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3 febbraio 2025 1 03 /02 /febbraio /2025 03:34

Queste considerazioni risalgono ad un anno fa
Le scrissi esattamente il 3 febbraio del 2024.
Da allora simili episodi si sono ripetuti molte altre volte

Maurizio Crispi (3 febbraio 2024)

Auto vandalizzata ((foto di Maurizio Crispi)

La notte scorsa, tra il 2 e il 3 febbraio, un vandalo - o dei vandali - hanno spaccato i vetri di alcune macchine parcheggiate lungo Viale delle Magnolie - di ben sette auto! - e di una in Via Lombardia.

Di alcune delle auto colpite sono stati frantumati addirittura due vetri - sia dello sportello anteriore sia di quello posteriore!
S’è trattato di un atto vandalico del tutto gratuito, dal momento che la rottura dei finestrini non era finalizzata alla rimozione di oggetti contenuti all’interno o di parti delle auto parcheggiate .
Quando, passeggiando il cane, sono passato lungo Viale delle Magnolie due anziani signori, una coppia, si sforzavano di rimuovere tutti i frammenti di vetro dei sedili e di collocare dei sacchi della spazzatura in corrispondenza dei due finestrini frantumati per creare un precario riparo dalle intemperie.
Erano, i due signori, trasecolati e ci siamo soffermati a parlare un poco dell’accaduto
Hanno espresso la loro stizza,  lamentandosi del fatto che nella zona non si vede mai nessuna macchina della Polizia o dei Vigili urbani passare quando fa buio a scopo deterrente, e hanno aggiunto: “Quando si tratta di prendere multe però ci sono sempre!”
Una grande espressione di sfiducia da parte di cittadini delusi e desiderosi di una città più vivibile!
Non ho potuto che condividere mestamente il loro pensiero… 
Indubbiamente - penso io - sta andando tutto a rotoli con il manifestarsi a macchia di leopardo di fenomeni di questo tipo, violenze gratuite contro cose e persone, atteggiamenti sprezzanti nei confronti delle regole di una civile convivenza e così via 
E sarà sempre peggio

Succede a Palermo (ma anche nel resto dell’Italia)!

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9 gennaio 2025 4 09 /01 /gennaio /2025 08:15
Doppio selfie (foto Maurizio Crispi)

Passo in rassegna
facce e volti
in una galleria sfinita
alla ricerca di volti nuovi
o dimenticati
emergenti dalle brume del passato
Quante facce!
A volte anche non facce
Oppure anche cani, gatti,
cavalli, tramonti e nuvole
Alcuni la faccia non ce la mettono
Altri ce la mettono tutta
Alcuni se la fotoshoppano
Altri la piazzano lì 
nuda e cruda,
talvolta comica o arruffata,
tal atra davvero impresentabile
Altri ci mettono volti falsi,
appartenenti ad altri
Tutti ammiccano e sorridono
Altri volgono 
all’ignoto osservatore
uno sguardo che è solo cupo
o triste o anche inverecondo

È questo è il Libro delle Facce
che ogni giorno
ci chiama 
e si fa esplorare
riportandoci talora
ad incontrare
anche coloro 
che più non sono

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22 dicembre 2024 7 22 /12 /dicembre /2024 06:17
Nuvole e cattedrale con effetti speciali (foto di Maurizio Crispi)

Botti insulsi
Vetrine scintillanti
Luci colorate a festoni


Il vento soffia gelido
Fa freddo


Pochi passanti umani,
tristi, intristiti, grigi
a piedi, sulle loro gambe
Tutti gli altri viventi disumanizzati,
ficcati nelle loro scatole di metallo
procedono  in lenta processione 
consumando tempo prezioso
e tempo non ce n’é più molto

 

I negozi, pur scintillanti,
sono desolatamente vuoti


Il vento soffia e ulula,
smuove mucchi di foglie secche
con lievi scricchiolii,
squassa le chiome degli alberi
e questi, nel buio, paiono giganti
che si agitano scomposti
per liberarsi dalle catene
che li opprimono


Il fiume di auto scorre
implacabile
con il proprio carico
di prigionieri e coatti


Arriva un’ambulanza 
con la sua sirena assillante,
il girofaro che lampeggia
ed è anche lei bloccata
Nessuno si premura di fare largo
Sono tutti coatti 
accecati,
sordi,
insensibili

 

É questo il Natale?,
mi chiedo
e non so trovare risposta

 

Intanto, mi sento bloccato,
come un naufrago aggrappato
alle scogliere del Tempo 
fermo ed immutabile


Una storia non storia
che si ripete ogni volta
e così sia

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16 dicembre 2024 1 16 /12 /dicembre /2024 08:16
Matteo Collura, Perdersi in manicomio, Pungitopo

Scartabellando tra alcuni libri che raccontano della trasformazione della assistenza psichiatrica a partire dalle esperienze di Basaglia e di altri pionieri sino alla promulgazione della legge 180 del 1978 e al progressivo smantellamento degli ospedali psichiatrici, mi sono imbattuto in un volume che non ricordavo affatto.
Si tratta di una testimonianza, corredata anche di una impressionante documentazione fotografica, sulla sopravvivenza per un lungo periodo di tempo dopo la 180, dell'Ospedale Psichiatrico di Agrigento, venuto all'attenzione della cronaca nei primi anni Novanta per via di una epidemia di TBC tra alcuni dei suoi degenti cronici.
Sembra che l'Ospedale psichiatrico di Agrigento sia rimasto per lungo tempo a sopravvivere come in un'isola anacronistica fuori dal flusso temporale.
Il volume di Matteo Collura è intitolato "Perdersi in manicomio", ed è stato pubblicato nel 2014 dalla casa editrice Pungitopo (collana La Parola e l’immagine), corredato con le foto di Lillo Rizzo e Tano Siracusa ed con una postfazione di Armando Bauleo, uno dei riconosciuti fondatori della psicoterapia gruppale in Argentina.

La pagina scritta in questo libro ruota essenzialmente attorno alle foto scattate da Lillo Rizzo e da Tano Siracusa all’interno del manicomio di Agrigento, nel 1993, a distanza dunque di 15 anni dall’entrata in vigore della legge 180 del 1978.
Una sostanziale lentezza nel rendere fattiva e operante quella legge, ma anche l’ignavia e la colpevole negligenza dei vari amministratori che vi si sono succeduti nel tempo, ha fatto sì che si mantenessero per anni gli aspetti più deteriori della manicomialità.
Le foto contenute in questo piccolo libro, aspre e crudissime, riportano immediatamente alle immagini di “Morire di classe” con le foto di Berengo Gardin e Carla Cerati, scattate a Gorizia e a Colorno (Parma) quando già la rivoluzione basagliana muoveva i primi passi.

L’Ospedale di Agrigento, divenuto forse il più grande della Sicilia quanto a numero di degenti, venne alla ribalta della cronaca nel 1993 quando vennero denunciate pubblicamente dal partito radicale  (e anche Domenico Modugno espresse delle critiche molto dure) le condizioni in cui vivevano gli internati in assenza dell’attivazione di un percorso di affrancamento e di restituzione alla società, con una serie di morti dimenticati (oltre duecento degenti in undici anni dal 1977 al 1988 vi morirono per una vera e propria epidemia di TBC).
L’ospedale agrigentino che, nelle pagine della cronaca, venne definito un “manicomio-lager” chiuse definitivamente nel 1996. 
Oggi quella struttura è sede della ASP agrigentina e del Dipartimento di salute mentale.

(soglie del testo) Una drammatica testimonianza sulla follia umana di quanti si dicono «sani» e di quanti sono giudicati malati. Dal «caso Agrigento», una finestra sulla condizione del malato di follia, su una solitudine terribile, su un enorme vuoto dl relazioni, su una specie di desolata allegoria del nulla. 
«Forse non abbiamo neppure fotografato i "folli", ma soltanto degli uomini e delle donne che si sono perduti in un ex manicomio».

L'autore. Matteo Collura è nato ad Agrigento nel 1945. Autore del bestseller Sicilia sconosciuta (Rizzoli 1984, 1997) e della versione teatrale del romanzo si Sciascia Todo modo, scrive articoli di cultura per il Corriere della Sera e vive a Milano

La facciata del corpo principale dell'Ospedale psichiatrico di agrigento

L’Ospedale Psichiatrico di Agrigento. Un po' di storia

L’Ospedale Psichiatrico di Agrigento fu costruito tra il 1926 ed il 1931 sull’estremità orientale della collina detta della “Rupe Atenea” nell’ex feudo San Biagio, in una zona prevalentemente rocciosa
L’intera struttura manicomiale si componeva di tre corpi centrali posti su tre livelli e di dieci padiglioni sempre posti su tre livelli.
Il primo corpo era situato al centro del primo livello sul viale centrale e qui si trovavano ubicati la Direzione Sanitaria, la Segreteria, la Biblioteca, la Farmacia, i laboratori d’analisi cliniche, anatomia microscopica, l'ambulatorio di terapia fisica e ionoforesi, marconiterapia, ultrasuono, diagnostica radiologica, settore
ammodernato nel 1960 con un complesso di psicodiagnostica. In questo livello si trovavano anche l’alloggio dei medici e il cinema-teatro con 150 posti a sedere.
Il Secondo Corpo, al centro del secondo livello, ospitava la Direzione Amministrativa, l’Economato, l’alloggio
dell’economo, la cucina, la dispensa, il forno, le caldaie, la calzoleria e l’alloggio delle suore appartenenti all’ordine “Figlie di Sant’Anna”, il servizio cassa e l’officina degli elettricisti, la falegnameria, i laboratori per i fabbri e calzolai, per rispondere a tutte le esigenze interne.
Nel terzo corpo al centro del terzo livello erano ubicati il guardaroba, la lavanderia, la sartoria e la sala cucito e la stireria.
Più in alto ancora, quasi al limite con il muraglione del costone nord della Rupe Atenea, sorgevano il serbatoio centrale dell’acqua potabile e una grande cabina di trasformazione elettrica.
I Padiglioni dei degenti.  A sinistra di questi palazzi, rivolgendo lo sguardo verso la montagna, si trovavano i reparti maschili mentre a destra si trovavano i reparti femminili sempre in numero di cinque, disposti simmetricamente a seconda della destinazione.
La I sezione, anche chiamata Reparto Osservazione, era destinata agli ammalati primi ammessi da sottoporre per legge a 15 giorni di osservazione prolungabili a 30, prima della destinazione ai reparti.
La II sezione era riservata agli ammalati con diagnosi di malattia mentale ma bisognosi di ulteriori terapie intensive; qui trovavano posto anche gli ammalati “calmi”, bisognosi di terapie generali, ricostituenti o in attesa di essere affidati alla famiglia.
La III sezione era destinata agli “incurabili”, agitati permanenti aggressivi, suicidi, coprofagi, dementi irrecuperabili e cronici. Il reparto era comunemente chiamato la “Fossa dei Serpenti”.


[NB - In questo padiglione è stata allestita la mostra “C’era una volta il manicomio” ed è visitabile il rifugio antiaereo scavato nel tufo dai degenti, fissando un appuntamento]

Nella IV sezione era un settore di altissima vigilanza dove trovavano posto gli epilettici, parafrenici, schizofrenici o detenuti in osservazione psichiatrica, questi prevalentemente nella sezione uomini, si ha ricordo soltanto di una donna detenuta in osservazione psichiatrica.
La V sezione era occupata dai malati tranquilli piuttosto paranoici, non laceratori, affetti soprattutto da ansia e depressione.
Nel settore orientale si trovavano altri tre isolati: La Chiesa, la camera mortuaria dove venivano praticate le autopsie, e una altro reparto dalla capienza di dieci posti che originariamente fu di isolamento il cosiddetto “Reparto Infettivi” fu chiuso dopo la scoperta dell’antibiotico e i malati furono trasferiti in strutture
ospedaliere specializzate.
La zona più a sud dell’odierna Casa della Speranza, oggi occupata dall’orto botanico, era denominata zona Agricola, un podere esteso centinaia di ettari e il con un ricco frutteto, mandorleto, orto e numerosi animali che permettevano all’intero Ospedale Psichiatrico di rendersi per buona parte autosufficiente nel fabbisogno alimentale
Chiesa di Sant’Antonio. La chiesa di Sant’Antonio, seppur nelle sue piccole dimensioni, è costituita da tre navate con arcate gotiche, dello stesso stile sono le quattordici finestre, per cui all’interno si può godere di una penombra che facilita il raccoglimento e la percezione del soprannaturale tipico dello stesso stile gotico che sembra spingere lo spirito verso l’alto.
Fu progettata dall’architetto Donato Mendolia.
Originariamente la Cappella fu dedicata al “Sacro Cuore di Gesù”
La capienza della chiesetta è di circa 150 persone ed è dotata di un prestigioso organo elettronico “Mascioni” del 1958.

[Ricerca storica e testi curata dal Dr. Giorgio Patti e dalla Dr.ssa Chiara Minuta]

Franco Basaglia, Morire di classe, Nuova edizione per Il Saggiatore

Franco e Franca Basaglia (a cura di), Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Il Saggiatore, 

Morire di classe (1969) da tempo non era più reperibile nelle librerie. Abbiamo deciso di ripubblicarlo ora, nella sua integrità, perché possa testimoniare alle nuove generazioni quale fosse la condizione dei malati mentali prima della rivoluzione di Franco Basaglia, di Franca Ongaro Basaglia e di tutte le donne e gli uomini che insieme a loro hanno operato per scardinare quel sistema. Un lavoro collettivo che ha segnato una svolta epocale nella gestione della salute mentale e ha portato all’approvazione della legge 180. (Alberta Basaglia, Luca Formenton)

Ringraziamo Elena Ceratti e Gianni Berengo Gardin per la collaborazione alla nuova edizione di questo libro «simbolo».

(da Wikipedia) Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, pubblicato per la prima volta nel 1969, è un'opera che critica le condizioni in cui si trovavano gli ospedali psichiatrici italiani dell'epoca, pubblicato da Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia con fotografie in bianco e nero di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, una introduzione dei Basaglia e vari altri testi.

Contesto. Negli anni sessanta lo psichiatra Franco Basaglia era il direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia. Anche se lo avrebbe dovuto gestire secondo i criteri tradizionali, simili a un carcere, Basaglia, sua moglie Franca Ongaro e il loro gruppo invece ridussero la contenzione dei pazienti, tanto che nel 1967 furono rimossi i lucchetti da tutti i reparti, in linea con gli ideali della psichiatria democratica. Basaglia ne scrisse in un libro molto famoso pubblicato nel 1968, L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico; e i cambiamenti da lui apportati furono meglio conosciuti grazie al documentario televisivo, I giardini di Abele, realizzato da Sergio Zavoli nel 1968 e trasmesso per la prima volta nel 1969.

Fotografia. Come riferisce il fotografo Gianni Berengo Gardin, nel 1968 Franco Basaglia chiese alla fotografa Carla Cerati di documentare per una rivista le condizioni nei manicomi italiani. A disagio per l'incarico, Cerati chiese a Berengo Gardin di accompagnarla; lui accettò a condizione che fosse permesso anche a lui di scattare fotografie, e in seguito convinse Basaglia a realizzare un libro. Nel resoconto dello storico John Foot non è menzionata nessuna rivista, e uno dei primi progetti del libro prevedeva fotografie di entrambi gli autori, Cerati e Berengo Gardin, ambedue già conosciuti da Basaglia.

Cerati e Berengo Gardin realizzarono i loro scatti in quattro ospedali: a Gorizia (il manicomio diretto da Basaglia), Colorno (vicino a Parma), Firenze e Ferrara. Il grado di libertà dei due fotografi variava notevolmente: fu permesso loro di visitare il manicomio di Firenze soltanto una volta (dove non furono bene accolti dalla direzione), ma erano molto più liberi di lavorare a Gorizia.

La loro fotografia era soggetta ad altri vincoli. Anche se Berengo Gardin aveva fotografato incontri tra pazienti a Gorizia, e scene in cui era presente Basaglia, queste ultime furono omesse dal libro: Basaglia voleva evitare l'impressione del paternalismo e Foot fa notare che le foto di Gorizia non rispecchiavano la situazione dell'epoca (insolitamente libera per i tempi) e si limitano a descrivere il suo passato repressivo.

Prima della pubblicazione del libro, e con l'appoggio del politico Mario Tommasini, fu organizzata a Parma una mostra intitolata La violenza istituzionalizzata (e più tardi fu spostata a Firenze); questa fu la prima occasione in cui furono esposte al pubblico molte delle fotografie che più tardi sarebbero apparse in Morire di classe.

Alcune immagini del libro sono state utilizzate anche nel film I giardini di Abele e Nei giardini della mente, per altri libri e volantini.

Testi. Il libro contiene un'introduzione scritta dai Basaglia, inoltre testi di Erving Goffman, Michel Foucault, Paul Nizan, Luigi Pirandello, Primo Levi, Louis Le Guillant e Lucien Bonnafé, Jonathan Swift, Rainer Maria Rilke, Frantz Fanon, Peter Weiss e altri.

John Foot fa notare nel suo saggio sulla storia della psichiatria radicale in Italia  che sia l'introduzione sia il testo fanno uso della nozione dell'istituzione totale, creata da Goffman o da lui resa famosa, nozione importante nel libro di Goffman (pubblicato nel 1961) Asylums, la cui traduzione italiana era stata pubblicata nel 1968. Il manicomio era totalitario (Goffman e Foucault), "colonizzava" i pazienti (Fanon), o li riduceva alla condizione di uomini "vuoti" dei campi di concentramento (Levi).

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16 novembre 2024 6 16 /11 /novembre /2024 05:51
Merda di cane abbandonata (foto di Maurizio Crispi)

Merda di cane abbandonata (foto di Maurizio Crispi)

Questa è bella
Intervento geniale e creativo
in cui la parola si unisce al (mis)fatto

da parte di un Censore
che dà voce allo sdegno di una parte dei cittadini offesi e vilipesi

Immagino questo Censore ignoto che, fornito di cartoncini bianchi e di pennarello, gira per le vie della mia città 
con la mission di contrassegnare con il suo cartellino le deiezioni dei cani abbandonate da padroni incivili e irrispettosi.


Questo Censore è come l’arbitro di una partita di calcio che assegna ai giocatori che non rispettano le regole cartellini gialli e rossi.
La sua mission alla fine potrebbe sortire dei risultati positivi, sulla base del principio: “Colpirne uno per educarne cento!


Il problema è che i trasgressori della norma e delle regole di civile convivenza hanno stomaci foderati di cuoio e, il più delle volte, sono immuni dal senso della vergogna e, del pari, non si sentono in colpa (e nemmeno sono sfiorati dal sentimento di colpa)

É questa una foto che potrebbe diventare iconica del malcostume imperante

#fotodimauriziocrispi

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20 gennaio 2024 6 20 /01 /gennaio /2024 09:01
Uno dei tre alberetti morto abbandonato nel cassonetto (foto di Maurizio Crispi)

C’erano una volta tre alberetti
messi a dimora in Piazza Noce
Due non passarono l’estate afosa del ‘22
e morirono prosciugati dalla calura
Né i giardinieri del Comune,
né la gente del quartiere
si preoccuparono di abbeverarli

Il sopravvissuto alla prima estate
dopo la piantumazione
ha tirato avanti per un anno ancora
Ma non è riuscito a passare l’estate del ‘23
altrettanto afosa della precedente
Anche quest'alberetto
è morto di sete,
perché nessuno s’è preoccupato
di  portargli dell'acqua
per rinfrancarlo

Adesso il tronco disseccato
è stato rimosso
ed è stato collocato di traverso
su due cassonetti dell’indifferenziata
all’angolo della via

Se ne sta là
da qualche tempo
e nessuno lo rimuove
Probabile che gli addetti
allo svuotamento dei cassonetti
ritengano che non sia faccenda
di loro competenza

Fino a quando la reliquia dell’alberello defunto
se ne starà là?
Non si sa!

Certo a vederlo così,
gli animi più sensibili fremono d'indignazione

La sua presenza lì, come spoglia,
è un monumento all'insipienza, all'indifferenza,
alla sciatteria, al pressapochismo, alla inettitudine
e a tutte le altre buone (pessime) qualità 
dei cittadini non-cittadini
dei governanti non governanti

Questa è Palermo, Bellezza! 

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15 gennaio 2024 1 15 /01 /gennaio /2024 07:43

Ritrovato su Facebook e mai riportato nei miei blog

Maurizio Crispi (13 gennaio 2013)

Pink Floyd - Wish you were here

Devo partecipare ad una mezza maratona in una località imprecisata. Arrivo sul posto in auto, assieme ad altri, e parcheggiamo.

Dall'area di sosta bisogna salire su per una scala: incito le altre persone a far presto (“Presto che è tardi!”), ma quelle se ne rimangono ad indugiare vicino alla macchina, indolenti.

Io mi inerpico e mi fermo a guardarli dall'alto, da uno dei pianerottoli della lunga fuga di scale. Accanto a me c'è la mia amica Laura, runner e trailer di valore.

Decidiamo di proseguire: che gli altri si arrangino, il tempo stringe. 

Finite le scale, ci ritroviamo davanti ad un vasto terreno pianeggiante che è, In realtà, una distesa di acqua lacustre, immobile come una lastra di vetro e meravigliosamente limpida.  Io e questa Laura attraversiamo il campo lacustre a guado, con l'acqua che ci arriva alla vita.

La bellezza del posto è tale che, in un primo momento ci dimentichiamo dell'impegno della gara di lì a poco e ci viene naturale intraprendere spensierati giochi d'acqua, tuffandoci e rincorrendoci.

Splash, splash e poi ancora splash…

Ma si deve proseguire.

L’imperativo categorico del podista prende il sopravvento sul piacere e sul più puro istinto ludico: entra in scena il Super-io podistico, in altri termini.

Più avanti, la distesa lacustre finisce e siamo di nuovo sul terreno solido.

E riprendono le infinite rampe di scale.

Il tempo è tiranno. La Laura adesso è scomparsa: mi accorgo all’improvviso di essere solo.

Penso: Si sarà affrettata per arrivare alla partenza… Tutto sommato, lei è una delle favorite.

Io, invece, indugio ad attendere quelli con cui eravamo arrivati che sono sempre più in ritardo e ancora fuori dalla vista.

La scala è percorsa da una continua processione di podisti vocianti che mi superano, costringendomi a farmi da parte per non esserne travolto.

Vanno d’impeto, come è naturale che sia, tutti presi dall’eccitazione della gara imminente.

Io, messo da parte rispetto alla corrente dinamica di uomini e donne in completini da runner, attendo: afferro il mio cellulare e cerco di connettermi con uno dei miei amici.

Mi confondo, però: è come se non riconoscessi più le singole funzioni del dispositivo. Poi, mentre me lo rigiro tra le mani, mi rendo conto che stavo cercando di telefonare con una macchinetta fotografica digitale compatta. Rimango stordito e semi-paralizzato. Gli addetti dell'organizzazione, che già vedo in cima all’ultima rampa di scale, mi incitano a gesti a sbrigarmi: mi rendo conto che il tempo sta per scadere...

Cerco, a questo punto, di rimettermi in movimento, anche se i miei amici non sono ancora arrivati, ma sono come paralizzato. Penso che non ce la farò mai ad arrivare in tempo alla linea di partenza. E più penso a questo, più mi sento diventare pesante, come fossi incollato al suolo e schiacciato prepotentemente da una maligna forza di gravità. 

[questo sogno è della notte del 13 gennaio 2013

 

Aggiungo in calce due spunti associativi, stimolati da alcuni commenti postati in calce allo scritto sul profilo Facebook

Prima ancora di iniziare a correre, sognavo di correre, di camminare e di andare di continuo in luoghi lontani.

La mia casa, in questi sogni, era sempre la strada. Non avevo mai requie.

Poi, ho cominciato a correre, ma i sogni in cui correvo e camminavo hanno continuato a visitarmi.

Anche se di base sono stanziale e non sono certo "leggero" (essendo pieno di ingombri tra i quali i molti miei - beneamati - libri) come il sinologo protagonista di Autodafè di Elias Canetti, in realtà con la mente - e qualche volta anche con il corpo - sono in movimento su qualche strada.

Credo di essere, fondamentalmente, un nomade e un vagabondo.

Quando da piccolo mi chiedevano - come si fa per gioco - cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo con molta serietà e decisione: "Voglio fare il vagabondo!"

I sogni servono a questo: a ricordarci chi siamo e da dove veniamo, a dirci cosa vorremmo essere e a segnalarci dove vorremmo andare o dove potremmo essere

A proposito di telefono (che sembrerebbe essere uno degli elementi chiave del sogno), proprio in questi giorni vado rimuginando delle riflessioni che partono dal sentimento di stizza e di fastidio ogni qualvolta vedo qualcuno che declama per strada le sue telefonate, oppure che parla al cellulare mentre è alla guida della sua auto (sprezzante del divieto) oppure ancora intento a digitare messaggi sempre mentre è alla guida.

In questi casi, sono sopraffatto da un sentimento di stizza, che si tramuta in ira savonarolesca, se non addirittura in un movimento repentino (ed inaccettabile, per alcuni versi) di odio.

Poi, il tutto si stempera e rimane soltanto una bava di antipatia e futilità.

Ma che hanno da dirsi? - mi chiedo.

Perché non assaporare il momento della solitudine e dell'essere soli con se stessi alla guida della propria auto o mentre si cavalcano i "cavalli di San Pietro"?

Rimango del tutto basito da questa incapacità del mio prossimo di poter accedere ad un momento di fusione con se stessi e con il mondo, come potrebbe accadere mentre tu cammini solo con i tuoi pensieri e totalmente immerso nella realtà che ti circonda, in uno stato d'animo fluido e permeabile da dove - esattamente come quando ti siedi su di una panchina ad osservare il mondo che scorre accanto e attorno a te che te ne stai immobile - non sei isolato dagli altri, ma puoi osservarli e fantasticare su di loro.

La telefonia mobile ti riempie le orecchie di un costante brusio di fondo, mentre la messaggeria per sms ti annebbia la vista. 

I tuoi sensi vengo ottusi e la tua mente non può più vedere.

Rimani prigioniero di invisibili fili.

Per quanto concerne, la meraviglia del telefono mobile che si tramuta in macchina fotografica digitale, questa trasformazione esprime molto la mia cifra personale di "catturatore d'immagini" (mentali innanzitutto).

Mi relaziono con il mondo, il più delle volte, con la macchina fotografica - non ho difficoltà ad ammetterlo e osservo le cose attraverso un mirino e, se non ce l'ho materialmente con me, è come se ce l'avessi.

Devo anche aggiungere che questo sogno si sta rivelando molto produttivo e che i commenti si dipanano quasi come se fossi sdraiato sul lettino di uno psicoanalista [commenti presenti sul profilo facebook e qui non riportati, all'infuori di quello sul telefono].


 

(Scrive, in un commento, Alice Ferretti, al secolo Tiziana Torcoletti, su FB)
Mauri in caso ti ricapitasse🙂:
"Telefonare è il gesto familiare che si compie molto di frequente con cui si ricerca o si riceve una comunicazione. Telefonare o ricevere chiamate è altrettanto frequente nei sogni proprio perché è un’azione ampiamente diffusa, con connotazioni che vanno al di là dell’ atto puro e semplice.
Telefonare è entrare in “contatto” con qualcuno di cui in quel momento si ha bisogno, qualcuno che si ama o con cui c’è un legame, è cercare notizie di chi provoca un interesse, è sentire una voce che può avere un profondo significato, è prendere accordi, chiarirsi, o anche affrontare argomenti scabrosi che la lontananza fisica può più o meno facilitare, è ricevere buone o cattive notizie, è l’ ignoto di una voce sconosciuta.
Il telefono è il mezzo che consente tutto questo e che, nella nostra epoca vissuta all’insegna della velocità, assume un’importanza esponenziale trasformato in cellulare, nella possibilità quindi di creare un collegamento in ogni situazione e in ogni momento.
Il vecchio telefono fisso che consentiva di parlare solo in determinati luoghi e solo previa ricerca del numero telefonico e del rituale ruotare del disco numerico, è stato così soppiantato dal cellulare che ci accompagna ormai in ogni luogo. Difficile pensare che un uso così ampio ed una diffusione ormai capillare di tale strumento non si accompagnino ad un investimento libidico e a proiezioni individuali molto forti.
Così nei sogni, telefono fisso, cordless o cellulare diventano il simbolo della possibilità di “comunicare“, possibilità che viene vissuta molto spesso come “potere” di risolvere una situazione, di ritrovare un legame, di trovare aiuto. Le immagini oniriche in cui il telefono appare sono varie ed accompagnate da emozioni molto diverse. L’analisi di ogni situazione e di ogni sfumatura emotiva sarà allora indispensabile per comprendere il significato simbolico che il telefono assume.
Frequentissimi sono i sogni in cui si tenta di telefonare al proprio partner o alla persona di cui si è innamorati, accade allora che: non si trovi più il cellulare, non si ricordi più il numero da digitare, non si riesca a digitare tale numero, oppure giunga all’orecchio una voce incomprensibile o suoni che disturbano la ricezione. Questi sono forse i casi più frequenti che possono alludere a difficoltà di comunicazione nella coppia, a tentativi fatti in tal senso che non hanno portato a buon fine, oppure, situazione anche questa molto frequente, ad un interesse a senso unico, un amore non condiviso.
Tuttavia essere ostacolati nel telefonare o non sentire con chiarezza ciò che l’ interlocutore dice, può fare riferimento anche a difficoltà presenti in rapporti più formali, in situazioni di lavoro di affari: “non ci si capisce” non si riesce a trovare un codice comune, non c’è un mezzo che consenta la “comprensione”.
Così telefonare e non ricevere nessuna risposta può indicare il “silenzio emotivo” da parte della persona che si cerca: un amore finito, un’amicizia incrinata, aspettative e bisogni che sono disattesi.
Ricevere una telefonata può mettere in evidenza la disponibilità di qualcuno nell’offrire sostegno, aiuto, amore al sognatore, mostrare che questi non è solo, che ha legami “attivi ” nella vita, mentre la qualità dell’interazione telefonica può mostrare la disponibilità a farsi aiutare e a saper ricevere.
Capita anche che il telefono funga nei sogni da tramite con il mondo dei defunti, numerosi esempi evidenziano quanto questo mezzo sia usato nelle situazioni oniriche alla ricerca di un ulteriore contatto con la persona cara scomparsa, e come sia straziante il silenzio, la comunicazione mancata o la ricezione che si interrompe, come avviene nel sogno seguente:
Provo a telefonare a E. per metterci d’ accordo sul programma del pomeriggio. Il telefono squilla, ma lei non risponde. Non so come ma mi trovo proiettato a casa sua dove vedo che lei non vuole rispondere… fissa il telefono sorridente, guarda me (non so come ma si è resa conto che in un qualche modo sono li) e mi fa capire che questa, cioè rispondere ad una mia chiamata, sarà una di quelle cose che non potrà mai più fare! A questo punto io mi sveglio di soprassalto ed un’angoscia terribile mi assale, piano piano realizzo il sogno e metto a fuoco la realtà.” ( M.- Roma)
Sogni di questo genere possono ripetersi durante l’ elaborazione del lutto fino a che il sognatore infine “lascia andare” il legame terreno che ancora lo condiziona ed in lui subentra la rassegnazione."

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12 gennaio 2024 5 12 /01 /gennaio /2024 07:33
Piero Cipriano, La Società dei Devianti, Eleuthera

Con La società dei devianti. Depressi, schizoidi, suicidi, hikikomori, nichilisti, rom, migranti, cristi in croce e anormali d'ogni sorta (Altre storie di uno psichiatra riluttante), pubblicato da Eleuthera nel 2016,
ho completato la lettura del terzo volume della trilogia dello “psichiatra riluttante” di Piero Cipriano, preceduto da "La Fabbrica della salute mentale: diario di uno psichiatra riluttante" e da "Il manicomio chimico: cronache di uno psichiatra riluttante" (sempre editi da Elèuthera)

Quale sia il progetto che emerge da questi tre volumi così ricchi di contenuti, eppure percorsi da un unico - coerente - filo conduttore, ce lo chiarisce in una breve, ma efficace, sintesi di intendimenti lo stesso Cipriano nell'incipit dell'ultimo capitolo di questo terzo volume della "Trilogia": una dichiarazione di intenti che ha tanto il sapore - mutatis mutandis - di quella poetica ed intimista - eppure di intensa critica sociale dei suoi tempi - di H. D. Thoreau, quando in una delle più celebrate pagine di Walden, ovvero Vita nei boschi, cerca di spiegare a se stesso e ai suoi futuri lettori il motivo della sua scelta di ritirarsi a vivere in maniera semplice in un luogo appartato nella selva, in una capanna da lui stesso costruita. Thoreau rimane pur sempre un fulgido esempio di un pensiero anarco-libertario e credo che Cipriano si possa in qualche collegare a quel tipo di pensiero che io mi sento di condividere profondamente e, del resto, per lui la transizione dalla definizione di sé come psichiatra riluttante a quella di "psichiatra anarchico" è stata naturale e spontanea.

Ma ecco le parole di Cipriano:

"Prima vorrei chiarire perché ho deciso di scrivere questi tre libri: Perché ad un certo punto della mia carriera, ho deciso che non avevo più voglia di fare carriera nel mondo, per lo più fuorilegge (fuorilegge in senso lato, per significare selvaggio, primitivo, ferino, immorale, anetico) della psichiatria, e avevo voglia, al contrario di intraprendere (nel mio piccolo specifico, sull'esempio dei grandi maestri dell'anticarriera psichiatrica, Franz Fanon e Franco Basaglia, per capirci) una carriera ritroso, l'anticarriera del medico mentale che si distrugge come soggetto di sapere e potere ai danni del malato e si ricostruisce come suo alleato" (ib., p. 217)


In questo terzo volume della trilogia, in circa trenta capitoli, Piero Cipriano, basagliano convinto, porta avanti le sue riflessioni che seguono vari filoni con un’attenzione questa volta più accentuata verso diverse forme di devianza e di intolleranza nei confronti dei diversi.
Cipriano si definisce, oltre che seguace delle idee di Franco Basaglia, uno psichiatra “riluttante” nei confronti dell’applicazione di misure contenitive e restrittive nel trattamento di ogni forma di disagio psichico, e quindi si proclama contrario a tutte le pratiche psichiatriche “restraint” (siano esse fisicamente o chimicamente contenitive). In ciò, sicuramente è uno psichiatra non allineato, uno che assieme a pochi altri (eredi di Basaglia, come lui) cerca di praticare una psichiatria che curi e che consenta in maniera autentica di liberare dalle sofferenze, di risolvere le conflittualità e di promuovere percorsi di liberazione.
Porta avanti il suo pensiero con coerenza, in maniera non omologata, incurante del fatto che molti colleghi operanti nell’ambito della psichiatria possano considerarlo un eccentrico (o anche un rompiscatole).
Eppure - e Cipriano ce lo mostra con efficacia - dire di no a certe pratiche omologate, a sistemi curativi pseudoscientifici non è soltanto espressione di coerenza con le proprie idee, ma può portare a dei risultati e può aprire delle crepe in un apparato “curativo” omologato e omologante (non solo nei confronti dei “pazienti” ma degli stessi operatori che vi lavorano), con un’azione di dissenso (alla maniera del melvilliano Bartleby lo scrivano) verso l’imperante “manicomializzazione diffusa” nel territorio che, accanto ai circa trecento mini-manicomi a degenza breve sparsi nel territorio nazionale, vede il proliferare sempre più importante ed imponente di strutture per degenze medio-lunghe, come le CTA oppure di Case di Cura convenzionate che accolgono pazienti psichiatrici per periodi di svariati mesi, funzionanti in base al principio della “porta girevole”.
È un piacere profondo leggere le considerazioni e le riflessioni di Cipriano, poiché egli riesce a realizzare sempre una brillante sintesi tra letture e approfondimenti fatti, film visti e la propria viva e inconfondibile esperienza clinica nella quale s’intravede in filigrana una profonda umanità.
Nelle sue pagine si coglie un vivido percorso di volontà di crescita professionale che si arricchisce di giorno in giorno, dove letture e riflessioni scritte servono a decostruire e a ricostruire di continuo delle buone prassi e a trovare continuamente lo stimolo interiore per porsi delle domande (ed é più importante, sempre, porsi delle domande, nutrire dei dubbi, anziché procedere avendo delle certezze assolute ed irremovibili).
Esperienza quotidiana, letture, studio, confronto e reminiscenza sono tutti elementi che confluiscono nelle scritture diaristiche, nelle riflessioni e nelle narrazioni a volte fiction di Cipriano che, essendo fuori dagli schemi, si definisce (e può essere senz’altro definito) uno “psichiatra anarchico”.
Non manca - come nei due precedenti volumi della “trilogia” - un ricco apparato bibliografico, un vero e proprio pozzo delle meraviglie, che consente ai lettori più esigenti di approfondire dei propri percorsi di lettura o di lasciare che si attivino proficue risonanze intellettuali nel caso quelle letture le abbia già esplorate precedentemente, ma cogliendo l’opportunità di rivisitare alcune tematiche viste in una nuova, originale, sintesi.
Cipriano non è soltanto un neo-basagliano, uno psichiatra riluttante, uno psichiatra anarchico (o anarcoide), ma è anche un esploratore impenitente che cerca di venire fuori dalle sue personali contraddizioni, trovando una propria strada che, per successive approssimazioni, lo porta a vivere sempre più coerentemente la propria professione.
Non vedo l’ora di leggere gli altri suoi libri che scaturiscono appunto da questa continua ed indefessa ricerca che nella sua più recente evoluzione è approdato ad un interessamento nei confronti della neo-psichedelia e del potere curativo di certe pratiche rituali messe in atto nelle culture tradizionali e che, dunque, in questa sua più recente evoluzione di pensiero e di interessi culturali si allinea con i grandi psiconauti del nostro tempo (di cui il nostro Giorgio Samorini è un rappresentante importante nonchè portavoce di altri studiosi del settore).

Ma, prima di concludere, diamo voce a Piero Cipriano che, in un paragrafo sintetico e denso, ci spiega chi e cosa è uno psichiatra riluttante.

"Chi è, oggi, uno psichiatra riluttante?
Uno che non accondiscende ai dogmi della psichiatria e alle sue pratiche, quasi sempre repressive. Uno psichiatra critico, radicale. Non ho trovato di meglio per definirmi. Non sono il primo e spero di non essere l'ultimo. Anzi, lo so di essere in buona compagnia. Eppure per molti anni, nei luoghi dove ho esercitato il mio mestiere mi sono sentito completamente solo. Come un cane sciolto. O meglio, come un cane in chiesa. Come se fossi rimasto l'ultimo uomo sulla terra. Su pianeta abitato da zombie. E cosa può fare un uomo rimasto solo, su un pianeta disumanizzato, o su un'isola, o in un faro, o in un reparto psichiatrico blindato, se non scrivere, raccontarsi, provare a rimanere se stesso, o, perfino, rimanere vivo, per non lasciarsi andare alla disperazione, e cercare alleati, altri come lui: i riluttanti appunto." (ib.,
p11)

Trovo che queste parole di Piero Cipriano siano bellissime e particolarmente adatte per concludere questa breve recensione: molto meglio che una puntuale disamina capitolo per capitolo delle diverse tematiche trattate con competenza e con forte attitudine critica.


(Risguardo di copertina) "Ho vissuto metà del mio tempo nei luoghi dove si deposita la follia più indesiderata e tutta la possibile devianza dalla norma.
"E ho visto, da questo luogo privilegiato, in che modo gli uomini si trasformano, sia i curanti che i devianti
".
Si chiude con queste crude storie che raccontano il mal di vivere della nostra epoca la trilogia della riluttanza iniziata con "La fabbrica della cura mentale" e proseguita con "Il manicomio chimico".
A partire dalla sua frequentazione quotidiana con la sofferenza psichica, Cipriano si misura con quella stanchezza esistenziale, sbrigativamente definita depressione, che la nostra società antropofaga prima alimenta e poi cerca di etichettare con quel furore diagnostico e categoriale che le è proprio. A ogni deviante la sua etichetta, medica o psichiatrica, ma anche sociologica o giudiziaria, che così diventa una sorta di tatuaggio identitario, un destino imposto da cui tutto il resto deriva: gli obblighi, i percorsi, le scuole, le cure, i farmaci, le prigioni, ciò che ognuno potrà o non potrà fare (ed essere) nella sua vita.

Piero Cipriano (DAL WEB)

L'autore. Piero Cipriano (1968), medico psichiatra e psicoterapeuta, di formazione cognitivista ed etnopsichiatrica, ha lavorato in vari Dipartimenti di Salute Mentale d'Italia, dal Friuli alla Campania, e da qualche anno lavora in un SPDC di Roma. Autore di numerosi saggi sull'argomento, con Elèuthera ha pubblicato «la trilogia della riluttanza», che comprende, insieme a La fabbrica della cura mentale (2022 n.e.), anche Il manicomio chimico (2023 n.e.) e La società dei devianti (2016), oltre a un volume dedicato allo psichiatra che più lo ha influenzato: Basaglia e le metamorfosi della psichiatria (2018).

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19 dicembre 2023 2 19 /12 /dicembre /2023 08:24
L'unica targa rimasta delle 21 dedicate alle 21 madri costituenti nel "Teatro Donne della Costituente" a Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Oggi voglio raccontare una storia edificante, ma edificante davvero.

Come sapete (anche se forse non tutti lo sanno) il 14 marzo 2019 in una cerimonia di grande spicco presso il giardino Rosa Balistreri (ex-Roseto), si è svolto l'evento "21 Madri Costituenti della Repubblica Italiana" nel quadro di un'intera giornata alla memoria delle 21 Madri Costituenti della Repubblica Italiana, promossa da A.N.D.E. Palermo e dall'Associazione Toponomastica Femminile.
I nomi delle 21 “madri costituenti” sono stati ricordati con delle targhe che sono state apposte sui gradini dell'Anfiteatro del Giardino “Rosa Balistreri” che è stato a loro dedicato (assumendo la denominazione di "Anfiteatro Donne della Costituzione") in una cerimonia pubblica alla presenza dell'allora sindaco della Città di Palermo Leoluca Orlando, di altri rappresentanti delle Istituzioni, del Dirigente del Settore Toponomastica del Comune, Michelangelo Salamone.
Questo l'antefatto.
Ma veniamo a ciò che mi ha colpito.
L'altro giorno, come faccio spesso al mattino, mi sono ritrovato a passeggiare nel giardino de Il Roseto (oggi dedicato a Rosa Balistreri).
Una bella giornata, non c'è che dire, con un bel sole e il cielo azzurro, percorso da nuvolette bianche. 
Forse, proprio perché i raggi del sole nascente piovevano sul giardino, ho intravisto un luccichio proveniente dalla recinzione metallica che delimita il giardino tutt'attorno.
Mi sono avvicinato, incuriosito.
Di cosa si trattava?
D'una targa metallica! 
Ed era - come ho scoperto accostandomi ancor di più - proprio una delle 21 targhe dedicate alle madri costituenti.
Ero là, esattamente alle spalle dell'anfiteatro.
Quindi, con il cuore in gola, ne ho disceso a balzi gli spalti, mi sono girato, abbracciando in una visione d'insieme l'intero anfiteatro.
Ebbene, delle 21 targhe commemorative, ne rimaneva al suo posto solo una, più l'altra che se ne stava infilata tra le sbarre dell'inferriata, due sopravvissute, 19 mancanti all’appello delle quali - come unica traccia della loro esistenza - rimaneva soltanto la superficie increspata dai resti della colla con cui erano state originariamente fissate.
Sono andato dai guardiani-giardinieri e ho chiesto loro cosa fosse accaduto alle targhe.
Uno di loro mi ha risposto: "Sono stati i picciuttieddi! Le hanno messe solo con la colla! Dovevano imbullonarle! Basta che di una si stacca un angolo e subito la scippano!"
È vero! Le hanno tolte via tutte, all’infuori di una.
Ma è una risposta debole, la sua: loro - i guardiani - dove sono? Dove erano quando lo scempio è stato compiuto? Non avrebbero avuto il dovere di controllare e di fermarli?
Hanno segnalato ciò che accadeva agli uffici preposti?
In ogni caso, il Giardino del Roseto è uno di quelli per i quali vige l'orario di chiusura notturno e, quindi, l'idea di vandali notturni che abbiano agito non attenzionati, non visti e non sentiti, è alquanto improbabile.
La rimozione delle targhe è stata portata avanti quasi sicuramente, mentre il personale era presente, ma - evidentemente - distratto.
Mi sembra che, nell'indifferenza generale, sia stato perpetrato un crimine molto grave, di annientamento e distruzione di un allestimento dall'elevato valore simbolico.
Un simbolicidio, dunque.
Ma nello stesso tempo - poiché le targhe rimosse ricordavano le 21 madri costituenti - si è trattato anche, a tutti gli effetti, d’un femminicidio, anche se soltanto metafisico e senza spargimento di sangue.
Un'azione casuale o premeditata?
E poi, perché nessuno è corso ai ripari?
Perché le targhe non sono state ripristinate?
Insomma, cose che succedono a Palermo! 
Ed è grave il fatto che ciò sia accaduto nell’indifferenza generale dei cittadini e non solo degli amministratori.
Non abbiamo speranze!
Non riusciamo mai a vedere la luce in fondo al tunnel!
Ci riusciremo mai a venire fuori nella luce?
Quando cambierà questo andazzo, se mai potrà cambiare?

 

#femminicidio
#madricostituenti
#andepalermo 
#associazionetoponomasticafemminile
#toponomasticafemminile
#avvistamenti

 

(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

Romano Cappelletto e Angela Iantosca, Ventuno. Le donne che fecero la costituzione, Edizioni Paoline, 2022

Romano Cappelletto e Angela Iantosca, Ventuno. Le donne che fecero la costituzione, Edizioni Paoline, 2022

Dalla prefazione di Livia Turco:
È molto bello sentirle parlare in prima persona della loro vita e delle battaglie sociali e politiche che hanno condotto.leggere questo libro e come sentire direttamente la loro voce, vedere il loro viso, il loro sorriso. Sono donne che provengono da storie politiche e culturali diverse, ma tutte hanno partecipato alla lotta partigiana e antifascista. Sentono, dunque, vivissimi nel loro cuore e nella loro mente i valori della libertà, della giustizia sociale, della democrazia, che sono anche la sfida di un mondo nuovo da costruire, in cui le donne devono essere protagoniste”.


Chi sono le ventuno donne che hanno contribuito all’elaborazione della Costituzione italiana? Quali sono le loro storie, la provenienza, le battaglie che hanno portato avanti, sacrificando spesso la vita privata e la propria famiglia in nome di un bene comune? Questo libro prova a raccontarlo attraverso le loro stesse voci, con una narrazione in prima persona che restituisce ai lettori la passione di chi ha partecipato alla ricostruzione di un Paese appena uscito da una devastante guerra. Il testo, rivolto agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado, intende ricordare quelle figure, spesso dimenticate, che hanno lottato senza mai tirarsi indietro e mostrare quanta strada ci sia ancora da fare, oggi, per attuare i princìpi e le battaglie di ieri.

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17 novembre 2023 5 17 /11 /novembre /2023 05:49
Painkiller. L'impero americano e la grande epidemia americana di oppiacei (titolo originale: "Pain Killer: An Empire of Deceit and the Origin of America’s Opioid Epidemic", nella traduzione di Chiara Libero), opera di inchiesta dello scrittore e giornalista Barry Meier

Painkiller. L'impero americano e la grande epidemia americana di oppiacei (titolo originale: "Pain Killer: An Empire of Deceit and the Origin of America’s Opioid Epidemic", nella traduzione di Chiara Libero), opera di inchiesta dello scrittore e giornalista Barry Meier, pubblicato nel 2022 da Mondadori (collana Oscar nuovi bestsellers), è una lettura di estremo interesse, poiché amplia di molto lo sguardo che la recente miniserie Netflix ha consentito di gettare sulla epidemia da oppiodi che si è registrata negli Stati Uniti dalla fine degli anni novanta del secolo scorso al 2020, avendo al suo centro l'Oxycontin, l'oppiaceo (la cui molecola è ricavata dalla tebaina, uno degli alcaloidi dell'oppio) millantato come “a lento rilascio” e sicuro, messo a punto dalla Purdue Pharma, azienda di proprietà della famiglia Sackler da sempre imprenditori del farmaco.
E’ stata un'epidemia di impressionanti dimensioni dal momento che si calcola che i morti per cause dovute/correlate all'assunzione di Oxycontin, siano stati oltre 250.000.

Il libro mette in luce con molta più forza le basi operative da cui è partita la famiglia Sackler che ha fondato, di fatto, le tecniche dell'orientamento marketing aggressivo dei farmaci, con tutta una serie di accorgimenti strategici, tra cui anche il controllo delle pubblicazioni " o scientifiche" o presunte tali. Tecniche che, nello specifico degli oppiacei "terapeutici" erano già state collaudate con il farmaco MS Contin (Morphine Solphate, in cui come per Oxycontin, il "contin" sta per "continous", ossia "a rilascio prolungato".
Il lancio di MS Contin e di OxyContin, dopo, si inserisce peraltro in un clima in cui sin dalla fine degli Ottanta si comincia a ragionare diversamente sulla terapia del dolore e sulla necessità di trovare dei farmaci adatti al trattamento del dolore cronico anche al di fuori delle situazioni oncologiche terminali.
In questo terreno la Purdue Pharma, grazie anche alle società correlate (e controllate dalla famiglia Sackler) si inserisce perfettamente con il suo marketing aggressivo e con il sistema da un lato di sistematica disinformazione indirizzata ai medici di base, cioè ai GP e non solo agli specialisti di terapia del dolore, e dall'altro di un sistema di incentivi ai medici prescrittori, oltre che con una costante minimizzazione del fenomeno della diversione sul mercato illegale nei modi più diversi sino ad arrivare alle cosiddette "

".
Il libro-inchiesta di Meier racconta tutto questo in modo avvincente e con ricchezza di particolare e la sua narrazione si legge come un romanzo.
Vi è naturalmente un atto d'accusa nei confronti del Big Pharma e della capacità delle lobby farmaceutiche di manipolare l'opinione pubblica, i medici, i politici nel perseguimento ostentato dei propri interessi di profitto.

Il libro, ma anche le due diverse miniserie che sono state prodotte, ispirandosi a questi drammatici eventi, inducono a riflettere e a porsi degli interrogativi sulla forza iatrogenica dei farmaci quando i medici non prescrivono più secondo scienza e coscienza, ma perché forzosamente indotti da un marketing aggressivo e mistificatorio, oltre che ad essere incoraggiati ad un un utilizzo di certi farmaci "pericolosi" in quanto generatori di dipendenza, seguendo delle indicazioni "off label", senza le necessarie tutele e essendo privi di un'informazione sincera e disinteressata. 
 

Painkiller. L'impero americano e la grande epidemia americana di oppiacei (titolo originale: "Pain Killer: An Empire of Deceit and the Origin of America’s Opioid Epidemic", nella traduzione di Chiara Libero), opera di inchiesta dello scrittore e giornalista Barry Meier

(soglie del testo) A metà fra il thriller medico e giudiziario e l'investigazione finanziaria, Pain Killer è soprattutto l'amaro, sconvolgente resoconto della tragedia che ha coinvolto un'intera nazione.
Tra il 1996 e il 2017 circa 200.000 americani sono morti di overdose da antidolorifici regolarmente prescritti, una vera e propria epidemia scatenata dal marketing aggressivo di Purdue Pharma attorno al suo OxyContin, il cui principio attivo è la morfina. Intere famiglie di ogni classe sociale sono state devastate e numerose aziende sono state danneggiate, mentre i proprietari della casa farmaceutica, i "filantropi" Raymond e Mortimer Sackler – i cui nomi sono incisi tra quelli dei benefattori dei musei di mezzo mondo – accumulavano notevoli fortune. Barry Meier racconta come Purdue abbia trasformato OxyContin in un affare miliardario: in passato gli oppioidi, potenti antidolorifici, sono stati usati come "ultima spiaggia" da chi non riusciva a placare il dolore con altri farmaci. Ma la comunicazione di Purdue ha illuso i consumatori che Oxy fosse più sicuro dei comuni analgesici. Il che era falso: anche se assunto sotto controllo medico, infatti, dà dipendenza; ma l'azienda ha volutamente nascosto i dati in suo possesso alle agenzie regolatorie, ai medici e ai pazienti. Pain Killer, qui presentato in un'edizione aggiornata, ci fa conoscere chi ha tratto enormi profitti dalla situazione e chi ne ha pagato il prezzo, chi ha tramato nelle sale dei consigli d'amministrazione e chi ha tentato di lanciare l'allarme: Art Van Zee, un medico condotto della Virginia, che ha avvisato le autorità della sempre più diffusa dipendenza da OxyContin; Lindsay Myers, una promettente studentessa liceale che è arrivata a rubare ai propri genitori per procurarsi il farmaco; l'agente della DEA Laura Nagel che ha denunciato Purdue. Dopo decenni di inchieste, Meier dà anche conto di come il Dipartimento di giustizia non sia riuscito a fermare la politica di Purdue e a proteggere i cittadini. A metà fra il thriller medico e giudiziario e l'investigazione finanziaria, Pain Killer è soprattutto l'amaro, sconvolgente resoconto della tragedia che ha coinvolto un'intera nazione.

L'autore. Barry Meier (New York 1949) dopo gli studi alla Syracuse University, ha iniziato a lavorare come giornalista d'inchiesta per il «Wall Street Journal», il «New York Newsday» e il «New York Times». Molte delle sue inchieste hanno portato a interrogazioni al Congresso. Nel 2017 il suo team ha vinto il Pulitzer for International Reporting.


Dal 2023 Painkiller è diventato una miniserie disponibile sulla piattaforma Netflix

Dal 2023 Painkiller è diventato una miniserie disponibile sulla piattaforma Netflix Alla scoperta di Painkiller: serie tv provocatoria, drammatica e basata su eventi reali

Alla scoperta di Painkiller: serie tv provocatoria, drammatica e basata su eventi reali
"Tutto il comportamento umano è costituito essenzialmente da due cose. Fuggire dal dolore, correre verso il piacere". Sono queste le parole pronunciate da Matthew Broderick mentre recita il ruolo di Richard Sackler - presidente di Purdue Pharma, società conosciuta per lo sviluppo di OxyContin - in Painkiller, serie tv provocatoria e drammatica ispirata all'omonimo libro di Barry Meier.
I 6 episodi della miniserie basata su eventi reali sono disponibili sulla piattaforma Netflix dal 10 agosto 2023, e racconteranno la crisi degli oppioidi che ha colpito gli USA negli ultimi vent'anni, uccidendo centinaia di migliaia di persone.
La limited-series originale della piattaforma di streaming è stata ideata da Eric Newman e dai creatori di Narcos, che hanno fondato le sue radici sul libro d'inchiesta del premio Pulitzer Barry Meier, e sull'articolo The Family That Built the Empire of Pain scritto da Patrick Radden Keefe pubblicato dal The New Yorker.
Una miniserie, e un libro, che seguono i responsabili, le vittime e dei cercatori di verità le cui vite sono state alterate per sempre dall'invenzione dell'OxyContin.
“Painkiller” non è il primo prodotto pensato per indagare la storia degli oppioidi sintetici e arriva soltanto due anni dopo di “Dopesick”, incentrata sul medesimo argomento e a sua volta basata su un attento lavoro di ricerca giornalistica. La serie di Fitzerman-Blue e Harpster è infatti tratta da una duplice fonte: l’articolo del New Yorker “The Family That Built an Empire of Pain” di Patrick Radden Keefe, e il libro “Pain Killer: An Empire of Deceit and the Origin of America’s Opioid Epidemic” di Barry Meier. Il ritorno sul medesimo argomento non deve assolutamente sorprendere, dato che secondo le stime del National Center for Health Statistics soltanto nel 2021 le morti per overdose negli States collegabili agli oppioidi erano più di 80 mila. Non tutte erano direttamente legate all’OxyContin, ma il suo iniziale utilizzo sfrenato seguito dalle restrizioni arrivate intorno al 2015 ha spinto molti consumatori a cercare soluzioni più economiche e reperibili, come eroina e fentanyl.

"Dopesick - Dichiarazione  di dipendenza" è una mini-serie che racconta la lotta contro la dipendenza da oppioidi negli Stati Uniti, per descrivere i presunti conflitti di interesse tra varie agenzie governative - principalmente la FDA e il DOJ - contro la Purdue Pharma e, infine, sulla causa legale[3] contro la stessa Purdue Pharma per le svariate illegalità occorse durante lo sviluppo, il test e commercializzazione del farmaco denominato Ossicodone. La narrazione ripercorre le vicende reali a partire dai primi anni '90, fino ai primi anni 2000 - attraverso diversi personaggi e storie, partendo dalle miniere della Virginia fino al processo operato dalla Procura Federale dello stato di Washington e del Connecticut.

https://youtu.be/Zr7Q9sIFalo

https://www.my-personaltrainer.it/salute/oxycontin-epidemia-da-oppiodi.html#:~:text=Nel%202022%2C%20Purdue%20Pharma%20fu,vent'anni%20negli%20Stati%20Uniti.

Articoli di approfondimento 

The family that built an empire of pain
https://www.newyorker.com/magazine/2017/10/30/the-family-that-built-an-empire-of-pain

https://www.theguardian.com/books/2021/apr/18/empire-of-pain-review-sacklers-opioids-purdue-oxycontin-patrick-radden-keefe

L'immagine di copertina illustra perfettamente il nucleo centrale attorno cui la Purdue Pharma ha costruito la mistificazione attorno all'Oxy Contin.

Al centro campeggia la pillola incriminata, mentre davanti si vede un mucchietto di polvere bianca che altro non è se non la stessa pillola sbriciolata.

Nell'informazione scientifica fornita ai medici si diceva, in modo non esatto, che la preparazione a rilascio continuo e controllato avrebbe minimizzato i rischi di dipendenza nell'uso terapeutico e soprattutto l'utilizzo improprio in caso di "diversione" delle stesse pillole. 

Ma i consumatori leciti (quelli che ottenevano il farmaco con prescrizione medica) e quelli illeciti si resero presto conto che era sufficiente inumidire la superficie della pillola per poterla sbriciolare e ridurla in una polvere fine.
Quando si compivano questi passaggi si perdeva la possibilità del rilascio controllato del principio attivo e l'efficacia del farmaco si manifestava interamente, in tutta la sua potenza.

Purdue Pharma si è sempre rifiutata - anche di fronte all'evidenza - di accettare questa semplice spiegazione, mettendo in discussione la propria preparazione farmaceutica e la sua presunta (o millantata) sicurezza.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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