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9 novembre 2023 4 09 /11 /novembre /2023 07:18

​​​​​​​Scrissi questa nota il 9 novembre 2009 e la ripropongo qui, adesso, aggiungendo i riferimenti e il mio commento al libro imperdibile, sull’argomento, di Lydia Flem.
Si tratta di una riflessione impressionistica, certamente non esaustiva, ma comunque stimolante e piena di sfaccettature

Maurizio Crispi

Lo smaltimento di quel che resta (foto di Maurizio Crispi)

Mi stringe sempre il cuore vedere che gli oggetti della vita di qualcuno diventano monnezza da accastare vicino a campane e cassonetti…
Le cose importanti o meno su cui riposava l'identità di qualcuno che non è più diventano "disposable", come dicono gli Inglesi, una sorta di vuoto a rendere riciclabile.
Qualcuno compie da se stesso quest'operazione mentre è ancora in vita, forse perché non sopporta l'idea di questo prevedibile scempio o, in alcuni casi, per non lasciare a chi resta l'ingrato compito.
Tempo addietro, lo ha fatto un signore che abitava nel mio condominio: molto anziano, aveva cominciato a deteriorarsi, ma con molta lucidità - come l'Aureliano Buendia di Marquez - cominciò a fare una "pulizia" radicale di tutte le sue cose, perfino di quelle legate alla sua identità professionale (era un professore di Liceo, peraltro molto apprezzato), quindi anche tutti i suoi libri. Ad intervalli regolari, per diversi mesi, mi imbattevo in intere casse di libri posate a pianterreno e pronte per lo smaltimento nei rifiuti solidi. E nel vedere ciò mi rattristavo profondamente, perché sapevo quanto brillante fosse stata la mente di questo signore e quanto profonda la sua cultura. Confesso di aver salvato qualcuno di quei libri dallo scempio...
Che lo faccia il diretto interessato, quando si sente giunto al crepuscolo della propria esistenza è un conto, ma è molto triste constatare che, con estrema meticolosità, lo faccia chi rimane.
A volte è necessario: ci sono case da sgombrare, non c'è abbastanza spazio per poter conservare tutto, oppure manca il tempo per esaminare minuziosamente tutto ciò che è rimasto indietro.
Eppure, se ci si potesse prendere il tempo di farlo, l'esame dettagliato di tutto ciò che è rimasto potrebbe essere un modo per scoprire aspetti inediti della persona che non è più, di stabilire su di essi  quel dialogo che non si è potuto aprire in vita e, in definitiva, per elaborare il lutto.

 

Come ho svuotato la casa dei miei genitori

Tempo addietro (abbastanza di recente, comunque) mi è capitato di leggere un piccolo libro scritto da una psicanalista francese (Lydia Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori, Archinto, 2005).
L'autrice vi racconta la sua esperienza, quando - a causa di un incidente - perse entrambi i genitori e dovette confrontarsi con il compito di esaminare tutto ciò che essi avevano lasciato e con quello di svuotare la casa dove avevano vissuto.
In poco più di cento pagine, fitte di pensieri, indaga sui temi dell'elaborazione del lutto, non in maniera astratta e teorica, ma in modo molto concreto con il riferimento minuzioso alle azioni (e alle scelte) che si trovò nella necessità di dover compiere.
Il tutto è, ovviamente, è arricchito dalla sensibilità dello psicoanalista che, per addestramento professionale e per sensibilità personale, è abituato a rivolgere lo sguardo al proprio interno, esaminando le implicazioni emozionali dell'agire e le dinamiche complesse del ricordo.
A partire da una disamina minuziosa della parola "svuotare" e delle sue implicazioni: "svuotare", detto in termini crudi è quello che ci si trova a fare quando qualcuno non è più (a partire dal singolo cassetto, passando dagli armadi per arrivare ad un intero appartamento).
Dice Lydia Flem - facendo riferimento alla sua personale esperienza - che, in questo procedere, in alcuni casi si attivano rancore e risentimento ("Perchè mi hanno lasciato da sola a compiere questo ingrato compito?", "Perchè non lo hanno fatto da se stessi?"); in altri si manifesta, invece, il senso di colpa perchè finalmente si diventa legittimi proprietari di quelle cose che si è sempre desiderato possedere ma da cui loro - i genitori - in vita non volevano in alcun modo separarsi (magari, limitandosi a dire: "Un giorno saranno tue..."); o che, infine, capita di scoprire segreti, pezzi di vita dei propri genitori, aspetti inediti che non si erano mai conosciuti o che ci si può ritrovare a ricostruire una loro immagine più completa (e più complessa): un processo che, in alcuni casi, può restituire un volto diverso ai genitori che abbiamo conosciuto e quindi rappresentare un vero e proprio shock cognitivo).
Ma, proprio attraverso tutti questi movimenti interiori, procede il processo di elaborazione del lutto, che alla fine ci porterà ad essere un po' diversi e, forse, anche un po' più maturi.
Occorrono tempi, però, non si può procedere con la fretta: quelli che buttano via tutto, senza esaminarlo o che chiamano il robivecchi, dichiarando che tutto ciò che è appartenuto ad uno o ad entrambi i genitori defunti è "a perdere", mostrano di non volere assolutamente impegnarsi nel processo di elaborazione del dolore della perdita: non sono pronti a farlo.
"Non abbiamo conosciuto l'infanzia e la giovinezza dei nostri genitori, loro non conosceranno gli ultimi anni della nostra vita, così come noi non conosceremo quelli dei nostri figli. Nasciamo nella nostra famiglia d'origine, moriamo in quella che abbiamo creato [se ne è rimasta una - nota mia]. Allora, sì, quando, a nostra volta, saliamo sul trono è perché siamo diventati dei superstiti. Sopravvivere ai propri figli è intollerabile. Sopravvivere ai genitori è naturale eppure arduo" (ib., p.15)

(Nota editoriale ibs) Che cosa succede quando, dopo la morte di una persona cara, dobbiamo «svuotare» la sua casa?
Un racconto autobiografico che descrive con precisione sentimenti complessi in cui si mescolano «rabbia, pena, ribellione, rimorsi e uno strano senso di liberazione…» e ci riconduce a qualcosa di universale.

Lydia Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori, Archinto (2005)

Ho appena finito di leggere un libro che parla proprio del senso del distacco e del valore intrinseco delle cose che hanno un passato, una storia e sono sempre i " vivi " che se
accollano lo straordinario peso.
Molto commovente e molto coraggioso.
L' autore si chiama : Michael Zadoorian e il titolo è :" Second hand".
E' la storia di uno Junk ( un rigattiere ) innamorato, quasi ossessionato di cose " già vissute", oggetti che nessuno vuole più. La sua vita scorre così , tra mercatini dell' usato, svendite di fine esistenza e la gestione di un negozzietto di periferia. Ma quando sopraggiunge la morte della madre e lui si trova a sbarazzare la casa natia, trova una serie di oggetti
che gli permettono di scoprire una parte di vita dei suoi genitori che non aveva mai immaginato.

Romina Formisano

Lydia Flem

Lydia Flem - nata a Bruxelles nel 1952 - è psicanalista e fotografa. È stata eletta membro dell’Académie Royale de la langue e de la littérature française de Belgique. Ha lavorato alla radio per i programmi psicologici educazione sessuale e per adolescenti negli anni Settanta. Nel 1986 esce La vie quotidienne de Freud et de ses patients, testo di grande successo. Altri suoi romanzi sono Casanova ou l’exercice du bonheur (1995), La voix des amants (2002), Panique (2005 - Panico Edizioni Clichy), Lettres d’amour en héritage (2006 - Lettere d'amore in eredità Archinto).
La reine Alice, comparso nel 2011, è stato candidato ai maggiori premi letterari francesi, ed è finora il suo più grande successo.
La casa editrice Archinto ha anche pubblicato nel 2005 il racconto autobiografico Come ho svuotato la casa dei miei genitori.

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9 novembre 2023 4 09 /11 /novembre /2023 07:06

Questo scrissi il 9 novembre del 2017.
Ritrovato questo frammento vagante all'interno delle "memorie" di Facebook, riemerso come il frammento di un naufragio

Maurizio Crispi

Gabbiano predatore

 

Sapore di ferro in bocca

 

Macchie nere che danzano sulla retina
e sudorazione fredda in fronte

 

L'umido del mattino mi penetra nelle ossa

 

Barcollo, preso da subitanea vertigine

 

E' il presagio d’una fine?

 

Intanto, un gabbiano mangia un topo 
- o forse si tratta di una pantegana -
becchettando con decisione
il piccolo cadavere
trattenuto dai suoi artigli fieri
e, dopo aver lacerato il corpicino,
ne ingolla pezzi interi

 

Una declinazione della wilderness metropolitana
prima dell’invasione dei cinghiali e degli orsi

 

Un cane di passaggio si attizza,
avvertendo di questo fiero pasto 
una densa traccia olfattiva,
e vorrebbe prendervi parte,
ma il gabbiano con abile mossa
vola via tenendo la sua preda, 
già cadavere, per la coda

 

Anche i gabbiani nelle città 
sono adesso nostri commensali

 

Confortato da ciò che ho visto,
sono andato via, 
di nuovo con gambe salde

È un nuovo giorno,
nato sotto una buona stella

 

(Palermo, 9 novembre 2017)
 
 

Diciamo pure che i gabbiani nelle città alzano sempre più il tiro, assumendo sempre di più l’habitus di super-predatori.
È recente la notizia di cronaca di un cane di piccola taglia che sarebbe stato catturato al volo da un gabbiano, a Napoli.
I tetti sommitali dei nostri palazzoni sono diventate le scogliere dove i gabbiani prendono dimora semi-abituale.

Maurizio Crispi

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23 ottobre 2023 1 23 /10 /ottobre /2023 07:08

Questo è un sogno la cui trascrizione risale al 23 ottobre del 2011.
Anche in questo caso ho dimenticato - a suo tempo - di trasferire questo breve testo qui nel blog.
Mi rifaccio adesso. Mi piace ripercorrere le tappe di questo sogno poiché in esso compare mio padre (che a volte nei sogni ritorna e continua a ritornare)

Maurizio Crispi

Mio padre a Palermo, nell'immediato dopoguerra

Ero nel terminal di un aeroporto e dovevo partire

Sin lì mi aveva accompagnato mio padre

Quando mi sono presentato al banco del check-in, mi sono accorto che non avevo il biglietto e nessun altro documento con me

Goffamente rovistavo tra le mie cose contenute nello zaino, nelle tasche, tra le pagine dei libri: niente

Mi sentivo uno stupido perso

In tutto questo traccheggio, mio padre era una presenza costante e  discreta, anche se avrei avuto di che per sentirmi in imbarazzo.

Mai essere concreto, mai predisporre le cose in anticipo, mai controllare che tutto sia a posto

Cosa fare? Il rischio era quello di mandare a monte il viaggio e perdere tutti i soldi investiti nel biglietto

Pensavo che avrei potuto tornare a casa a prendere il biglietto e i documenti e poi farmi riaccompagnare in aeroporto da mio padre

Mi sembrava una buona idea, ma poi mi rendevo conto che ero già in aeroporto e che i tempi disponibili non rendevano affatto praticabile un'idea che, all'inizio, mi era parsa tanto brillante

Ma c'era mio padre che non vedevo da moltissimo tempo, non dell'età che avrebbe oggi, ma come è nel mio ricordo nel periodo i cui morì: un cinquantenne pieno di vigore e di forza. Io dunque, nel sogno ero più vecchio di lui di un decennio

Sentivo che, in qualche modo, avrebbe potuto essere d'aiuto

Mi svegliavo di colpo e pensavo proprio a questo: mio padre anche se solo per poco era stato con me

Forse, era l'idea di compiere un viaggio con lui: cosa che negli ultimi dieci anni della sua vita non avevo mai più sperimentato

Riflettiamo sempre sulla nostra storia: da dove veniamo, dove andiamo

Ci interroghiamo spesso sul nostro futuro: un viaggio pieno di incognite della cui meta finale, in effetti non sappiamo nulla

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21 ottobre 2023 6 21 /10 /ottobre /2023 08:13

Questo mio scritto è dell'ottobre 2010.
L'ho rinvenuto casualmente nel mio profilo Facebook e, per quanto abbia ricercato, non ve n'é traccia nel mio blog.
Evidentemente; non l'ho mai trasferito in questa sede.
Lo pubblicai il 21 ottobre del 2010, un giorno dopo il ricorrere del primo onomastica della mamma dopo la sua morte:
Durante tutto quell'anno - ed anche in quelli successivi - scrissi tante cose, come palese e tangibile segno di un lungo e faticoso processo di elaborazione del lutto.

Maurizio Crispi

Una sconfinata giovinezza (Pupi Avati, 2010)

Qualche giorno fa, mi è accaduta una cosa strana.

Mi son messo davanti al PC, come di consuetudine e avrei voluto scrivere qualcosa, non sapendo ancora cosa.

Nulla di strano: mi capita spesso.

Mi piace l'idea di scrivere ogni mattina qualcosa, in assenza dell'esercizio di un compito specifico.

Solo per il puro piacere della scrittura.

Mi sono confrontato tuttavia con il vuoto totale.

Non c'era nulla che mi venisse in mente, non una traccia per quanto esile, non uno spunto.

Anche guardando vecchi scritti da rendere eventualmente visibili nella rete, in uno dei miei blog, avvertivo una strana ed inquietante svogliatezza.

Dopo un po' di questa sterile permanenza davanti allo schermo vuoto del PC, improvvisamente ostile, me sono andato a correre con il cane.

Durante questa vivificante attività ho riflettuto parecchio e sono giunto alla conclusione che ero sotto l'effetto del film visto il giorno prima, Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati.

La trama è nota - e semplice, anche - tratta dall’opera letteraria omonima dello stesso regista.

 

E' la storia di Lino Settembre, un giornalista sportivo (Fabrizio Bentivoglio) molto noto ed apprezzato, la cui mente improvvisamente comincia a deragliare a causa dei primi sintomi del Morbo di Alzheimer.

Vi si dipana dolente il racconto delle vicissitudini di quest’uomo e della sua compagna Chicca, un’affermata ricercatrice universitaria (Francesca Neri), 

Nell'Alzheimer è colpito l'individuo, la cui mente si va ritirando sempre di più sino ad un nucleo primitivo di memorie forti ed incancellabili, ma ad essere interessati sono anche la coppia e la famiglia nella sua globalità perché il Sé relazionale e lavorativo viene colpito insidiosamente con improvvisi blackout o con imbarazzanti deficit performativi.

Per quanto il soggetto colpito cerchi di mascherare il progredire delle sue mancanze, queste ad un certo punto esplodono, diventando evidenti in modi imprevedibili, sicché ad essere colpita è anche l'identità sociale sua e quella della propria famiglia.

C'è lo spegnersi progressivo delle capacità e delle abilità, anche di quelle acquisite e ben consolidate: è come se tutto, a poco a poco, si sgretolasse e poi prendesse a franare sempre più precipitosamente.

A volte la malattia progredisce con una progressione continua, a volte invece a balzi con crolli rovinosi, ai quali segue una lieve ripresa, ma mai un recupero allo stato antecedente.

Per quanto il soggetto cerchi di mascherare (e di negare) l’evidenza - anche a se stesso - la deriva è inesorabile, sino al momento in cui perderà definitivamente sè stesso e si perderà in un metaforico paesaggio nebbioso, alla ricerca di qualcosa che lo leghi alla sua infanzia perduta.

 

A differenza che nel duro compito di adattamento alla sofferenza e alla malattia cui deve andare incontro l’individuo affetto da cancro terminale, il processo di elaborazione qui è ridotto ai minimi termini: delle cinque “tipiche” fasi descritte da Elisabeth Kubler-Ross (in La morte e il morire, nel 2005 alla sua 13^ edizione), al malato di Alzheimer rimane soltanto la possibilità
di sperimentare le prime due che - turbolente e tormentose  - sono quella della negazione (con una serie di strategie per l’occultamento del/i sintomo/i) e quella della rabbia che, spesso, si traduce in reazioni di violenta aggressività nei confronti di familiari o amici che, di fronte all’evidenza della malattia, cercano di essere d’aiuto.
Forse nell'Alzheimer, non c’è quell'evoluzione successiva sino alla serena accettazione, come accade nei malati di cancro che abbiano svolto un percorso di elaborazione interiore, perché qui quella che si spegne e finisce con il disattivarsi è proprio la mente dell’individuo, mentre il corpo rimane molto più a lungo a segnare il passo, quando la mente consapevole lo ha già abbandonato.

Cosa resta come esito di questo processo? L'ancoraggio ad alcuni ricordi, sempre più remoti e collegati a forti emozioni che rimangono come esile traccia dell'identità adulta di un tempo (o, meglio, delle sue fondazioni).

Nel presente, il malato di Alzheimer regredisce sempre più alla condizione di un bambino, in una dimensione che prima pare senza tempo e che comincia a scivolare indietro verso uno stato della mente sempre più indifferenziato, sino a che quello che è sopravvissuto al deterioramento come un tessuto ormai logoro e sfilacciato, improvvisamente svanisce e con esso l'individuo medesimo, il cui corpo rimane indietro come un guscio vuoto.

Ai mariti, ai compagni di vita, alle mogli, ai figli in questo percorso malinconico all’indietro verso una giovinezza e un’infanzia “sconfinate” rimane soltanto la possibilità di interagire utilizzando quei pochi spazi di manovra ancora preservati, accettando il fatto che il proprio congiunto stia rivivendo una seconda infanzia e che, dopo questa moratoria più o meno breve, la sua mente svanirà per sempre.

Con quale parte della mete (e nel senso più lato della psiche, compreso il livello emozionale, dunque) si può interagire nelle fasi più avanzate della malattia?

Forse con il gioco, commisurato con l'età mentale in cui l'individuo sta sostando prima di riprendere a scendere la china e con gli esercizi di memoria, anche questi adeguati alla fase involutiva: sembra assodato che l'esercizio costante delle facoltà mnesiche possa aiutare a trattenere un po' più a lungo i ricordi (e questo vale naturalmente per tutti noi, anche per chi non è affetto da Alzheimer).

Il film di Avati contiene tutto questo, descritto con tenera levità, con delicatezza, sino alle immagini finali di un paesaggio annebbiato in cui il protagonista si aggira sperduto nelle nebbie della sua mente alla ricerca dell'ultimo ricordo vivo in lui e poi quelle di un bellissimo prato in piena luce, appena tosato, in cui lui cammina con Perché, il cane che aveva amato da ragazzo, sino alla dissolvenza finale.

Il film mi ha messo di fronte ad alcuni interrogativi, che sono quelli comuni a chi, avendo superato alcuni fondamentali giri di boa della propria cronologia, molto naturalmente si trova ad interrogarsi su cosa l'aspetti, su come si dipanerà la propria esistenza negli anni prossimi venturi, mentre - al tempo stesso - si ritrova a rivisitare sempre più spesso il proprio passato, angustiato del fatto che una parte dei ricordi di eventi del trascorsi, che prima apparivano così saldi, si vadano dileguando e si facciano via via più evanescenti ed imprecisi.

Per questo motivo, c'è forte il desiderio di poter trasmettere tutto questo, passando di mano il testimone dei propri ricordi, con dentro quanti più pezzi sia possibile della propria vita.

A volte, non c'è nessuno a cui indirizzare questo lascito: verrebbe voglia di lanciare una capsula del tempo, a postuma memoria di sé, piena di carte, di oggetti, di piccole storie: ma anche questo il più delle volte rimane un sogno velleitario.

Spesso, impotenti, attendiamo che i nostri giorni trascorrano e non facciamo nulla per fissare i ricordi del tempo che fu: forse, vorremmo che ci fosse qualcuno vicino a noi a cui di storie e ricordi che vengono da un passato remoto importi qualcosa.

La regola è che una cosa simile non capiti quasi mai.

Non ci si deve illudere.

Tante opere letterarie nascono proprio con questo intento che è quello di preservare nel tempo qualcosa (frammenti o un intero affresco) appartenente al passato dello scrittore.

Alcuni lo fanno in maniera esplicita con delle scritture diaristiche, altri invece hanno la capacità di trasformare tutto in opera letteraria: La recherche di Marcel Proust è un impareggiabile monumento alla memoria del tempo perduto, spesso citata e studiata dagli studiosi della Memoria.

 

Ci si chiede anche come finiremo: ed è normale, in fondo, che questa domanda ogni tanto faccia capolino da qualche angolo della nostra mente.

 

Ci sono cose che non fanno paura, perché abbiamo avuto modo di conoscerle direttamente, essendone testimoni.

Ciò che non conosciamo, invece, ci fa paura e ci paralizza.

 

Per esempio, mi ritrovo a pensare al modo in cui i miei genitori se ne sono andati.

Ho visto mio padre morire per un incidente aereo, quando ancora era nel pieno delle sue forze e delle sue energie, avendo ancora davanti a sé la prospettiva di una lunga vita laboriosa.

Mia madre, invece, è stata longeva, ma ad un certo punto benché la sua mente fosse lucida, il corpo non l'ha seguita più: ha cominciato a indebolirsi troppo velocemente e lei, pur positivamente legata alla vita (gioiosamente, ma anche con un fortissimo senso del dovere), ad un certo punto ha quasi deciso di andarsene, ritirandosi dalla vita, quando ha compreso che non poteva più essere d’aiuto e  anzi creava problemi e difficoltà con la sua mancanza di autonomia.

Lucidamente, nei suoi ultimi giorni, vagheggiava l’Alaska e il grande Nord, ricordando di un romanzo che le avevo fatto leggere dei miei (Il paese dalle ombre lunghe di Hans Ruesch) in cui si parlava della maniera di morire degli Eschimesi che, quando sono divenuti incapaci di essere autonomi e sentono di essere solo di peso, si allontanano nel ghiaccio sconfinato e nella neve per sedersi lontano da tutto e da tutti e qui addormentarsi dolcement,  trapassando così in un altro mondo. Ci diceva: Viva l’Alaska! oppure Portatemi fuori nella neve, con una sedia e una coperta magari e lasciatemi lì ad addormentarmi tranquilla nel freddo.

E, poi, se ne è andata, quando ha deciso lei: questa è stata la mia impressione e nessuno potrà mai convincermi del contrario.

Altri miei parenti sono deceduti per accidenti neuro-vascolari, in cui il danneggiamento neuromotorio è andato avanti di pari passo con il deterioramento mentale.

Tutto questo mi è noto.

Papà e mamma mi hanno dato due diversi modelli del morire: papà è stato il primo ad andarsene e lui ha avuto il beneficio della morte che desiderava, cioè uscire di scena in un attimo senza dover subire nessuno dei fenomeni legati all'invecchiamento. E’ stata la sua una morte repentina ed improvvisa che lo ha colto di sorpresa senza che nemmeno se ne accorgesse. Quando ero ancora molto piccolo, mi disse, dopo aver appreso della morte di un suo amico e collega giornalista trovato morto per infarto alla poltrona della sua scrivania: E’ così che mi piacerebbe morire!

Mamma, invece, ha vissuto vigorosa e piena di forze sino a pochi mesi dalla sua morte e, sino alla fine, ha lottato strenuamente per non venir meno ai suoi compiti e a ciò che, nella sua vita, aveva ritenuto prioritario. Poi, quando ha capito che non ce la faceva più a stare al passo con il suo elevato standard e che sarebbe stata soltanto "di peso", s'è abbandonata al sonno e all’oblio. 
Sembrerebbe quasi incredibile dirla in questa termini, ma io che sono stato testimone del suo "transito" mi sono fatto una ferma convinzione che le cose siano andate proprio così.

Io non ho idea di come saranno i miei ultimi giorni e soprattutto di come avverrà la mia fine.

Come uscirò di scena?

Non lo so.

Anche se potessi saperlo, comunque, non vorrei saperlo.

Certo è tuttavia che l'Alzheimer attiva degli inquietanti fantasmi: e forse proprio per questo l’altra mattina non riuscivo a scrivere proprio nulla. Pensavo alla storia del film visto il giorno prima e il soffermarmi su di essa aveva un effetto ottundente su qualsiasi altra mia facoltà.

Non mi piacerebbe svanire nel modo tracciato in modo così dolente dal film di Avati: anche perché in un processo come questo – essendo intaccata la mente pensante - si perde la possibilità di dar testimonianza di ciò che accade e si perde, al contempo, la possibilità stessa dell’elaborazione del processo di decadimento che ci sta accadendo, come dicevo prima.

Da un certo momento in poi si svanisce e basta.

E tutto quello che sei stato prima non conta più.

 

Si finisce con il frammentarsi e con il franare dei propri ricordi personali, fino a che, anche davanti agli altri, di te, non rimane altro che un guscio vuoto: una figura che dapprima si sgrana e poi va in dissolvenza.

Si può lottare contro questa erosione della propria capacità di ricordare: Jonathan Franzen lo racconta a proposito del proprio padre in un denso amarcord (Jonathan Franzen, Il cervello di mio padre, in Come stare soli. Lo scrittore, il lettore e la cultura di massa, Einaudi, 2003).

 

"Una delle storie che intendo raccontare, quindi, mentre cerco di perdonare a me stesso la lunga cecità nei confronti della malattia di mio padre, riguarda la sua propensione a nascondere quella malattia, e il fatto che per parecchio tempo conservò un carattere abbastanza forte da riuscirci.

(…)

In un cassetto trovammo le prove di piccoli, furtivi sforzi per non dimenticare. C’era un mucchio di biglietti su cui aveva scritto l’indirizzo dei suoi figli, un indirizzo su ognuno, ripetuto su parecchi biglietti. Su un altro biglietto aveva scritto la data di nascita dei figli maggiori…" (ib. P. 31-32).



E questo ha scritto una lettrice (mio contatto su FB, dopo aver letto le mie parole

(OF) Mi hai commosso Maurizio, e ciò che scrivi potrei sottoscriverlo anche io. Ho visto, nella mia famiglia, come si muore di cancro (mia madre, in 2 mesi) e come si muore di Alzheimer (il marito di una zia) con un'agonia durata vent'anni che ha spazzato via (senza troppi favoleggiamenti) la sua vita personale e quella della sua famiglia. Per questo non sono andata a vedere il film di Avati: per quanto possa essere lucido e realistico il suo modo di rappresentare la malattia non mi sognerei mai di descrivere lo stato di chi si ammala di questa "cosa" orribile come un viaggio verso una "sconfinata giovinezza"... Dimenticare chi si è, regredire senza rimedio ad uno stato in cui non controlli neppure i bisogni e le funzioni primarie non ha nulla di "poetico"...Tutto questo mi mette addosso solo un'immensa tristezza e ti ringrazio per aver focalizzato nel tuo testo tanti aspetti sui quali anche io rifletto da tempo. Tu scrivi: "...vorremmo che ci fosse qualcuno vicino a noi a cui di storie e ricordi che vengono da un passato remoto importi qualcosa..."
Tanto basta per dirti GRAZIE…

Pupi Avati, Una sconfinata giovinezza, Garzanti, 2010
 

Pupi Avati, Una sconfinata giovinezza, Garzanti

(risguardo di copertina) Sono passati molti anni dal momento in cui si sono innamorati, ma Lino Settembre e sua moglie Chicca continuano ad amarsi. Anche se in apparenza sono persone molto diverse: lei insegna Filologia medievale all'università, lui è un popolare giornalista sportivo che parla spesso di calcio in televisione. Non hanno avuto figli, ma proprio questa mancanza ha finito per rendere ancora più solido e sereno il loro legame. Finché un'ombra non inizia a offuscare la mente di Lino. All'inizio solo momentanei cali d'attenzione, poi vuoti di memoria sempre più ampi e preoccupanti. E a quel punto che comincia la seconda vita di Chicca e Lino, un nuovo amore. Con le sue storie e i suoi personaggi, Pupi Avati sta tracciando uno straordinario autoritratto del nostro paese e del nostro tempo, rivelatore e commovente, tra costume e sentimenti, tra attualità e memoria. Il protagonista di Una sconfinata giovinezza, Lino, perde il contatto con il mondo che lo circonda ma trova rifugio nel ricordo dell'infanzia, nelle sue emozioni e nei suoi profumi. E Pupi Avati, nel raccontare una vicenda che affronta temi di drammatica urgenza, ci sa emozionare e sorprendere.

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20 ottobre 2023 5 20 /10 /ottobre /2023 07:45
Il sigaro consunto (Foto di Maurizio Crispi)

Odori letali,
fetori e afrori,
escrementi freschi/vecchi,
tracce di piscio pluristratificate
(raramente dilavate via dall'acqua),
organico decomposto,
Il sontuoso concerto di odori e molecole vaganti
favorito dal caldo anomalo
e degno dei giorni mitici
della Grande Puzza londinese

 

C’è da morire!

 

Le mosche impazzano
ronzano,
ti si appiccicano addosso,
ti molestano

 

Il sole picchia
Il sudore scorre
Di nuovo, gli incendi divampano
attizzati da bastardi piromani

 

Per terra abbandonato,
giace un oggetto marroncino
un po’ nerastro e smangiato
ad un’estremità
Non è - come qualcuno potrebbe pensare - uno stronzo 
abbandonato dal Malefico e Strafottente Padrone di Cane,
figura archetipica di questi nostri giorni tristi

bensì un sicarro semi consumato,
sin quasi alla radice,
da avide boccate

 

E per oggi
ne ho avuto abbastanza!

 

Vedremo domani

 

Siamo ammare!
 

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20 ottobre 2023 5 20 /10 /ottobre /2023 06:56
Santa Irene

Oggi è il 20 ottobre ed è il giorno dedicato a Santa Irene. 
Quindi era il giorno in cui ricorreva la piccola festa familiare per celebrare l’onomastico della mamma. 
Era un giorno speciale in cui tanti della famiglia, anche se in orari diversi della giornata, venivano da noi, come anche tanti altri ed altre che ci tenevano a farle gli auguri.
Mio fratello, alla vigilia, mi ricordava sempre di trovare un regalino per lei. 
E poi, siccome lo consideravamo un giorno speciale, c’erano i dolci oppure una piccola torta. 
Era bello. 
Era un giorno spensierato. 
E quindi, anche adesso, che la mamma non c’é più (e non c'è più nemmeno mio fratello), io continuo a ricordarmene e a celebrarlo in silenzio, anche se ormai - in queste occasioni che potrebbero essere rievocative o celebrative - nemmeno con i miei cugini ci incontriamo più.
Fu mio nonno a volere per la mamma il nome Irene (che peraltro era già in famiglia perché lo portava una sorella della nonna). 
E perché il nonno volle proprio quel nome? 
Alla nascita della mamma (8 marzo 1918) la I Guerra Mondiale era ancora in corso e dunque lui volle fortemente questo nome come augurio per una prossima pace tra i popoli. 
Il nome Irene è di origine greca ed era quello portato dalla dea della Pace.
Eirene o Irene (in greco antico: Eἰρήνη, Eirḕnē) era nella mitologia greca la dea della pace, di cui costituisce la personificazione. Figlia di Zeus e di Temi, era una delle Ore. Il corrispondente nella mitologia romana era Pax.
E credo che mio nonno pensasse a questa simbologia del nome piuttosto che alle caratteristiche della Santa che, comunque, sono pure interessanti.

 

Irene di Tessalonica, o Irene di Salonicco (Aquileia, III secolo – Salonicco, 304), fu una cristiana che subì il supplizio a Tessalonica; è venerata come santa dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa.
Irene era la più giovane di tre sorelle; le altre due erano Agape e Chionia. Secondo la tradizione, questi non erano i loro nomi originali: divenute cristiane, furono battezzate e furono loro attribuiti i nomi di Agape, nome con il quale i Greci chiamavano la Carità, la stessa predicata da Paolo di Tarso durante i suoi viaggi; Chionia, che in greco significa neve, a ricordo della purezza; e Irene, che simboleggia la pace. Esse vivevano ad Aquileia ed erano figlie di genitori pagani.
Oltre che ornate di virtù, le tre sorelle dovevano essere anche molto ricche e di nobili origini.
Agape, Chionia e Irene furono sempre additate come modello di santità, da parte degli altri fedeli; alla giovanissima Irene furono addirittura affidati i Libri Sacri contenenti la parola di Dio, ed ella fu sempre una custode affezionata e scrupolosa: li depose dentro delle cassette e li posò insieme ai tanti scrigni che racchiudevano i suoi innumerevoli gioielli.

La cosa curiosa è che il sogno che segue è delle prime ore del 20 ottobre 2012, giorno dell'onomastico di nostra madre

Maurizio Crispi

La mamma (foto di Maurizio Crispi, 8 marzo 1990)

Sognavo di essere a casa di mio fratello che prima era anche di mia madre e quella dove ho abitato anche io [e dove sono tornato ad abitare da alcuni anni

C'era dovunque una grande confusione, tutto era fuori posto

Poi, mi rendevo conto che gran parte delle cose (mobili e suppellettili) venivano proprio dalla stanza della mamma che, dopo la sua morte, è rimasta così com'era

Forse, come una specie di tempio: sappiamo che c'è, ma non c'entriamo mai: solo una volta alla settimana vengono fatte le pulizie e si fa arieggiare

Io sono propenso a non cambiare niente: in fondo che motivo ce ne sarebbe?

La stessa cosa vale per mio fratello

Eppure, era tutto sottosopra

Andavo nella stanza a sbirciare

La porta era aperta (solitamente sta chiusa) e, all'interno, non c'era più il solito arredo di sempre, ma era arredata come un'anonima stanza da letto realizzata con semplici mobili di Ikea [orrore!]

Pareva più che altro una stanza d'albergo, senza nessun segno di vita vissuta

Pensavo di primo acchito che fosse stato il nostro collaborante domestico a fare tutti questi indesiderati cambiamenti, desideroso di farsi una camera tutta per sé

Assurdo! - riflettevo tra me e me - Che motivo ce ne sarebbe visto che la sua stanza già ce l'ha?

Era tutto confuso, però, e non riuscivo nemmeno a ragionare con lucidità, immerso com'ero in quella gran confusione

Più avanti, senza avere ancora risolto il mistero di come si fosse arrivati a quel punto, cercavo di fare ordine nel caos

Prendevo le cose le spostavo, cercando di catalogarle e chiedevo al nostro collaborante se avesse fatto delle foto della stanza prima di rimuovere tutto quanto, in modo tale da avere delle indicazioni su come ricollocare gli oggetti nella loro posizione originaria

Il collaborante si risentiva di questa mia domanda, come se lo rimproverassi

Mi sentivo angosciato, perché non riuscivo a ricordare come fossero disposti alcuni degli oggetti, ma ce n'erano anche altri che non corrispondevano a nessun mio ricordo

In questa fase del tentativo di riordino, mia madre era accanto a me e mi dava dei suggerimenti

Era come se con la sua presenza benevola mi volesse dire che non sono gli oggetti in sé, mantenuti come in un museo, ad essere importanti, ma che vale di più la memoria delle persone che si serba viva dentro di noi

Ero distratto di continuo da piccoli eventi microscopici

Vedevo un piccolo ragno esotico zampettare sul pavimento e cercavo di catturarlo, ma senza successo.

Ed ero incurante del pensiero che potesse essere velenoso

è un sogno di dolcezza e tristezza…
la tua mamma ti dice di andare avanti: anche se è assente, sarà sempre presente nella tua vita, a prescindere dagli oggetti…
In fondo, è un sogno bello, con tua madre al tuo fianco a mettere a posto le cose, no?

Anita Riotta

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20 ottobre 2023 5 20 /10 /ottobre /2023 06:43
Sogno (selfie con effetto speciale, foto di Maurizio Crispi)

Dopo tanto tempo sto gareggiando

 

Dirò anche che sto partecipando 
ad una podistica di 10 km
in una piccola cittadina siciliana
(potrebbe essere Balestrate)
C’è Pino Giordano che segna i passaggi
(ma non c’è accanto a lui 
l’amico Pino Sutera 
che è mancato qualche tempo fa)
Corro corro e corro
Ma siccome é tanto che non corro
vado veramente lento,
sempre più a rilento,
e sono l’ultimo
anzi l’ultimissimo della fila
(alcuni direbbero tapascione,
altri filosofo delle retrovie)
Avevo capito che bisognava fare due giri
ma, quando con immane fatica
arrivo al secondo passaggio,
il Pino mi dice che c’è da fare un terzo giro
e aggiunge: Mauro non ti preoccupare!
Ti aspetto!
Prenditi il tempo che ti serve!
Io vado, continuo ad andare,
ma sono davvero stremato,
sfibrato e con la lingua di fuori

 

E vado avanti per questo terzo giro
che è diventato come un calvario
Mi accorgo lungo il percorso
che gli addetti (lo staff di volontari)
stanno smobilitando e mettendo via tutto
Sicché - senza punti di riferimento -
è anche diventato difficile orientarsi 
prendendo la strada giusta
laddove vi sono delle biforcazioni
Vado avanti anche 
davanti ad anomalie evidenti,
quando si deve passare 
attraverso delle case abitate
con gli arredi e tutto quanto,
compresi vasi fioriti e tendine alle finestre
Non ci capisco nulla

 

Eppure continuo ad andare avanti
trafelato, ansimante,
sentendomi le gambe di piombo
e impossibilitato a volare
e poi la sete che mi attanaglia la gola
Dio, che sete!

 

(Volare oh oh 
cantare oh oh oh 
nel blu dipinto di blu 
felice di stare lassù
)

 

Sentivo in bocca
una devastante arsura
che cresceva e cresceva
(non c’era nessuno in giro
a cui chiedere un bicchier d’acqua)
e tuttavia continuavo ad andare
prolungando all’infinito la mia agonia
e sognando di un traguardo
che sembrava allontanarsi sempre di più 

 

(Volare oh oh 
cantare oh oh oh 
nel blu dipinto di blu 
felice di stare lassù
)

 

Poi, mi sono svegliato
mi son levato dal letto
che pareva diventato 
un letto di Procuste
e sono andato a bere
due gran bicchieri di acqua di rubinetto
Com’era buona!
Anzi, buonissima!

 

(Volare oh oh 
cantare oh oh oh 
nel blu dipinto di blu 
felice di stare lassù
)


E questo è stato un sogno dolce-amaro
Eppure non mi arrendevo,
continuavo a lottare
e a tirare la carretta,
inseguendo un traguardo 
che si faceva sempre più lontano,
irraggiungibile
evanescente
Illusorio

 

Eppure avevo fiducia
Pino, il grande Pino,
mi aveva detto che mi avrebbe aspettato


 

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16 ottobre 2023 1 16 /10 /ottobre /2023 06:56

La trascrizione di questo frammento onirico del 15 ottobre 2022. la pubblicai in un post sul mio profilo Facebook.
Come spesso mi capita, ho trascurato di trasferire questa mia nota diaristica qui sul mio blog.
Ed ora eccola!
Non è mai troppo tardi per rimediare!
E aggiungerò che quanto scrissi mi piace molto per la sua gioiosità e ariosità (qualità, ambedue, insolite nelle piccole, insulse, scritture)

Maurizio Crispi

In Francia - Aprile 2013

Sono in campagna.

Il mio terreno è vasto e si estende per diversi acri su terreni collinari ed ondulati (ma non è vero, si ho un terreno in campagna, ma non é certamente vasto e nemmeno è grande quanto il Bosco dei Cento Acri di Winnie the Pooh!)
Terra fertile ed irrigua, prati verde smeraldo, sentieri (anche questa descrizione é pura materia onirica, poiché il mio terreno è molto asciutto e pietroso!)
Mi alleno per un trekking e percorro delle tracce che si sviluppano lungo il perimetro della proprietà, scoprendo di continuo degli angoli inediti e delle vedute straordinarie. 
E' come se il terreno contenesse il mondo intero e più vasto (un mondo nel mondo)
Ci sono dei casali abbandonati, alcuni sono in legno, tipo dei padiglioni sulle dune
Altri sono strutture in muratura con appartamenti da tempo disabitati e in stato di abbandono, eppure forniti ancora di tutto il necessario, i pavimenti rivestiti da una coltre di foglie secche ed escrementi di topo.
Entro in alcuni di essi per esplorarli
Mi è sempre piaciuto esplorare i ruderi, penetrare al loro interno ed aspirare l'aria fresca ed umida che sa un po' di muffa
Poi mi ritrovo su di un terrazzamento delimitato da una ringhiera che mi appare come un unico belvedere di proporzioni titaniche quasi fosse una specie di muraglia cinese e qui mi metto a correre prima in un senso e poi nell'altro e, lungo questo camminamento, devo anche attraversare dei lunghissimi tunnel
Di nuovo ritorno in piena campagna e qui Black mi corre incontro festoso, caracollando, per poi scattare  all'inseguimento di due anatre (o oche) che cominciano a correre in modo buffo, starnazzando
Ecco che arriva un gigantesco cane da pastore tutto bianco, molto più grande di Black e, con tutta la sua mole, gli corre incontro, quasi a volerlo investire e calpestare, ma Black intende questa poderosa rincorsa verso di lui come invito al gioco e prende a fare delle corse nervose, accompagnate da finte e da repentini cambi di direzione
Poi, all'improvviso, arriva - chi sa da dove - un caprone, bianco, ed anche lui si mette a correre e capitombolare per nulla minaccioso. L'atmosfera è quella di un gioco condiviso ed io sono lieto che la mia campagna sia animata da tutte queste presenze viventi
Ci manca soltanto un asinello e potrei toccare il cielo con un dito
Mi sento pervaso da un senso di meraviglia
Al di là della mia recinzione vedo un casale diruto, un tempo utilizzato da pastori, e fuori addobbate su di un filo ci sono appese delle lenzuola candide che si agitano nel vento
L'aria è impregnata di buoni odori, di terra umida e di legna bruciata, e di un lieve sentore di stallatico

Mi sembra di essere in attesa del presepe vivente, prossimo venturo

 

Tutto qui (e poi vado in dissolvenza)

Gabriel in maschera da alieno (foto di Maurizio Crispi)

Gabriel in maschera da alieno (foto di Maurizio Crispi)

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16 ottobre 2023 1 16 /10 /ottobre /2023 06:19
Accura ca muzzico (selfie di Maurizio Crispi)

Ho una grossa borsa pesante
con tutte le mie cose dentro
(tutto ciò che mi serve
per la mia giornata di lavoro)
Vado ad un Centro di Salute Minerale
che è ubicato 
come un tempo 
in Via dei Cantieri numero zero
Non so perché io stia andando proprio lá
Quando arrivo c’è grande arrivugghio (trambusto e confusione)
Moltissima gente
utenti e operatori
Alcune facce nuove, altri conosciuti 
(ma il tempo non é stato clemente)
Sono in incognito
(in effetti, nessuno mi riconosce)
ho la mia borsa
che mi qualifica
e null’altro
Grandi stanze
che formano un labirinto intricato
Miriadi di pazienti e aspiranti tali
che formano lunghe code
e che mi guardano in cagnesco,
pensando che io sia uno di loro
e che voglia bypassarli
Sono un medico,
faccio io, alzando la borsa 
quasi fosse uno status symbol
Sì, vabbé!
reagisce qualcuno,
subito pensando all’imbroglio e al raggiro
da parte del solito furbetto di turno
Continuo nella mia ricerca
Scanso corpi sudati e puzzolenti
Sfioro bocche sdentate vocianti
da cui, assieme a torrenti di parole incomprensibili,
escono nuvole di saliva nebulizzata
e talvolta qualcosa di più 
(Aiutooo! Dove sono finito!)
A quanto pare è in corso
un contest indetto da big pharma
per la presentazione di un nuovo pharmacon 
(Miracoloso! La cura delle cure!)
e l’attenzione di tutti gli operatori 
è polarizzata sulla distribuzione di gadget e buffi cotillon,
e poi sul ricco buffet che seguirà 

 

Intanto io continuo ad aggirarmi
per quelle stanze sovraffollate e dense di afrori,
come un’anima in pena
Arrivo ad un grande ambiente circolare 
pieno di scrivanie e grandi banconi
che fanno da separatori
tra il pubblico dei postulanti e i curanti
Qui i postulanti sono stati contrassegnati
da coccarde colorate rosse gialle verdi bianche e persino nere,
affisse sul petto e sulla testa, 
in taluni casi
Gli operatori indossano
ampi camici bianchi svolazzanti
aperti sul petto
e anche loro hanno delle coccarde
di diverso colore
(penso stranito 
che stiano ad indicare i diversi livelli
di competenza e di affidabilità 
rispetto alle diverse patologie affluenti)
C'è ressa, c'è confusione,
l'atmosfera si divide tra attonito stupore e attesa sospesa, 
affaccendamento senza scopo e tensione elettrica
Tant'è che c'è qualcuno che si alza di continuo dalla panca
e chiede se può telefonare a suo figlio 
perché è in pensiero per lui
Un altro entra ed esce dallo stanzone 
per andare a fare pipì
e ci sono anche due energumeni che si offendono a vicenda
e che poi vengono alle mani
Due colossi corpacciuti 
un Gargantua e un Pantagruel 
poco bonari ma - in definitiva - inoffensivi
(tanto rumore per nulla)
che si scagliano l'uno contro l'altro
come due colossi di Rodi scesi dal loro piedistallo
Urlano e gridano, 
si accapigliano,
sferrano colpi,
ma nessuno punta a far male 
oppure osa una presa di bella
(una testata, un morso, un dito nell'occhio,
come erano le risse crudeli di un tempo)
Gli astanti nel vedere la lotta
si vivacizzano e puntano scommesse
mentre improvvisati broker si danno da fare
Un altro occupa l'attesa,
bevendo litri su litri di acqua da una bottiglia di plastica
e quando finisce va a riempirsela di nuovo dal rubinetto
per poi rimettersi assiso su di uno scranno
con le gambe esili
che scompaiono sotto un enorme ventre idropisico
e sembra un Buddha alieno
in meditazione
E c'è un altro che grida e sbraita,
vomitando un torrente di parole incomprensibili
e poi, ogni tanto, batte i pugni su di un tavolo, con gran fragore,
mentre un altro si scaccola con gravoso impegno 
per poi esaminare il contenuto di ciò che ha cavato dalle fosse nasali
e piazzarlo diligentemente sotto la seduta della seggiola che occupa

 

Un delirio, una tarantella e, ancora, un delirio
(tre, quattro passi nel delirio per poi passare alla controdanza 
in una successione repentina dalla comicità più estrema
ad una tragedia senza confini (con piccoli sprazzi di Butō)
e poi ritorno

 

In tutto questo io sono un senzacolore,
né paziente (o utente o cliente) e nemmeno operatore
Io, chi sono io?
Pensavo di saperlo prima,
adesso non più 
Vorrei proprio saperlo,
o che qualcuno me lo dicesse
All’improvviso, mi accorgo 
che mi manca la borsa
Troppo stanco l’avevo poggiata 
da qualche parte nella grande stanza rotonda
Prendo a cercarla, rovistando ogni angolo
Introvabile!
Se la sono portata!
É sparita!
Zio santo! Santo zio!
Mi sento smarrito e confuso 
Prima ero soltanto un senza colore, adesso sono anche un sanpapié,
un nulla di nulla, insomma
Vado verso un bancone
sotto il quale occhieggia un borsone
simile al mio
Lo prendo e lo apro,
tra le proteste del suo proprietario,
ci rovisto dentro,
ma niente! 
Il contenuto non corrisponde,
nemmeno di striscio
Vedo una faccia conosciuta
e mi ci rivolgo 
chiedendo aiuto
Quello mi ascolta serio
e poi esce fuori dal salone
da una porta che s'affaccia direttamente 
sulla strada principale
e vedo che si rivolge ad un malacarne
corpulento e massiccio 
che ha attorno una coorte di scugnizzi
Dopo aver confabulato 
con il mio conoscente,
il malacarne lancia concisi ordini
ai suoi adepti
e quelli si disperdono immediatamente
come uno stormo di api esploratrici
Il mio conoscente rientra:
Buone notizie, mi dice strizzandomi l'occhio,
Tutto a posto! La tua borsa verrà ritrovata!

 

Ma io non ci credo
Non ci crederò finché non la vedrò di nuovo

 

E poi, in quali mani mi son messo?

 

(Dissolvenza)

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15 ottobre 2023 7 15 /10 /ottobre /2023 20:04

Anche in questo caso si tratta di un 'ripescaggio' dai meandri di un profilo Facebook (il mio), ormai datato di 14 anni.
Di questo triplice sogno avevo perso del tutto memoria.
Ed eccolo qua, restyled!

Un cucciolo di leone

(15 ottobre 2012) Questa notte ho stra-sognato tra PC infettato da virus, un leoncino randagio e il mio box trasformato nella casa di Robinson Crusoe

Ho stra-sognato questa notte
Ma tra un sogno e l'altro ho anche dormito come un ghiro
Il primo sogno era inquietante
Ero seduto davanti al PC e improvvisamente lo schermo diventava instabile e si andava trasformando come se avessi le allucinazioni
Assumeva uno stano aspetto a nido di vespa, quasi tridimensionale, gonfiandosi e sporgendo sempre di più
Pensavo che se avesse continuato ad espandersi, mi sarebbe esploso sulla faccia
La mia conclusione era che il computer era stato infettato da un bug o da un worm o da un trojan, ovvero da per dirla in soldoni un malefico virus informatico ed ero disperato perché pensavo alla miriadi di file (tra cui le foto) che sarebbero risultate distrutte
Andavo a chiamare mia madre (sì, in questo sogno interagivo con mia madre che non è più), perché volevo farle vedere ciò che accadeva e chiederle consiglio
Quando tornavo con lei il monitor non c'era più: o meglio era stato spostato da qualcuno sul pavimento sotto la scrivania
Dove avrebbe dovuto esserci c'era invece una miriade di briciole di pane, come se qualcuno avesse appena finito di banchettare


Nel secondo sogno, ero in giro per le strade con mio figlio piccolo: e avevamo adottato un leoncino anche lui piccolo, appena un cucciolo
Il nostro problema era cercare di abituarlo a convivere con un cane randagio che ci veniva a trovare per aver cibo e compagnia.
Il leoncino era docile ed affettuoso, ma il suo comportamento diveniva imprevedibile non appena - con il suo odorato finissimo - sentiva l'odore della carne e si accorgeva che altri cani di passaggio avevano fatto un pasto di quel tipo
Quando ciò accadeva, prendeva a ringhiare e tirava fuori le piccole zanne (piccole, ma già temibili), arricciando le labbra
Andavo allora nella bottega del macellaio e gli chiedevo di prepararmi dei bocconcini di carne di seconda e terza scelta, e di frattaglie (ma anche delle ossa con abbondanza di cartilagini), in modo che potessi soddisfare tutte le voglie di carne del piccolo leone
Ma ero anche piuttosto preoccupato: mi chiedevo se dargli da mangiare della carne non fosse la cosa sbagliata e se non fosse meglio, invece, tenerlo a stecchetto, per indurlo ad abituarsi ad una dieta semi-vegetariana, se non addirittura vegana
Però, mi dicevo: "Non si può modificare la natura di un animale che geneticamente deve mangiare carne sanguinolenta"!
Mi chiedevo anche come sarebbe riuscito a convivere pacificamente con la mia canuzza, crescendo
Il leoncino era tanto affettuoso, ma pensavo con preoccupazione a quando sarebbe cresciuto: Cosa ne sarebbe stato?
Mio figlio, che era con con me (ma era tornato piccolo), era molto contento di questo nuovo amico che si lasciava prendere in braccio e spupazzare come un pelouche
Ma un pelouche non lo era affatto
Era vivo e vegeto, era in carne ed ossa!

Robinson Crusoe

Nel terzo sogno scoprivo, infastidito, che il portiere del mio stabile aveva infilato tutti i contenitori per la raccolta differenziata dentro il mio box
E li ricacciavo fuori, naturalmente, accorgendomi che proprio davanti alla saracinesca del garage, c'era una quantità di attrezzi agricoli rotti, vasi di piante vuoti, ciarpame vario, travi di legno e grosse canne conficcate nel terreno quasi a formare la palizzata della casa selvatica di Robinson Crusoe
Ero basito, ovviamente
Mentre ero davanti al box a sfaccendare, si fermava - proprio vicino - un'auto con quattro a bordo. che erano in tenuta da running.
Chiedevo loro dove stessero andando e mi rispondevano farfugliando qualche parola incomprensibile e, mentre parlavano, mi guardavano strafottenti e stravaccati.
Parlavano di una certa gara trail, ma il finale della frase si perdeva sempre in un suono indistinto.
Chiedevo più volte, animato dalla buona intenzione di far conversazione con loro, ma ogni volta si ripeteva la stessa scena.
Per chiudere quello che sembrava un loop interminabile li salutavo, augurando loro una buona corsa, e andavo via

 

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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