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28 dicembre 2024 6 28 /12 /dicembre /2024 13:54
John Katzenbach, Corte Marziale (nella traduzione di S. Bonussi), Mondadori (collana Omnibus), 2000

Ho intrapreso a dicembre la lettura di uno degli ultimi romanzi che mi erano restati da leggere di John Katzenbach (almeno di quelli tradotti in italiano, anche se uno l’ho letto in lingua originale): si tratta di Corte Marziale (titolo originale Hart's War, nella traduzione di S. Bonussi), pubblicato nel 2000 da Mondadori (collana Omnibus), e devo dire che è stata una bella lettura, con a trama narrativa corposa e avvincente.
Il romanzo riporta ad un’atmosfera di guerra e precisamente ad eventi che si svolgono in un campo di prigionia tedesco, dove sono confinati prigionieri di guerra, in massima parte ufficiali di aviazione americani e britannici, catturati in azione.
La trama è quella di un legal thriller ambientato nel campo di prigionia, dove con tutti i crismi (pur con le limitazioni imposte dalla condizione di prigionieri) viene attivata una procedura di corte marziale per giudicare il presunto colpevole di un efferato omicidio che vede come vittima un ufficiale americano che ha sviluppato una piccola economia di traffici e di scambi per trarre dei vantaggi personali (chiamato condominio di “Trader Vic”).
Il protagonista Tommy Hart, in virtù della sua vocazione a portare avanti gli studi giurisprudenziali, viene chiamato a svolgere il ruolo di difensore.
Il presunto colpevole è un altro ufficiale di aviazione, Lincoln Scott, il quale come unica sua colpa ha quella di essere nero ed anche quella di essere stato sottoposto a vessazioni di stampo razzista. 
In qualche modo viene ad essere designato come capro espiatorio di un delitto, del quale si professa innocente e di cui sin dall’inizio appaiono indizi indicanti altre piste che però vengono insabbiate.
Tommy Hart dovrà condurre una battaglia contro pregiudizi, intimidazioni, tentativi di insabbiamento, sino al raggiungimento della verità e comunque di ciò che altri avevano tentato di occultare.

Nella narrazione, si intrecciano anche i temi della fuga e della ricerca della libertà che abbiamo avuto modo di apprezzare inoltre narrazioni anche cinematografiche, si pensi ad esempio a "Fuga per la vittoria" in cui mentre l'attenzione generale è distratta dalla preparazione di una partita di calcio tra una squadra formata da prigionieri americani e una da soldati tedeschi vine messo  a punto un piano di fuga, secondo l'assioma un po' asserito in modo retorico (ma ci sta) che gli ufficiali prigionieri al comando devono sempre predisporre piani di fuga poichè il dovere di un buon soldato è cercare di di non arrendersi e pertanto di cercare in tutti i modi di fuggire se le circostanze lo consentono; oppure si pensi anche a "Il ponte sul fiume Kwai", in cui dietro un'apparente collaborazione con i Giapponesi si cela un progetto opposto dei prigionieri britannici che è quello dell'attuazione di un sabotaggio.

Come si apprende dalla postfazione, scritta dallo stesso autore, la storia da lui scritta si basa sulle esperienze dirette del padre, prigioniero di guerra durante il secondo conflitto mondiale
Il protagonista, Tommy Hart, è sicuramente ispirato alla figura del padre, alle sue esperienze nel campo di prigionia e al suo percorso successivo quando, avendo studiato i testi della giurisprudenza, da prigioniero, rientrato negli States poté conseguire la laurea in giurisprudenza, avviando la sua carriera di avvocato.
Così scrive l’autore nella sua nota finale (non mi perdo mai la lettura delle note finali perché spesso si svelano tanto sul processo creativo dell’autore e sulle sue fonti di ispirazione):
Mio padre era al terzo mese del suo primo anno alla Princeton University quando Pearl Harbor venne attaccata. Come moltissimi altri giovani della sua generazione si arruolò all’istante, e poco più di un anno dopo si ritrovò a tracciare la rotta di un B-25 Mitchell al largo della Sicilia. Il ‘Green Eyes’ venne abbattuto nel febbraio del 1943 dopo il bombardamento al volo radente di un convoglio tedesco destinato al rinforzo degli Africakorps di Rommel. Mio padre e gli altri uomini dell’equipaggio vennero ripescati dai tedeschi. Inizialmente trascorsero qualche settimana in un campo di prigioniera italiano a Chieti, quindi furono trasferiti con un treno merci allo Stalag Luft 3 di Sagan, in Germania nei pressi del confine polacco. Fu lì che mio padre trascorse quasi tutta la guerra.
(…) l’unico dettaglio della sua prigionia e delle difficoltà che aveva dovuto sopportare di cui ci parlava era il modo in cui era riuscito ad ottenere tutti i libri di cui avrebbe avuto bisogno per i suoi studi universitari attraverso la YMCA (l’organizzazione dei giovani cristiani). Aveva studiato su quei volumi, replicando i corsi che avrebbe frequentato se fosse stato ancora uno studente, e al suo ritorno negli Stati Uniti aveva convinto l’università a lasciargli affrontare due anni di esami in sole sei settimane per potersi laureare insieme alla sua classe. L’impresa di mio padre, già di per sé notevole, assunse in casa nostra una sorta di statura mitica. La lezione che ci insegnava era semplice: da ogni situazione, per quanto difficile essa sia, ci si può ritagliare un’occasione.
È stata quell’occasione sfruttata da mio padre nel lontano 1943 a fornirmi l’ispirazione per ‘Corte marziale”. Ma al di là di questo riconoscimento, è importante chiarire che i personaggi, le situazioni e l’intreccio del romanzo sono miei.
(…)
Il mondo del mio Stalag Luft 13 di fantasia è una combinazione di diversi campi. Gli eventi del romanzo, pur basati sulla realtà dell’esperienza dei prigionieri di guerra, sono inventati. Gli ufficiali, sia tedeschi sia alleati, che popolano queste pagine non sono direttamente ispirati a uomini realmente esistiti, vivi o morti che siano
” (Nota dell’autore, pp. 495-496)

Il romanzo è stato tradotto in film nel 2002, con il titolo “Sotto corte marziale” (Hart's War), per la regia di Gregory Hoblit, con Cole Hauser, Colin Farrell (nella parte di Tommy Hart), Bruce Willis (nella parte di McNamara), Maury Sterling, Vicellous Reon Shannon, Linus Roache.
Purtroppo il film non ho avuto modo di vederlo, ma - a giudicare da alcune sequenze proposte nel trailer - a scopo meramente spettacolare (e per soddisfare il gusto tutto americano per l’azione) sono state introdotte delle variazioni rispetto alla narrazione originale.

Mi piace concludere questa recensione, citando la frase finale della nota dell’autore in calce al volume, a proposito dell’importanza della memoria e delle storie del passato:
A volte penso che viviamo in un mondo così ossessivamente dedito a guardare avanti che spesso dimentica di concedersi il tempo per guardarsi alle spalle. Ma alcune delle nostre storie migliori si trovano nella nostra scia, e sospetto che, per quanto possano essere crudeli, ci aiutano a capire dove siamo diretti“ (Ib., p. 497)

(Soglie del testo) Siamo in un campo di prigionia tedesco, destinato ad aviatori americani e in inglesi, caduti prigionieri nel corso di azioni belliche durante la II guerra mondiale. 
Aprle 1944: nella latrina di un campo di prigionia tedesco viene rinvenuto il cadavere di Vincent Bedford, capitano dell'aviazione americana. Ogni indizio sembra condurre all'aviatore di colore Lincoln Scott. Con il benestare delle autorità nemiche, viene approntata una corte marziale americana. 
Il caso sembra semplice. 
Ogni indizio conduce all'aviatore di colore Lincoln Scott, l'unico ad avere un movente per uccidere un uomo apparentemente benvoluto da tutti. 
Il caso è semplice e il verdetto sembra già scritto. 
Ma chi era davvero il pluridecorato capitano Bedford? Chi sono i suoi amici, che ora invocano a gran voce il plotone di esecuzione per Scott? 
Privo di esperienza, ma ostinato e tenace, Hart dovrà dipanare un'ingarbugliata matassa in cui si intrecciano pregiudizi razziali, interessi economici, lotte di potere e violenti conflitti. 
E affrontare nemici che non sempre parlano una lingua diversa dalla sua.

 

John Katzenbach (da Wikipedia)

L’autore. John Katzenbach, nato nel 1950 a Princeton (USA), figlio di una psicoanalista e di un avvocato, si è laureato in letteratura anglo-americana nel 1972.
Il suo primo romanzo venne pubblicato mentre era reporter del "Miami Herald", dove si occupava di cronaca nera.
Nel 1987 divenne scrittore a tempo pieno con il romanzo che in Italia fu pubblicato con il titolo Facile da uccidere.
È stato inviato giudiziario anche per il "Miami News". Tra i suoi libri ricordiamo: Maledetta estate, Facile da uccidere, La giusta causa, Il giorno del ricatto, Il carnefice, Il cinquantunesimo stato, Corte marziale, L'analista, La storia di un pazzo e L'uomo sbagliato.
In Italia i suoi libri sono editi da Mondadori e da Fazi Editore.
Da alcuni suoi libri Hollywood ha tratto dei film.

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7 dicembre 2024 6 07 /12 /dicembre /2024 07:18
Giuseppe Trevisan, La Vita Rubata

La vita rubata. Memorie di un quasi adatto tra manicomi elettrici e servizi territoriali difettosi di Giuseppe Trevisan, pubblicato da Nuovadimensione, nel 2022 (con una precedente edizione nel 2015 per Futura Edizioni) è un testo tra diario e memoir, molto interessante e attuale, il cui l’autore, creando un personaggio fittizio che è il soldato Pino Lancia, racconta le sue personali vicissitudini a partire dal primo internamento in manicomio e poi, attraversando una serie di contatti successivi con le istituzioni psichiatriche, nel periodo cruciale che vide poi la promulgazione della legge 180 del 1978, e - a seguire - con i servizi psichiatrici nati successivamente a tale data. Le sue esperienze si svolgono a Udine, Pordenone e dintorni.
Il volume è completato da un inserto fotografico che illustra momenti diversi della vita di Giuseppe Trevisan e che offre degli scorci sull’ospedale psichiatrico di Udine.
Il volume è arricchito da una postfazione scritta da Giorgio Simon, che ha avuto un ruolo importante come dirigente nell’Agenzia regionale della sanità del Friuli Venezia Giulia, con il titolo “La vita rubata, note storiche su servizi e diritti”
A chiusura, con il titolo ”Apriamo quelle porte: colloqui sanvitesi con Mario Novello“, segue la trascrizione di due incontri promossi dall’Associazione Fuoritema, avvenuti a San Vito al Tagliamento nel novembre 2018 e nel gennaio 2019 in cui lo stesso Mario Novello nella forma di una lunga intervista racconta le esperienze di transizione dell’assistenza psichiatrica in Friuli Venezia Giulia dopo il 1978, ma includendo anche - ovviamente - importanti considerazioni e ricordi del suo lavoro a fianco di Franco Basaglia, a Trieste.
Viene da ultimo, ma di importanza per l’inquadramento generale dell’opera, un commento a firma della Aps Fuoritema, che nella sua qualità di associazione che lavora per l’inclusione sociale, ha promosso la pubblicazione del volume e che, nelle sue parole conclusive, pone sul tappeto dei nodi problematici attuali e scottanti sullo stato dell’arte dell’assistenza psichiatrica in Italia.

Dalla postfazione di Giorgio Simon: “La vita rubata attraversa la storia dei diritti e delle istituzioni italiane di mezzo secolo. Racconta della sanità militare, dei manicomi, del ricovero coatto di quello volontario, della nascita dei servizi territoriali e dell’applicazione della legge 180. Ma soprattutto racconta che fino a molti anni fa anche in Italia era considerato normale rinchiudere una persona malata, maltrattarla, privarla di ogni diritto e dimenticarsi di lei

(Quarta di copertina) Il soldato Pino Lancia ha difficoltà d'inserimento nel mondo militare e cerca tutte le scappatoie per sfuggirvi: ma inutilmente. Ci viene inserito a forza in quel groviglio di serpi. Persino un vecchio amico di suo padre, un alto ufficiale, non riesce a fargli ottenere l'esonero. Così Pino Lancia viene internato in manicomio (perché a giudizio del direttore dell'ospedale militare ha ottenuto troppi giorni di convalescenza) in un padiglione di "malati"; e comincia il suo calvario. Si rende conto che l'ospedale psichiatrico provinciale non guarisce, anzi, peggiora la situazione: gli psicofarmaci profusi a piene mani, gli elettroshock, il lettino di contenzione, il cibo scadente, peggiorano il suo stato di salute, e lo gettano sull'orlo della follia. In appendice, un importante contributo di Mario Novello sugli anni in cui ha lavorato con Franco Basaglia.

L’autore. Giuseppe Trevisan detto “Pino Lancia” nasce a San Vito al Tagliamento (Pordenone) il 2 marzo 1949. Compie studi regolari mostrando però attitudine per le materie umanistiche e, in particolare, per letteratura e poesia. 
Fin dalla giovinezza conosce il disagio psichico. 
Entra nel mondo del lavoro provandosi nei più svariati mestieri: ristoratore agente di commercio, bracciante agricolo e anche “operatore psichiatrico“ ha pubblicato le raccolte di poesie “Le lacrime di Dio” (2007) e “Angeli di strada“ (2010)

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16 ottobre 2024 3 16 /10 /ottobre /2024 13:53

“Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.”

Stefano Catellani, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, Bollati Boringhieri (p. 11)

Catelllani, Fort Apache, Bollati Boringhieri, 2003

Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.” (p. 11)
Questo è ciò che scrive Stefano Catellani nelle pagine introduttive al suo saggio clinico, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, edito da Bollati Boringhieri (nell'ambito della Collana L’esperienza Psicologica e Medica), nel 2003.
L’autore - nella sua introduzione al testo - esplicita la sua volontà di non voler uscire dal crocevia principale per imboccare delle strade laterali e meno trafficate di tipo super-specialistico e, quindi, afferma la sua determinazione nel definire se stesso come uno psichiatra “qualsiasi”, cioè psichiatra e basta, senza ulteriori aggettivazioni, e dunque psichiatra “senza qualità” (in ciò, forse, strizzando l'occhio a Robert Musil).
Ciò allo scopo di evitare il potere stigmatizzante dell’ideologia che è contenuta implicitamente nella scelta di un campo di applicazione piuttosto che di un altro quando ci si accosta ai saperi psichiatrici, poichè tale scelta - con le sue ricadute nelle prassi della quotidianità clinica - è pericolosa, teoricamente, clinicamente e ideologicamente e si presta a derive oppure ad esclusioni e scotomi (per esempio, relativamenti alla determinazione di quali siano i pazienti "buoni" da trattare e quali invece da abbandonare a se stessi, perché ingestibili, ingovernabili etc etc).
Ritengo che solo lo sforzo di confrontarsi continuamente con la contraddittorietà dei propri linguaggi interni e dei propri saperi possa permettere alla psichiatria e agli psichiatri di tentare di confrontarsi con i linguaggi contraddittori e contrastanti dei loro pazienti.” (p. 14)
Questo libro - come dice il titolo - è stato scritto da uno psichiatra «qualsiasi», che opera nei servizi territoriali del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, e racconta delle storie cliniche. Sopraffatti da linee-guida e diagrammi, pare che gli psichiatri — come pure spesso gli psicoanalisti — non siano più capaci di raccontare se non in forma di brevi schemi anamnestici o di sintesi di puntate di diario clinico asettiche e povere di anima, oppure ancora in forma di “excerpt” ovvero di estrapolazioni decontestualizzate che servono all’autore che li cita per dimostrare una certa tesi.
Invece, Catellani racconta bene, di sé e dei pazienti che sceglie per le sue storie. Ribadiamo: storie e non anamnesi, e nemmeno le malefiche «vignette», storielline cliniche funzionali solo all'enunciato che lo psichiatra o lo psicoanalista stanno sostenendo. 
Qui no, sono raccontate finemente nei dettagli vicende esistenziali e vicende di incontri: per che via il paziente arriva, in ambulatorio o al Pronto Soccorso, cosa fa e cosa racconta di sé, come reagiscono paziente e medico all'incontro, nei comportamenti e nelle parole e come si storicizzano a vicenda, scrivendo della relazione terapeutica una narrazione condivisibile e condivisa.
Un clima fortemente interpersonale, perché l'uomo-psichiatra si china accanto all'uomo-paziente, più interessato alla sua vita e alle rappresentazioni di sé, e ai pensieri e agli affetti che in lui ne derivano, che alla sola psicopatologia: lo psichiatra - e lo psicoanalista - modifica, con il suo intervento, il campo su cui interviene e, nel momento in cui è in gioco, non può più presumere di conservare una osservazione neutrale né, tanto meno, oggettivante, pena la reificazione del suo stesso pensiero e del suo agire (per mano delle nosografie, linee-guida, protocolli, manuali di tecnica etc.).
Queste storie e queste convinzioni sono raccontate con uno stile sobrio e semplice, senza eccedere in tecnicismi (ma ricorrendo ad una epicrisi teorica, quando ciò appare necessario), esprimendo nello stile un modo di raccontare che, trasmettendo anche delle emozioni e lasciando trapelare la soggettività del terapeuta, è pieno, ricco, elegante.
I casi clinici illustrati da Catellani dimostrano che si può uscire da alcuni schemi precostituiti nell’assistenza al malato psichiatrico: e poi c’è da chiedersi chi sia o cosa sia effettivamente, oggi, il malato di mente.
Il libro di Catellani è stato pubblicato nel 2003: e a distanza di vent’anni è tuttora valido e pienamente attuale, in quanto illustra - pur con tutte le difficoltà - un modello di intervento virtuoso e praticabile in direzione ostinata e contraria rispetto a modelli operativi pigri oppure intrisi di pregiudizi antichi anche se mascherati con nuovi volti.
Oggi come oggi, abbiamo bisogno di molti altri libri come questo di Catellani per scardinare alcuni costrutti mentali e sociali sulla follia e sui disturbi psichici che, tuttora vigorosi, rimandano a una dimensione ancora ben radicata di “manicomio mentale” che poi porta - nelle prassi quotidiane - all’attivazione di “mini-manicomi” o di manicomi “chimici”.
Libri come questo oppure come altri di più esplicita denuncia delle malpractice medico-psichiatriche come sono quelli scritti in anni più recenti da un Piero Cipriano, neo-basagliano convinto e battagliero.
Il volume è dotato di alcune appendici che lo rendono particolarmente interessante tra le quali una su alcune ”parole dubbie“ del gergo psichiatrico, ma anche una di citazioni colte, oppure un’altra (titolata "Creativa mente") contenente degli esempi di produzioni letterarie degli stessi pazienti, proprio per dare voce a questi ultimi dal momento che, spesso, anche nelle pratiche psichiatriche attuali il paziente tende a perdere la propria soggettività, o meglio ne subisce la sottrazione.
Scrive Catellani: “Ho scritto gran parte di questo libro per raccontare le storie di pazienti diagnosticati come schizofrenici e per uscire dalle gabbie di questa definizione. (…) … nulla di tutto ciò descrive l’incredibile esperienza umana di questi pazienti. “ (p. 291)
E poi ancora: “Il setting riveste grande importanza per chi, come me, ritiene che in ogni lavoro psichiatrico, anche nella pura prescrizione farmacologica, vi sia sempre una funzione psicoterapeutica attiva (che può essere positiva o negativa). la psichiatria non ha grandi costi: non necessita di dispendiosi macchinari, né di farmaci dei prezzi proibitivi [anche se - va pur detto - a distanza di vent’anni da queste parole non si può non rilevare che il trend delle case farmaceutiche è quello di imporre nuove molecole estremamente costose - nota mia]; le nostre ‘sale operatorie’ sono gli ambulatori, il nostro ‘bisturi’ é il tempo, le nostre ‘risonanze magnetiche’ sono costituite dall’ascolto. La qualità, la stabilità e la continuità del setting (tempo e luogo dell’ascolto) sono indispensabili ad una buona assistenza psichiatrica.” (Ib., pp 291-292)

(Quarta di copertina) Le storie di questo libro nascono dal bisogno e dal desiderio dell'autore, impegnato nel lavoro con pazienti psichiatrici, di raccontare le vicende in cui si è trovato a essere coinvolto emotivamente: si tratta di rielaborazioni di relazioni cliniche, oppure ricordi di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutti sono diventati spunti di riflessione sulla pratica quotidiana dell'assistenza psichiatrica. Ma soprattutto l'autore avverte l'esigenza di narrare la vita, i sentimenti, gli umori, le relazioni di persone vive e reali, per uscire dall'atrofia intellettuale delle parole burocratiche e spersonalizzanti delle cartelle cliniche e delle classificazioni diagnostiche.
Narrare per valorizzare l’esperienza, per evitare che il fiume della vita (dei pazienti, e dell’autore stesso) resti in sabbiato nel deserto delle nosografie e dei protocolli. Catellani auspica c’è questa storie questi appunti possano aiutare i lettori a rivedere i pregiudizi nei confronti dei pazienti psichiatrici e dei disturbi mentali di cui tutti siamo più o meno portatori, a superare le barriere concettuali tra salute e malattia, tra “normalità” e follia

L’autore. Stefano Catellani, psichiatra, e dirigente medico in psichiatria presso la Asl della città di Bologna.

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4 ottobre 2024 5 04 /10 /ottobre /2024 07:28
Italo Bonera, E' stata legittima difesa, Ianieri, 2024

Ho letto con grande piacere il recente romanzo di Italo Bonera, È stata legittima difesa, pubblicato da Ianieri (Le Dalie Nere), nel 2024
Innanzitutto come classificare questo romanzo?
Beh! Io lo collocherei sicuramente nell’ambito del noir come genere letterario anche se vi è, al contempo, una forte componente di studio psicologico del personaggio principale che fa guadagnare a questa narrazione punti per una pole position anche in una dimensione letteraria più generalista e meno di genere, legandola peraltro anche a una dimensione sociologica dell’attualità del femminicidio e della fucina interiore da cui scaturiscono questi crimini. 
Il protagonista Gabriele è - come dice il risvolto di copertina - un maschio molto “basic”: poche aspirazioni, ma un impiego stabile, una famiglia tipo fatta di moglie e due figli, vita di routine piena di impegni lavorativi e familiari in una città di provincia. 
Dentro di lui, tuttavia, si agitano delle forze oscure di cui non ha grande consapevolezza: e si tratta di forze sulfuree che scaturiscono da un passato di cui non ha memoria e in cui si deposita greve peso d’una tragedia familiare da lui personalmente vissuta (o, forse, direttamente provocata dalle sue passioni e consuetudini di piccolo chimico in erba).   
Vi è anche il continuo dialogo con un compagno, amico immaginario, il “vecchio con il Campari”, con il quale si confronta e discorre nei momenti critici.
Le forze oscure sono tenute a bada anche nella sua consuetudine con le armi da fuoco e con la sua frequentazione di un poligono di tiro. 
Emerge e si fa sempre più evidente una componente immaginaria e allucinata nella vita quotidiana di Gabriele che rende gli incontri con altre persone, anche per via delle sue incombenze lavorative, dense di significati e di possibili sviluppi
Ed è quello che accade nell’incontro con l’enigmatica Leonarda, di cui Gabriele - dopo un casuale primo approccio - diviene amante. Ma poi chi sia “veramente” Leonarda rimane del tutto inesplicato, se cioè sia un personaggio reale, oppure reale, sì, ma trasmutato dalle elucubrazioni e dai costrutti immaginativi di Gabriele.
Vi è in definitiva, in questo processo, la rappresentazione di un delirio nel suo farsi, un percorso nel quale il delirio diviene il modo attraverso cui il delirante si va costruendo man mano un mondo accettabile all'interno del quale muoversi,
Dal momento del fatidico incontro in poi gli eventi interni ed esterni evolvono rapidamente verso un esito drammatico.
Non starò a raccontare ulteriori dettagli della trama, per non fare da spoiler a chi si accingesse alla lettura di questo romanzo che consiglio vivamente.
La cosa davvero interessante di questa quinta prova letteraria di Italo Bonera è stata la capacità di sollevarsi dalla letteratura di genere (come sarebbe stato un semplice noir) per entrare in un ambito letterario di più ampio respiro in cui si intersecano piani diversi che sono quello immaginario del protagonista e quello della vita reale assieme alle ossessioni del controllo che caratterizzano il nostro vivere quotidiano e che, in alcuni casi, possono diventare dei demoni potenti che condizionano il nostro agire, guidandolo a volte verso le più drammatiche conseguenze.
Ho detto che, nella lettura, si va rapidamente verso la fine dal momento dell’incontro con Leonarda, ma tengo a precisare  che questo avverbio “rapidamente” riguarda l’assetto psicologico del lettore nello scorrere le pagine del romanzo, che letteralmente volano via, poiché in realtà in questo incontro e nei suoi sviluppi c’è tutto il romanzo.
Ritengo che sia anche fortemente drammaturgico l’espediente cui ricorre l’autore, cioè  quello di introdurre, come intercalare, un punto di vista esterno, di tipo - direi - giudiziario, che cerca di ricostruire le dinamiche degli eventi ex-post, in una supposta aula di tribunale, fornendo al lettore la possibilità di aggiungere - come in un puzzle - le ultime tessere mancanti della storia, volutamente omesse e fornendo al tempo stesso un inatteso sviluppo collaterale, con l’aggiunta di un ulteriore punto di vista.


(Risvolto) Nello squallore d’una provincia asfittica, dove ognuno non riesce a comunicare se non con sé stesso, Gabriele, quarantenne basic, vive una mediocre normalità: la bella moglie, i figli, gli amici del bar, la macchina, il lavoro. E un immaginario ascoltatore delle sue lamentazioni, “il vecchio del Campari”, sintomo d’una precarietà di equilibrio, detrito d’un trauma passato. La routine del protagonista viene sconvolta dall’incontro con Leonarda, decisa a succhiare la vita fino all’ultimo respiro e a fare tutto ciò che non hai mai osato prima, senza rimpianti e finché il destino glielo concederà. La loro relazione clandestina è magnetica, irrazionale, sensuale e diventa in breve uno scontro tra mondi in rotta di collisione, mettendo in luce i rapporti tossici di Gabriele e la sua smodata ansia di controllo


 

Italo Bonera

L’autore. Italo Bonera è nato e risiede a Brescia. Insieme al conterraneo Paolo Frusca, è l’autore di “Ph0xGen! Mille soli per l’impero“, romanzo ucronico giunto finalista al concorso Urania nel 2006 e quindi pubblicato per la prima volta nel 2010 da Mondadori, nella collana Millemondi. Ha collaborato con Frusca anche alla realizzazione della raccolta di racconti fantascientifici “Cielo e ferro. Il futuro è cambiato” (La Ponga, 2014). Nel 2013, Gargoyle ha dato alle stampe il suo thriller distopico dal titolo “Io non sono come voi”.
(
da "Brescia oggi) Ha cominciato a scrivere, scrivere sul serio, vent’anni fa. Senza chiedersi se fosse tardi, a quarant’anni compiuti. Tu chiamala, se vuoi, urgenza. Vent’anni senza fermarsi mai: «Sono al mio quarto romanzo, devo terminare la stesura del quinto. Ho concluso racconti innumerevoli, sto lavorando ai prossimi due. Due o tre. Dopodiché avrei in animo di fare un altro paio di romanzi». Ci arriverà, Italo Bonera. Gli basta andare dove lo porta il cuore, come dimostra «Il male che fa bene»: edito da Calibano, fresco d’uscita, storia di una vita che non concede tregua ed è un forte sentire in ogni suo attimo.

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19 settembre 2024 4 19 /09 /settembre /2024 06:46

Si tratta di una mia nota del 2009, scritta a commento di una foto da me scattata (testo in buona parte di tipo compilativo)

Maurizio Crispi (18 settembre 2009)

Lombrico stanato dalla pioggia

Dopo la pioggia vengono fuori i vermicelli, lunghi e grassi
In realtà, si tratta di quelli che più appropriatamente si chiamano lombrichi e, quando si parla di lombrichi, il pensiero non può che correre a Darwin.
Su queste umili creature Charles Darwin, che oggi compirebbe 200 anni, scrive l’ultimo libro della sua vita, nel 1881, un anno prima di morire. Il libro si intitola "The formation of Vegetable Mould, Through the action of Worms, with Observation on Their Habits"  (tradotto in italiano con il titolo "L'azione dei vermi") e molti studiosi lo considerano una curiosità o addirittura una stranezza, non all’altezza di un naturalista del suo calibro.

Fa eccezione Stephen Jay Gould, che sostiene che quest’ultima opera è «una celata sintesi dei principi di argomentazione, elaborati lungo un’intera vita, identificati e utilizzati nella più grande trasformazione della natura mai prodotta da un solo uomo». «I vermi – continua Gould – sono a un tempo umili e interessanti, e il lavoro di un verme, se sommato per tutti i vermi, per lunghi periodi di tempo, può plasmare il paesaggio e modellare il suolo». Il terreno è qualcosa che l’intuito ci porta a considerare come molto stabile, se non addirittura immutabile. Forse è perché ci appoggiamo sopra le nostre case, i beni immobili cui affidiamo il nostro benessere e la nostra protezione. Darwin dimostra però che il suolo tanto stabile non è perché è in realtà sottoposto a un continuo fermento provocato dai lombrichi.

Darwin svela l’entità del lavorio di queste piccole bestie sulle turbolenze del suolo in maniera meticolosa. Innanzitutto dà i numeri, calcolando «quale vasto numero di vermi vive non visto da noi, sotto i nostri piedi»: oltre 21 000 per ettaro di suolo britannico (pari a 142 chilogrammi di vermi). Poi con i dati che raccoglie da persone sparse in ogni angolo del pianeta, arriva a concludere che i vermi sono distribuiti in maniera molto più ampia e in una varietà di ambienti ben superiore rispetto a ciò che noi possiamo immaginare. Quindi scava buchi profondi nel terreno per vedere quanto i vermi si estendono in profondità nel suolo. Infine cerca evidenze dirette del continuo ricircolo del terriccio sulla superficie terrestre, che sarebbe provocato dall’ingestione e dall’escrezione della terra da parte di queste bestie tubuliformi.

Darwin compì numerose, pazienti misure degli escrementi dei lombrichi, che stima variare fra 3 e 7 tonnellate per ettaro. Secondo i suoi calcoli ogni dieci anni si formano fra 2 e 6 centimetri di nuovo terriccio. Sono numeri non trascurabili, se li moltiplichiamo per migliaia di anni. Viene da pensare che i vermi abbiano contribuito ad affossare le rovine greche e romane su cui si sono costruite le nostre città medievali e moderne. L’ultimo libro di Darwin è dunque, citando di nuovo Gould, «un trattato esplicito sui vermi e il suolo, e una discussione velata di come è possibile imparare sul passato studiando il presente».

Buon compleanno Mr. Darwin!

Il saggio ultimo di Darwin fa riflettere sulla finitezza della vita e sul modo in cui attraverso la morte e il disfacimento si generi di continuo nuova vita

Charles Darwin, L'azione dei vermi

Charles Darwin, L'azione dei vermi (a cura di Giocchino Scarpelli, nella traduzione di Milli Graffi), Mimesis, 2012

Ultima opera di Charles Darwin, questo studio sulle piccole creature della terra convalida la teoria dell’evoluzione. Come una metafora dell’intero sistema, il lombrico agisce allo stesso modo della selezione naturale: lavora in modo nascosto e instancabile, e con la complicità del tempo è in grado di trasformare la faccia del pianeta. Dedicato appunto allo studio delle creature più ordinarie e umili, il testo del grande naturalista rivela come i lombrichi, nel loro inesausto impegno nel rivoltare e vagliare la terra, producano alla lunga vasti e inaspettati effetti, dalla formazione dell’humus al dissodamento del suolo, alla trasformazione del paesaggio stesso. Tutt’altro che esseri spregevoli, nonostante l’aspetto, i lombrichi delle pagine di Darwin, dalle quali trapela una poeticità profonda, dimostrano anche barlumi di quella che chiamiamo intelligenza. Qual è allora il lascito di Darwin, in quest’opera che precede di poco la sua scomparsa? Che la Selezione Naturale è come un verme, cieca e instancabile. Che l’uomo non è l’unico detentore dell’intelletto. Che esiste nel regno animale una scala nella distribuzione di facoltà e disposizioni, ma nessun salto, poiché la nostra origine è comune. Anche se tocca alla specie umana il dovere di salvaguardare e preservare il mondo vivente.

Charles Darwin (1809-1882) con la teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale ha rivoluzionato la scienza, la filosofia e il pensiero occidentale. L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale fu pubblicata nel 1881, benchè quello di Darwin fosse un interesse che risaliva al 1837. Le sue opere più celebri sono Viaggio di un naturalista intorno al mondo (1839), L’origine delle specie (1859), L’origine dell’uomo (1871) e L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872).

Giacomo Scarpelli insegna Storia della Filosofia all’Università di Modena e Reggio Emilia. È autore dei volumi Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo (1993), Il dio solo. Alle origini del monoteismo (1997), La scimmia, l’uomo e il Superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni (2008), Ingegno e congegno. Sentieri incrociati di filosofia e scienza (2011). Ha curato l’edizione di opere di Kant e di Bergson e Storia della biologia in Italia (1987). 

Milli Graffi, poetessa e anglista, ha insegnato all’Università di Verona. Dirige la rivista “Il Verri”. Ha pubblicato i volumi di versi Mille graffi e venti poesie (1979); Fragili Film (1987); L’amore meccanico(1994); Centimetri due (2003), Embargo voice (2006) e, inoltre, studi su Marinetti, Palazzeschi e Breton. Tra le sue traduzioni Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio (1989), e La caccia allo Snualo (1985) di Lewis Carroll.

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21 agosto 2024 3 21 /08 /agosto /2024 11:25
La Parabola del Seminatore di Octavia E. Butler

La parabola del seminatore (Parable of the Sower), opera della maturità di Octavia E. Butler e pubblicata in lingua originale nel 1993 (in lingua italiana per la prima volta nel 2000, nella traduzione di Anna Polo nei tipi di Fanucci, collana Solaria) è un racconto di speranza che si svolge in un futuro distopico, in cui gli Stati Uniti sono diventati una nazione in rovina, le città sono cinte da mura, e ovunque si diffondono epidemie, incendi e follia. Lauren Olamina è una ragazza di 18 anni afflitta da una sindrome di iperempatia, che la costringe a provare il dolore che vede negli altri. Quando l’enclave in cui vive viene distrutta, assieme alla sua famiglia (quasi nessuno sopravvive) e ai sogni per il futuro, Lauren afferra uno zaino pieno di scorte (che già aveva predisposto da tempo, preconizzando un possibile crollo) per iniziare un difficile viaggio verso nord, alla ricerca di un luogo in cui vivere in relativa sicurezza, senza dover abbandonare la speranza. Lungo la strada, al primo manipolo di sopravvissuti si aggiungono altri fuggitivi, ai quali Lauren rivela il suo personale credo religioso, Il Seme della Terra, il cui assunto fondativo è semplice e al tempo stesso rivoluzionario: “Dio è cambiamento”.
L’opera, pur essendo considerata all'unanimità mainstream, si può definire sicuramente come un romanzo catastrofico e post-apocalittico ovvero anche come una narrazione in cui l’apocalisse è ancora in divenire, ma non si è ancora manifestata nei suoi più drammatici esiti: quello tratteggiato da Octavia Butler è un mondo in via di disgregazione, in cui non vi sono più certezze e nemmeno sicurezze precostituite. Coloro che vivono ancora in aree relativamente sicure sono sottoposti ad incursioni sempre più violente da parte di quelli che hanno già perso tutto e che sono alla ricerca di cibo, di soldi, di strumenti e utensili, di armi; le forze di polizia sono ormai inefficienti e chiedono di essere pagate per i loro interventi, se non diventano esse stesse attivamente ladronesche; in più, vi sono i consumatori di una droga letale, il cui nome è “Piro“, e che spinge i suoi consumatori ad appiccare incendi letali, poiché dalla visione della loro potenza distruttiva traggono fremiti estatici. E non mancano situazioni di cannibalismo da parte dei più disperati ed affamati, assieme all’insorgere di nuove forme di schiavismo.
Proprio a causa della piaga dei piromani comincia a verificarsi il definitivo tracollo delle aree ancora protette e molta gente, inclusa la nostra protagonista, si mette per strada alla ricerca di posti ancora sicuri: una sorta di “ferrovia sotterranea” alla ricerca di salvezza e di un luogo sicuro dove vivere.
La narrazione si sviluppa attraverso i regolari aggiornamenti del diario tenuto da Lauren, mentre - in parallelo - si sviluppa la sua convinzione di fede e speranza, statuita dal dogma secondo cui “Dio è cambiamento”, dal 20 luglio del 2024 al 10 ottobre del 2027.
Il seguito è ne “La parabola dei talenti” (Parable of Talents) del 1997.
Il romanzo di Octavia E. Butler, pubblicato in lingua originale nel 1993 è un testo visionario che non propone soluzioni correttive all’incipiente disastro, se non la fede nella speranza di un futuro migliore.
Vi è dunque una componente salvifica e messianica, così come nel successivo e celebrato romanzo di Cormac McCarthy, La strada, del 2006.
L’edizione originale Fanucci è preceduta da una splendida e documentata prefazione di Sandro Pergameno.
In fondo alla stessa edizione è possibile leggere una breve intervista rilasciata dalla stessa Butler, che racconta gli esordi della sua carriera di scrittrice e indica quanto nella scrittura de “La Parabola del Seminatore” sia stata influenzata dalle atmosfere e dalle suggestioni religiose e culturali della propria famiglia.
Alla domanda su quali siano state le persone che hanno influenzato il suo lavoro, risponde
I miei parenti, mia madre e mia nonna, e il loro continuare a vivere delle vite che io ritenevo orribili. Ci è voluto parecchio tempo prima che capissi l’importanza della religione nelle loro vite. A volte era tutto quello che avevano. Ci sono stati momenti in cui stavamo per morire di fame, altri in cui gli avvenimenti erano tali persone meno forti avrebbero pensato al suicidio. Ma loro avevano una religione, e le ha aiutate moltissimo. Da ragazzi si è arroganti perché non si capisce molto, e io lo sono stata spesso, fino a quando ho iniziato a capire quanto la religione significasse per loro. A quel punto ho iniziato a vedere la religione in modo diverso e ho scritto ‘La parabola del seminatore’, in cui il padre della protagonista è un prete battista. Mio nonno era un prete battista, ma non l’ho mai incontrato. Mio padre è scappato di casa. In realtà se ne andò via da da Pittsburgh, e fuggì in California, perché mio nonno voleva farlo lavorare nelle acciaierie, e lui non voleva. (…) … mio padre morì, così non ho conosciuto davvero neanche lui. Ho qualche ricordo che probabilmente è la somma di memoria confuse e di quanto mi ha detto mia madre. Credo che tutto ciò che ci accade, lo si voglia o meno, finisca nella propria scrittura. E il fatto di scrivere cambia il tuo modo di essere, e come guardi il mondo.” (Ib. pp. 345-346)

La parabola del seminatore (Octavia E. Butler)

Ne consiglio vivamente la lettura.

Il titolo si ispira alla parabola del seminatore contenuta in versioni lievemente differenti nei Vangeli di Marco, Matteo e Luca (ed anche in quello di Tommaso)
 

(Dal Vangelo secondo Matteo) Il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma, levatosi il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. Un'altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra cadde nella buona terra e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno.

Aggiungiamo - a beneficio di coloro che volessero intraprendere la lettura di questo romanzo qui che “La parabola del seminatore” è stato ripubblicato recentemente, con una nuova traduzione (di Martina Testa), dalla casa editrice Sur nel 2024 ed è dunque facilmente reperibile.

 

(Presentazione della nuova edizione per i tipi Sur) “La parabola del seminatore” è l’opera della maturità di Octavia Butler. Echi biblici, temi sociali e ambientalismo si fondono con ritmi e atmosfere da romanzo d’avventura, dando vita a un personaggio femminile profetico e modernissimo che incarna inquietudini, sfide e speranze del nostro tempo.

In un’America del futuro devastata dal cambiamento climatico, in cui le risorse si stanno esaurendo e il caos ha preso il sopravvento sulla legge, solo alcune piccole comunità isolate conservano una parvenza di ordine sociale, difese da muri contro le bande di disperati che saccheggiano, violentano, incendiano. È in una di queste enclave che vive Lauren, un’adolescente dalle straordinarie doti percettive, empatica e determinata, sempre più preoccupata per la violenza che preme da fuori e a cui il mondo degli adulti – primo fra tutti suo padre, il pastore battista della comunità – sembra impreparato. Nei quaderni dove annota le sue osservazioni, Lauren dà progressivamente forma a una nuova religione, «il Seme della Terra», fondata sull’idea del cambiamento, dell’adattabilità e dell’iniziativa individuale. Quando gli ultimi argini al dilagare della violenza verranno meno, sarà il Seme della Terra a sostenere Lauren e i suoi compagni in un rocambolesco esodo verso la salvezza.

 

Octavia E. Butler

L’autrice. Octavia E. Butler, nata nel 1947, Pasadena (California), è stata una delle più importanti scrittrici americane di fantascienza. É stata cresciuta dalla madre e dalla nonna. Malgrado la borsa di studio MacArthur - che le ha reso la vita più facile negli anni successivi -, ha faticato per decenni per imporsi come autrice di riferimento (scrivendo di notte e lavorando di giorno come televenditrice, ispettrice di patatine e lavapiatti), quando i suoi romanzi distopici che esploravano i temi dell'ingiustizia dei neri, del riscaldamento globale, dei diritti delle donne e della disparità politica non erano, a dir poco, richiesti dal mercato.
Con i suoi romanzi e i suoi racconti ha vinto più volte l’Hugo Award e il Nebula Award, i massimi riconoscimenti del mondo anglosassone per la letteratura d’immaginazione. Nel 2000 le è stato attribuito il PEN American Center Lifetime Achievement Award in Writing. La sua opera è apprezzata per la prosa snella, i forti protagonisti e le indagini sociali inserite in storie che spaziano da un lontano passato a un lontano futuro. Oltre ai romanzi Legami di sangue (2020) e La parabola del seminatore (2024), SUR ha pubblicato la raccolta di racconti La sera, il giorno e la notte (2021).

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1 luglio 2024 1 01 /07 /luglio /2024 06:16
Edward Abbey, Desert Solitaire, Baldini&Castoldi 2015

Desert Solitaire. Una stagione nella natura selvaggia (Desert Solitaire: A Season in the Wilderness, nella traduzione di Stefano Travagli) di Edward Abbey in anni abbastanza recenti è stato molto opportunamente riproposto da Baldini&Castoldi /nella collana "Romanzi e racconti, nel 2015), dopo una prima edizione praticamente introvabile per i tipi di Muzzio, nel 1993, con il titolo di "Deserto solitario".
Questa era la presentazione di quella prima edizione: 
"Deserto solitario di Edward Abbey, un fecondo scrittore statunitense di “letteratura naturalistica”, è il racconto eloquente, amaro e stravagante di una stagione trascorsa dall’autore, in qualità di ranger, a sorvegliare l’Arches National Park nello stato dello Utah (area di Moab), uno dei luoghi più caratteristici e più selvaggi dell’immenso e variegato paesaggio del Nord America: la regione dei canyon. All’epopea dell’esperienza narrata dall’autore, alla fine degli anni 160, questi territori ancora 'selvaggi' cominciavano ad essere investiti dal turismo 'su scala industriale' e ad essere minacciati dal progetto di una diga che ne avrebbe sommerso una parte, assieme alle ineguagliabili forme di vita animali e vegetali che l’abitavano. Il libro è per questo diventato negli Stati Uniti un documento di denuncia attorno a cui si è raccolto il movimento degli ambientalisti per difendere la natura dei parchi. Il libro non è però un semplice resoconto: è un racconto vero, di una notevole cifra letteraria, che contiene molte altre storie – di indiani e cow-boy, di cercatori di uranio e di cavalli selvaggi – che sfumano nella favola e nel mito; è un inno poetico e ribelle, di rara ispirazione, alla natura selvaggia; è un manifesto dai toni anarchici e estremi sui rapporti dell’uomo con l’ambiente naturale.
Scrive Abbey nella sua breve introduzione al volume:
"Una decina di anni fa [la sua opera fu pubblicata per la prima volta nel 1968] decisi di andare come ranger stagionale in un luogo chiamato Arches National Monument, vicino alla cittadina di Moab, nello Utah sudorientale. Il motivo della decisione non è più importante, ciò che ho trovato lì è l'argomento di questo libro" (p. 7)
Si trattò per lui di un'esperienza durata un semestre (dal 1° aprile sino al 30 settembre). 
Ritornò a fare lo stesso lavoro anche l'anno successivo.
Sarebbe tornato anche per il terzo anno e forse lo avrebbe fatto anche per tutti gli anni successivi, ma rinunciò.
Perchè? Ce lo dice lo stesso Abbey:
"... gli Arches, un luogo primitivo quando vi ero stato la prima volta, sfortunatamente avevano conosciuto sviluppo e sfruttamento [che per lui furono intollerabili da affrontare] e dovetti rinunciare" (ib.).
La bellezza della natura selvaggia era stata deturpata e, negli anni successivi, lo sarebbe stata ancora di più, con progetti dissennati di sviluppo turistico, di sfruttamento minerario e idroelettrico, con la costruzione di una diga che, messa in opera, avrebbe stravolto l'aspetto originario dei canyon, occultando per sempre alcune delle più magnifiche bellezze naturali.
Abbey riferisce di essere tornato comunque, a distanza di molti anni, negli stessi luoghi, di aver fatto un tour completo e di essersi, infine, fermato per una terza stagione che gli diede modo di registrare i cambiamenti drammatici avvenuti in sua assenza.

Edward Abbey, Deserto Solitario, Muzzio

L'essenza del libro è tratta dalle pagine di diario che Abbey ha riempito febbrilmente in queste tre stagioni, mentre altri capitoli sono stati costruiti con il ricordo di escursioni effettuate in altri momenti e con digressioni/riflessioni di vario tipo, tra le quali non mancano delle critiche intense e dure contro il suo datore di lavoro stagionale, cioè l'amministrazione del National Park Service (che fa capo al Dipartimento dell'interno del Governo degli Stati Uniti).
La sua esperienza ripetuta nel corso degli anni è stata di solitudine vivificante nel cuore del deserto (all'interno di scenari di una bellezza grandiosa), alloggiato in una piccola roulotte, con un incarico da ranger che comportava per lui un minimo di impegno giornaliero per alcuni compiti di routine e che, per il resto del tempo, lo lasciava libero di contemplare, di riflettere, di meditare, di osservare nei dettagli più minuti la flora e la fauna e di compiere anche delle escursioni.
Una posizione invidiabile quella di Abbey, per alcuni aspetti, a condizione di saper tollerare la solitudine.
L'esperienza della wilderness è anche un'esperienza di solitudine e di capacità di star da soli.
In questo senso, la scrittura (e l'esperienza che ad essa è sottesa) di Abbey si avvicinano molto a "Walden, ovvero la vita nei boschi" di Henry David Thoreau che è un classico sotto molti punti di vista e, tra le tante cose, anche dell'anarchismo libertario.
Ma, in molti passaggi, c'è anche molto di Twain, a mio parere, e soprattutto del suo personaggio iconico Huckleberry Finn che si vede emergere chiaramente nel lungo capitolo che descrive la discesa del Colorado, compiuta da Abbey su due canotti di gomma attrezzati per un'avventura di una settimana, assieme ad un amico. 
O anche la venatura lirica e struggente in alcune descrizioni paesaggistiche e naturalistiche che fa pensare alla prosa di Cormac McCarthy, quando i suoi personaggi agiscono al cospetto di una Natura che è assieme bellissima e intangibile, quasi crudele in questo distacco dagli Umani.
Vi è una forte vena di anarchismo libertario, quando Abbey - per esempio - invita coloro che vorranno visitare l'"Arches National Park" di lasciare l'auto alle soglie del parco e di avventurarsi a piedi ad esplorare, facendo ciò che possono (e vedendo ciò che possono, di conseguenza) soltanto muovendosi sulle proprie gambe. Ma questa vena si ritrova anche nell'invettiva che egli lancia contro coloro che vorrebbero costruire più strade asfaltate e più piazzole di sosta all'interno del Parco (il suo, ma anche di altri), per consentire forme di turismo facile e superficiale, in altri termini "consumistico" (da ciò discende il corollario che alcuni dei luoghi più belli dovrebbero essere mantenuti "segreti", anche se la la società dei consumi fa di tutto per evitare ciò).
Abbey sarebbe stato sicuramente tra quelli che qui in Italia si sarebbero schierati fermamente contro l'uccisone dell'orso "killer", come del resto lui accetta pacificamente che, nel corso della sua permanenza nel deserto, possa imbattersi in un puma. Simili accidenti fanno parte della wilderness e non si può bere dal calice di essa senza tener conto di eventuali pericoli (ed eventualmente affrontarli, o patirne le conseguenze), come anche smarrirsi nel deserto, morire per disidratazione o altro.
Quella di Desert Solitaire è una lettura assolutamente godibile ed è possibile imbattersi in alcuni passaggi descrittivi che - come ho già detto - sono fortemente lirici.
E, per tutti i motivi illustrarti, è anche un testo di formazione per il lettore che legge i resoconti e le narrazioni delle tre stagioni di Abbey nel deserto sudorientale dello Utah.
Infine, aggiungerei come postilla, non si può leggere l'opera narrativa successiva di Abbey, pubblicata la prima volta nel 1975, "The Monkey Wrench Gang" (I Sabotatori, Meridiano Zero, 2001) senza aver letto prima Desert Solitaire, poichè proprio qui si ritroveranno tutte le tematiche e le motivazioni che spingono i quattro protagonisti a diventare sabotatori per contrastare lo sfruttamento efferato del deserto e il sovvertimento (nonché l'addomesticamento) della natura selvaggia, voluto dal Governo centrale e dalle multinazionali.
La filosofia dei quattro sabotatori trae radici e alimento proprio dalle pagine di Edward Abbey e le loro imprese diventarono un "classico" della nuova ondata del movimento ecologico statunitense e del mondo (e, per alcuni versi, anche del cosiddetto "ecoterrorismo").


(Risguardo di copertina) "Desert solitaire" è diventato un libro di culto sin dalla sua pubblicazione, nel 1968. Un racconto provocatorio e mistico, arrabbiato e appassionato, in cui Edward Abbey ci restituisce la sua esperienza di ranger nell'Arches National Monument, nel Sudest dello Utah, catturandone l'essenza e trasmettendoci il desiderio di vivere nella natura e conoscerla nella sua forma più pura: silenzio, lotta, bellezza abbagliante. Ma "Desert solitaire" è anche il grido angosciato di un uomo pronto a sfidare il crescente sfruttamento operato dall'industria petrolifera, mineraria e del turismo. 
Sono trascorsi quasi cinquant'anni, e le osservazioni di Abbey, le sue battaglie, non hanno perso nulla della loro rilevanza. Anzi, oggi più che mai, "Desert solitaire" ci chiama a combattere, mettendoci di fronte a un'ultima domanda fondamentale: riusciremo a salvare ciò che resta dei nostri tesori naturali prima che i bulldozer manovrati dal profitto colpiscano ancora?

Edward Abbey

 

L'autore. Edward Abbey,1927, Home (Pensylvania) e deceduto a Oracle (Arizona) nel 1989.  
Ha studiato presso l'Università del New Mexico e all'Università di Edimburgo. 
Filosofo, saggista e romanziere americano, esordì come scrittore negli anni Sessanta dopo aver lavorato a lungo come guardia forestale nei parchi nazionali di mezza America. Arrivato al successo con The brave Cowboy, che divenne un film interpretato da Kirk Douglas, con The Monkey Wrench Gang fu consacrato eroe della nuova ondata ecologista americana, diventando al contempo autore di primo piano nel panorama letterario americano.

 

Edward Abbey, I Sabotatori, Mneridiano Zero

Più di vent’anni dopo averlo acquistato, mi sono accinto alla lettura del romanzo cult di Edward Abbey, I Sabotatori (titolo originale: The Monkey Wrench Gang), pubblicato da Meridiano Zero nel 2001.
Quando l'ho preso tra le mani era ben stagionato, con le pagine ingiallite a dovere e, finalmente, l'ho aperto, l'ho sfogliato e finalmente mi ci sono immerso, avendo la consapevolezza di avere tra le mani un libro cult, un vero prodotto d’annata, scritto da un ecologista ante litteram (ma anche predicatore dell’ecoterrorismo), quando ancora ben poco si parlava di tutela dell’ambiente, con l’eccezione, ovviamente di un classico come “Primavera silenziosa” di Rachel Carson.
Il primo capitolo mi ha fatto intendere che io e questo libro saremmo andati d’accordo!
Ho sentito sin da subito che sarebbe stato il mio libro di lettura preferito nelle mie attese in auto!


(Presentazione) Un medico. La sua infermiera nonché fidanzata. Un giovane reduce specializzato in demolizioni. Un mormone con tre mogli. Un improbabile quartetto di aspiranti guerriglieri, eco-terroristi decisi a salvare quel che resta della natura di Utah e Arizona, del selvaggio paesaggio del deserto. Intraprenderanno una lunga serie di sabotaggi e di avventurose incursioni fino al progetto più ambizioso: far saltare la diga del Glen Canyon, intollerabile scempio ambientale.
Praticamente sconosciuto in Italia, il polemista-filosofo-naturalista-scrittore Edward Abbey (1927- 1989) è considerato una specie di eroe dal movimento ambientalista e dalla controcultura americana. La sua lotta appassionata in difesa della wilderness ha raccolto schiere di ammiratori entusiasti e di detrattori imbestialiti. Nato durante la Grande Depressione in una sperduta fattoria dei monti Appalachi, in Pennsylvania, all’età di 17 anni si mette sulla strada e viaggia per il Sud Ovest, in autostop e su carri merci, restando folgorato dalla bellezza selvaggia di quei luoghi desertici da cui per tutta la vita non riuscirà mai più a staccarsi. Abbey esprime una ribellione radicale contro il concetto imperante di antropocentrismo. La guerra che l’uomo ha dichiarato alla natura – afferma l’autore – nasce dalla terrificante percezione che essa è assolutamente indifferente al destino dell’uomo. Inutile attribuire valenze etiche alla natura, un processo efficiente, brutale, spietato e insieme pulito e meraviglioso. È un luogo magico in cui si può entrare solo patteggiando costantemente la propria presenza.

Nel ‘75 dà alle stampe quello che diverrà il suo best seller: The Monkey Wrench Gang (I Sabotatori), dove – tra il serio e il faceto – propone una sorta di contro-vandalismo attivo contro il vandalismo perpetrato dal cosiddetto progresso contro la natura, che dopo l’ignoranza distruttiva dei pionieri deve subire le pratiche distruttive coscienti delle industrie. In questo libro facile e scanzonato, Abbey abbandona la contemplazione e la disobbedienza civile di Thoreau per indossare definitivamente gli abiti di Ned Ludd.
 

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22 maggio 2024 3 22 /05 /maggio /2024 10:26
Domenico Cacopardo, Agrò e il Maresciallo La Ronda, Marsilio

Mi è capitato di trovarmi per le mani, qualche tempo fa il poliziesco, Agró e il Maresciallo La Ronda, pubblicato da Marsilio (Le Farfalle), nel 2013, di cui è autore Domenico Cacopardomagistrato e scrittore.
L'ho trovato di lettura gradevole, liscia, scorrevole, a tratti sapida: un piacevole intrattenimento.
Appartiene questa indagine ad una serie composta da una decina di romanzi polizieschi che vedono nei panni di protagonista il sostituto procuratore della Repubblica Italo Agrò. 
Qui, ci troviamo davanti ad un antefatto (o, come si tende a dire oggi, di un “prequel”) in cui il futuro sostituto procuratore è ancora uno studentello di legge e, mentre si trova in vacanza estiva, nel suo piccolo paese del Messinese, viene chiamato dal Maresciallo La Ronda, al comando della locale stazione dei Carabinieri, perché l’aiuti a stendere dei rapporti su di un caso di omicidio (inizialmente solo a metterli in bella forma) 
Siamo nel 1976, in un’epoca in cui erano ancora assenti del tutto, telefonini e altri dispositivi elettronici, nel tempo inoltre in cui i documenti venivano trasmessi come “cablogramma”: e questo ha il suo fascino, perché ci parla di un’epoca lontana che i più anziani di noi hanno vissuto.
L’”avvocatucolo” si rivela, tuttavia, sagace e pieno di idee e il pur ruvido Maresciallo prende ad apprezzarlo e ad interpellarlo sempre più spesso e negli orari più strani per proficui “scambi di idee”: sicché il giovane Agrò si ritrova sempre più coinvolto in un’indagine "non autorizzata", sul cui evolversi  manterrà - come si conviene - il dovuto riserbo nei confronti di amici e parenti, ma anche della sua morosa.
Senza nemmeno saperlo, poiché di Cacopardo non avevo ancora letto sinora alcun romanzo, mi sono imbattuto per puro caso nella prima avventura di una serie.
Il libro, in ottime condizioni, me lo ha proposto il mio edicolante a metà prezzo.

 

(Risguardo di copertina) Sant'Alessio Siculo, fine estate 1975. Il futuro dottor Italo Agrò è ancora studente di legge nell'università di Napoli e sta terminando le vacanze nel suo paese d'origine. Il maresciallo dei Carabinieri, Augusto La Ronda, che ha già in passato chiesto a Italo di aiutarlo a stilare qualche rapporto particolarmente delicato, lunedì 7 settembre, lo fa prelevare in un bar di Letojanni, dov'era con gli amici, e condurre in caserma: nel pomeriggio è stato ritrovato tra i ruderi della chiesa di Sant'Agostino il cadavere di Biagio Mudaita, un giovane che lavorava nell'amministrazione della falegnameria paterna. Tra i maricaretti familiari, il mare della sua terra, il passaggio definitivo dall'adolescenza all'età adulta e gli aromi di una Sicilia lussureggiante, Italo Agrò non si limita a correggere il rapporto che il maresciallo intende inviare alle superiori autorità: si appassiona al caso e, in modo riservato, ma non troppo, collabora con il maresciallo con suggerimenti e riflessioni che lo aiutano nelle indagini, mentre si consumano quegli ultimi giorni di vacanza, durante i quali Italo inizia la sua storia d'amore con Irene Mangiacola, detta Nené.

 

Domenico Cacopardo

L’autore. Domenico Cacopardo, nato nel 1936 a Rivoli in Piemonte, ma di origini siciliane, è uno scrittore italiano. Laureato in giurisprudenza, è vissuto in varie città italiane condotto dagli impegni professionali: Consigliere di Stato sino al 2008, è stato anche Magistrato per il Po a Parma e Magistrato alle Acque a Venezia. Collabora con numerose testate giornalistiche nazionali e locali. 
L'endiadi del dottor Agrò è il primo episodio della fortunata serie del sostituto procuratore Italo Agrò, di cui sono usciti per Marsilio anche Agrò e la deliziosa vedova Carpino (2010), Agrò e la scomparsa di Omber (2011). Tra le sue opere, pubblicate sempre con Marsilio, ricordiamo anche Il delitto dell'Immacolata (2014), Semplici questioni d'onore (2016). Nel 2022 esce per Ianieri edizioni il romanzo giallo Pater.
Il dottore Agrò, sostituto procuratore della Repubblica, ha preso forma con il romanzo di successo “L'endiadi del dottor Agrò” che é divenuto presto uno dei suoi più fortunati personaggi: il sostituto procuratore Italo Agrò, alter ego dello scrittore, che da alcuni anni lo anima durante il programma "il taccuino del dottor Agrò", in onda ogni sabato pomeriggio sull'emittente nazionale Radio 24.
Agrò è poi tornato anche in alcuni dei successivi romanzi.
Giusto a titolo di curiosità, citiamo qui che Domenico Cacopardo ha avuto una controversia con Andrea Camilleri. Convinto di aver subito un affronto da Questi, che - nella sua opera Il nipote del Negus - ha voluto chiamare un personaggio col nome di Aristide Cacopardo, ha deciso di citare in tribunale l'autore del Commissario Montalbano sentendosi diffamato.
Il punto della discordia era da attribuire ad una frase del libro di Camilleri che descriveva il Cacopardo del romanzo come «persona attendibile anche se un poco chiacchierato (è fissato di essere un grande scrittore e consuma il suo stipendio pubblicando romanzi a sue spese)».
Cacopardo chiese in tribunale di sospendere la pubblicazione de Il nipote del Negus e di ritirarne tutte le copie invendute: il giudice del Tribunale civile di Parma respinse le sue richieste. 


https://www.cacopardo.it/
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Domenico_Cacopardo

(22 aprile 2023)

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14 maggio 2024 2 14 /05 /maggio /2024 06:50
Davide Longo, Un mattino a Irgalem

Un mattino a Irgalem di Davide Longo (Feltrinelli UEF, 2019) tra i primi romanzi di Davide Longo, è stato in origine pubblicato da Marcos y Marcos nel 2001.
E ha visto successive edizioni con Fandango e poi con Feltrinelli (Zoom), prima di approdare alla UE.
È ambientato in Etiopia e ad Addis Abeba nel periodo di intervallo tra la fine della Guerra d’Etiopia e l’inizio della II Guerra Mondiale, nei brevi anni in cui si consolida (ma nemmeno poi tanto) la dominazione italiana in quei territori
Pietro, avvocato e appena promosso a tenente di complemento, viene inviato proprio nella qualità di avvocato militare ad Addis Abeba per fare da difensore d’ufficio di un certo Prochet che, nelle sue funzioni di “esploratore”, ha compiuto delle atrocità sia nei confronti degli Etiopi (ribelli e non) sia nei confronti dei suoi stessi connazionali, azioni talmente efferate di cui nessuno intende parlare esplicitamente
Pietro (di cui non conosceremo mai il cognome) si trova immerso in una realtà in cui le regole del vivere civile sono come sospese, dietro l’esile facciata di ordine della disciplina militare.
Il suo difeso non parla e non si confronta: non intende collaborare in alcun modo alla costruzione di una linea difensiva qualsivoglia.
Prochet ci appare come una specie di colonnello Kurtz in Cuore di Tenebra: è questa la suggestione letteraria che ne ho tratto, anche se qualcuno tira in ballo, come antecedente letterario illustre, Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, di recente ripubblicato da Adelphi, pubblicato la prima volta nel 1947 e vincitore della prima edizione del Premio Strega
Pietro è spaesato e sembra perdere in una atmosfera che è, allo stesso tempo, surriscaldata e oziosa/languida ogni usuale punto di riferimento e in qualche modo si lascia contaminare.
É un romanzo che è difficile da classificare: non è un noir, non è un mistery; non è un giallo e nemmeno un legal thriller di stampo militare.
Mi è sembrato piuttosto un bel romanzo che affresca magnificamente un periodo storico e l’anima nera delle velleità coloniali del regime fascista, con una conclusione che non è nemmeno una conclusione ma che si pone come una nemesi che colpisce il Giusto e l’Ingiusto allo stesso modo
Davide Longo è un autore che mi ritrovo ad apprezzare sempre di più e di cui sto a poco a poco leggendo tutti i romanzi

 

(Quarta di copertina) “Uomo sbagliato, posto sbagliato, tempo sbagliato". È questo lo stato d'animo di Pietro, giovane avvocato di Torino, appena promosso tenente nel Regio esercito italiano. Regio di nome, fasullo, fascista di nerbo, fin troppo reale. Difatti: l'anno di disgrazia è il 1937, il luogo della tragedia è l'Etiopia, dove è appena "tornato l'impero dei colli fatali", "eia-eia-alalà" e tutto il resto della farsa macabra. Il potere militare in orbace, o qualsivoglia imitazione del medesimo, affida a Pietro il classico caso che nessun avvocato vorrebbe nemmeno da morto. Ritrovarsi scaraventato 'ab imperio' a migliaia di chilometri da casa, a difendere l'indifendibile. Sul sergente Prochet, duro e puro comandante dei gruppi esploratori etiopi, grava infatti l'accusa di omicidio. Un momento, un momento: omicidio nel mezzo di una brutale guerra coloniale? Omicidio in un contesto che fa dell'omicidio stesso la propria divinità? A quanto pare, però, il sergente Prochet è andato un minimo sopra le righe. Un'incursione in un remoto villaggio nel deserto si è risolta in un bagno di sangue talmente efferato da fare impallidire perfino il Teatro del Grand Guignol. Pietro deve quindi difendere l'imputato che non solo non parla ma che tutti quanti - dai vertici del fascio ai disperati sopravvissuti etiopi - vogliono morto. Eppure, nulla è come appare.

 

Davide Longo

L’autore. Davide Longo, nato nel 1971 a Carmagnola, vive adesso  a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. 
Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti il duo Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi 2021), il terzo episodio della serie Una rabbia semplice (Einaudi 2021), il quarto La vita paga il sabato (Einaudi 2022) e il quinto, Requiem di provincia (Einaudi, 2023).
Nel 2017 ha scritto la sceneggiatura per il film “Il Mangiatore di Pietre”, interpretato da Luigi Lo Cascio.

Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Adelphi

Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Adelphi (Fabula), 2020

 

Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la "terra ideale dei films Paramount", ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene.

«Quando la campagna sarà finita non pochi si precipiteranno a scrivere dei libri» annota Flaiano nel febbraio del 1936, mentre, sottotenente del Genio, partecipa alla guerra d'Etiopia. «Già immagino il contenuto e i titoli: "Fiamme nel Tigrai", "Africa te teneo", "Tricolore sull'Amba"!». Non a caso, attenderà dieci anni prima di ricavare da quella sofferta esperienza - fatta di sete e stanchezza, caldo e paura - un romanzo. Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la «terra ideale dei films Paramount», ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene (e che dunque cela di necessità «qualcosa di guasto»), e al centro una vicenda «assolutamente fantastica»: un delitto futile e fatale, che scatena in chi l'ha commesso un corrosivo delirio. E gli trasmette il morbo di un «impero contagioso», di un senso di colpa inscindibile dal rancore, di una pietà commista a disprezzo per un mondo ignoto, l'Africa - «lo sgabuzzino delle porcherie», dove gli occidentali vanno «a sgranchirsi la coscienza».

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20 aprile 2024 6 20 /04 /aprile /2024 09:41
Robin Cook, Sindrome fatale (Toxin), Sperling&Kupfer

Sindrome fatale (Toxin, traduzione di Linda De Angelis) è un thriller medico scritto nel 1998 dallo scrittore statunitense Robin Cook, pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer, e mi sono ritrovato a leggerlo di recente, perchè, animato da un'improvvisa voglia di uno dei libri di questo autore, sono andato a pescarne uno in giacenza nella mia libreria e messo da parte appunto, per questo improvviso tipo di voglia.
Robin Cook è uno scrittore che coltivo di quando in quando.
Non di quelli i cui libri mi precipito ad acquistare in libreria appena sono usciti, no.
Solitamente non ricevono la mia priorità.
Li acquisto se ne ho la possibilità se ne trovo a prezzo scontato.
Nel corso del tempo ne ho infatti trovati diversi attraverso le vendite remainder.
Sono dei libri con titoli incisivi e inquietanti ero roboanti assieme, tipo “Febbre”, “Morbo”, “Epidemia”, “Contagio”, “Pandemic”, e così via (in calce a questo post sono elencati tutti i suoi titoli).

Di questi romanzi acquistati a prezzi scontatissimi e di cui ho fatto riserva, ogni tanto ne pesco uno e lo leggo.
Devo dire anche che le trame di Robin Cook, in generale, mi acchiappano (forse anche per via della mia formazione medica), perché in generale introducono il lettore immediatamente all’interno di una questione scottante che, a seconda dei casi, può riguardare la sanità pubblica e le sue storture, le malversazioni di sistemi corrotti le manipolazioni di Big Pharma ed altre tematiche scottanti e attuali.
In generale, si tratta di romanzi estremamente documentati che, senza ombra di dubbio, aprono la strada a delle riflessioni e aiutano a porsi degli interrogativi.
In questo romanzo, ad esempio, si affronta il tema delle aziende che forniscono il mercato alimentare di carni macinate, il problema della loro conservazione e del loro possibile inquinamento da parte di pericolosi agenti patogeni, ma anche delle collusioni tra i produttori e gli organismi statali di controllo.
Vi si parla anche delle tossinfezioni sostenute da un particolare ceppo di Escherichia coli che si diffondono attraverso le carni macinate non ben cotte (e possibilmente già contaminate in origine a causa degli inconvenienti procedurali legati alla gestione delle macellazioni su grande scala) e che negli Stati Uniti - al tempo della scrittura di questo romanzo - producevano diverse centinaia di morti all’anno, soprattutto come complicazione della sindrome tossica correlata (la cosiddetta Sindrome emolitica-uremica). 
Leggendo alcune pagine di questo “Sindrome fatale” (il cui titolo inglese tra l’altro è “Toxin”), viene indubbiamente voglia di non mangiare più le carni rosse, soprattutto quelle macinate che vengono dalla grande distribuzione.
Per Robin Cook scrivere è un modo per denunciare le malversazioni, le storture e le collusioni, ma anche per sensibilizzare il grande pubblico su queste grandi tematiche di sanità pubblica, sugli usi distorti dei progressi tecnologici in Medicina e sulla necessità di un superamento dei problemi segnalati attraverso l’adozione di comportamenti più responsabili.
Dal punto di vista stilistico, tuttavia, i romanzi di Robin Cook lasciano un po’ a desiderare (benché egli abbia venduto milioni e milioni di copie), soprattutto perché quando lo spunto tematico si esaurisce egli introduce nella macchina narrativa elementi che, essendo sono più da action thriller, a mio modo di vedere, fungono più da riempitivo e hanno uno scarso valore letterario.
Ciò non sminuisce il fatto che gli spunti narrativi siano sempre più che buoni.
E quindi mi sento di poter perdonare le sue cadute stilistiche.

 

Scrive l’autore in exergo:
Questo libro è dedicato alle famiglie che hanno sofferto per il flagello dell’Escherichia Coli 0157:H7 e per altre malattie contratte attraverso il cibo

 

Trama. Kim Reggis è un cardiochirurgo che non solo ha divorziato da poco, ma ha anche perso la posizione di primario del proprio reparto. E i suoi guai non finiscono qui, perché la figlioletta Becky viene colpita da una grave intossicazione alimentare. L'inesorabile progredire della sindrome, che porta alla morte Becky a causa del batterio E. coli, lo spinge a un'indagine dagli esiti agghiaccianti. L'industria della carne e l'organismo statale preposto al controllo risultano infatti legati da una segreta complicità ai danni dei consumatori e chi volesse far luce su questa sporca faccenda potrebbe rimetterci la vita.

 

Robin Cook (dal web)

L'autore. Robin Cook (New York, 4 maggio 1940) è un medico e scrittore statunitense, affermato autore di gialli, è considerato il padre dei thriller medici, e cioè dei gialli di argomento scientifico-biologico.
Si è laureato in medicina alla Columbia University e specializzato ad Harvard. Decise di abbandonare la professione dopo aver scoperto che in un ospedale in cui lavorava la cartella clinica di un paziente ricoverato da tre settimane non era stata ancora letta. Cominciò così a scrivere thriller per divulgare i maggiori problemi della sanità e della ricerca medica, temi che altrimenti non avrebbero appassionato. Dopo un primo tentativo con Year of the Intern, ottiene successo con Coma dal quale viene tratto il film Coma profondo, interpretato da Michael Douglas.
Cook ha scritto una trentina di libri che hanno ispirato anche altri film, tutti tradotti in italiano tranne il primo. Nei suoi romanzi Cook affronta diverse tematiche: dall'ingegneria genetica alle intossicazioni alimentari, dall'inquinamento chimico alla clonazione umana e qualcuno dei suoi lavoro appartiene al filone della fantascienza.
Ha venduto in tutto il mondo oltre 100 milioni di copie.

Cook scrive i suoi libri con l'assistenza di altri medici e specialisti della professione. 

 

Le opere
1972: Year of the Intern
1977: Coma (Coma)
1979: L'ombra del faraone (Sphinx)
1981: Cervello (Brain)
1982: Febbre (Fever)
1983: Al posto di Dio (Godplayer)
1985: Sotto controllo (Mindbend)
1988: Progetto di morte (Mortal Fear)
1989: La mutazione (Mutation)
1990: Sonno mortale (Harmful Intent)
1993: Vite in pericolo (Fatal Cure)
1993: Morbo (Terminal)
1996: Alterazioni (Acceptable Risk)
1997: Invasion (Invasion)
1998: Sindrome fatale (Toxin)
2000: Esperimento (Abduction)
2001: Shock (Shock)
2003: La cavia (Seizure)
2013: In caso di morte (Death Benefit)
2013: Nano
2014: Cell
2015: Host
2017: Charlatans
Serie Marissa Blumenthal
1987: Contagio (Outbreak)
1991: Segni di vita (Vital Signs)
Serie Stapleton e Montgomery
1992: Sguardo cieco (Blindsight)
1995: Epidemia (Contagion)
1997: Cromosoma 6 (Chromosome 6)
1999: Vector, minaccia mortale (Vector)
2005: Marker, segnali d'allarme (Marker)
2006: Crisi mortale (Crisis)
2007: Fattore di rischio (Critical)
2008: Corpo estraneo (Foreign Body)
2011: Il segreto delle ossa (Intervention)
2012: La cura (Cure)
2018: Pandemic

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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