Gabriel ha sognato questa notte ed ecco il suo racconto:
"Ero qui a casa con te e tu mi hai detto: Ti regalerò una nuova casa!
Questa casa però era molto piccola
E tu allora mi dicevi: Tu crescerai e ogni anno avrai una casa più grande della precedente
Dopo 16 anni avrai la casa più grande di tutte
Quando sono arrivato alla sedicesima casa mi rendevo conto che era più piccola di un cracker
E il sogno finiva qui"
Ho sognato Facevo parte di un’organizzazione
guidata da una donna malefica
Erano state stabilite regole assurde
per il controllo e l’eliminazione
dei non allineati, dei contestatori,
dei renitenti e dei riluttanti
Uno degli strumenti
adottati dalla leader
era costituito dalla somministrazione
frequentissima
di test ed indovinelli
tutti centrati sul paradosso
Era oltremodo arduo
trovare la risposta giusta
e si correva il rischio,
in caso di errore,
di essere allontanati
o fisicamente eliminati
(se non uccisi sul posto)
da vigilanti armati e minacciosi,
come in un quid game
Vigeva un’atmosfera di terrore
Era impossibile allontanarsi
oppure evadere
Quando arrivava il momento del test
bisognava partecipare
Ed era terrore puro
Durante uno di questi test
io ero assieme ad un compagno di lavoro
e avevamo da risolvere il compito/quiz
del momento
C’era un foglio fitto da istruzioni
da leggere e da decifrare
e c’era un mucchietto di polvere
(forse pepe o polvere da sparo)
che andava suddiviso
in un certo modo
alla luce delle indicazioni scritte
Io ero nel panico più totale
Le istruzioni non riuscivo a leggerle
perché le lettere mi ballavano
sotto gli occhi
Era tutto assurdo
Il mio compagno-amico mi diceva:
Fai così e così
Io eseguivo senza fiatare
Al termine della prova
passavano i controllori a verificare:
e per questa volta ero salvo
Ma per quante volte ancora
avrei potuto farcela
per il rotto della cuffia?
Non c’era scampo
Avremmo voluto organizzare una fuga
Ma la leader era ovunque
Compariva nei momenti più impensati
e sempre si metteva a berciare
e a mettere alla prova gli interlocutori
con i suoi indovinelli e paradossi
Se non era lei,
erano i suoi energumeni ad arrivare
ad interrompere le conversazioni
a frugare e a rovistare
a portare via i dissenzienti
senza se e senza ma
Voglio andare via da qui!
Spero di non dover fare
la fine di Winston Smith
Assurdo universo!
Poi, ho ancora sognato
Dovevo sostenere un esame universitario
Ero con altri in attesa
che arrivasse la commissione
Ancora, in verità, non mi ero iscritto
Aspettavo (come facevo un tempo)
l’ultimo momento,
quando affrontavo l’esame
come fosse un lancio di dadi
(affidandomi alla mia buona sorte)
Ma questa volta ero perplesso
Entravo nella stanza
in cui si sarebbe svolta la cerimonia
Il grande tavolo degli esaminatori
era vuoto
all’infuori di alcuni faldoni
e delle statine degli esaminandi
(proprio così: nel sogno erano
“statine”, non statini)
Mettevo il mio nell’ordine alfabetico
e, con il cuore in gola,
scoprivo che sarei stato il terzo
ad essere torchiato
Ma io non sono pronto!
E poi di questo argomento non so nulla!
Non è letto nemmeno una pagina
di storia dell’arte
Come faccio se dovessero chiedermi
della scultura e della pittura italiana
del XVIII secolo
Non potrei nemmeno arrampicarmi
sugli specchi,
utilizzando la mia parlantina
e la mia capacità di condurre il discorso
dove sapevo di più
Ho scovato, scartabellando tra i "ricordi" che FB giornalmente mi propone, questa nota del 13 gennaio 2011 che riporta la trascrizione di quattro sogni.
Eccoli
dall'improvviso comparire dalla profondità del mare
di un sub a fine immersione
che, mentre emergeva, si liberava di tutta l'attrezzatura
che risaliva a galla
Il GAV pieno d'aria, in particolare,
s’incuneava sotto la canoa e le faceva da galleggiante,
riportandola più velocemente in superficie
Riportavo le due barche sul pontile,
Qui la canoa si tramutava
in un lungo serpente d'acqua
Io, pieno di meraviglia, rimanevo immobile
ad osservare la metamorfosi
Il serpente si arrotolava,
formando molte spire intrecciate
proprio sull'orlo della banchina
e, con curiosità stupefatta,
notavo che il suo ventre biancastro e traslucido
era ricoperto da una miriade di mammelle
2. Tsunami
Sono su un'imbarcazione da canottaggio e navigo sul vasto mare, lontano dalla costa.
La barca è uno skiff, instabile e sottile come un fuso.
Basta niente per rovesciarlo: è uno scafo che richiede acque tranquille.
Basta un niente perché le grandi pale dei remi rimangano impigliate sott'acqua e ti facciano capottare.
E ciò può capitare tanto più facilmente se non hai una tecnica di esecuzione perfetta.
E' da tempo che non vogo su una barca siffatta e sono un po' in apprensione.
Sì, dopo tanto tempo, mi sento un po’ arrugginito.
Ogni tanto i remi sbattono sulla superficie e sento lo scafo oscillare, ma – nel complesso - ho la situazione sotto controllo.
Ciò mi conforta e mi riempie di euforia.
Certo, mi rendo conto che non sto vogando nella maniera corretta e che, per minimizzare le scosse e i disequilibri, muovo poco il carrello oppure inclino troppo la schiena all'indietro, per facilitare e rendere più fluido lo svincolo.
Godo del paesaggio marino.
I gabbiani volano in alto e ogni tanto scendono verso la superficie. Altri galleggiano pigramente, assieme alle gallinelle d'acqua.
La superficie del mare è liscia e riflette il cielo.
Ma all'improvviso, alla mia sinistra, vedo levarsi un'onda gigantesca il cui corpo assume una tonalità verde-cupo, mentre la sommità alta almeno 5-6 metri già comincia a sfrangiarsi.
Sono allarmato: mi chiedo come farò a resistere all'impatto della gran massa d'acqua.
La bellezza di prima si trasforma in cupa minaccia e in apprensione.
3. L’incontro con il baro
Sono impegnato in una partita a carte con un avversario di cui non conosco l'identità.
Non capisco nemmeno a quale gioco io stia giocando.
Ho in mano le mie carte.
Mi sembra di avere una combinazione favorevole e mi preparo a fare la mia mossa.
Tuttavia, sul più bello, scivolo in un micro-sonno.
Quando mi risveglio noto che le carte sul tavolo sono diverse da prima e che, dunque, la mano non mi è più favorevole.
Penso subito che qualcuno, approfittando della mia “assenza” le abbia manipolate.
In preda all’ira, butto sul tavolo le mie carte e, alzandomi bruscamente, lo rovescio con tutto ciò che vi è sopra.
Me ne vado, lasciando in tredici il mio avversario, dopo avergli gridato che è un baro e un imbroglione.
4. Il palazzo in rovina
C'è una grande festa di ragazzi (forse dell'età di mio figlio). Una grande confusione, grida, baccano, musica a tutti volume, vetri e bicchieri infranti.
La festa si svolge all'esterno d’una grande casa, in una spaziosa terrazza.
Entro in casa.
Dappertutto ci sono affilate lame di cristallo che spuntano dai pavimenti o pendono dal soffitto.
Cocci di vetro sparsi dovunque.
Sono preoccupato: temo che qualcuno dei ragazzi possa ferirsi.
Vado avanti circospetto e penetro sempre più all'interno della misteriosa dimora.
Sgocciolio di acqua. Tubi rotti, da cui sgorgano enormi quantità d'acqua.
Sono un po' contrariato: penso che tutto ciò sia il frutto di atti di vandalismi di qualcuno degli invitati.
Cerco di limitare i danni e tappare le falle.
Ma è un lavoro improbo dagli incerti risultati.
Man mano che vado avanti, gli ambienti si fanno sempre più claustrofobici.
Le stanze spaziose e gli ampi corridoi si tramutano in stretti cunicoli, sempre più bassi, le pareti stillanti umidità rivestite di muffe verdognole che, solo a sfiorarle, mi riempiono di ribrezzo.
Sono costretto, ad un certo punto, a camminare carponi, tanto le volte sono basse.
Spero di ritornare di nuovo all'ariosità di prima.
Anche questa volta ero parte
d’una vasta comitiva
costituita da gente comune
ma anche da molti, sovrastanti,
dignitari pomposi e vacui
Si trattava di partecipare
all’inaugurazione d’una nuova tratta ferroviaria
C’erano intoppi e lungaggini
Ricordo che entravamo
in un vasto atrio
spazioso ed echeggiante
( o forse si trattava d'un capannone
o d'un hangar)
dove erano disposte
in file interminabili
scomode panche di legno grezzo
alle quali eravamo invitati
a prender posto
da una voce metallica
(gracchiante)
proveniente da altoparlanti
piazzati in angoli remoti del soffitto
Io cercavo di tenermi a distanza
dal resto della folla
(cosa non difficile, visto che le panche
fornivano sedute sovrabbondanti)
e soprattutto cercavo di tenermi
a distanza di sicurezza dai dignitari
sempre più pomposi e vacui
E mi ricordai di ciò che scrisse il caustico Voltaire Si haut que l'on soit placé,
on n'est jamais assis que sur son cul!
Frase che, sovente, mi ripeteva ghignando, tra una tirata di pipa e l'altra,
lo zio Luigi, fratello di mamma
e generale con tre stellette,
sempre dissacrante
Avevo con me,
come sempre,
la mia attrezzatura fotografica
Gli ombrelli rotti
(e abbandonati)
dopo il giorno di pioggia
e di buriana di vento
Sono come fiori appassiti,
anzitembo
alcuni scarnificati
da venti cannibalici
e ridotti
all’essenziale del loro scheletro
Nelle pozze d’acqua piovana
si riflettono
il cielo e le nuvole
e gli alberi spogli
e, a volte, anche quegli ombrelli rotti,
naufraghi e derelitti
Passo in rassegna
facce e volti
in una galleria sfinita
alla ricerca di volti nuovi
o dimenticati
emergenti dalle brume del passato
Quante facce!
A volte anche non facce
Oppure anche cani, gatti,
cavalli, tramonti e nuvole
Alcuni la faccia non ce la mettono
Altri ce la mettono tutta
Alcuni se la fotoshoppano
Altri la piazzano lì
nuda e cruda,
talvolta comica o arruffata,
tal atra davvero impresentabile
Altri ci mettono volti falsi,
appartenenti ad altri
Tutti ammiccano e sorridono
Altri volgono
all’ignoto osservatore
uno sguardo che è solo cupo
o triste o anche inverecondo
È questo è il Libro delle Facce
che ogni giorno
ci chiama
e si fa esplorare
riportandoci talora
ad incontrare
anche coloro
che più non sono
Siamo in una grande casa,
forse un resort vacanze
e ci sono tanti bambini che giocano e corrono
Tra di essi c'è anche mio figlio
Assieme, andiamo in un posto dove si pratica dello sport
e qui vengono sviluppate
lezioni di avviamento alle varie discipline
per i più piccini.
Spiego a mio figlio,
mentre stiamo seduti
su di un enorme letto di una camera matrimoniale,
dell'importanza di stare assieme a ragazzini della sua età,
appartenenti ad etnie diverse.
E' l'unico modo per superare i pregiudizi - gli dico.
Il sogno è confuso e accadono tante altre cose che non ricordo,
ma è fulgido questo momento di dialogo
tra un padre e un figlio che, ancora acerbo,
sta muovendo i primi passi nella sua vita
Pur nella sua vaghezza, questo sogno mi ha fatto venire in mente una volta in cui mio padre mi parlò solennemente, chiedendomi se ci fosse qualcosa che non andava bene
Ricordo che avevo circa 10 anni e mio padre, probabilmente era preoccupato del fatto che tendessi a starmene per i fatti miei, senza troppo socializzare con i miei coetanei
Ricordo anche che questa conversazione accadde di mattina presto, mentre mio padre si stava preparando per andare al lavoro
Eravamo nella stanza da letto dei miei genitori che non era ancora stata rifatta
Mio padre chiuse la porta, come a sottolineare l'importanza del momento, a tu per tu, quasi da uomo a uomo
Fu l'unica volta che io ricordi, in cui mio padre (mia madre non lo fece mai, a mia memoria) mi chiese qualcosa di me stesso, se stessi bene o se avessi qualche difficoltà
La mia non era una famiglia nella quale si parlasse molto di cose personali ed intime
Non era nel nostro stile dilungarsi a parlare di sé, anche se a tutti noi era richiesta una dura disciplina, muta e condivisa che ruotava attorno a mio fratello
Se si deve essere forti per superare le asperità della vita, non ci si deve mostrare deboli e occorre procedere a testa alta, senza aspettarsi che la vita faccia sconti di sorta
Eppure quella volta mio padre, superando un suo naturale riserbo, lo fece e mi chiese qualcosa che potesse riguardare la mia sfera intima e privata
Io non gli diedi molta soddisfazione, a dire il vero
Dissi - forse intimidito da questa solennità - che non c'era alcun problema, almeno per quello che potevo capire
Lui soggiunse che, in qualsiasi momento e per qualsiasi cosa potessi aver bisogno, avrei sempre potuto parlare con lui e che in simili circostanze lui mi avrebbe dato la massima attenzione
Ciò che ricordo di questa conversazione, è il disordine della camera da letto e il fatto che io me ne stessi seduto sul bordo del letto, mentre mio padre era affaccendato nei suoi preparativi
Come ho già detto, probabilmente eravamo d'estate, perché mentre mio padre si preparava per andare al lavoro, io non avevo un'urgenza particolare e, quando mi chiamò per parlare, ciondolavo in giro
La conversazione non ebbe forse l'esito voluto da lui (che era fondamentalmente di poche parole, a meno che non si confrontasse in un agone intellettuale ed io, sotto questo profilo, ero ancora troppo piccolo ed acerbo per essere un suo efficace antagonista), ma fu l'espressione di una sua attenzione nei miei confronti (magari scaturita da una precedente consultazione con la mamma)
E mi fece anche capire (ma lo compresi meglio retroattivamente) che ero cresciuto abbastanza e che ora avrei potuto confrontarmi con lui
Insomma, mi indico una via possibile che, se avessi voluto, avrei potuto percorrere
E di questo tentativo non posso che essergli grato ancora oggi
Mi sovviene un sogno strano nel quale accadono molte cose
Prima sono con Gabriel e camminiamo o forse corriamo per le vie di una grande città che forse è Londra.
Dobbiamo trasferirci al posto dove fa l’allenamento di Parkour
Lo spostamento che facciamo è in sè un allenamento di Parkour, poiché dobbiamo arrampicarci, saltare, strisciare, valutare quali siano i passaggi migliori e in più ci sono delle qualità di orienteering.
Prima eravamo passati da una dottoressa in tatuaggi che mi aveva tatuato sul dorso della mano destra il quadrante di un orologio in modo che io con facilità e senza impicci potessi consultare l’ora
Il tatuaggio apparteneva alla categoria dei tatuaggi animati e questo ero il primo che vedevo!
Gabriel era molto meravigliato
Proseguivamo il nostro viaggio scansando ostacoli continui e superando dei passaggi impossibili
Coglievamo l’attimo
mi fermavo anche nella bottega di un barbiere il quale con molto sussiego mi tagliava i capelli e me li acconciava
Io poi andavo via e guardando il mio volto riflesso in una vetrina mi rendevo conto di avere indosso un'orribile parrucchino malfatto che rivelava immediatamente la sua natura posticcia
Me lo strappavo con rabbia dalla testa non senza dolore, poiché quello sciagurato tosatore di cristianeddi e cerusico aveva applicato una potente colla al cuoio capelluto per stabilizzare il finto vello
E con ribrezzo buttavo via quel parrucchino, calpestandolo poi con foga e riducendolo ad uno straccetto
Nella folla che attraversavamo c’era uno che mi sembrava di conoscere
E, siccome non l’avevo subito riconosciuto e pertanto nemmeno degnato di un saluto mi faceva un bonario cazziatone: ed io ero costretto a fermarmi per parlare con lui ed intrattenermi nella conversazione, quando urgeva la frenesia dell'andare, dell'affrontare e superare ostacoli (Ah, la dromomania che è nelle mie fibre!)
Gli spiegavo dove stavamo andando e gli dicevo il motivo della nostra fretta
Poi riprendevamo ad procedere e, con un cambio di scenario, mi ritrovavo a partecipare alla riunione di un circolo esoterico di cui ero divenuto adepto Tutto è uno
Uno è tutto La vita è dovunque, anche nelle cose inanimate
Alcune verità possono essere solo sussurrate, mai dette ad alta voce
E' palese che la verità ultima non possa essere pronunciata ad alta voce perché ciò provocherebbe in chi la riceve uno shock cognitivo tale che, in un attimo, la sua mente andrebbe in tilt, letteralmente bruciata nelle sue più profonde diramazioni e connessioni
Possiamo esercitare un potere totale sulle cose, solo dopo avere attinto a piene mani dalla Forza della Verità ultima e definitiva, quella stessa Forza che è nelle cose e che le rende vive, viventi e pulsanti di vita
Ma occorre addestramento lungo e paziente per potersi abbeverare alle Verità Ultime
Armato di queste verità devo compiere un viaggio su di un aereo ma non all’interno della carlinga, bensì sorreggendomi con le mie sole forze ad un pennone altissimo collegato all’aereo per mezzo di robusti viticci
Io sto lassù e vedo il mondo in basso, farsi sempre più piccolo
Mi aggrappo spasmodicamente al pennone
Il vento sferza il mio volto
Le dita mi si intirizziscono
Eppure sono io che, con i miei impulsi mentali, comando l’aeromobile e lo piego docilmente all’esercizio della mia volontà, imprimendogli con impulsi psichici velocità e direzione
Eppure la mia paura è grande
Paura di perdere la presa
Paura di precipitare nel vuoto e nel freddo
Paura di morire
Paura di vivere
Sono in coda, in attesa di valutazione per un posto come dirigente psichiatra
Siamo tanti in attesa, ma io sono stato tra i primi ad arrivare
Siamo fuori all’addiaccio
Comincia a piovere
L’attesa si protrae all’infinito
Alcuni hanno portato degli incarti con delle robuste merende e mangiano, insensibili alla pioggia che li infradicia
Non trovo più il mio curriculum: l’avevo posato, rilegato in una cartelletta azzurra, su di un tavolo di pietra sul quale c’è poggiata una quantità di cose, tra cui residui di cibo, incarti vuoti e lattine di bibite varie
Lo cerco freneticamente, vorrei trovarlo per evitare che la pioggia ne dilavi via i caratteri, ma non è cosa facile, visto che sul ripiano del tavolo ci stanno accatastate molte altre cartellette simili
Alla fine trovo il mio documento e lo afferro per dirigermi con foga al grande portale da cui si accede al salone dove vengono fatti i colloqui
C’è una coda che si è formata nel frattempo, lunga lunga
Non capisco, ero stato uno dei primi ad arrivare
Ma non protesto, accetto e attendo pazientemente il mio turno
So che sono il predestinato
Infine, entro e vengo ammesso in un salone di dimensioni ciclopiche in fondo al quale c’è il tavolo della commissione giudicatrice
Intanto vanno avanti lavori di sgombro (o di sgombero, per non fare confusione con il pesce)
Gigantesche gru fanno discendere verso il basso enormi imballi che vengono caricati su camion giganti
E come se fosse in via di smantellamento lo scenario per le riprese di un film spettacolare e di grandi effetti del periodo d'oro del cinema peplum
Mi viene di pensare quello della corsa dei cocchi con tiri a quattro cavalli nel film Ben Hur
Una volta entrato devo ancora attendere
Ci sono altri che passano prima di me, un fiume di persone
Sono stupito e meravigliato, poiché credevo che i candidati a questo posto fossero solo otto
Ci vuole molta pazienza!
Alla fine sono seduto davanti alla famigerata commissione giudicatrice
L’esame è cominciato senza che nessuno mi avesse avvertito che stava cominciando
Sono dunque nell’esame senza nemmeno averlo capito ed essermi potuto predisporre
Nella commissioni ci sono volti conosciuti, quelli della vecchia guardia
Uno con la faccia furba, guardandomi di sottecchi, mi dice: "C’é un malato di COVID e lo vogliono sfrattare dalla casa dove abita, pagando la pigione. C’è una legge che possa proteggerlo?"
"Sì, faccio io con piena sicurezza, é una norma recente del codice di procedura civile che dice che un malato di COVID non può essere sfrattato per motivi umanitari!"
Sono sicuro al cento per cento di ciò che ho affermato: eppure tutti mi guardano con compatimento come se avessi sbagliato
Mi allontano con il cervello in subbuglio e con le palle a terra
So di avere fallito, benché fossi il predestinato
Ora non mi resta che tornare a casa per il riposo del guerriero sconfitto
Esco dal grande salone e mi ritrovo a camminare per le strade lastricate di pietra di una grande città azteca
Sono perduto e non so se riuscirò a ritrovare la via che mi condurrà nel mio luogo natale
Itaca, Itaca!
(Stacco)
Bussano alla porta
Vado ad aprire
Sul pianerottolo c’è il Massimo in assetto da lavoro, con materiali e strumenti vari
Mi indica un foglio che giace a terra e mi dice che ci sono da pagare 4,7 milioni di euro
Cosa? Come?, faccio io e prendo in mano il foglio
Strabuzzo gli occhi per leggere bene, perché per l’agitazione le lettere ballano e si confondono sotto il mio sguardo
A fatica leggo, con il batticuore
Decifro i caratteri
Capisco che è una bolletta TIM arretrata, intestata a mio nome, e, sì, c’è scritto un importo che è di 44,7 milioni di euro per bollette mai pagate in passato
Sono sbalordito
Non ci posso credere
Dovrò fare ricorso
Rombi
Tuoni
Gragnuole di colpi
Colpi singoli
Raffiche di due o tre botti
É come esser in guerra
da parte di chi
la guerra non la conosce
o non c’è l’ha in casa
È una sensazione sgradevole
questa
Sentirsi in mezzo
ad una guerra finta
mentre altrove gente
piange
urla
muore
lacerata dalle esplosioni
di letali bombe
feroci e assassine
Vorrei che i botti
di fine anno
fossero per sempre
banditi
Maurizio Crispi
Il nuovo anno è in arrivo!
Quello vecchio se va
con tonfi e fragori di cose rotte
Secondo i più,
accecati da un’idea di progresso infinito,
il passato è tutto da buttare
Rottamiamo!
Rottamiamo!, essi dicono
Io tuttavia ritengo che la chiave di tutto
sia nel Passato
e credo anche che il Passato
con tutte le sue cose,
belle o brutte che siano,
sia prezioso
per coltivare il giardino della memoria,
per la crescita della nostra esperienza
e per la nostra forza interiore
Nella Memoria sta la nostra forza più vera
Nella Memoria sono radicate
le nostre esperienze più profonde
(anche quelle di dolore e sofferenza)
che ci possono fare da guida
Io non voglio rottamare l’Anno Vecchio,
dunque
Che l’Anno Vecchio,
come tutti quelli che l’hanno preceduto,
rimanga con me,
non dimenticato,
non cancellato,
non alle mie spalle,
ma SULLE mie spalle,
un fardello non pesante,
ma tale da rendere il passo
più leggero e vigoroso,
in un anno
al primo quarto di secolo
del nuovo millennio
riuscirò a chiudere un cerchio
rimasto aperto!
“A volte penso che viviamo in un mondo così ossessivamente dedito a guardare avanti che spesso dimentica di concedersi il tempo per guardarsi alle spalle. Ma alcune delle nostre storie migliori si trovano nella nostra scia, e sospetto che, per quanto possano essere crudeli, ci aiutano a capire dove siamo diretti“
John Katzenbach, Corte marziale, Mondadori, 2000, Nota dell’autore, p. 497
Il mattino è tranquillo,
pulito
Non una bava di vento
Il cielo terso
I gabbiani volteggiano
e stridono
Un piccione, da qualche anfratto,
tuba e chiede
Il primo giorno del nuovo anno
La mia prima uscita
I miei primi passi,
dopo il primo caffé
Maurizio Crispi
Prospettiva distorta (foto modificata di Maurizio Crispi)
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.