(foto di Maurizio Crispi)
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(16 marzo 2013) Ier sera (dopo la passeggiata della mattina) ho fatto un sogno
Stavo viaggiando da qualche parte in Inghilterra, con la mia auto.
Ad un certo punto, abbandonavo l'auto in un parcheggio, con tutte le mie cose, valigie e vestiti compresi, e mi avventuravo a fare una gita a bordo d'una barca a motore in un lago
E navigavo a lungo
Poi, alla fine, approdavo: ed era la fine della gita lacustre
L'unico inconveniente era che io fossi approdato in un luogo diverso da quello di partenza
Come fare per riavere la mia auto e tutte le mie cose?
Per qualche motivo che non saprei dire, non potevo muovermi dal punto di arrivo e così incarico qualcuno (che se ne stava lì a ciondolare) di tornare indietro sempre per via d'acqua e riportarmi indietro l'auto
Solo che, quando ormai il battello si era allontanato dalla costa scomparendo alla vista, mi accorgevo che al volenteroso non avevo dato le chiavi dell'auto
La gita di recupero sarebbe andata a vuoto, dunque!
Così pensavo
Non c'era alcun telefono cellulare per comunicare
In più, l'incaricato era solo un illustre sconosciuto che si era offerto di farmi un favore e non sapevo nemmeno come si chiamasse
Il sogno prosegue con molti traccheggi ed arzigogoli.
E ho una sensazione di fatica e di affaccendamento
Più avanti, auto e lago, sembrano essere diventati un capitolo chiuso, come anche il viaggio in cui ero impegnato.
Sono alla guida di un potente escavatore e sto approntando una grande buca dove costruire le fondamenta di un grande palazzo
Ed è qui che il sogno finisce, lasciandomi con uno strascico di riflessioni e associazioni a ruota libera
Curiosità, voglia di cambiamento, disponibilità ad affrontare l'imprevisto e il meraviglioso
La condizione della precarietà dell'essere su di una strada sempre in movimento e senza mai poter mai fare una sosta abbastanza prolungata in uno stesso (e puoi essere sempre in movimento anche mentalmente soltanto, anche se fisicamente sei stanziale in uno stesso luogo)
Il mito di Ulisse, non quello che viene raccontato nell'Odissea, ma quello che parla di sue ulteriori partenze da Itaca sempre sospinto dall'irrequietezza di conoscere: un'erranza che poi conosce, ma solo alla fine, un ritorno, e ciò accade quando Odisseo pianterà nella terrà uno dei remi della sua imbarcazione e gemme e foglie da esso germoglieranno da esso sino a trasformarlo in albero ben radicato
Mi viene da pensare all'essenza metaforica della frase che mi ritrovai a leggere tempo addietro su di una cartolina raffigurante un paesaggio livido con del filo spinato da trincea in primo piano, e ad esso sovrapposta la frase: "Our earthly condition is that of passers-by, of incompleteness moving toward fulfiment and, therefore, of struggle" (frase, la cui fonte è rimasta per me sempre misteriosa e sconosciuta e che, ciò nonostante, mi è rimasta impressa a caratteri di fuoco nella mente, sin da quando ero ventenne)
C'è l'elemento positivo della costruzione
In qualche modo nella nostra vita siamo dei costruttori.
Costruttori di storie.
costruttori di universi e di significati,
costruttori di grandi palazzi di pietra (metaforici e non) dalle fondamenta ben radicate.
Forse il sogno vuole che, ad un certo punto della mia vita, dopo anni di erranza mentale, in un momento "topico", io possa diventare il costruttore di un grande palazzo, con tutte le conseguenze del caso.
Salvo poi, come fece Odisseo che, malgrado il remo trasformatosi in albero, si trovò a ripartire ancora una volta per un ultimo viaggio oltre le Colonne d'Ercole e verso l'irraggiungibile Montagna della Conoscenza
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“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.
(Dante, Inferno, Canto XXVI)
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