Scrissi questa nota il 9 novembre 2009 e la ripropongo qui, adesso, aggiungendo i riferimenti e il mio commento al libro imperdibile, sull’argomento, di Lydia Flem.
Si tratta di una riflessione impressionistica, certamente non esaustiva, ma comunque stimolante e piena di sfaccettature
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Mi stringe sempre il cuore vedere che gli oggetti della vita di qualcuno diventano monnezza da accastare vicino a campane e cassonetti…
Le cose importanti o meno su cui riposava l'identità di qualcuno che non è più diventano "disposable", come dicono gli Inglesi, una sorta di vuoto a rendere riciclabile.
Qualcuno compie da se stesso quest'operazione mentre è ancora in vita, forse perché non sopporta l'idea di questo prevedibile scempio o, in alcuni casi, per non lasciare a chi resta l'ingrato compito.
Tempo addietro, lo ha fatto un signore che abitava nel mio condominio: molto anziano, aveva cominciato a deteriorarsi, ma con molta lucidità - come l'Aureliano Buendia di Marquez - cominciò a fare una "pulizia" radicale di tutte le sue cose, perfino di quelle legate alla sua identità professionale (era un professore di Liceo, peraltro molto apprezzato), quindi anche tutti i suoi libri. Ad intervalli regolari, per diversi mesi, mi imbattevo in intere casse di libri posate a pianterreno e pronte per lo smaltimento nei rifiuti solidi. E nel vedere ciò mi rattristavo profondamente, perché sapevo quanto brillante fosse stata la mente di questo signore e quanto profonda la sua cultura. Confesso di aver salvato qualcuno di quei libri dallo scempio...
Che lo faccia il diretto interessato, quando si sente giunto al crepuscolo della propria esistenza è un conto, ma è molto triste constatare che, con estrema meticolosità, lo faccia chi rimane.
A volte è necessario: ci sono case da sgombrare, non c'è abbastanza spazio per poter conservare tutto, oppure manca il tempo per esaminare minuziosamente tutto ciò che è rimasto indietro.
Eppure, se ci si potesse prendere il tempo di farlo, l'esame dettagliato di tutto ciò che è rimasto potrebbe essere un modo per scoprire aspetti inediti della persona che non è più, di stabilire su di essi quel dialogo che non si è potuto aprire in vita e, in definitiva, per elaborare il lutto.
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Tempo addietro (abbastanza di recente, comunque) mi è capitato di leggere un piccolo libro scritto da una psicanalista francese (Lydia Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori, Archinto, 2005).
L'autrice vi racconta la sua esperienza, quando - a causa di un incidente - perse entrambi i genitori e dovette confrontarsi con il compito di esaminare tutto ciò che essi avevano lasciato e con quello di svuotare la casa dove avevano vissuto.
In poco più di cento pagine, fitte di pensieri, indaga sui temi dell'elaborazione del lutto, non in maniera astratta e teorica, ma in modo molto concreto con il riferimento minuzioso alle azioni (e alle scelte) che si trovò nella necessità di dover compiere.
Il tutto è, ovviamente, è arricchito dalla sensibilità dello psicoanalista che, per addestramento professionale e per sensibilità personale, è abituato a rivolgere lo sguardo al proprio interno, esaminando le implicazioni emozionali dell'agire e le dinamiche complesse del ricordo.
A partire da una disamina minuziosa della parola "svuotare" e delle sue implicazioni: "svuotare", detto in termini crudi è quello che ci si trova a fare quando qualcuno non è più (a partire dal singolo cassetto, passando dagli armadi per arrivare ad un intero appartamento).
Dice Lydia Flem - facendo riferimento alla sua personale esperienza - che, in questo procedere, in alcuni casi si attivano rancore e risentimento ("Perchè mi hanno lasciato da sola a compiere questo ingrato compito?", "Perchè non lo hanno fatto da se stessi?"); in altri si manifesta, invece, il senso di colpa perchè finalmente si diventa legittimi proprietari di quelle cose che si è sempre desiderato possedere ma da cui loro - i genitori - in vita non volevano in alcun modo separarsi (magari, limitandosi a dire: "Un giorno saranno tue..."); o che, infine, capita di scoprire segreti, pezzi di vita dei propri genitori, aspetti inediti che non si erano mai conosciuti o che ci si può ritrovare a ricostruire una loro immagine più completa (e più complessa): un processo che, in alcuni casi, può restituire un volto diverso ai genitori che abbiamo conosciuto e quindi rappresentare un vero e proprio shock cognitivo).
Ma, proprio attraverso tutti questi movimenti interiori, procede il processo di elaborazione del lutto, che alla fine ci porterà ad essere un po' diversi e, forse, anche un po' più maturi.
Occorrono tempi, però, non si può procedere con la fretta: quelli che buttano via tutto, senza esaminarlo o che chiamano il robivecchi, dichiarando che tutto ciò che è appartenuto ad uno o ad entrambi i genitori defunti è "a perdere", mostrano di non volere assolutamente impegnarsi nel processo di elaborazione del dolore della perdita: non sono pronti a farlo.
"Non abbiamo conosciuto l'infanzia e la giovinezza dei nostri genitori, loro non conosceranno gli ultimi anni della nostra vita, così come noi non conosceremo quelli dei nostri figli. Nasciamo nella nostra famiglia d'origine, moriamo in quella che abbiamo creato [se ne è rimasta una - nota mia]. Allora, sì, quando, a nostra volta, saliamo sul trono è perché siamo diventati dei superstiti. Sopravvivere ai propri figli è intollerabile. Sopravvivere ai genitori è naturale eppure arduo" (ib., p.15)
(Nota editoriale ibs) Che cosa succede quando, dopo la morte di una persona cara, dobbiamo «svuotare» la sua casa?
Un racconto autobiografico che descrive con precisione sentimenti complessi in cui si mescolano «rabbia, pena, ribellione, rimorsi e uno strano senso di liberazione…» e ci riconduce a qualcosa di universale.
Lydia Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori, Archinto (2005)
Ho appena finito di leggere un libro che parla proprio del senso del distacco e del valore intrinseco delle cose che hanno un passato, una storia e sono sempre i " vivi " che se
accollano lo straordinario peso.
Molto commovente e molto coraggioso.
L' autore si chiama : Michael Zadoorian e il titolo è :" Second hand".
E' la storia di uno Junk ( un rigattiere ) innamorato, quasi ossessionato di cose " già vissute", oggetti che nessuno vuole più. La sua vita scorre così , tra mercatini dell' usato, svendite di fine esistenza e la gestione di un negozzietto di periferia. Ma quando sopraggiunge la morte della madre e lui si trova a sbarazzare la casa natia, trova una serie di oggetti
che gli permettono di scoprire una parte di vita dei suoi genitori che non aveva mai immaginato.
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Lydia Flem - nata a Bruxelles nel 1952 - è psicanalista e fotografa. È stata eletta membro dell’Académie Royale de la langue e de la littérature française de Belgique. Ha lavorato alla radio per i programmi psicologici educazione sessuale e per adolescenti negli anni Settanta. Nel 1986 esce La vie quotidienne de Freud et de ses patients, testo di grande successo. Altri suoi romanzi sono Casanova ou l’exercice du bonheur (1995), La voix des amants (2002), Panique (2005 - Panico Edizioni Clichy), Lettres d’amour en héritage (2006 - Lettere d'amore in eredità Archinto).
La reine Alice, comparso nel 2011, è stato candidato ai maggiori premi letterari francesi, ed è finora il suo più grande successo.
La casa editrice Archinto ha anche pubblicato nel 2005 il racconto autobiografico Come ho svuotato la casa dei miei genitori.
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