelle di Gabriel Rodriguez che ha già collaborato con Joe Hill nel suo NOS4A2 e per la realizzazione di molte graphic novel e i dispari con quelle di Nicolas Delort.
I disegni accrescono l’atmosfera horror-fiabesca, secondo la migliore tradizione delle narrazioni fantastiche.
Ci sono qui molteplici suggestioni e citazioni: tra queste anche un indubbio omaggio alle storie dei Fratelli Grimm (la fiaba di Tremotino, viene citata più volte) a H.P. Lovecraft (con alcuni cupi riferimenti alle tematiche dei "Grandi antichi", a proposito dal mostro che minaccia di uscire dalle profondità corrotte del regno di Enpis, quando le due lune in cielo si congiungeranno) e ad altre apocalissi. 
Per esempio, uno dei nomi che non deve essere mai pronunciato ad alta voce - e nemmeno bisbigliato, se è per questo -  nel Reame di Enpis è Gogmagog, una parola proibitissima che suscita negli astanti un terrore profondo e senza nome: facendo un minimo di ricerche si scoprirà che il termine si ispira direttamente al Libro dell’Apocalisse secondo San Giovanni.
Ho trovato queste indicazioni al riguardo: con l’espressione ‘goga e magoga’ si indica un luogo leggendario e favoloso, in qualche angolo remoto della Terra.
I nomi Gog e Magog appaiono nell’Apocalisse di San Giovanni, dove rappresentano una terribile minaccia, ma anche nel libro di Ezechiele, in cui Gog, signore di Magog, è un principe di cui si profetizza che si schiererà contro Israele.
Ma su Wikipedia si trova anche il riferimento ad un gigante possente che avrebbe fondato Albione: 

Gogmagog (anche Goemagot, Goemagog, Goëmagot e Gogmagoc) era un gigante leggendario, presente nella mitologia gallese e successivamente in quella britannica. Secondo la Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (XII secolo), Gogmagog era un gigantesco abitante di Albione, gettato da una scogliera durante un incontro di lotta da Corineo, un compagno di Bruto di Troia. Gogmagog fu l'ultimo dei giganti che abitavano la terra di Albione, prima dell'arrivo di Bruto e dei suoi uomini. Secondo l'etimologia prevalente, Il nome "Gogmagog" deriva dai personaggi biblici Gog e Magog

La locuzione ha oggi perso il suo significato apocalittico, ma ha dato origine anche a un’altra espressione: «andare in goga e magoga», usata per descrivere il cadere dalle nuvole, perdere l'orientamento. 

 

Fairy Tale by Stephen King

(Soglie del testo) Un ragazzo, il suo cane, la discesa in un mondo magico e oscuro. Un'eccezionale favola dark. Benvenuti nel lato oscuro del «C'era una volta»
Charlie Reade è un diciassettenne come tanti, discreto a scuola, ottimo nel baseball e nel football. Ma si porta dentro un peso troppo grande per la sua età. Sua madre è morta in un incidente stradale quando lui aveva sette anni e suo padre, per il dolore, ha ceduto all'alcol. Da allora, Charlie ha dovuto imparare a badare a entrambi. Un giorno, si imbatte in un vecchio – Howard Bowditch – che vive recluso con il suo cane Radar in una grande casa in cima a una collina, nota nel vicinato come «la Casa di Psycho». C'è un capanno nel cortile sul retro, sempre chiuso a chiave, da cui provengono strani rumori. Charlie soccorre Howard dopo un infortunio, conquistandosi la sua fiducia, e si prende cura di Radar, che diventa il suo migliore amico. Finché, in punto di morte, il signor Bowditch lascia a Charlie una cassetta dove ha registrato una storia incredibile, un segreto che ha tenuto nascosto tutta la vita: dentro il capanno sul retro si cela la porta d'accesso a un altro mondo. Una realtà parallela dove Bene e Male combattono una battaglia da cui dipendono le sorti del nostro stesso mondo. Una lotta epica che finirà per vedere coinvolti Charlie e Radar, loro malgrado, nel ruolo di eroi. Dal genio di Stephen King, una nuova avventura straordinaria e agghiacciante, una corsa a perdifiato nel territorio sconfinato della sua immaginazione.

 

Hanno detto
«Per King non c'è mai confine tra i mostri che abitano la nostra vita quotidiana e quelli che potrebbero esistere in mondi paralleli, o persino nel nostro. Ma il punto è che sempre King riesce a creare qualcosa di nuovo. A raccontare da un altro punto di vista. A illuminare un altro pezzetto di realtà.» - Antonella Lattanzi, la Lettura
«Fairy Tale sa parlare bene della sofferenza, di una disperazione che fa stringere un patto con Dio: “Se lo fai per me, chiunque tu sia, farò qualcosa per te”.» - Thea Pellegrini per Maremosso

 

Stephen King

L'autore. Stephen King, nato nel 1947 a Portland nel Maine (USA), è autore di romanzi e racconti best seller che attingono ai filoni dell’orrore, del fantastico e della fantascienza, ed è considerato un maestro nel trasformare le normali situazioni conflittuali della vita – rivalità fra coetanei, tensioni e infedeltà coniugali – in momenti di terrore. Quando è ancora piccolo, sua madre deve far fronte a grandi difficoltà, perché il padre uscito di casa per fare una passeggiata non fa più ritorno. Nel 1962 inizia a frequentare la Lisbon High School e comincia a spedire i suoi racconti a vari editori di riviste, senza però alcun successo concreto. Conclusi gli studi superiori entra all'Università del Maine ad Orono, dove gestisce per un paio d'anni una rubrica all'interno del giornale universitario. Nel 1967 termina un primo racconto breve a cui fa seguito, qualche mese dopo, il romanzo La lunga marcia che riceve giudizi lusinghieri. Sottopone Carrie alla casa editrice Doubleday e ottiene un assegno di 2500 dollari come anticipo per la pubblicazione del romanzo.
A maggio arriva la notizia che la Doubleday ha venduto i diritti dell'opera alla New American Library per 400.000 dollari, metà dei quali spettano di diritto all'autore. Così, a ventisei anni, Stephen King lascia l'insegnamento per dedicarsi alla professione di scrittore. Da quel momento la sua carriera non avrà più interruzioni. Nel 1971 si sposerà con Tabitha, conosciuta due anni prima lavorando nella biblioteca dell'Università. Con un'operazione innovativa, il 14 marzo 2000 diffonderà esclusivamente su Internet il racconto Riding the Bullet. Nell'autunno dello stesso anno pubblicherà On writing: autobiografia di un mestiere, un'autobiografia e una serie di riflessioni su come nasca la scrittura. Tra i suoi libri più noti si ricordano Shining (1976; il film, del 1980, venne diretto da Stanley Kubrick); La zona morta (1979; versione cinematografica del 1983, per la regia di David Cronenberg); Christine la macchina infernale (1983; il film, dello stesso anno, è di John Carpenter); It (1986, il film è del 1990); Misery (1987; noto in Italia con il titolo Misery non deve morire, la pellicola è stata realizzata da Rob Reiner nel 1990), Mr Mercedes (2014). Tra gli altri ricordiamo: Cuori in Atlantide (2000), La casa del buio (2002), Notte buia, niente stelle (2010), Chi perde paga (2015), Fine turno (2016), The Outsider (2018), Elevation (2019), L'istituto (2019), Later (2021) e Fairy Tale (2022). È del 2016 la nuova edizione aggiornata di Danse macabre, pubblicato da Frassinelli con l'introduzione e cura di Giovanni Arduino. A Stephen King è stata assegnata nel 2003 la National Book Foundation Medal per il contributo alal letteratura americana, e nel 2007 l'Associazione Mystery Writers of America gli ha conferito il Grand Master Award.

Condividi post
Repost0

Mi Presento

  • : Frammenti e pensieri sparsi
  • : Una raccolta di recensioni cinematografiche, di approfondimenti sulle letture fatte, note diaristiche e sogni, reportage e viaggi
  • Contatti

Profilo

  • Frammenti e Pensieri Sparsi

Testo Libero

Ricerca

Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


frammenti-e-pensieri-sparsi.over-blog.it-Google pagerank and Worth