Ero in qualche posto - forse una località di montagna - per fare delle foto: forse si trattava di un evento podistico, come capita spesso.
Nell'attesa, posavo la mia attrezzatura su di una sedia e mi distraevo per qualche minuto a parlare con questo&quello, come spesso capita.
Quando tornavo, mi accorgevo con inquietudine che un bambino di 4-5 anni s'era messo a giocare con la mia macchina fotografica e che disinvoltamente, come fosse un suo balocco, l'aveva manomessa.
Accanto a lui, un adulto, presumibilmente il padre, se ne stava del tutto inerte e indifferente.
Brusco, ghermivo la mia macchina dalle mani del bambino, gli rivolgevo aspre parole, ma poi soprattutto redarguivo il padre che si era mostrato del tutto indifferente e che - quel che è peggio - continuava a mostrarsi tale e odiosamente insensibile alle mie rimostranze.
Mai poi, di botto, smettevo.
Cos'altro avrei potuto fare?
Niente in realtà, soltanto prendere atto di un andazzo sbagliato, di una situazione in cui i genitori lasciano fare e non controllano più i loro figli, nè insegnano loro alcune regole di base.
Mancava poco all'inizio dell'evento sportivo ed io mi muovevo lungo una strada in discesa, constatando nel frattempo che la macchina fotografica manomessa, non aveva più montata l'ottica che utilizzo di solito in queste circostanze, ma una con una focale diversa che, dopo aver provato quella che tengo adesso, trovo poco funzionale.
La strada era in discesa, come ho detto: ma dopo aver fatto alcune decine di metri, mi rendevo conto che mi stavo allontanando dal luogo della partenza: di fretta, cercavo di tornare indietro. Ma la strada ora mi appariva scoscesa e del tutto rivestita di ghiaccio, che formava una patina spessa e liscia.
I miei piedi slittavano inesorabilmente, senza che potessero trovare appiglio da nessuna parte: per camminare decentemente, avrei avuto bisogno di ramponi da ghiaccio.
Perdevo più strada di quanta non ne guadagnassi.
Provavo e riprovavo, ma subito - anche se c'era qualche minimo progresso, il mio sforzo era vanificato e scivolavo all'indietro.
La macchina fotografica che reggevo con una mano, mi impacciava e mi rendevo conto che, per avere qualche minima chance nei miei tentativi di risalire la china, avrei dovuto abbandonarla, per avere entrambe le mani libere e poter procedere carponi, a quattro zampe.
Mi sembrava di essere sottoposto al tormento di Sisifo e, mentre mi crogiolavo in questi pensieri, rapidi eppure pesantissimi, ero preso da una crescente sensazione di impotenza.
BBING!
Risveglio.
Toh! E' solo un sogno, ho pensato con sollievo...
(Palermo, il 7 novembre 2011)