Vado a dare un'occchiata alla mia nuovaa casetta al mare che si trova in un posto d mare.
Quando arrivo mi sembra che sia tutto a posto, come sempre.
E' in una piccola casa, ma è' la mia nuova caa e la sto arredando a poco a poco per viverci.
Dispongo alcune delle cose che ho portato con me in un ultimo viaggio.
Mi guardo soddisfatto attorno.
Penso a come disporre meglio alcuni arredi.
Sono in quella che, apparentemente, sembra essere una piccola cucina.
Mi accingo a prepararmi un the.
Nello stesso tempo, penso che sono contento di questo cambiamento.
Penso che non dovrei concentrarmi solo sulla cucina, ma che dovrei dare un'occchaita anche al resto e cominciare così a pensare come fare per arredarla al meglio, pur con poveri mezzi a disposizione.
Mi affaccio verso un ampio salone e poi, guardando meglio, mi rendo conto una delle sue finestre è stata scardinata. Mi avvicino per guardare meglio e attraverso l'apertura posso vedere che l'intera stanza è ridotta in uno stato caotico, con tutte le cose - mobili e arredi - messe in mezzo, mentre il tetto e il pavimento sono stati parzialmente rimossi.
La stanza sembra adesso quella di una stamberga.
Sono arrabiatissimo ed esclamo: "No, di nuovo!".
E mi chiedo il motivo di tanto accanimento. Penso alle altre circostanze della mia vita in cui mi soo trovato davanti a spettacoli simili di ruberie e, soprattutto, di vandalismo.
Entro nella stanza per constatare meglio i danni e prendere nota mentalmente delle cose da fare per mettere la casa di nuovo in sicurezza: ci sono già passato altre volte da queste situazioni e sono stato sovrastato dalla sensazione di impotenza e di rabbia che ti prende, quando sei di fronte all'evidenza che un tuo spazio è stato violato.
Controllo tutto e, all'impovviso, quasi per magia (come fosse un genio improvvisamento evocato dalle mie richieste) si materializza accanto me l'uomo di fiducia al quale la mamma ed io stesso abbiamo sempre fatto ricorso in queste circostanze.
Con lui, taccuino alla mano, prendiamo nota dei lavori che occorrrà fare per ripristinare, sistemare, mettere in sicurezza: una lista infinita.
Penso costernato: "Ma come farò ad affrontare questa spesa" Con quali soldi?" e mi sento piutttosto avvilito.
Poi, sempre con Massimo saliamo sulla terrazza soprastante.
Il tetto di questa casa è del tutto piatto: ed è recintato da una ringhiera di ferrro dipinta di verde scuro, oltre alla quale si gode della vista d'un panorama pozzafiato sulla scogliera e sul mare di un profondo zzurro.
Con mia sorpresa la terrazza è gremita di persone sedute ai tavoli: tutti estranei.
"Cosa ci fanno qui?".
Ma c'è un cameriere che gira ai tavoli, prendendo le ordinazioni. E da questo dettaglio arguisco che il posto è stato abusivamente utilizzato per farne un locale all'aperto con vista mare.
In un impeto d'ira, afffero l'uomo per le spalle, mentre passa trafelato tra un ordine e un altro.
Lo scuoto selvaggiamente, gridando come un forsennato: "Questa è casa mia!"
Lo sollevo furibondo e lo lancio oltre la ringhera.
Il poveretto si attacca ad un appiglio provvidenziale che sporge dal muro e, allora, io lo afferro per i capelli e lo tiro di nuovo su con una forza sovrumana e gli grido: "Qui non ci deve stare nessuno! Questa è casa mia! Anzi domani stesso manderò una denuncia con il mio legale al titolare di questo esercio per utilizzo abusivo di una proprietà privata!".
E così dicendo gli strappo dalle mani il blocchetto delle comande per avere con me le ragioni sociali dell'esercizio che sono trascritte sull'intestazione di ogni foglietto.
Quindi, lo ributto giù come se fosse un fantoccio inanimato.
Mi giro: tutti quelli che erano seduti beati di fronte alla rabbia sono fuggiti a gambe levate.
Indugiano solo pochi ritardatari, ai quali ripeto ancora una volta la mia ingiunzione, anche se - mi rendo conto - loro non hanno colpa di nulla.
Alla fine di tutto rimane, questo grande spazio vuoto, al cospetto di un paesaggio marino bellissimo , di una bellezza da mozzare il fiato.
[Mi chiedo se alla base di questo sogno non ci sia il mio travagliato e maldestro tentativo di riconettermi ad internet, nel corso del quale non ho fatto altro che pasticciare il computer senza peraltro riuscire nel mio intento. E, soprattutto, pasticciando e messing around, non riesco più a rimettere le cose a posto]
Sono in viaggio con Gabriel.
Ci sarà una maratona ed io sarò lì per fare le foto.
Inspiegabilmente siamo da soli.
Tutto mi appare piuttosto complicato.
Arriva il giorno della gara e tutti gli atleti nei loro abiti colorati cominciano a dirigersi a frotte verso il punto di partenza.
Ho l’urgenza di raccogliere le nostre cose e di andare verso il punto di partenza e in queste procedure mi sento alquanto impacciato.
Gabriel è disteso sul letto, molto tranquillo come sempre quando si è appena svegliato da un lungo sonno. E borbotta e sospira tra sé e sé.
Penso che sia meglio se, nel frattempo, vado a prendere l’auto che è parcheggiata poco più in là.
Lo faccio, ma quando arrivo e cerco di entrare in auto, vedo che tutte le maniglie sono state rimosse.
Vado a chiamare qualcuno perché provveda alla bisogna.
Passa un po’ di tempo….
Il tempo stringe e i maratoneti ciarlieri passano sempre più numerosi .
Finalmente, la macchina è a posto.
La guido sino all’albergo.
Mi ricordo con ansia che Gabriel è stato da solo per tutto questo tempo.
“Forse è caduto dal letto!” – mi dico.
Arrivo con il cuore in gola e, sul prato antistante la stanza del nostro alloggio, una donna anziana su di un sedia, coccola e culla il Gabriel.
Dobbiamo partire, ma penso che non ci sarà il tempo di fare le foto della gara, come era nei miei piani.
Devo intraprendere il lungo viaggio verso casa.
E’ tempo di tornare.