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25 marzo 2013 1 25 /03 /marzo /2013 08:21

Il sogno del furto dei libriC'è un grande tavolo tutto ricoperto di pile di libri...
Sono i miei libri...
E' il tavolo dove mangio, agli orari dei pasti e dove mangio pure i libri.
C'è una conversazione vivace con qualcuno (senza volto)...
E' a proposito di un qualche oggetto che è stato posato sul tavolo frammisto alle pile di libri (o che è stato rimosso).
Mi sposto in un'altra stanza e, quando ritorno, tutti quei libri sono scomparsi...
Delle pile e pile di volumi, alcuni da leggere e altri in stato avanzata di lettura non rimane nulla, solo un tavolo dalla superficie di legno massello verniciato, desolatamente vuota nella sua schietta "normalità".
Avverto un acuto senso di mancanza e, immediatamente, non volendomi dare per vinto, intraprendo delle indagini per cercare di capire cosa sia mai accaduto.
In un primo tempo penso che sia stata una mia zia a mettere tutto in ordine (ma che ci fa questa mia zia a casa mia?)...
Le parlo con malevolenza, cercando di capire dove abbia messo i miei libri.
"Vabbè mettere in ordine, le dico, ma almeno restituiscimi i libri".
Continuando nelle mie indagini, scendo attraverso una scaletta di siurezza sino all'appartamento di sotto, dove abita un nipote di questa zia...
Gli indizi mi portano lì...
Visito la casa, parlo con il nipote.
Ero convinto che fosse lì solo come ospite temporaneo ed invece mi confida di essersi trasferito per un po' di tempo, almeno qualche mese.

Infatti, la casa è ben sistemata come per una lunga permanenza, e ci sono esposti moltissimi libri, ma sono tutti volumi che parlano di corse podistiche e maratone. E sembrano proprio i suoi...
Ritorno di sopra e, improvvisamente come per un immediato satori, comprendo di essere stato ingannato: qualcuno durante la mia breve assenza di prima, ha fatto entrare dei ladri che hanno trafugato tutti i libri, involandosi subito dopo e chissà dove.
Sono preso da una sensazione di scoramento, soprattutto al pensiero che non potrò più portare a termine i libri che già avevo cominciato a mangiare per nutrirmene.

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22 marzo 2013 5 22 /03 /marzo /2013 08:38

Sotto l'assalto del mare in tempesta e insidato da un ragno anomaloCon un lungo cammino, ero arrivato sino ad una casa sulla riva del mare in tempesta.
Il vento mugghiava e le onde si alzavano sempre più alte, infrangendosi con alti spruzzi e con spuma bianca contro un muro di recinzione, che per quanto alto sembrava essere una difesa ben povera.
Mi sentivo subito a disagio ed entravo nella casa vuota ed abbandanota con una senazione di profondo timore che rapidamente si trasformava in disagio panico.
Ma lì ero arrivato e non potevo andarmene: c'era qualcosa di strano (e forse di invisibile) che mi tratteneva là.
Non c'era nulla di familiare in quella casa: tutto mi era straniero.
Mi sdraiavo su di un giaciglio di fortuna, unico arredo esistente in un grande stanzone vuoto e del tutto spoglio: e, mentre la mia mente vagava, sentivo il mare mugghiare contro la recinzione di pietra con orribile forza.
Ad un certo punto - dovevo essermi addormentato - mi risvegliavo di colpo, sentendo le fondamenta della casa tremare sotto l'assalto di frangenti sempre più possenti.
Cercavo di muovermi, ma ero come paralizzato.
I miei arti non rispondevano ai comandi del cervello e alla mia volontà.
Locked in, bloccato in un corpo non più rispondente.

Cresceva la sensazione di pericolo incombente ed io, con gli occhi sbarrati, ma con il corpo del tutto immobilizzato come un tronco morto, mi sentivo sempre più in preda al panico
Gli occhi ancora vigili, tuttavia, guizzavano da un lato all'altro della stanza.
Cercavo di gridare e chiamare aiuto, ma bocca e lingua erano impastati in un solo blocco, come cancellati persino dalla mia percezione.
Mi accorgevo di un grande ragno nero che dall'alto di un filo argenteo si andava calando verso di me...
Con un guizzo improvviso, frutto di uno spasimo della volontà, allungavo la mano e lo afferavo tra pollice ed indice e cominciavo ad esercitare una pressione progressiva.
Sentivo che l'esoscheletro si schiacciava crocchiando sotto le dita e che un fluido grasso e viscido, sgradevolmente freddo, cominciava a colarmi tra le dita.


Mi sono svegliato di colpo e mi sono accorto che stringevo smpasmodicamente tra le mani il libro che stavo leggendo.
Le dita mi si erano intorpidite talmente grande era stata la pressione che avevo esercitato sul libro.
Mi sono reso conto che si era trattato solo di un sogno.
Wow! Ho tiratoun sospiro di sollievo e ancora una volta mi sono sentito come Little Nemo al risveglio da uno dei suoi coloratissimi incubi.

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20 aprile 2012 5 20 /04 /aprile /2012 12:38

Mi sono addormentato di un sonno profondo, quasi catatonico: a tratti, avevo la sensazione di essere non dormiente, ma prigioniero dentro un corpo di pietra, impossibilitato dal compiere qualsiasi azione e dal proferire verbo.

Ma, ad un certo punto, sono scivolato in un sogno vero che aveva le qualità della realtà vissuta.

Ero nella vecchia casa di Viale Regina Margherita e mi ero ritirato in bagno a urinare.

E mentre pisciavo indolentemente, immerso nei miei pensieri - così come si fa usualmente nel cuore della notte -, sono stato preso da una sensazione strana, come se l'edificio intero si fosse trasformato in nave le cui vele, una volta sciolti gli ormeggi, prendono il vento e che entra in uno stato di solerte vibrazione, come se il lanche egno delle opere morte divenisse vivo e pieno di energia vitale.

La sensazione di straniamento derivante dalla percezione di questa lunga vibrazione mi ha messo ansia.

Sono uscito a precipizio, affacciandomi sul disimpegno del vecchio appartamento: e qui trovavo mio fratello e la mamma.

Le pareti erano divenute irriconoscibili, percorse com'erano da mille crepe preannuncianti un loro rapido sgretolamento e la catastrofe imminente.

Capivo che non era l'edificio a veleggiare e a vibrare, quasi impaziente di sciogliere gli ormeggi che l'incatenavano, ma un l'inizio di un terremoto violento che poneva la necessità di decisioni rapide ed incisive.

Il grande quesito: mettersi in salvo oppure ristare?

Un dilemma atroce... e sapevo che, in tal caso, avrei dovuto caricarmi sulle spalle mio fratello e mia madre, unica garanzia per realizzare uno spostamento in tempi ragionevoli e la nostra messa in sicurezza. Come fece Enea con il padre Anchise, insomma.

E, dunque, già mi prefiguravo in fuga, in una rappresentazione dolente della fine di Troia e di Enea che porta in salvo il padre l'anziano Anchise caricandoselo sulle spalle.

Avevo la sensazione che la casa si fosse animata e che si stesse traslando in avanti: e ciò mi dava un ulteriore senso di vertigine.

E, a questo punto, mi sono risvegliato trafelato.

Subito, ho consultato l'orologio (erano le 19.41), ripromettendomi di chiedere a mio fratello se a quell'orario fosse accaduto qualcosa di particolare.

Cerco sempre delle corrispondenze tra ciò che sogno ed eventi della realtà.

Credo profondamente al fatto che i sogni possano contenere elementi premonitori e metterti sull'avviso di cose che stanno accadendo in un altrove e che, di lì a poco, accadranno...

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15 novembre 2011 2 15 /11 /novembre /2011 07:49

invasione-degli-ultracorpi.jpgUno scenario confuso e subito, senza preambolo, come accade al protagonista di Il Vagabondo delle Stelle di Jack London nelle sue escursioni in realtà alternative alla sua, mi ritrovo nel bel mezzo delle cose.

C'è in corso un'invasione aliena che si presenta con la comparsa su edifici e manufatti, dai più grandi ai più piccoli, e sulla pelle delle persone di piccole placche di consistenza muco-gelatinosa che si sviluppano a partire da minuscole particelle piovute dallo spazio.

[Qui c'è qualcosa de La Guerra dei Mondi di Herbert George Wells...]

Le particelle sono insidiose: si accrescono per meccanismi di moltiplicazione molecolare sconosciuti e le placchette crescono di dimensioni sino a confluire in colonie più grandi, come vedere la crescita velocissima delle colonie batteriche su piastre di Agar.

Le placche bisogna rimuoverle velocemente prima che atteschiscano: perché, se sono inerti sugli oggetti e le superfici inanimate, sugli esseri viventi, sempre per mezzo di meccanismi sconosciuti, si radicano per mezzo di lunghi filamenti dendronici emesse dalle singole cellule con il suo sistema nervoso e ne prendono il controllo.

Ad occhio e croce, a parere degli scienzati che freneticamente si sono occupati di questa forma di vita aliena, sembrano rappresentare una forma di vita sinciziale che tuttavia esprimere volontà e di produrre pensieri: gli esseri viventi dominati da questa specie aliena sono in grado di compiere azioni finalizzate che però debordano dall'usuale e sembrano rispondere a delle finalità apparentemente indecifrabili.

[E qui c'è tantissimo de L'invasione degli ultracorpi nei suoi successivi remake, a partire dalla prima - fortunatissima - pellicola tratta dal non meno famoso romanzo SF di Jack Finney, Gli invasati (1955), pubblicato ai tempi nella mitica collana Urania, ma non posso non pensare anche a L'Ospite di Stephenie Meyer, la fortunata creatrice della saga di Twilighits]

Ospite Stephenie MeyerE' abbastanza repellente osservare la fase iniziale della "colonizzazione" su di un singolo essere vivente e bisogna fare in modo da evitare che ciò accada: se la progressione va avanti oltre un certo limite, in termini di superficie del corpo occupata dalle placchette confluenti, non c'è più ritorno o recupero.

Io, nel sogno, faccio parte di una task force reclutata per fronteggiare l'emergenza: il nostro compito consiste nell'identificare nuove placchette e rimuoverle velocemente prima che prendano piede, sia su esseri senzienti sia su cose e oggetti, questi ultimi pericolosi perchè possono essere fonte di contaminazionie e di diffusione ulteriore ai danni dei viventi (le placchette sugli oggetti inanimati sono come le zecche che possono aspettare a lungo aggrappate ad uno stelo d'erba in attesa che passi vicino un animale a sangue caldo cui aggrapparsi).

E' una lotta difficile ed impari: alcuni scienziati, sulla base degli esami autoptici, hanno convenuto che esiste anche una forma viscerale di contaminazione legata alla ingestione o inalazione accidentale delle particelle spaziali. E sempre gli sicienzati hanno avvertito che i casi viscerali sono quelli più pericolosi ai fini di un ulteriore contagio: prorpio perchè viene a mancare l'elemento dsemeiologico primario di avvenuta contaminazione e cioè la placchetta cutanea con tendenza alla confluenza.

invasione degli ultracorpi abel ferraraIn questi casi, per quanto è conosciuto, non  si può fare nulla se non sopprimere la persona che, nel momento in cui diviene sintomatica, non è più una "persona" in senso stretto e ha perso l'anima. Quindi i "sintomatici" di contaminazione viscerale devono essere soppressi senza alcuna esitazione.

E' duro doverlo dire, ma è quello che dovevamo fare: fortunatamente, i casi "viscerali" , quelli inapparenti, erano le eccezioni. Per costoro bisogna andare alla ricerca di segni meno tangibili e sostanzialmente più aleatori, come ad esempio il comparire a tratti di un bagliore metallico nello sguardo oppure un alito vagamente tartufato... E' per questo che spesso i casi viscerali ci esponevano a degli errori di giudizio e ponevano a molti della nostra squadra dei problemi di coscienza.

La soppressione delle persone contaminate avviene attraverso il fuoco che è l'unico sistema per evitare la diffusione aerea dei microorganismi invasori, legata alla immediata disgregazione delle placchette non appena nel loro ospite cessa il battito vitale del cuore.

Il lavoro era faticoso, l'invasione universale: ci sembrava che ci fosse stato affidato il compito di svuotare il mare con un secchiello.

Una routine: rimuovere le placchette, bruciarle trattando adeguatamente i fumi derivanti dalla loro combustione per evitare la propagazione o l'inalazione di minuscole particelle.

Un incubo: ci sembra di vivere i giorni di una fine del mondo ormai prossima ed ineludibile.

Dopo giorni e giorni di lavoro senza sosta e senza dormire: le esigenze erano così tante e così pure l'urgenza di agire tale che ci tenevano sempre svegli (almeno, finchè era possibile farlo senza nocumento) per mezzo di stimolazioni chimiche  continue, in particolare con l'ausilio di un'avveniristica droga di guerra inventata per tenere svegli i soldati in azione sino a 48 ore consecutive senza i tipici danni prodotti dalle anfetamine e senza leconseguente paranoia o i down verticali dopo un eccesso di utilizzo.

Alcuni di noi dopo un po' crollavano: non ce la facevano più a confrontarsi con l'ignoto e con il rischio di essere contaminati a nostra volta.

invasione-aliena.jpgQualcuno finiva con l'essere contaminato: però, nei pochi casi verificatisi nella mia squadra, quelli che incappavano in quest'evenienza  tendevano a nascondere ciò che stava loro capitando; oppure arrivano a infliggersi ferite e mutilazioni per rimuovere le placchette già in una fase avanzata di sviluppo.

Se identificati, andavano messi in quaratena e protetti anche da se stessi. Noi parliamo, poi, dell'ipotesi che qualcuno della nostra stessa squadra fosse affetto dalla forma viscerale: per questo motivo ci guardavamo l'un l'altro con sopsetto e diffidenza, alla ricerca di quei minimi segnali di contagio.

Insomma, dovevamo lottare di continuo su due fronti e tenere d'occhio in ciascuno di noi il progredire di un breakdown psichico o della possibilità di un burn out (e dalle molteplici possibilità dell'insorgere di deliri di avvenuto contagio e di allucinazioni placchettoptiche o quelle di avere le odiose placche in crescita sotto la pelle, con le conseguenze che vi lascio immaginare.

terrore dallo spazio profondoIn quei giorni, preso dall'entusiasmo di essere stato scelto per compiere una missione che, in qualche modo, riguardava la salvezza dell'umanità, mi sentivo invincibile e avevo la sensazione che nulla mi avrebbe potuto toccare in questo frangente: e sostenuto da questa invincibile convinzione, ero quello della mia squadra che aveva resististo più a lungo.

Eppure, dopo tempo (avevo perso il conto dei giorni da quando ero stato reclutato), un  mattino rivestendomi dopo le mie abluzioni (sì, ogni tanto accadeva che ci concedessero qualche ora di riposo) ed esaminandomi la pelle delle parti del corpo usualmente coperte mi accorsi con apprensione che ero invaso, letteralmente, da una serie di placchette gelatinose dall'aspetto vecchio, tuttavia.

"Sono stato preso" - pensai  - "E' arrivata la mia ora"!

"Cosa dovrò fare, adesso" - mi chiesi.

La risposta al mio quesito era facile: conoscevo alle perfezione le regole emanate dall'autorità centrale per regolare il bonifico di eventuali infetti. Ma una cosa è applicare le regole, quando il destinatario dell'azione è uno altro da te, una cosa è farlo quando tu sei stesso il destinatario dell'azione.

Esaminavo le diverse possibilità.

Chiedere aiuto clandestinatamente, confidando ciò che mi stava succedendo a Clara, la donna della mia squadra con cui lavoravamo gomito a gomito, ma senza mai parlare e con cui si era stabilita una corrente segreta di simpatia.

Rimuovere le placchette da solo al costo di produrmi delle mutilazioni per garantirmi il successo con una loro asportazione manuale. E se la mano che reggeva l'affilatissima spatola che usavamo in questo frangente avesse tremato?

Terminarmi del tutto e in maniera radicale per evitarmi il percorso (sconosciuto) di una radicale colonizzazione che, comunque, non appena fosse stata estesa e non più dissimulabile avrebbe comportato egualmente la mia messa al bando dagli altri - ridotto al rango di "intoccabile" - e la mia soppressione.

Indecisione.

Black-out.

Fine

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15 novembre 2011 2 15 /11 /novembre /2011 00:30

Little_Nemo_italiano.jpgEro in qualche posto - forse una località di montagna - per fare delle foto: forse si trattava di un evento podistico, come capita spesso.

Nell'attesa, posavo la mia attrezzatura su di una sedia e mi distraevo per qualche minuto a parlare con questo&quello, come spesso capita.

Quando tornavo, mi accorgevo con inquietudine che un bambino di 4-5 anni s'era messo a giocare con la mia macchina fotografica e che disinvoltamente, come fosse un suo balocco, l'aveva manomessa.

Accanto a lui, un adulto, presumibilmente il padre, se ne stava del tutto inerte e indifferente.

Brusco, ghermivo la mia macchina dalle mani del bambino, gli rivolgevo aspre parole, ma poi soprattutto redarguivo il padre che si era mostrato del tutto indifferente e che - quel che è peggio - continuava a mostrarsi tale e odiosamente insensibile alle mie rimostranze.

Mai poi, di botto, smettevo.

Cos'altro avrei potuto fare?

Niente in realtà, soltanto prendere atto di un andazzo sbagliato, di una situazione in cui i genitori lasciano fare e non controllano più i loro figli, nè insegnano loro alcune regole di base.

Mancava poco all'inizio dell'evento sportivo ed io mi muovevo lungo una strada in discesa, constatando nel frattempo che la macchina fotografica manomessa, non aveva più montata l'ottica che utilizzo di solito in queste circostanze, ma una con una focale diversa che, dopo aver provato quella che tengo adesso, trovo poco funzionale.

La strada era in discesa, come ho detto: ma dopo aver fatto alcune decine di metri, mi rendevo conto che mi stavo allontanando dal luogo della partenza: di fretta, cercavo di tornare indietro. Ma la strada ora mi appariva scoscesa e del tutto rivestita di ghiaccio, che formava una patina spessa e liscia.

I miei piedi slittavano inesorabilmente, senza che potessero trovare appiglio da nessuna parte: per camminare decentemente, avrei avuto bisogno di ramponi da ghiaccio.

Perdevo più strada di quanta non ne guadagnassi.

Provavo e riprovavo, ma subito - anche se c'era qualche minimo progresso, il mio sforzo era vanificato e scivolavo all'indietro.

La macchina fotografica che reggevo con una mano, mi impacciava e mi rendevo conto che, per avere qualche minima chance nei miei tentativi di risalire la china, avrei dovuto abbandonarla, per avere entrambe le mani libere e poter procedere carponi, a quattro zampe.

Mi sembrava di essere sottoposto al tormento di Sisifo e, mentre mi crogiolavo in questi pensieri, rapidi eppure pesantissimi, ero preso da una crescente sensazione di impotenza.

 

BBING!

Risveglio.

Toh! E' solo un sogno, ho pensato con sollievo...

 

(Palermo, il 7 novembre 2011)

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13 ottobre 2011 4 13 /10 /ottobre /2011 17:46

arca-di-noe-.jpgEro in una stanza di casa mia.

Un'atmosfera cupa e crepuscolare. Era sì casa mia, ma l'ambiente mi appariva squallido e disadorno. I mobili logori, il divano sfondato, le tende cadenti e strappate.

All'improvviso, mi accorgevo che acqua cominciava a filtrare da dovunque: dalle fessure delle finestre, dai cassoni delle serrande, dalla porta.

Venivo preso da un'angoscia irrefrenabile.

Una sensazione di pericolo imminente.

Paura senza nome.

Cercavo di chiamare qualcuno in soccorso.

Ma dalla bocca non usciva alcun suono.

Mentre mi dibattevo per liberarmi dalla  paralisi vocale che aggiungeva ansia all'ansia e faceva andare alle stelle la sensazione di impotenza, l'impeto dell'acqua aumentava di colpo, con grossi zampilli che arrivavano da tutte le parti, come se mi trovassi all'interno di una nave in punto di affondare.

Il mio pensiero andava ai miei libri: Come farò metterli in salvo - mi chiedevo - Quali cercare di preservare e quali abbandonare al disastro?

Dissolvenza.

Risveglio: ci ho impiegato un po' di tempo a riprendermi e a rendermi conto che ero al sicuro.

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12 maggio 2011 4 12 /05 /maggio /2011 06:58

mondo-perduto.jpgUna foresta fitta di piante preistoriche è cresciuta nella veranda di casa mia: attraverso un vetro della finestra ne posso vedere la vegetazione rigogliosa che, prorompente, aggetta fuori dai davanzali.

Mi sembra di vedere uno scenario de Il Mondo perduto di Arthur Conan Doyle, visitato dal professor Challenger.

Osservo con sorpresa l'evoluzione delle piante di mille varietà diverse, perchè sia quelle arboree sia quelle del sottobosco crescono a vista d'occhio.

Tra le specie vegetali s'aggirano dei meravigliosi uccellli piumati.

Sembrano degli uccelli camminatori, simili a grandi struzzi o agli emù, ma i colori del loro piumaggio tendono al giallo, all'arancione e all'azzurro intenso.

Di tanto qualcuno di loro, quasi consapevole della mia presenza, mentre li osservo di là dal vetro, mi si avvicina, si strappa di dosso una delle sue piume e me la porge gentilmente, facendola scivolare da una fessura che sovrasta la porta della veranda.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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