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17 aprile 2025 4 17 /04 /aprile /2025 13:15
Massimo Carlotto, Danzate su di me, SEM

Questo nuovo libro a firma di Massimo Carlotto, Danzate su di me, pubblicato da SEM (collana Italian Tabloid) nel 2025 raccoglie quattro racconti di cui, il quarto - il più lungo, quasi un romanzo breve dal titolo "Il mondo non mi deve niente"- già pubblicato con le edizioni e/o nel 2014.

Abbiamo qui quattro ritratti di donna impietosi e aspri ed anche se vogliamo quattro diverse rappresentazioni di differenti "amori tossici".

Ecco cosa scrive Carlotto in una breve nota introduttiva al volume:
"Da oltre vent'anni sono convinto che un autore abbia il dovere di esplorare l'universo femminile. Le ragioni sono tante, quella che mi ha sempre spinto verso questo tipo di ricerca è stata la necessitàdi stanare un universo maschile poco narrato perché non immediatamente riconosciuto dal ceto culturale di questo paese.
Quattro storie brevi per raccontare quattro donne che realtà o cronaca mi hanno fatto conoscere un tempo. Un delitto nella Torino degli ex quartieri operai, la vita delle cassiere degli ipermercati, le croupier pagate per succhiare denaro agli sprovveduti, una casalinga alle prese con un marito corrotto.
Un viaggio temporale anche nelle trasformazioni e nelle contraddizioni di quest'Italia. Un ciclo narrativo che si conclude in questa raccolta per poi necessariamente proseguire.
" (p. 7)

Come giustamente osserva in questa nota Carlotto, lo sguardo sulle donne per quanto impietoso consente di poter osservare altrettanti tipi maschili che con le loro ambiguità, le loro debolezze, le loro meschinità si nascondono nell'ombra e non si manifestano nelle loro qualità negative che appunto - nelle sue narrazioni apparentemente concentrate sull'universo femminile - Carlotto fa emergere.

Continuo a leggere con assiduità tutti i nuovi libri di Carlotto e mi dichiaro un suo "fedele lettore"!

I racconti sono:

  • Danzate su di me
  • Niente, più niente al mondo
  • Il giardino di Gaia
  • Il mondo non mi deve nulla

 

(Soglie del testo) Danzate su di me è il manifesto dell’amore tossico, delle relazioni pericolose, del romanticismo impossibile al principio del secolo XXI, nell’Italia del patriarcato e della crisi permanente, della precarietà esistenziale e delle vite a perdere, anche quando sono doppie.

«Me la immagino, la moglie, che non ha scoperto nulla e ancora non si rassegna. L'intuito le suggerisce l'esistenza di una verità scomoda, ma teme di guastare per sempre il ricordo di un uomo che ha amato, con cui ha cresciuto una figlia. E allora è consapevole che in tempi brevi dovrà scegliere se continuare a scavare oppure voltare pagina


Le donne di questo libro sono quelle per cui la guerra non è mai finita. Complicate, ferite, tenere o rabbiose, vogliono evadere a ogni costo dalla prigione che lo sguardo maschile disegna intorno a loro. Massimo Carlotto riempie di storie e parole il silenzio che ammanta il conflitto tra uomini che odiano le donne e donne che si difendono dagli uomini. L’inventore di personaggi indimenticabili come Marco Buratti detto l’Alligatore e Giorgio Pellegrini, l’Arcibastardo del noir, ribalta il punto di vista e illumina a modo suo quel femminile mai davvero compreso, su cui da sempre si esercita il dominio di genere. I racconti, in parte editi e in parte inediti, di "Danzate su di me" compongono un blues spezzato, suonano la sinfonia in quattro tempi di una femminilità non soggiogata, sconfitta ma non vinta, sempre e comunque a caccia di una via d’uscita, ribelle ai ruoli imposti di madre e moglie, e anche di dark lady o femme fatale. Quattro protagoniste deluse e avvelenate tirano le somme. Ed è nel tempo dei bilanci che vengono colte di sorpresa dalla penna del loro autore. C’è la cassiera del supermercato che per sedici anni ha custodito un amore segreto con un musicista di successo. Tutto finisce quando un incidente stradale cancella quei rari momenti di felicità rubata: il lutto degli amanti è un dolore senza conforto. E c’è una madre di famiglia che sfiorisce come la periferia di Torino dopo il tramonto dei miti della grande città industriale. Ha perso la sicurezza del reddito insieme alla promessa di un futuro tranquillo. Ora insegue un riscatto ingannevole nel rancore che riserva ai più sfortunati di lei e nei desideri di rivalsa che proietta sulla figlia. Gaia crede di avere la situazione sotto controllo e invece ha un marito che sta per lasciarla. Lei, però, non lo accetta ed è pronta a tutto pur di preservare le finzioni di un matrimonio borghese. Lise ha fatto la croupier sulle navi da crociera, per poi dilapidare una fortuna con i derivati della banca sbagliata, e adesso chiede a un ladro che la sorprende in casa, da sola, di ucciderla. È perfino disposta a pagare.

 

Massimo Carlotto

L'autoreMassimo Carlotto è nato a Padova nel 1956. Scoperto dalla scrittrice e critica Grazia Cherchi, ha esordito nel 1995 con il romanzo Il fuggiasco, pubblicato dalle Edizioni E/O e vincitore del Premio del Giovedì 1996. Per la stessa casa editrice ha scritto: Arrivederci amore, ciao (secondo posto al Gran Premio della Letteratura Poliziesca in Francia 2003, finalista all’Edgar Allan Poe Award nella versione inglese pubblicata da Europa Editions nel 2006), La verità dell’Alligatore, Il mistero di Mangiabarche, Le irregolari, Nessuna cortesia all’uscita (Premio Dessì 1999 e menzione speciale della giuria Premio Scerbanenco 1999), Il corriere colombiano, Il maestro di nodi (Premio Scerbanenco 2003), Niente, più niente al mondo (Premio Girulà 2008), L’oscura immensità della morte, Nordest con Marco Videtta (Premio Selezione Bancarella 2006), La terra della mia anima (Premio Grinzane Noir 2007), Cristiani di Allah (2008), Perdas de Fogu con i Mama Sabot (Premio Noir Ecologista Jean-Claude Izzo 2009), L’amore del bandito (2010), Alla fine di un giorno noioso (2011), Il mondo non mi deve nulla (2014), la fiaba La via del pepe, con le illustrazioni di Alessandro Sanna (2014), La banda degli amanti (2015), Per tutto l'oro del mondo (2016) e Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane (2017).
Sempre per le Edizioni E/O cura la collezione Sabot/age.
Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Mi fido di te, scritto assieme a Francesco Abate, Respiro corto, Cocaina (con Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo) e, con Marco Videtta, i quattro romanzi del ciclo Le Vendicatrici (Ksenia, Eva, Sara e Luz). Nel 2024 esce Trudy.
Per Rizzoli ha pubblicato Il Turista (2016) e E verrà un altro inverno (2021); per Feltrinelli nel 2020 Ballata per un traditore e nel 2021 Refrain (con Pasquale Ruju e David Ferracci); per Mondadori, invece, Il Francese (2022). 
I suoi libri sono tradotti in molte lingue e ha vinto numerosi premi sia in Italia che all’estero. Massimo Carlotto è anche autore teatrale, sceneggiatore e collabora con quotidiani, riviste e musicisti.

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4 aprile 2025 5 04 /04 /aprile /2025 06:28
Jim Harrison, Lupo, Baldini&Castoldi

Lupo (titolo originale: Wolf. A False Memoir, nella traduzione di Fenisia Giannini e pubblicato da Baldini&Castoldi nel 1996) )è stato il romanzo d’esordio di Jim Harrison, prolifico autore di romanzi e di raccolte di poesie, uscito in lingua originale nel 1971.
I miei interessi sono anacronistici: la pesca, i boschi, l’alcol, il cibo l’arte“, afferma il protagonista di Lupo, facendo finta di dimenticare che, forse, in cima alla sua lista andrebbe collocato il sesso: l’unico, spiega a non essere stato del tutto atrofizzato dal progresso. Ma ora si trova a vagabondare nei boschi del Michigan, nella vana speranza di vedere un lupo, ed è giunto il momento di fare ordine nel caos che ha in testa.
A modo suo ovviamente: “Avevo cambiato la mia vita tanto spesso da decidere alla fine che non c’era stato niente da cambiare“.
Prima opera narrativa di Jim Harrison, Lupo, pubblicato nel 1971 è un libro insolito nella letteratura americana di allora ed anche di oggi: è stato indubbiamente influenzato dallo spirito libertario degli anni Sessanta facendo un primo, dissacrante bilancio della generazione vissuta all'insegna della tanto citata triade (sesso-droga-rock'n roll) ma vuole anche rappresentare la ricerca di un'impossibile purezza a contatto con la natura.
Fa tesoro della lezione di Hemingway e di Kerouac, anticipando i romanzi di James Dickey e Cormac McCarthy, mentre cerca un’affinità elettiva, impossibile quanto esilarante, tra Walden di Thoreau e Tropico del Cancro di Henry Miller.
Da Boston a New York, da San Francisco a Cincinnati, il protagonista-narratore Swanson, trasparente alter ego dell'autore, racconta peregrinazioni picaresche da un letto a un bar, da un'autostrada nel deserto all'idillio apparente di un ruscello tra i boschi. 
Come in un road movie, sfila un’America sconosciuta ed eccessiva, innocente e perversa, che oltre vent’anni trascorsi dalla pubblicazione del libro non hanno fatto invecchiare.
Un’America “sfinita dalla provvisorietà“ che cerca “qualcosa di durevole“, dove si rispecchiano frenetica voglia di vivere e memento mori, anarchia, retaggi calvinisti.
Aspirante scrittore, tenuto la larga degli snob del Greenwich Village (dei quali si vendica portandosi a letto le loro donne), Swanson che, come già detto, è l'alter ego dello scrittore stesso non si nega ad alcuna esperienza, finché il portafoglio glielo permette, e accetta qualsiasi lavoro quando ha bisogno di denaro fresco. E quando fugge in mezzo alla natura selvaggia, sa che “nei boschi non c’è romanticismo“. 
Nel mio amore per la natura“, precisa, “c’è una notevole mancanza di serietà: in quasi tutte le escursioni che ho fatto mi sono caricato di ingombranti bottiglie di bourbon”. 
Non c’è spazio quindi per l’agno e filosofia di seconda mano: Swanson è per i “lieto fine, soprattutto si è dispersi dal alcol
“. 
E' convinto che, se riuscirà a vedere un lupo, la sua vita cambierà. 

Mi avviai lungo la sponda, aprendomi un varco tra gli arbusti, l’occhio attento a eventuali orme di lupo dove c’erano strisce di sabbia. In teoria, nell’area doveva essercene più o meno una decina, e desideravo disperatamente di vederne uno. Sentivo che, se fossi riuscito, il mio destino sarebbe cambiato. Forse l’avrei seguito finché, fermatosi mi avrebbe salutato, ci saremmo abbracciati e io sarei diventato un lupo
Swanson giunge allo stesso tempo alla consapevolezza, amara ma concreta, "che nei boschi non c'è romanticismo né redenzione possibile”.
In lui è già presente quell’amarezza asciutta del miglior Harrison: la sua ricerca di una “comunanza“ - che sia con la natura o con un essere umano - è destinata a fallire; e d’altra parte "non c’è poesia nell’essere soli“.

Il film che da Lupo è stato tratto (Wolf - La belva è fuori) è decisamente fuorviante, poiché la narrazione - per quanto allegorica - fa apparire che Swanson durante una delle sue peregrinazioni boschive viene effettivamente "toccato" dal Lupo o che addirittura ne viene morso, andando incontro a delle trasformazioni fisiche, quasi che si trasformasse per "contagio" in un lupo mannaro. 
Il regista ha deciso di rappresentare così il vitalismo energizzante rappresentato dalla potenza ferina e dalla forza del Lupo, come quintessenza della wilderness.

Per alcuni aspetti Lupo rappresenta un'epoca che è quella della Beat Generation e del Verbo del tanto decantato ritorno alla natura (si pensi al revival di Walden, proprio in quegli anni): e, infatti, proprio per questo motivo ho ritenuto che la collocazione corretta di questo romanzo-memoir dovesse essere tra i libri (saggi, memoir e testimonianze) della Beat Generation (tanto più significativo se se si pensa che Jim Harriason non credo abbia aderito a questo momento o se ne sia sentito parte.

Jim Harrison

L’autore. James Thomas Harrison, conosciuto come Jim Harrison (Grayling, 11 dicembre 1937 – Patagonia, 26 marzo 2016), è stato uno scrittore e poeta statunitense. 
Ha esordito come scrittore con Lupo (Wolf, 1971), romanzo dal tono personale e ribelle, seguito da L’uomo dei sogni (Farmer, 1976) e da Lo stregone (Warlock, 1981). Vento di passioni (Legends of the fall, 1978), raccolta di racconti di ambiente rurale, gli hanno dato la fama, confermata dai racconti di Società Tramonti (The woman lit by fireflies, 1990), Julip (1994), L’estate che lui non morì (The summer he didn’t die, 2005, nt) e dal romanzo Ritorno sulla terra (Returning to Earth, 2007).Tra le raccolte poetiche, Teoria e pratica dei fiumi e nuove poesie (The Theory and Practice of Rivers and New Poems, 1989, nt), Dopo Ikkyu e altre poesie (After Ikkyu and other poems, 1996, nt), Salvare la luce del giorno (Saving daylight, 2006, nt).

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7 marzo 2025 5 07 /03 /marzo /2025 12:31
Laura Pigozzi, L'età dello sballo, Rizzoli

L'età dello sballo, pubblicato da Rizzoli, nel 2024, è un importante testo di riflessione sulle nuove dipendenze da sostanze e comportamentali, scritto con molta sagacia da Laura Pigozzi, psicologa e psicoterapeuta (ma anche prolifica saggista), sulle tematiche dello "sballo" nell'età contemporanea è estremamente interessante anche per chi come, come me, è da sempre un addetto ai lavori..
Si tratta di un'opera divulgativa, indubbiamente e, in questo senso, indirizzata ad insegnanti e a genitori, ma è anche adatta per la sua complessità e per la sua capacità di fornire sulla tematica uno sguardo unificante (a partire dall'esame approfondito delle vulnerabilità che si creano a livello individuale nei "primi 1000 giorni", agli addetti ai lavori che vogliano abbracciare in uno sguardo onnicomprensivo sia l'aspetto psicologico, sia quello neurofisiologico (supportato dalle più recenti evidenze di neuroimaging).
Si tratta di una lettura che, a tratti, si fa appassionante e coinvolgente e che apre la strada a molte riflessioni, fornendo al contempo chiavi di lettura sul dilagante fenomeno delle nuove dipendenze da comportamenti oppure da oggetti tecnologici che sempre più invadono le nostre vite e quelle dei nostri figli.
Il pensiero dell'autrice è chiaro e univoco: viviamo in un'epoca che amplifica a dismisura le vulnerabilità che si sono formate nella prima parte della vita e di tali vulnerabilità bisogna tenere conto quando ci si approccia a tutti quegli stimoli che possono incanalare verso una o l'altra forma di dipendenza, sia essa farmacologica o comportamentale. Peraltro, le vulnerabilità possono essere contrastate con tutta una serie di stimolazioni virtuosi che hanno a che vedere con l'epigenetica: ed anche tutte le "terapie di parola" possono agire in questa direzione: l'epigenetica, peraltro, può fare da correttivo a vulnerabilità geneticamente determinate.
Il volume è arricchito da un apparato di note molto esaurienti e da una bibliografia che consente a chi volesse di percorrere una strada di utili approfondimenti.
Mi sento di consigliarlo a a insegnanti e genitori per una lettura che sia eventualmente seguita da un confronto con addetti ai lavori.


(Risvolto) Se dagli Stati Uniti arriva l’allarme fentanyl, anche in Italia la diffusione di droghe tra gli adolescenti, dalla cannabis agli psicofarmaci usati per sballare, sta scatenando un’epidemia di dipendenze. Non ci sono mai stati così tanti pazienti affetti da disturbi legati al consumo di droga come in questi ultimi anni e l’età in cui si sviluppano le prime patologie si abbassa ormai alla preadolescenza. Cadere nel circolo vizioso della soddisfazione-astinenza-brama è un gioco pericolosoe paradossale che ci spinge a bramare ciò che ci fa male. Eppure, gli antidoti esistono e uno dei più potenti è il sentimento della vita che viene trasmesso al bambino nei suoi primissimi mesi, ma che può essere perduto o messo in crisi durante la preadolescenza. In assenza di questa trasmissione, il desiderio fatica a nascere e i progetti non decollano. Un disorientamento che espone all’assoluto offerto dalle droghe, dall’alcol, dagli psicofarmaci, dal cibo, da internet, dallo sport ossessivo... Godere senza desiderare è la cifra di una società drogata. Perché sorga il desiderio occorre che il bambino sperimenti la frustrazione e i limiti che possono trasformare il vuoto che narcotizza in una mancanza che rimette in moto il desiderio. Laura Pigozzi mostra una via nuova per comprendere e disinnescare le dipendenze, intrecciando alla psicoanalisi i risultati delle neuroscienze sul cattivo funzionamento del sistema della ricompensa e quelli dell’epigenetica sulla capacità plastica del cervello che beneficia di relazioni ed esperienze positive. Sono la vita di ciascuno di noi, le parole che ci scambiamo, così come le parole che ci hanno costruito, fatto sentire amati o feriti e quelle che si scambiano in terapia, a modificare il funzionamento del cervello. È infatti nelle relazioni personali e sociali che si trova l’uscita dalla condizione disumana della sofferenza mentale, dato che una cura efficace non può prescindere dal collettivo che protegge, dalla rete affettiva che sostiene eì dall’umanesimo della parola che dona dignità.

 

Laura Pigozzi

L'autrice. Psicoanalista e psicologa clinica, si è formata in Italia e in Francia.
Alla luce della teoria analitica rilegge i fenomeni sociali contemporanei che riguardano i giovani, le donne, le nuove strutture famigliari, i rapporti genitori-figli.
In quanto cantante jazz e formatrice vocale, ha anche formulato una inedita teoria sulla psicoanalisi della voce.
È laureata in filosofia, una passione che l'ha accompagnata per tutta la vita, e in psicologia, in entrambi i casi cum laude.
Rappresentante italiana di diverse associazioni psicoanalitiche europee, collabora a riviste italiane, francesi, spagnole, svizzere.
Ha scritto libri, diversi tradotti in francese e uno in brasiliano. Uno di essi ha vinto il premo di saggistica Citta delle Rose, un altro è stato finalista a un premio CNR e un terzo ha avuto il sostegno alla traduzione dal Ministero della Cultura Italiano riservata ai libri di qualità.
Eccoli: Amori Tossici (Rizzoli, 2023), Sorelle (Rizzoli, 2021),Troppa famiglia fa male (Rizzoli, 2020) Adolescenza Zero (Nottetempo 2019), Mio figlio mi adora (Nottetempo editore 2016), Chi è la più cattiva del reame? (Et./al 2012), Voci smarrite (et./Al. 2013, Poiesis 2022), A nuda voce (Antigone 2008, Poiesis 2017)
È stata ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche nazionali.
Recentemente ha aperto un podcast dal titolo: Uscire dalle dipendenze affettive, che si può ascoltare sulle principali piattaforme.

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6 marzo 2025 4 06 /03 /marzo /2025 06:36

Letto nel corso del 2023

Maurizio Crispi (6 marzo 2023)

Alan Bennet, Arresti domiciliari. Diari della Pandemia, Adelphi

Con "Arresti domiciliari. Diari della Pandemia" (House Arrest. Pandemic Diaries, nella traduzione di Mariagrazia Gini), la casa editrice Adelphi (nella collana Microgrammi), ci ha offerto una piccola narrazione autobiografica di Alan Bennett sul lockdown da lui personalmente vissuto al tempo del Covid. 
Una piccola gemma che si aggiunge ai molti saggi, resoconti cronachistici e annotazioni diaristiche che sono cresciuti a dismisura sin dai primi mesi della recente pandemia.

E' importante non dimenticare e tornare sempre a meditare su quanto ci è accaduto per potere trasmettere la memoria di questi eventi a chi verrà dopo di noi e ai più giovani, anziché "dimenticare" e consegnare tutto ad una sorta di oblio collettivo, come in parte è accaduto negli anni successivi alla grande epidemia influenzale del 1918-1919.

(Sinossi) All’inizio del 2020, l’intera umanità si è trovata d’improvviso immersa in uno dei più sinistri romanzi distopici che siano mai stati concepiti. 
Solo che non era un romanzo. 
E mentre la pandemia dilagava in successive ondate, non meno contagiose erano le ondate di retorica che si sono abbattute su tutti noi, in molteplici varianti. 
Contro questo secondo flagello, un farmaco efficace e senza effetti collaterali è Arresti domiciliari, dove Alan Bennett – e chi, altrimenti? – riesce a guardare alle ripercussioni della catastrofe con sovrano understatement, sfiorandole con quel tocco leggero che è solo suo, in un diario che, giorno dopo giorno, intreccia riflessioni e ricordi del passato ad aneddoti e osservazioni sull’inopinata congiuntura del presente

L’autore. Alan Bennett è nato a Leeds, nello Yorkshire, il 9 maggio 1934. Il padre era macellaio, la madre casalinga. A Cambridge, Bennett comincia a scrivere sketch insieme a Michael Frayn. Poi si diploma, e gli ci vogliono due anni per decidere di non diventare pastore della chiesa anglicana. Ma la vocazione e la sua crisi si rivelano proficue, se nel 1959 Alan Bennett debutterà al Fringe Festival di Edimburgo proprio con la parodia di un sermone. Nel 1965, dopo una fortunatissima serie di spettacoli insieme alla rivista «Beyond the Fringe», viene ingaggiato dalla BBC come attore. Nel 1968 mette in scena il primo dei suoi grandi testi, Forty Years On. Nel 1983 scrive il testo di An Englishman Abroad, film per la TV con la regia di John Schlesinger; sua è anche la sceneggiatura dell'irresistibile Pranzo Reale (A Private Function, 1985) diretto da Malcolm Mowbray, mentre più recentemente (1995) Nicholas Hytner ha portato sul grande schermo un'altra sua fortunatissima commedia, La pazzia di Re Giorgio (The Madness of George III, 1992), pubblicata da Adelphi nel 1996. Nel 1992 la BBC ha trasmesso la prima serie dei suoi lavori forse più acclamati, i monologhi di Talking Heads (trad. it. Signore e signori, Adelphi, 2004), interpretati, oltre che da Bennett stesso, da attrici immense quali Maggie Smith, Julie Walters e Patricia Routledge. La seconda serie è andata in onda, con crescente successo, nel 1998 ed è stata pubblicata da Adelphi nel 2016 con il titolo Il gioco del panino. Tra gli altri suoi libri ricordiamo: Una vita come le altre, L'imbarazzo della scelta, Due storie sporche.
I suoi libri sono pubblicati da Adelphi.

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11 febbraio 2025 2 11 /02 /febbraio /2025 15:59
Michailides, Le Vergini, Einaudi

Ho già letto il precedente romanzo di Alex Michaelides, La paziente silenziosa (2019), e mi era piaciuto parecchio.
Ne Le Vergini (The Maidens, nella traduzione di Seba Pezzani), pubblicato da Einaudi in Stile Libero Big, nel 2021, si sviluppa un’indagine ad impianto classico in cui il protagonista, Theo Faber, psicologo forense e criminologo, viene invitato ad investigare "off label" su di un caso di omicidio avvenuto all’interno d’un prestigioso college di Cambridge. 
L’indagine è difficile perché bisogna penetrare nei riti e nelle consuetudini di quella che è, a tutti gli effetti, una piccola comunità chiusa e ostile, superandone reticenze e omertà. 
Vi è all'interno del college - come scoprirà il narratore/investigatore - una conventicola ancora più chiusa ed esclusiva, che - all’interno della comunità più grande degli studenti e dei docenti -  si configura come una specie di circolo apparentemente di studio e letterario (ma nelle sue intenzionalità animata da uno spirito erotico-esoterico) che raccoglie al suo interno molto elitario e selettivo delle studentesse seguaci del professore Fosca, con i suoi riti e i suoi miti: si tratta formalmente di un gruppo di studio privato, ma - a tutti gli effetti - è una società segreta riservata alle studentesse “speciali” del professor Fosca che chiama queste sue adepte “Le vergini”, attivando tra di esse una reazione a catena di gelosie e piccole vendette, con la conseguenza che tutte le cooptate fanno a gara per poter assurgere al rango di favorita.
L’indagine andrà avanti, riservando al lettore numerose sorprese, sino al colpo di scena finale assolutamente impensabile.

(Soglie del testo) Tre collegiali uccise, una setta, un professore di letteratura greca: le ombre dei miti classici arrivano a minacciare gli alti saloni e le guglie gotiche di Cambridge.

(sinossi) Tre collegiali uccise, una setta, un professore di letteratura greca: le ombre dei miti classici arrivano a minacciare gli alti saloni e le guglie gotiche di Cambridge. Ci sono insegnanti capaci di incantare e far scoprire universi interi. È il caso dell'eccentrico, coltissimo Edward Fosca, grecista appassionato, il cui corso di tragedia greca è seguito dagli iscritti con un trasporto quasi ossessivo. Tanto che alcune studentesse, conquistate e rapite da quelle storie antiche, hanno fondato una setta segreta: Le vergini.
Ma quando alcune ragazze vengono ritrovate uccise molti degli indizi conducono proprio al professor Fosca.


Hanno detto
«Riesce a tenere incollati alla pagina con incedere elegante, hitchcockiano, entra negli abissi dell'io e lo sconvolge» - Annachiara Sacchi, la Lettura

«Dopo "La paziente silenziosa", l'attesa è finita» – The New York Times

«Alex Michaelides ha fatto centro un'altra volta: "Le vergini" è un page-turner favoloso» – David Baldacci

«Dopo "La paziente silenziosa", il miglior thriller degli ultimi dieci anni, Michaelides ha scritto un libro ancora più elegante, sinistro e coinvolgente» – Chris Whitaker

«Sullo sfondo dell'Università di Cambridge, una storia intrigante e suggestiva che unisce colpi di scena mozzafiato e formidabile suspense» – New York Journal of Books

 

Alex Michaelides

L’autore. Alex Michaelides, nato nel 1977 (Cipro), è uno scrittore e sceneggiatore britannico-cipriota ha studiato Letteratura inglese all'Università di Cambridge e Cinema all'American Film Institute di Los Angeles.
Ha scritto le sceneggiature di vari film, tra cui La truffa è servita, con Uma Thurman e Tim Roth. 
Tra le sue pubblicazioni: "La paziente silenziosa" (Einaudi, 2019) e "Le vergini" (Einaudi, 2021). 
Ha studiato psicoterapia per tre anni lavorando per due anni in una clinica per giovani adulti. Questa esperienza gli ha fornito materiale e ispirazione per il suo romanzo d'esordio La paziente silenziosa. 
Il suo romanzo d'esordio, il thriller psicologico La paziente silenziosa, con oltre un milione di copie è diventato il debutto più venduto negli Stati Uniti. Il libro ha vinto anche il Goodreads Choice Award come miglior thriller ed è stato finalista per il Barnes and Noble's Book of the Year.

La paziente silenziosa (2019) è la storia di Alicia Berenson, famosa pittrice, riconosciuta colpevole dell'omicidio del marito, il fotografo Gabriel Berenson. Non capace di intendere e volere, Alicia viene ricoverata in una clinica psichiatrica. Del suo caso si occupa Theo Faber, uno psicoterapeuta forense con un vivo interesse per il caso Berenson e determinato a far luce sulla vicenda. 

Il secondo romanzo di Michaelides, Le vergini, è stato pubblicato nel giugno del 2021 negli Stati Uniti e Regno Unito ed è arrivato in Italia a ottobre dello stesso anno.
Il romanzo racconta di una serie di omicidi in un college di Cambridge.


Da La paziente silenziosa è stato tratto un film da parte della società di produzione di Brad Pitt, Plan B, mentre per Le Vergini - benché si sia parlato di una possibile riduzione cinematografica - ancora non è stata intrapresa alcuna iniziativa concreta in tal senso.

Alex Michaelides, La paziente silenziosa, Einaudi

Alex Michaelides, La paziente silenziosa (nella traduzione di Seba Pezzani), Einaudi (Stile Libero Big), 2019

(soglie del testo) Quando la dichiararono in arresto restò in silenzio, rifiutando di negare la sua colpa o confessarla. Alice non parlò mai più. Il suo silenzio incontrollabile trasformò una banale tragedia domestica in qualcosa di ben altra portata: un giallo, un enigma che conquistò i titoli dei giornali e catturò l'immaginario pubblico per mesi e mesi.

Solo Theo Faber, giovane psicologo criminale, è convinto di poter fare breccia nel suo silenzio. Seduta dopo seduta, però quella che inizia a emergere è una verità che nessuno vorrebbe scoprire.

Alicia Berenson sembra avere una vita perfetta: è un'artista di successo, ha sposato un noto fotografo di moda e abita in uno dei quartieri più esclusivi di Londra. Poi, una sera, quando suo marito Gabriel torna a casa dal lavoro, Alicia gli spara cinque volte in faccia freddandolo. Da quel momento, detenuta in un ospedale psichiatrico, Alicia si chiude in un mutismo impenetrabile, rifiutandosi di fornire qualsiasi spiegazione. Oltre ai tabloid e ai telegiornali, a interessarsi alla «paziente silenziosa» è anche Theo Faber, psicologo criminale sicuro di poterla aiutare a svelare il mistero di quella notte. E mentre a poco a poco la donna ricomincia a parlare, il disegno che affiora trascina il medico in un gioco subdolo e manipolatorio.

Hanno detto

«Che abilità. Molto, molto consigliato» - The Times

«Un thriller formidabile e carico di suspence» - Lee Child

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7 febbraio 2025 5 07 /02 /febbraio /2025 12:38
Lawrence Wright, L'anno della peste. L'America, il mondo e la tragedia Covid, 2021

Lawrence Wright, premio Pulitzer per il giornalismo, dopo aver raccontato della pandemia in un'opera di narrativa quasi "profetica"  (molto interessante) - e si tratta di "Pandemia", pubblicato in traduzione italiana nel 2020, ha deciso di applicare gli strumenti dell'inchiesta giornalistica per raccontare cosa accadeva dietro le quinte negli USA nei primi due anni della pandemia, dalle prime avvisaglie tra la fine del 2019 e i primissimi giorni del 2020, all'esplosione dei contagi.
Il libro è stato pubblicato con il titolo, "L'anno della peste. L'America, il mondo e la tragedia Covid" (nella traduzione di Paola Peduzzi), da NR Edizioni, nel 2021.
Racconta l'autore nella sua postfazione di avere intervistato più di 100 personaggi-chiave dell'intera vicenda per raccontare come gli USA abbiano affrontato la pandemia  nei suoi momenti più cruciali. Tanto si sarebbe potuto fare che non è stato fatto; molte strade percorribili sono state sbarrate dalla disinformazione e dai pregiudizi.

I morti avrebbero potuto essere molto di meno e gravano dunque sulle coscienze di coloro che avrebbero potuto fare e non hanno fatto quando avrebbero dovuto.

Quest'inchiesta è un atto d'accusa, in verità, contro l'amministrazione USA, guidata (o, forse, sarebbe meglio dire "malguidata") da Donald Trump al tempo del Covid.

(Risvolto) Dall'inizio dell'epidemia a Wuhan in Cina, fino all'assalto del Campidoglio di Washington e all'insediamento di Joe Biden in un'America devastata, il giornalista del New Yorker e vincitore del Pulitzer Lawrence Wright racconta la diffusione della COVID-19, grazie a fonti autorevoli e dettagli autentici, facendo luce sulle conseguenze sanitarie, economiche, politiche e sociali della pandemia. Questo libro è l'angosciosa e furiosa storia di un anno in cui tutti i grandi punti di forza dell'America – la sua conoscenza scientifica, le sue grandi istituzioni civili e intellettuali, il suo spirito di solidarietà e comunità – sono stati abbattuti, non solo da una nuova terrificante malattia, ma da un'incompetenza politica e un cinismo senza alcun precedente. Con intuito, compassione, rigore, chiarezza e rabbia, Wright è una guida formidabile, che fende la fitta nebbia della disinformazione per fornirci un ritratto della catastrofe che pensavamo di conoscere. Proprio come "Le altissime torri" di Lawrence Wright è diventato il racconto decisivo del primo devastante avvenimento del nostro secolo, l'11 settembre, così "L'anno della peste" diventerà il racconto decisivo del secondo.

L'autore.  Lawrence Wright (nato nel 1947 a Oklahoma City, è giornalista e autore statunitense. Dopo aver scritto per «Texas Monthly» e «Rolling Stone», dal 1992 collabora con «The New Yorker», dove pubblica importanti inchieste, tra cui i reportage investigativi che vanno a comporre Gli anni del terrore (Adelphi 2017), incentrato sulle storie e i personaggi relativi ad al-Qaeda, i metodi con cui due agenti dell'FBI tentano di ostacolarli, le prime esecuzioni in diretta web dell'ISIS. Altre sue pubblicazioni: "La prigione della fede", che fa luce sulla Chiesa di Scientology.

"The Looming Tower" (Le altissime torri, Adelphi 2007), il suo libro più conosciuto, delinea la nascita e lo sviluppo del terrorismo islamico fino all'attacco dell'11 settembre. Con questo libro Wright ha ottenuto ben nove premi e riconoscimenti, tra cui il prestigioso Pulitzer nel 2007 e il PEN Center USA Literary Award.

Ha lavorato anche come sceneggiatore e produttore nel film di azione Attacco al potere (1998) e in Going Clear: Scientology e la prigione della fede (2015); per quest'ultimo ha anche recitato la parte di sé stesso.

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25 gennaio 2025 6 25 /01 /gennaio /2025 18:33
Daniele Mecarelli, Tutto chiede salvezza, Mondadori

Una bella lettura indubbiamente è stata quella del romanzo di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori, 2020 e 2022) che ho condotto  in parallelo con la visione delle due stagioni omonime che ci ha offerto Netflix.
La prima stagione assolutamente aderente, nel ritmo narrativo e nei personaggi al testo originario; la seconda invece come sequel appositamente studiato per il piccolo schermo e l'home video.
Il romanzo è più duro di quanto non appaia la serie Netflix, condita - tra l'altro - con il sorgere di una storia d'amore tra Daniele ricoverato ed una paziente, affascinante, nell'ala femminile.
Un unico difetto: la storia per quanto fondata su esperienze vissute in prima persona dall'autore non è del tutto veritiera rispetto al reale. La situazione che vi viene presentata, quanto a tipologia di degenti presenti nel repartino di psichiatria è più simile a quella di pazienti che si potrebbero incontrare in una CTA (Comunità Terapeutica Assistita) per pazienti psichiatrici.
La situazione appare, quieta e tranquilla, e gli avvicendamenti avvengono con ritmi lenti e pigri.
Daniele si ritrova ricoverato in TSO e vive questi sette giorni, passando da una dimensione di cinico ed inquieto rifiuto ad una di accettazione e di maggiore comprensione, mostrando alla fine di avere tratto da quest'esperienza un ammaestramento prezioso.
E forse troverà anche qualcosa negli altri (e in sé) che potrà servirgli nella sua vita futura, un giorno.
Avrà anche imparato ad ascoltare gli altri, mettendo da parte se stesso.

Penso che, nella realtà, purtroppo, le cose non vadano esattamente in questo modo, ma in ogni caso - a parte la sua lieve distorsione rispetto al vero - la narrazioni è fruibile, gradevole e coinvolgente, forse un pizzico buonista: e quest'aspetto nella serie Netflix verrà amplificato al massimo.

(soglie) Finalista al Premio Strega 2020 - Vincitore del Premio Strega Giovani 2020 - Finalista al premio Viareggio-Rèpaci 2020, sezione Narrativa - Finalista al Premio Wondy per la letteratura resiliente 2021

Dopo l'eccezionale vicenda editoriale del suo libro di esordio (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima) Daniele Mencarelli torna con una intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta.
"Salvezza. Per me. Per mia madre all'altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza"

(Risvolto) Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura.
Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all'uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un'umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.
Proposto per il Premio Strega 2020 da Maria Pia Ammirati: «Daniele Mencarelli ha cominciato come poeta, quando nel 2018 ha scritto il suo primo romanzo, "La casa degli sguardi", ha portato nella narrativa la densità e la plasticità della parola poetica. Una parola che diventa discorso umano, sorretto dalle vibrazioni di una scrittura potente e creaturale. Con "Tutto chiede salvezza" Mencarelli conferma di essere uno scrittore unico e maturo. Partendo da un'esperienza personale – i sette giorni di Trattamento sanitario obbligatorio a cui è stato sottoposto quando aveva vent'anni – scandaglia il buio della malattia mentale alla conquista di un'umanità profonda e autentica, la sua e quella dei suoi compagni. La cura profonda non può che essere affidata alla parola, unico e salvifico "pharmakon".»


 

Daniele Mencarelli

L'autore. Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Le sue poesie sono apparse su numerose riviste letterarie e in diverse antologie tra cui L’opera comune (Atelier) e I cercatori d’oro (clanDestino). Le sue raccolte principali sono: I giorni condivisi, (clanDestino, 2001), Guardia alta (La Vita felice, 2005).
Con nottetempo ha pubblicato Bambino Gesù (vincitore del premio Città di Atri, finalista ai premi Luzi, Brancati, Montano, Frascati, Ceppo) nel 2010 e Figlio nel 2013. Sempre nel 2013 è uscito La Croce è una via, Edizioni della Meridiana, poesie sulla passione di Cristo. Il testo è stato rappresentato da Radio Vaticana per il Venerdì Santo del 2013. Nel 2015, per il festival PordenoneLegge con Lietocolle, è uscita Storia d'amore. Del 2018 è il suo primo romanzo La casa degli sguardi, Mondadori (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima), nel 2020 esce sempre per Mondadori, Tutto chiede salvezza, da cui viene tratta un omonima serie Netflix di successo. Tra gli altri titoli Sempre tornare (2021 - candidato al Premio Europeo della Letteratura 2022), Fame d'aria (2023), Degli amanti non degli eroi (2024), Brucia l'origine (2024).Tutto chiede salvezza

«Quando un poeta si mette a scrivere un romanzo e ha una storia fortissima da raccontare il risultato è un piccolo capolavoro»

Daria Bignardi

Tutto chiede salvezza. Una bella storia (pur edulcorata) sulla terapia e sulla guarigione in ambito psichiatrico
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28 dicembre 2024 6 28 /12 /dicembre /2024 13:54
John Katzenbach, Corte Marziale (nella traduzione di S. Bonussi), Mondadori (collana Omnibus), 2000

Ho intrapreso a dicembre la lettura di uno degli ultimi romanzi che mi erano restati da leggere di John Katzenbach (almeno di quelli tradotti in italiano, anche se uno l’ho letto in lingua originale): si tratta di Corte Marziale (titolo originale Hart's War, nella traduzione di S. Bonussi), pubblicato nel 2000 da Mondadori (collana Omnibus), e devo dire che è stata una bella lettura, con a trama narrativa corposa e avvincente.
Il romanzo riporta ad un’atmosfera di guerra e precisamente ad eventi che si svolgono in un campo di prigionia tedesco, dove sono confinati prigionieri di guerra, in massima parte ufficiali di aviazione americani e britannici, catturati in azione.
La trama è quella di un legal thriller ambientato nel campo di prigionia, dove con tutti i crismi (pur con le limitazioni imposte dalla condizione di prigionieri) viene attivata una procedura di corte marziale per giudicare il presunto colpevole di un efferato omicidio che vede come vittima un ufficiale americano che ha sviluppato una piccola economia di traffici e di scambi per trarre dei vantaggi personali (chiamato condominio di “Trader Vic”).
Il protagonista Tommy Hart, in virtù della sua vocazione a portare avanti gli studi giurisprudenziali, viene chiamato a svolgere il ruolo di difensore.
Il presunto colpevole è un altro ufficiale di aviazione, Lincoln Scott, il quale come unica sua colpa ha quella di essere nero ed anche quella di essere stato sottoposto a vessazioni di stampo razzista. 
In qualche modo viene ad essere designato come capro espiatorio di un delitto, del quale si professa innocente e di cui sin dall’inizio appaiono indizi indicanti altre piste che però vengono insabbiate.
Tommy Hart dovrà condurre una battaglia contro pregiudizi, intimidazioni, tentativi di insabbiamento, sino al raggiungimento della verità e comunque di ciò che altri avevano tentato di occultare.

Nella narrazione, si intrecciano anche i temi della fuga e della ricerca della libertà che abbiamo avuto modo di apprezzare inoltre narrazioni anche cinematografiche, si pensi ad esempio a "Fuga per la vittoria" in cui mentre l'attenzione generale è distratta dalla preparazione di una partita di calcio tra una squadra formata da prigionieri americani e una da soldati tedeschi vine messo  a punto un piano di fuga, secondo l'assioma un po' asserito in modo retorico (ma ci sta) che gli ufficiali prigionieri al comando devono sempre predisporre piani di fuga poichè il dovere di un buon soldato è cercare di di non arrendersi e pertanto di cercare in tutti i modi di fuggire se le circostanze lo consentono; oppure si pensi anche a "Il ponte sul fiume Kwai", in cui dietro un'apparente collaborazione con i Giapponesi si cela un progetto opposto dei prigionieri britannici che è quello dell'attuazione di un sabotaggio.

Come si apprende dalla postfazione, scritta dallo stesso autore, la storia da lui scritta si basa sulle esperienze dirette del padre, prigioniero di guerra durante il secondo conflitto mondiale
Il protagonista, Tommy Hart, è sicuramente ispirato alla figura del padre, alle sue esperienze nel campo di prigionia e al suo percorso successivo quando, avendo studiato i testi della giurisprudenza, da prigioniero, rientrato negli States poté conseguire la laurea in giurisprudenza, avviando la sua carriera di avvocato.
Così scrive l’autore nella sua nota finale (non mi perdo mai la lettura delle note finali perché spesso si svelano tanto sul processo creativo dell’autore e sulle sue fonti di ispirazione):
Mio padre era al terzo mese del suo primo anno alla Princeton University quando Pearl Harbor venne attaccata. Come moltissimi altri giovani della sua generazione si arruolò all’istante, e poco più di un anno dopo si ritrovò a tracciare la rotta di un B-25 Mitchell al largo della Sicilia. Il ‘Green Eyes’ venne abbattuto nel febbraio del 1943 dopo il bombardamento al volo radente di un convoglio tedesco destinato al rinforzo degli Africakorps di Rommel. Mio padre e gli altri uomini dell’equipaggio vennero ripescati dai tedeschi. Inizialmente trascorsero qualche settimana in un campo di prigioniera italiano a Chieti, quindi furono trasferiti con un treno merci allo Stalag Luft 3 di Sagan, in Germania nei pressi del confine polacco. Fu lì che mio padre trascorse quasi tutta la guerra.
(…) l’unico dettaglio della sua prigionia e delle difficoltà che aveva dovuto sopportare di cui ci parlava era il modo in cui era riuscito ad ottenere tutti i libri di cui avrebbe avuto bisogno per i suoi studi universitari attraverso la YMCA (l’organizzazione dei giovani cristiani). Aveva studiato su quei volumi, replicando i corsi che avrebbe frequentato se fosse stato ancora uno studente, e al suo ritorno negli Stati Uniti aveva convinto l’università a lasciargli affrontare due anni di esami in sole sei settimane per potersi laureare insieme alla sua classe. L’impresa di mio padre, già di per sé notevole, assunse in casa nostra una sorta di statura mitica. La lezione che ci insegnava era semplice: da ogni situazione, per quanto difficile essa sia, ci si può ritagliare un’occasione.
È stata quell’occasione sfruttata da mio padre nel lontano 1943 a fornirmi l’ispirazione per ‘Corte marziale”. Ma al di là di questo riconoscimento, è importante chiarire che i personaggi, le situazioni e l’intreccio del romanzo sono miei.
(…)
Il mondo del mio Stalag Luft 13 di fantasia è una combinazione di diversi campi. Gli eventi del romanzo, pur basati sulla realtà dell’esperienza dei prigionieri di guerra, sono inventati. Gli ufficiali, sia tedeschi sia alleati, che popolano queste pagine non sono direttamente ispirati a uomini realmente esistiti, vivi o morti che siano
” (Nota dell’autore, pp. 495-496)

Il romanzo è stato tradotto in film nel 2002, con il titolo “Sotto corte marziale” (Hart's War), per la regia di Gregory Hoblit, con Cole Hauser, Colin Farrell (nella parte di Tommy Hart), Bruce Willis (nella parte di McNamara), Maury Sterling, Vicellous Reon Shannon, Linus Roache.
Purtroppo il film non ho avuto modo di vederlo, ma - a giudicare da alcune sequenze proposte nel trailer - a scopo meramente spettacolare (e per soddisfare il gusto tutto americano per l’azione) sono state introdotte delle variazioni rispetto alla narrazione originale.

Mi piace concludere questa recensione, citando la frase finale della nota dell’autore in calce al volume, a proposito dell’importanza della memoria e delle storie del passato:
A volte penso che viviamo in un mondo così ossessivamente dedito a guardare avanti che spesso dimentica di concedersi il tempo per guardarsi alle spalle. Ma alcune delle nostre storie migliori si trovano nella nostra scia, e sospetto che, per quanto possano essere crudeli, ci aiutano a capire dove siamo diretti“ (Ib., p. 497)

(Soglie del testo) Siamo in un campo di prigionia tedesco, destinato ad aviatori americani e in inglesi, caduti prigionieri nel corso di azioni belliche durante la II guerra mondiale. 
Aprle 1944: nella latrina di un campo di prigionia tedesco viene rinvenuto il cadavere di Vincent Bedford, capitano dell'aviazione americana. Ogni indizio sembra condurre all'aviatore di colore Lincoln Scott. Con il benestare delle autorità nemiche, viene approntata una corte marziale americana. 
Il caso sembra semplice. 
Ogni indizio conduce all'aviatore di colore Lincoln Scott, l'unico ad avere un movente per uccidere un uomo apparentemente benvoluto da tutti. 
Il caso è semplice e il verdetto sembra già scritto. 
Ma chi era davvero il pluridecorato capitano Bedford? Chi sono i suoi amici, che ora invocano a gran voce il plotone di esecuzione per Scott? 
Privo di esperienza, ma ostinato e tenace, Hart dovrà dipanare un'ingarbugliata matassa in cui si intrecciano pregiudizi razziali, interessi economici, lotte di potere e violenti conflitti. 
E affrontare nemici che non sempre parlano una lingua diversa dalla sua.

 

John Katzenbach (da Wikipedia)

L’autore. John Katzenbach, nato nel 1950 a Princeton (USA), figlio di una psicoanalista e di un avvocato, si è laureato in letteratura anglo-americana nel 1972.
Il suo primo romanzo venne pubblicato mentre era reporter del "Miami Herald", dove si occupava di cronaca nera.
Nel 1987 divenne scrittore a tempo pieno con il romanzo che in Italia fu pubblicato con il titolo Facile da uccidere.
È stato inviato giudiziario anche per il "Miami News". Tra i suoi libri ricordiamo: Maledetta estate, Facile da uccidere, La giusta causa, Il giorno del ricatto, Il carnefice, Il cinquantunesimo stato, Corte marziale, L'analista, La storia di un pazzo e L'uomo sbagliato.
In Italia i suoi libri sono editi da Mondadori e da Fazi Editore.
Da alcuni suoi libri Hollywood ha tratto dei film.

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7 dicembre 2024 6 07 /12 /dicembre /2024 07:18
Giuseppe Trevisan, La Vita Rubata

La vita rubata. Memorie di un quasi adatto tra manicomi elettrici e servizi territoriali difettosi di Giuseppe Trevisan, pubblicato da Nuovadimensione, nel 2022 (con una precedente edizione nel 2015 per Futura Edizioni) è un testo tra diario e memoir, molto interessante e attuale, il cui l’autore, creando un personaggio fittizio che è il soldato Pino Lancia, racconta le sue personali vicissitudini a partire dal primo internamento in manicomio e poi, attraversando una serie di contatti successivi con le istituzioni psichiatriche, nel periodo cruciale che vide poi la promulgazione della legge 180 del 1978, e - a seguire - con i servizi psichiatrici nati successivamente a tale data. Le sue esperienze si svolgono a Udine, Pordenone e dintorni.
Il volume è completato da un inserto fotografico che illustra momenti diversi della vita di Giuseppe Trevisan e che offre degli scorci sull’ospedale psichiatrico di Udine.
Il volume è arricchito da una postfazione scritta da Giorgio Simon, che ha avuto un ruolo importante come dirigente nell’Agenzia regionale della sanità del Friuli Venezia Giulia, con il titolo “La vita rubata, note storiche su servizi e diritti”
A chiusura, con il titolo ”Apriamo quelle porte: colloqui sanvitesi con Mario Novello“, segue la trascrizione di due incontri promossi dall’Associazione Fuoritema, avvenuti a San Vito al Tagliamento nel novembre 2018 e nel gennaio 2019 in cui lo stesso Mario Novello nella forma di una lunga intervista racconta le esperienze di transizione dell’assistenza psichiatrica in Friuli Venezia Giulia dopo il 1978, ma includendo anche - ovviamente - importanti considerazioni e ricordi del suo lavoro a fianco di Franco Basaglia, a Trieste.
Viene da ultimo, ma di importanza per l’inquadramento generale dell’opera, un commento a firma della Aps Fuoritema, che nella sua qualità di associazione che lavora per l’inclusione sociale, ha promosso la pubblicazione del volume e che, nelle sue parole conclusive, pone sul tappeto dei nodi problematici attuali e scottanti sullo stato dell’arte dell’assistenza psichiatrica in Italia.

Dalla postfazione di Giorgio Simon: “La vita rubata attraversa la storia dei diritti e delle istituzioni italiane di mezzo secolo. Racconta della sanità militare, dei manicomi, del ricovero coatto di quello volontario, della nascita dei servizi territoriali e dell’applicazione della legge 180. Ma soprattutto racconta che fino a molti anni fa anche in Italia era considerato normale rinchiudere una persona malata, maltrattarla, privarla di ogni diritto e dimenticarsi di lei

(Quarta di copertina) Il soldato Pino Lancia ha difficoltà d'inserimento nel mondo militare e cerca tutte le scappatoie per sfuggirvi: ma inutilmente. Ci viene inserito a forza in quel groviglio di serpi. Persino un vecchio amico di suo padre, un alto ufficiale, non riesce a fargli ottenere l'esonero. Così Pino Lancia viene internato in manicomio (perché a giudizio del direttore dell'ospedale militare ha ottenuto troppi giorni di convalescenza) in un padiglione di "malati"; e comincia il suo calvario. Si rende conto che l'ospedale psichiatrico provinciale non guarisce, anzi, peggiora la situazione: gli psicofarmaci profusi a piene mani, gli elettroshock, il lettino di contenzione, il cibo scadente, peggiorano il suo stato di salute, e lo gettano sull'orlo della follia. In appendice, un importante contributo di Mario Novello sugli anni in cui ha lavorato con Franco Basaglia.

L’autore. Giuseppe Trevisan detto “Pino Lancia” nasce a San Vito al Tagliamento (Pordenone) il 2 marzo 1949. Compie studi regolari mostrando però attitudine per le materie umanistiche e, in particolare, per letteratura e poesia. 
Fin dalla giovinezza conosce il disagio psichico. 
Entra nel mondo del lavoro provandosi nei più svariati mestieri: ristoratore agente di commercio, bracciante agricolo e anche “operatore psichiatrico“ ha pubblicato le raccolte di poesie “Le lacrime di Dio” (2007) e “Angeli di strada“ (2010)

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16 ottobre 2024 3 16 /10 /ottobre /2024 13:53

“Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.”

Stefano Catellani, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, Bollati Boringhieri (p. 11)

Catelllani, Fort Apache, Bollati Boringhieri, 2003

Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.” (p. 11)
Questo è ciò che scrive Stefano Catellani nelle pagine introduttive al suo saggio clinico, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, edito da Bollati Boringhieri (nell'ambito della Collana L’esperienza Psicologica e Medica), nel 2003.
L’autore - nella sua introduzione al testo - esplicita la sua volontà di non voler uscire dal crocevia principale per imboccare delle strade laterali e meno trafficate di tipo super-specialistico e, quindi, afferma la sua determinazione nel definire se stesso come uno psichiatra “qualsiasi”, cioè psichiatra e basta, senza ulteriori aggettivazioni, e dunque psichiatra “senza qualità” (in ciò, forse, strizzando l'occhio a Robert Musil).
Ciò allo scopo di evitare il potere stigmatizzante dell’ideologia che è contenuta implicitamente nella scelta di un campo di applicazione piuttosto che di un altro quando ci si accosta ai saperi psichiatrici, poichè tale scelta - con le sue ricadute nelle prassi della quotidianità clinica - è pericolosa, teoricamente, clinicamente e ideologicamente e si presta a derive oppure ad esclusioni e scotomi (per esempio, relativamenti alla determinazione di quali siano i pazienti "buoni" da trattare e quali invece da abbandonare a se stessi, perché ingestibili, ingovernabili etc etc).
Ritengo che solo lo sforzo di confrontarsi continuamente con la contraddittorietà dei propri linguaggi interni e dei propri saperi possa permettere alla psichiatria e agli psichiatri di tentare di confrontarsi con i linguaggi contraddittori e contrastanti dei loro pazienti.” (p. 14)
Questo libro - come dice il titolo - è stato scritto da uno psichiatra «qualsiasi», che opera nei servizi territoriali del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, e racconta delle storie cliniche. Sopraffatti da linee-guida e diagrammi, pare che gli psichiatri — come pure spesso gli psicoanalisti — non siano più capaci di raccontare se non in forma di brevi schemi anamnestici o di sintesi di puntate di diario clinico asettiche e povere di anima, oppure ancora in forma di “excerpt” ovvero di estrapolazioni decontestualizzate che servono all’autore che li cita per dimostrare una certa tesi.
Invece, Catellani racconta bene, di sé e dei pazienti che sceglie per le sue storie. Ribadiamo: storie e non anamnesi, e nemmeno le malefiche «vignette», storielline cliniche funzionali solo all'enunciato che lo psichiatra o lo psicoanalista stanno sostenendo. 
Qui no, sono raccontate finemente nei dettagli vicende esistenziali e vicende di incontri: per che via il paziente arriva, in ambulatorio o al Pronto Soccorso, cosa fa e cosa racconta di sé, come reagiscono paziente e medico all'incontro, nei comportamenti e nelle parole e come si storicizzano a vicenda, scrivendo della relazione terapeutica una narrazione condivisibile e condivisa.
Un clima fortemente interpersonale, perché l'uomo-psichiatra si china accanto all'uomo-paziente, più interessato alla sua vita e alle rappresentazioni di sé, e ai pensieri e agli affetti che in lui ne derivano, che alla sola psicopatologia: lo psichiatra - e lo psicoanalista - modifica, con il suo intervento, il campo su cui interviene e, nel momento in cui è in gioco, non può più presumere di conservare una osservazione neutrale né, tanto meno, oggettivante, pena la reificazione del suo stesso pensiero e del suo agire (per mano delle nosografie, linee-guida, protocolli, manuali di tecnica etc.).
Queste storie e queste convinzioni sono raccontate con uno stile sobrio e semplice, senza eccedere in tecnicismi (ma ricorrendo ad una epicrisi teorica, quando ciò appare necessario), esprimendo nello stile un modo di raccontare che, trasmettendo anche delle emozioni e lasciando trapelare la soggettività del terapeuta, è pieno, ricco, elegante.
I casi clinici illustrati da Catellani dimostrano che si può uscire da alcuni schemi precostituiti nell’assistenza al malato psichiatrico: e poi c’è da chiedersi chi sia o cosa sia effettivamente, oggi, il malato di mente.
Il libro di Catellani è stato pubblicato nel 2003: e a distanza di vent’anni è tuttora valido e pienamente attuale, in quanto illustra - pur con tutte le difficoltà - un modello di intervento virtuoso e praticabile in direzione ostinata e contraria rispetto a modelli operativi pigri oppure intrisi di pregiudizi antichi anche se mascherati con nuovi volti.
Oggi come oggi, abbiamo bisogno di molti altri libri come questo di Catellani per scardinare alcuni costrutti mentali e sociali sulla follia e sui disturbi psichici che, tuttora vigorosi, rimandano a una dimensione ancora ben radicata di “manicomio mentale” che poi porta - nelle prassi quotidiane - all’attivazione di “mini-manicomi” o di manicomi “chimici”.
Libri come questo oppure come altri di più esplicita denuncia delle malpractice medico-psichiatriche come sono quelli scritti in anni più recenti da un Piero Cipriano, neo-basagliano convinto e battagliero.
Il volume è dotato di alcune appendici che lo rendono particolarmente interessante tra le quali una su alcune ”parole dubbie“ del gergo psichiatrico, ma anche una di citazioni colte, oppure un’altra (titolata "Creativa mente") contenente degli esempi di produzioni letterarie degli stessi pazienti, proprio per dare voce a questi ultimi dal momento che, spesso, anche nelle pratiche psichiatriche attuali il paziente tende a perdere la propria soggettività, o meglio ne subisce la sottrazione.
Scrive Catellani: “Ho scritto gran parte di questo libro per raccontare le storie di pazienti diagnosticati come schizofrenici e per uscire dalle gabbie di questa definizione. (…) … nulla di tutto ciò descrive l’incredibile esperienza umana di questi pazienti. “ (p. 291)
E poi ancora: “Il setting riveste grande importanza per chi, come me, ritiene che in ogni lavoro psichiatrico, anche nella pura prescrizione farmacologica, vi sia sempre una funzione psicoterapeutica attiva (che può essere positiva o negativa). la psichiatria non ha grandi costi: non necessita di dispendiosi macchinari, né di farmaci dei prezzi proibitivi [anche se - va pur detto - a distanza di vent’anni da queste parole non si può non rilevare che il trend delle case farmaceutiche è quello di imporre nuove molecole estremamente costose - nota mia]; le nostre ‘sale operatorie’ sono gli ambulatori, il nostro ‘bisturi’ é il tempo, le nostre ‘risonanze magnetiche’ sono costituite dall’ascolto. La qualità, la stabilità e la continuità del setting (tempo e luogo dell’ascolto) sono indispensabili ad una buona assistenza psichiatrica.” (Ib., pp 291-292)

(Quarta di copertina) Le storie di questo libro nascono dal bisogno e dal desiderio dell'autore, impegnato nel lavoro con pazienti psichiatrici, di raccontare le vicende in cui si è trovato a essere coinvolto emotivamente: si tratta di rielaborazioni di relazioni cliniche, oppure ricordi di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutti sono diventati spunti di riflessione sulla pratica quotidiana dell'assistenza psichiatrica. Ma soprattutto l'autore avverte l'esigenza di narrare la vita, i sentimenti, gli umori, le relazioni di persone vive e reali, per uscire dall'atrofia intellettuale delle parole burocratiche e spersonalizzanti delle cartelle cliniche e delle classificazioni diagnostiche.
Narrare per valorizzare l’esperienza, per evitare che il fiume della vita (dei pazienti, e dell’autore stesso) resti in sabbiato nel deserto delle nosografie e dei protocolli. Catellani auspica c’è questa storie questi appunti possano aiutare i lettori a rivedere i pregiudizi nei confronti dei pazienti psichiatrici e dei disturbi mentali di cui tutti siamo più o meno portatori, a superare le barriere concettuali tra salute e malattia, tra “normalità” e follia

L’autore. Stefano Catellani, psichiatra, e dirigente medico in psichiatria presso la Asl della città di Bologna.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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