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25 marzo 2012 7 25 /03 /marzo /2012 21:03

DSC01845.JPG

 

L'infinita tipologia delle panchine non finisce mai di sorpendermi.

E' stupefacente vedere le variazioni con cui si presenta questo oggetto del nostro panorama percettivo.

Sono incredibili le possibilità combinatorie di materiali, di tecnica costruttiva, di foggia, di contesto e di luogo: e ogni volta il risultato è diverso e originale.

Se poi ci si aggiunge l'effetto del nostro sguardo introspettivo e delle nostre proiezioni, allora il gioco è fatto: la panchina diventa un oggetto universale che, dal particolare vertice di osservazione che ci regala (e se la possiamo guardare dall'esterno, nello stesso tempo ogni singola panchina può divenire un nostro punto di osservazione, se la utilizziamo per la sua naturale funzione, cioè per sedervisi oppure per sdraiarsi su di essa, o per conversare, o semplicemente stare in quiete mentre gli altri attorno a noi si affannano e vanno veloci), consente di raccontare a noi stessi una storia del mondo, continuamente in bilico tra realtà esterna e mondo interno.

Si potrebbe dire pertanto che il mondo può stare tutto in una panchina, oppure - viceversa - che potrebbero bastare le panchine, nelle loro infinite variazioni - a rappresentare il mondo.

Certo è che, da quando lessi il libricino di Sebaste e da quando è nato il gruppo Facebook sulle panchine (Quelli Ke le panchine), che soprattutto negli ultimi tempi ha visto una crescita esponenziale della partecipazione e di contributi visuali, di pensieri, di riflessioni e di link, camminando per le strade non faccio che accorgermi sempre di nuove panchine e non faccio che rimanere meravigliato dalle molteplici possibilità combinatorie con il loro contesto, dalle atmosfere che generano, dai pensieri, dalle sensazioni e dalle emozioni che ogni singola panchina avvistata elicita in me osservatore e potenziale fruitore.

Il mondo diventa una panchina, per alcuna versi.

Ma c'è anche da chiedersi: cosa sarebbe il mondo senza le panchine?

In fondo - a ben guardare - sotto tutti i cieli, qualsiasi sia la lingua parlata da chi vi si siede, le panchine parlano un linguaggio universale che tutti sono in grando di intendere: se ci si siede in una panchina e se questa seduta la si condivide con qualcun altro, credo che ci si possa intendere davvero con poco...

La panchina diventa così l'oggetto-simbolo per una possibile ecumene tra i popoli più diversi.

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6 marzo 2012 2 06 /03 /marzo /2012 10:23

Panchine innevate, alla luce di un lampioneCosa sono le panchine, esattamente?

E' una bella domanda che può lasciare campo aperto ad una molteplicità di risposte.

Alcune cose si possono velocemente dire, nel tentativo di costruire un abbozzo di panchina-pensiero...

Ma, certamente, un discorso sulle panchine non può esaurirsi nella loro descrizione come pezzi di arredo urbano oppure in una loro rappresentazione utilitaristica di luoghi ideati per consentire la sosta e il riposo del viandante.

Sì, sono questo, ma nello stesso tempo sono anche molto altro ancora.

Innanzitutto, la panchina - dovunque sia collocata - rappresenta un punto di intersezione tra un tempo lento ed un tempo che, invece, scorre veloce (oggi, sempre piu' veloce, tra l'altro: immaginaniamo ad esempio una panchina collocata nel punto in cui passi il binario di Un treno ad alta velocità)... Chi siede su una panchina, nel momento in cui lo fa, si mette fuori dal tempo veloce degli altri ed entra in un tempo rallentato e pigro...

Ciò gli consente di osservare la realtà da un'altra prospettiva, che fa sembrare la velocità a cui si muove il mondo un po' da comica finale.

In piu', mettendosi fuori dal tempo veloce, ci si colloca in un punto di osservazione privilegiato e, allora, ci si accorge che accadono cose che, quando indaffarati e trafelati siamo trascinati in avanti senza sosta dalla freccia del tempo, non avremmo mai potuto osservare.

La panchina, ancora, è un luogo con una sua spazialità, che - avendo delle regole temporali sue proprie - è anche extra-spaziale (potrebbe anche essere una navicella dei desideri, un tappeto magico, una macchina del tempo e quant'altro): un luogo che consente di decollare con la mente verso un "Altrove".

La panchina è un luogo in cui accadono delle cose, come ci ha insegnato il bel film di Nanni Moretti: la gente vi si ferma, vi legge o il libro o un giornale, vi interagisce, vi conosce nuove persone; sulla panchina ci si addormenta per un sonnellino ristoratore, ci si può fare una merendina o mettere in atto un bel picnic; ci si incontra con una nuova - futura - fidanzata, ci si bacia e ci si accarezza, sempre godendo di questo statuto extra-temporale ed extra-spaziale...

Mettersi a sedere su di una panchina - rispetto al mondo degli altri - è come indossare un mantello dell'invisibilità alla maniera di Harry Potter...

Infine le panchine possono essere fotografate, interpretate, lette, narrate e ri-narrate...

A questo riguardo, ci sono due modi di fotografare le panchine: uno è quello di riprendere la panchina in sé, quella non "abitata" (né da umani, né da animali: spesso ci sono i gatti che se ne impossessano, come nel caso de Le Panchine di Perinaldo). In questa eventualità, attraverso il vuoto e l'assenza, quella panchina rimanda ad una scena (o a un suo ipotetico modo d'uso) che può essere colmato da chi la osserva (e la fotografa e, fotografandola, la interpreta). Sempre in questo caso, il vuoto e l'assenza consentono a ciascun osservatore di costruire una propria storia su quella panchina oppure di utilizzarla come luogo delle sue proiezioni mentale: ed ecco che la panchina viene popolata dai suoi fantasmi interni, dalle sue visioni, oppure viene investita dalla policromia delle emozioni dell'osservatore.

L'altro modo è quello di fotografare la panchina "abitata" (che è un modo piu' ampio per dire "utilizzata"): allora la panchina assume il valore di una cartina al tornasole antropologica e sociologica...

Ed è "narrata" da chi in quel momento la sta vivendo.

Ma, anche in questo caso, con la fotografia, ancora una volta si interpreta e si narra una storia che non necessariamente è coincidente con quella di chi in quel momento sta seduto sulla panchina.

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18 febbraio 2012 6 18 /02 /febbraio /2012 09:17
La nostalgia: un sentimento che ci fa continuamente muovere tra passato e futuro

capozafferano.jpgLa nostalgia è un sentimento che scaturisce dalla consapevolezza (a volte chiara e netta, a volte oscura ed indefinibile) della mancanza di qualcosa che non c'è più a cui si vorrebbe tornare, ma è anche il desiderio struggente di ciò che si vorrebbe raggiungere senza riuscirci...

Ma, in entrambi i casi, la matrice comune è il sentimento della mancanza, in definitiva, di qualcosa che abbiamo conosciuto bene in una fase precoce della nostra vita e a cui, sempre, nel tempo che ci è dato vivere, vorremmo potere ritornare.

"Nostos", del resto, sta a significare nella lingua greca "ritorno", mentre l'etimo della seconda parte della parte è "Algos", vale a dire "dolore", "sofferenza". Quindi, "nostalgia" è dolore per il ritorno.

Ma il ritorno dove?

Se si pensa alle peripezie avventurose di Odisseo, la sua nostalgia profonda è per la patria, la moglie e il figlio, per il suo cane Argo, per le sue terre, per la sua camera nuziale edificata attorno ad un enorme ceppo di ulivo, trasformato in talamo.

Quindi, la matrice più profonda della nostalgia è rappresentata dalla "patria" che è, in definitiva, la base più profonda della nostra identità, ma anche la fucina in cui si sono forgiati i nostri affetti e il nostro sentire: patria intesa come luogo natio, come terra d'origine in cui sono le nostre radici, ma anche come rapporto forte ed indelebile con il corpo materno, quello da cui siamo usciti nel mondo e che ci ha forgiato alla vita.

La nostalgia omerica nell'Odissea è tutto questo, ma - con la stessa matrice - è anche il dolore per tutto ciò che Ulisse non ha ancora conosciuto e che egli vorrebbe incontrare...

Cosicchè le due specie di nostalgia operano dentro di lui, lacerandolo: vive le sue scoperte e i suoi nuovi incontri, con lo stesso spirito con cui tornerebbe nella nativa Itaca, se potesse.

Capo ZafferanoCiò conferisce alle sue avventure il gusto dolceamaro della malinconia (stato d'animo che, per alcuni versi, consente una conoscenza pensosa e profonda delle cose, molta centrata sul sentire).

Dopo diversi mesi (forse, addirittura, più di un anno) sono tornato con mio fratello alla casetta vicino al mare, per risolvere un problema tecnico.

La casa era asciutta e pulita, malgrado la non frequentazione, ma il giardino (a cui in altri periodi della mia vita ho lavorato assiduamente) mi è apparso incolto.

Alcuni alberi li ho trovati morti, corrosi dalla salsedine, altri avrebbero bisogno di un'energica potatura.

Le aiuole dovrebbero essere zappate e ripulite dalle erbe infestanti, le foglie secche rimosse.
Tanto lavoro da fare: ma su quello non c'è probema...

Ci si rimboccano le maniche e si fa ciò che deve essere fatto...

Piuttosto, in modo prepotente, sono stato sommerso dalla malinconia, cioè dalla "nostalgia": una sensazione traboccante come un liquido che fuoriesce da una coppa troppo piena ...

Perchè è accaduto questo?

Per essere ritornato in un luogo che, nelle varie vicissitudini della mia vita, da solo, con le mie compagne, con mio figlio, con mia madre e mio fratello ho frequentato assiduamente per diversi decenni della mia vita... Tante immagini si sono succedute nella mia mente: ho collocato ai loro posti i fantasmi di chi non è più e gli avatar di chi vive e li ho mescolati tutti assieme, facendoli interagire, come accadeva in passato... Mi sono ricordato di momenti tristi e di momenti belli, di fasi di acuto entusiasmo e di profonda disperazione...

Ho ricordato i miei cani che tutti si sono succeduti all'interno di questo giardino e di uno di loro (una femmina di pastore tedesco il cui nome era Zeudi) di cui io stesso scavai la fossa ai piedi di quel muretto a secco, ora tutto ricoperto dalla crescita selvaggia delle piante infestanti.

E questo mentre la mia cagnetta Frida scondizolava e saltava eccitata da un'aiuola all'altra...

Mi sono ricordato dei momenti di silenzio e delle chiacchiere.

Di altri periodi in cui sentivo dentro di me un vuoto profondo e di altri in cui sperimentavo - forte ed intensa - la nostalgia per ciò che non avevo, ma anche dei momenti di soddifazione e appagamento, in cui mi pareva di aver toccato il cielo con un dito.

Ma, soprattutto, mi hanno colpito il silenzio profondo interrotto soltanto dalle strida dei gabbiani che volteggiavano in alto oltre la cresta del monte incombente e dal picchiettare della pioggia sul tetto.

Anche loro afflitti dalla solitudine e dalla nostalgia di qualche luogo, forse.

Mi ha colpito l'uggiosità del giorno, con quei continui rovesci di pioggia e nevischio, il freddo stizzoso, le montagne lontane insolitamente rivestite di neve, ma anche quell'improvviso squarcio tra le nubi da cui si è visto arrivare - come una benedizione - un frammento di raggio sole.

Ecco, la nostalgia ci fa stare sospesi, quasi in bilico, tra il passato (di gioie e di dolori, ma sempre il nostro passato) e il futuro che ancora non conosciamo e che ci aspetta con le sue incertezze...

La nostalgia, obbligandoci a tenere uno sguardo (come quello di Giano bifronte) proiettato in entrambe le direzioni ci fa andare avanti, costringendoci a non perdere il contatto con ciò che siamo stati (e con i luoghi da cui veniamo) e obbligandoci sempre a cercare in ciò che ci attende qualcosa che ci sia familiare e congeniale...

Nello scarto, si aprono immensi spazi di conoscenza e possibilità di incontri con il novum che ci possa fare meravigliare e gioire ancora una volta.

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6 ottobre 2011 4 06 /10 /ottobre /2011 08:43

DSC07188.JPGQuella che segue è l'anticipazione di un racconto/reportage più ampio che verrà pubblicato in seguito.

La riserva naturale orientata di 'Torre Salsa' si trova vicino Montallegro (AG).

Si raggiunge, da Agrigento o da Sciacca, procedendo lungo la scorrimento veloce Sciacca-Agrigento. L'uscita consigliata da imboccare è quella di Montallegro-Bovo Marina, circa 35 Km dopo Sciacca, per poi proseguire ancora, lungo la SP 87, in direzione Torre Salsa-Bovo Marina.

Ad un certo punto, si trovano ad un bivio due indicazioni: un cartello che indica "Torre Salsa Turistica", un'azienda agrituristica e, indicante la diramazione a sinistra, un cartello, di colore verde per la Riserva. Non si può sbagliare.

Si svolta quindi a sinistra e, proeguendo per circa 800 metri, si giunge all'inizio di una strada sterrata contrassegnata da un cartello che dice "Il Pantano", indicante la parte iniziale della riserva. Ci si immette in un selvaggio territorio, selvaggio per gli scarsi segni di antropizzazione abitativa, anche se vi sono tangibili i segni di coltivi, soprattutto ad olivi, con sparsi ruderi di vecchi casali, forse un tempo utilizzati dai pastori.

E' possibile imbattersi in ampi greggi di pecore.

Dopo circa 15 minuti di sterrato piuttosto totrtuoso, ma percorribile agevolmente anche con un auto normale, si giunge ad un ampio parcheggio, a pagamento (ma non a tardo settembre o in primavera), gestito dal WWF.  Da questo punto occorre proseguire a piedi, sotto il sole (10 min. circa), lungo un sentiero fiancheggiato da una staccionata che conduce in spiaggia.
DSC07183La riserva è vastissima, perchè oltre alla parte litorale include l'entroterra, fatta da un ampio anfiteatro di colline e di falesie a ridosso del mare.
La tipologia della costa è sabbiosa con rocce affioranti in alcuni punti a creare strane formazioni.
A ridosso della spiaggia, in alcuni tratti, vi sono alte falesie gessose che rendono la luce del sole ancor più abbacinante.

Avendo il mare di fronte e, andando sulla propria destra, si arriva costeggiando la battigia ad un promontorio bianco in vista dei ruderi di Torre Salsa (una delle antiche torri del sistema di avvistamento e difensivo contro le incursioni dei pirati saraceni) e di un tratto di litorale un po' affollato perchè vi si può giungere seguendo un altra strada sino un'area di parcheggio a ridosso del mare dove si fermano anche i camperisti.
Invece, proseguendo dal punto di accesso sulla sinistra, dopo circa 20 minuti, si trova un tratto di spiaggia dove si può praticare indisturbati il naturismo.
Il livello del mare è basso è la temperatura dell'acqua è fredda anche in alta stagione, come del resto tutte le acque del Canale di Sicilia.
Vi è un ecosistema particolare con distese di canneti e dune sabbiose nel tratto compreso tra le elevazioni collinari e la spiaggia in senso stretto, una incredibile varietà di piante psammofile e qualche succulenta.
DSC07243.JPGGabbiani tantissimi: sulla sabbia centinaia e centinaia di impronte di gabbiane e penne di ogni tipo: si riunicono sulla sabbia in grandi branchi e se ne stanno a riposare, ma appena ci si avvicina si levano in volo, con alte grida, formando una nube grigio-bianca che quasi oscura il colore del cielo.
Il segnale GSM è totalmente assente e quindi non si possono nè ricevere né effettuare chiamate con il telefonino.
Anche per questo, quando si arriva si è pervasi immediatamente da una sensazione euforica di isolamento per essere arrivato in un luogo che ha in qualche misura un profilo edenico e per la consapevolezza di essere tagliati fuori dal resto del mondo, avendo l'opportunità di sperimentare la condizione di Robinson Crusoe sbarcato in un'isola deserta, accentuata dal fatto che non esistono quasi del tutto zone d'ombra o punti di ristoro (acqua da bere e generi di conforto occorre portarli con sé).

 

Geologia. Il territorio in cui ricade l'area della riserva di Torre Salsa caratterizzato, dal punto di vista geologico, dalla presenza di un particolare tipo di rocce sedimentarie denominate "evaporiti" note come appartenenti alla "Serie Gessoso-Solfifera".
Queste rocce frequenti in tutto il settore centro-occidentale della Sicilia, si sono originate durante un periodo della storia geologica chiamato Messiniano (circa 6 milioni di anni fa), quando, secondo le teorie più accreditate, il Mediterraneo si prosciugò quasi completamente trasformandosi in un grande "lago salato" per l'interruzione dei collegamenti con l'Oceano Atlantico ("crisi di Salinità" del Mediterraneo).
A causa dell'intensa evaporazione dell'acqua marina, sul fondo del bacino si depositarono considerevoli quantità di sedimenti dando origine a rocce delle "evaporitiche" per la loro modalità di deposizione; tra queste le più comuni sono rappresentate da particolari tipi di calcare (calcare evaporitico o calcare di base), dal salgemma, dai sali potassici, dal gesso. Quest'ultimo affiora diffusamente nell'area sotto diverse forme dipendenti dalle condizioni ambientali sotto le quali il gesso si è cristallizzato che sono quella massiva (alabastrino) o quella statificata (gesso selentico e gesso balatino). Gli aspetti più salienti della Serie Gessoso Solfifera sono evidenti lungo la falesia costiera (costa alta a picco sul mare) e nei pressi delle cave. 

Dal sito dedicato WWF 

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5 ottobre 2011 3 05 /10 /ottobre /2011 07:18

DSC07132.JPGll Nautoscopio è la realizzazione del progetto architettonico e opera di design progettata dall'architetto Giuseppe Amato, è stato installato presso il Foro Italico di Palermo nel 2009.
Il progetto, presentato durante la Settimana milanese del Design dell'aprile 2009, rappresenta una casa sospesa e ruotante costruita in materiali ultraleggeri e capace di supportare un peso massimo di 600 kg.

Il Comune di Palermo e l'Ente Porto di Palermo hanno voluto inserire quest'opera nel contesto cittadino e, tra giugno e luglio dello stesso anno, è stata edificata la struttura a grandezza naturale presso il Foro Italico di Palermo.
Quello che segue è uno stralcio della presentazione della struttura, che si può leggere in un cartello esplicativo posto nelle immediate vicinanze
"Il nautoscopio è - letteralmente - una postazione per osservare le navi in transito, una casa/osservatorio per la città, un lavoro di ebanisteria e ingegneria ideato per la terraferma, un rifugio che ruota attorno all'albero di un veliero e si solleva attorno ad esso con la sola forza delle braccia. Il nautoscopio si manovra con cime e winch e spalanca la visione sul mondo.
"La struttura aerea, evocante la chiglia di un veliero, è stata installata al Foro Italico con l'intento di realizzare un palcoscenico a Palermo in cui attrarre multidisciplinarietà, creare un spazio nuovo dove raccontare le eccellenze siciliane meno rinomate ed osservare l'andamento del mondo e dei suoi margini. Il progetto creativo sorge con la volontà di amplificare il valore della città, da sempre e tuttora vivaio di molteplici relazioni e prefigura l'imprenscindibile sorte multietnica dell'area portuale in via di riqualificazione.
"Il nautoscopio si inserisce nello skyline navale del porto. Svetta sulla Marina, tra la Cala e il prato del Foro Italico, nuovo giardino pubblico affaciato sul blu oltremare, dove secoli di storia si sono sedimentati in strati differenti. E' visibile dalla strada, ma soprattutto dal mare.
L'idea di un incubatore di proposte e idee da condividere permette di spaziare da performance teatrali e musicali, dibattiti e conferenze, degustazioni di prodotti tipici siciliani e presentazioni di case editrici locali. (...)

DSC07133r
Come si vede, vi è nell'intendimento del Nautoscopio anche una forte valenza simbolica, che travalica le possibilità di utilizzazione pratica.
Del resto, le utilizzazioni pratiche promesse sono state ben poche e anche per le decantate "visite guidate" con l'assistenza di un "equipaggio" sembrano essere una promessa utopica e sono rimaste a far parte del regno dele idee e dele buone intenzioni, perchè - a parte un indirizzo mail scritto in calce alle diciture nel cartello esplicativo citato - la struttura non è mai presidiata e addirittura non v'è mai anima viva a cui chiedere spiegazioni e informazioni.
DSC07134Così com'è, il Nautoscopio sembra una struttura fantasma collocata e poi abbandonata: come una specie di "cattedrale del deserto", un'impressione accentuata dalla distesa di terreno brullo ed incolto che la circonda e dalla brutta recinzione di rete metallica che la circonda, isolandola - come se si trattasse di un piccolo campo di concentramento - dal tessuto vivo della città.

Un'opera morta, in sostanza.

E sì che dei bei soldini sono stati spesi, non solo per installarlo, ma anche per rifarlo! Forse nessuno avrà notato che il nauscopio, installato - come si diceva - nel 2009, è stato letteralmente buttato giù nel corso di quest'anno (2011) e interamente rifatto (restyled) con un albero portante più alto e più solido e addirrittura con nuove fondamenta per reggerlo.
Tutto rifatto e nessuno se n'è accorto.
Tanti soldi spesi nuovamente (di chi? Dei contribuenti?), ma la musica non è cambiata: struttura fantasma, inafferrabile che i cittadini che vanno a passeggio al Foro Italico possono solo guardare dall'esterno di un recinto di rete metallica, con sorpresa o con meraviglia, e sostanzialmente con un senso di estraneità, ma con pochi o nessun utilizzo.

Alcuni dati tecnici sulla struttura del Nautoscopio. La struttura è alta 25 metri e può sollevare la cellula abitativa fino a 15 metri dal suolo e farla girare di 360 gradi. La forma ricorda, volutamente, quella di una nave. Molto particolare la scelta dei materiali per i quali si è cercato di porre grande attenzione all'eco-sostenibilità: I materiali utilizzati sono il carbonio e l'acciaio per l’albero, i meccanismi, la base di appoggio e fissaggio al suolo; il legno di betulla per la struttura della casa; l'alluminio per le giunzioni; il legno di quercia per gli interni e l’energia elettrica che alimenta la struttura viene ricavata da un generatore eolico.

Il mistero del nautoscopio

 


 

(da www.rosalio.it, 2009) Giuseppe Amato ha lasciato Palermo come tanti, ha girato il mondo, ha aperto uno studio/laboratorio a Milano e lavora il legno di cui è appassionatissimo. Le sue opere di ebanisteria sono state esposte in molte città.
Lo scorso aprile, durante la settimana milanese del design, Giuseppe ha presentato un modello in scala del Nautoscopio: si tratta di una “casa” non convenzionale costituita da un ambiente/spelonca sollevato da terra fino a 15 metri con un winch a manovella e cime grazie a un albero di metallo. La struttura, dotata di un’ampia apertura verso l’esterno, può ruotare di 360 gradi, misura 25 metri di altezza in punta d’albero e descrive con le due antenne un cerchio di 40 metri, può ospitare sei persone e reggere fino a 600 chili.
Nella scelta dei materiali e non solo c’è una grande attenzione all’ecosostenibilità: l’albero, i meccanismi di rotazione, la base di appoggio e fissaggio al suolo sono in acciaio al carbonio; la struttura della casa è in legno di betulla aeronautico, le giunzioni sono in alluminio aeronautico, gli interni sono in legno di quercia ricavato da piante morte di vecchiaia e l’energia viene ricavata da un generatore eolico.

 

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30 settembre 2011 5 30 /09 /settembre /2011 17:46

lasciare-libero-notte-e-giorno.jpg

 

Secondo me, il proprietario (di certo antico) di questa dimora, sconvolto dai problemi scaturenti dall'impossibilità di fare uscire il suo carretto a trazione animale dalla stalla, sarà emigrato altrove, magari attraversando "l'ucìanu" [l'oceano] con un bastimento a vapore.
E si può anche pensare che, sperando in tempi migliori, egli - prima di lasciare - abbia rozzamente vergato questa scritta per giustapposizioni successive, in modo tale da sottolineare la necessità di lasciare permanentemente libero l'accesso ai piani bassi della sua dimora, nel caso di un suo eventuale ritorno.
Ma nel frattempo, pur essendo stato preveggente, si è dimenticato di fare ritorno, perchè adesso abita in un luogo dove ha ampi spazi a disposizione e nessuno occlude l'entrata alla sua dimora che, grazie alla piccola dollaresca fortuna che è riuscito a mettere da parte, si è fatta principesca e regale.
Il portoncino umile e dimesso, rivestito da una lussureggiante crescita erborea (tra qualche anno anche arbustiva e arborea), rimane lì in paziente attesa del suo ritorno... Fedele al mandato che ha ricevuto in tempo immemorabile dal suo proprietario...
Ma c'è anche da dire che nessuno parcheggia lì davanti...
Come mai?
La casetta resiste ai colpi del tempo e, malgrado tutto, conserva una sua aura, forse una barriera invisibile che garantisce il rispetto di una "no parking zone" nelle immediate vicinanze.
Zot! zot! C'è qualcuno che ha testimoniato come gli infrattori siano stati bersagliati da fulmini a ciel sereno e da fenomeni di auto-combustione spontanea che hanno incenerito vetture, guidatori e passeggeri, il che lascia supporre che siano state attivate delle protezioni paranormali...

Leggende metropolitane?

Difficile dirlo con esattezza...

Ma sono sicuro che se si si guardasse bene negli anfratti e negli angoli più riposti si scoprirebbero probabilmente trecce d'aglio (ora rinsecchite, ma non per questo private del loro potere) e scope (quelle tradizionali fatte con gli "scopazzi") messe lì, prima della dipartita, contro il malocchio, contro eventuali malintenzionati e, ovviamente, anche contro i parcheggiatori abusivi e irrispettosi.
E se - come ultima ipotesi - lo sconosciuto abitatore, in tempi andati, fosse morto di inedia propia a causa degli automezzi che gli impedivano di uscire di casa per approvigionarsi dei necessari generi di conforto?

Allora, sarermmo di fronte ad un caso da annoverare negli X-Files del paranormale: si tratterebbe di un fenomeno di demoniache presenze e di poltergeist con tutte le regole che conferma l'assunto del "Non aprite quella porta!", in questo caso nella variante "Non posteggiate davanti a quella porta!".
E qui sfidiamo gli scettici a farlo...

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12 agosto 2011 5 12 /08 /agosto /2011 18:48

DSC05149.JPGMi dicono che tra le cose notabili e degne di essere viste qui a Curinga c'è un Platano gigante, che si ritiene abbia circa mille di vita (e forse di più). Mi spiegano anche come fare per arrivarci.
Ascolto e incamero le informazioni, certo del fatto che in seguito potranno tornarmi utili.
Il giorno dopo sono in auto e mi inerpico lungo la strada provinciale che conduce all'Eremo di Sant'Elia e poi ancora più in alto sino all'Hotel, dove la sera prima abbiamo mangiato tutti assieme.
Giunto in vista delle rovine, accosto l'auto in un piccolo slargo che sembra fatto apposta per la sosta di un'auto. Scendo e quando sto per attraversare la strada per inerpicarmi sino allo spiazzale su cui incombono le rovine dell'antica Abbazia basiliana, mi accorgo diun cartello di legno grezzo e rozzo, su cui in vernice nera è stato scritto "Platano". Volevo andare anche al Platano gigante. in un certo senso il Platano è venuto a me. Decido quindi di dargli la priorità, come si conviene trattantandosi di un entità primigenia della natura.
Seguendo le istruzioni che avevo incamerato scendo lungo il sentiero, in definitia comodo e non impegnativo. Tutt'attorno a me, cresciute sul ripido pendio, sottili conifere tutte protese verso l'alto, il terreno sotto i miei piedi è morbido perchè rivestito da un tappeto di aghi di pino.
DSC05079Sorpasso una conifera caduta e sradicata, come dalla mano di un gigante e all'improvviso, si staglia davanti a me prominente su di una collinetta di terreno sopraelevata rispetto al resto del pendio, propriol ui, il Platano gigante: enorme, primordiale, primigenio, vibrante.
Sembra di essere davanti ad un'entità primordiale. Qualcuno potrebbe vederci un Ent quiescente che, tuttavia, per un nonnulla, potrebbe risvegliarsi dalla sua stasi, scuotere le sue braccia possenti e parlarti con voce cavernosa.
Il platano si può vedere in tutta la sua possanza: attorno a lui c'è il vuoto. Le conifere che pure sono delle piante potenti che tendono a prevaricare su altre essenze vegetali se se ne stanno ad una certa distanza, intimorite, come i vassalli di un potente feudatario.
Il platano come dicevo sorge su di una prominenza del terreno, probabilmente formatasi perchè le pioggie hanno eroso il pendio circostante, mentre le sue radici trattenevano la terra in un solido abbraccio.
DSC05080I rami come enormi costoloni d'un gigante si perdono verso l'alto, sfidando con il loro spessore e la loro circonferenza la forza di gravità: cercarli di seguire verso l'alto, sino a quando non vanno in dissolvenza in una nebbia verde di foglie, dà un senso di vertigine. Mi inerpico sul piccolo promontorio del terreno nel quale affondano radici millenarie e, girando attorno al tronco immenso, arrivo alla grande cavità di cui mi hanno parlato e che, secondo quello si dice, potrebbe ospitare una ventina di persone in piedi.
Penetro al suo interno, attraverso quello che parrebbe un grande portale sormato da un arco ad ogiva.
Da numerose "finestrelle", alcune ovali e altre tonde, piove una luce morbida filtrata dalla cortina di foglie che contornano all'esterno le aperture. C'è un'atmosfera fresca e umida, quasi da acquario. Sembrerebbe di essere all'interno di una chiesa e si sente quasi l'urgenza di fermarsi in meditazione sulla futilità e l'impermanenza delle cose umane a fronte del soffio dell'eterno....
DSC05089La sosta all'interno dell'immensa cavità scavata all'interno del tronco del platano la cui circoferenza misura oltre 16 metri mi ha lasciato in qualche modo stordito...
Non è semplice rapportarsi ad un'entità millenaria che ha quasi l'apparenza di un essere gigantesco uscito dalle viscere della terra... che trasmette una sensazione di potenza primigenia...
Flavia: "La rarità quasi inspiegabile, come la chiami tu, è in natura una forma di rispetto. i pini stanno coi pini e non permettono ad altre specie di crescere, vicino a loro. ma se il platano, in questo caso, è preesistente a loro, lo rispettano come fosse un tempio. non a caso lì vicino è stato costruito un eremo. per questo la natura è per noi "meravigliosa", non ne capiamo il Senso e non ci sappiamo attaccare "etichette", se non botaniche".
Alcuni dicono che possa essere stato uno dei monaci dell'eremo basiliano a mettere a dimora il piccolo platano.
DSC05113Ma potrebbe anche darsi il caso di un'ipotesi diversa secondo la quale - proprio in virtù della "forza" che si sprigionava da questo luogo che ospitava un platano già plurisecolare  - venne deciso di intraprendere poco distante la costruzione dell'eremo.
Spesso i luoghi di culto, i monasteri, le abbazie, gli eremi vengono edificati in luoghi scelti non per caso, ma perchè possiedono delle qualità ineffabili, "terrifiche", tali da mettere noi piccoli mortali in contatto più diretto con il "divino" immanente.

Dicono che, di recente, l'albero abbia ricevuto il riconoscimento di "albero monumentale" e che, proprio in relazione a ciò, dietro sollecitazione del WWF, il Comune di Curinga si sia impegnato a collocare una speciale segnaletica per facilitarne la visita ai turisti e ai viaggiatori.

 

DSC05081(Francesco Cataudo, dal web) Si tratta di un Platano Orientale (Platanus orientalis L.) di eccezionali dimensioni, la cui circonferenza è di 20 metri alla base e di 16 a oltre due metri dal terreno. Se si considera che l'albero più grande d'Italia, il Castagno dei Cento Cavalli di Sant'Alfio (Sicilia), misura 22 metri, posso senza dubbio affermare che il nostro Platano è, per dimensioni del tronco, ai primissimi posti nella classifica dei giganti vegetali della Penisola o addirittura d'Europa. Per ciò che concerne l'età, sempre molto approssimata nelle piante, alcuni botanici hanno stabilito che il Platano di Curinga abbia oltre mille anni di vita.
Probabilmente, fu uno dei monaci basiliani che costruirono il vicino Eremo di Sant'Elia, nell'XI secolo, ad inserire nel fertile terreno la pianticella che poi sarebbe diventata l'attuale colosso naturale. Per visitarlo (consiglio di munirsi di scarpe comode, in quanto bisogna inoltrarsi in un minuscolo sentiero tracciato nella boscaglia, il quale, a causa della pendenza, del fogliame caduto dagli alberi e della rugiada, potrebbe presentarsi un po' scivoloso), bisogna imboccare la SP91 dal centro di Curinga, seguendo le indicazioni per l'Eremo di Sant'Elia, lasciare l'auto nello spazio antistante l'antico convento, portarsi dall'altra parte della strada provinciale, inserirsi in una piccola apertura nel Guard-Rail, proprio dove DSC05090c'è una tavola in legno con scritto "Platano" (ma non scendere subito, è pericoloso), costeggiare la protezione metallica per circa 20 metri (avendo il guard-rail alla propria sinistra) per arrivare al piccolo sentiero (largo circa un metro) che a zigzag scende nel bel mezzo del bosco di conifere e che conduce proprio al cospetto del Platano Gigante (circa 400 metri, per un tempo di cammino di circa 5 minuti). Tra le cose che stupiscono di più appena giunti sul posto, oltre alle dimensioni del vegetale, è l'enorme cavità che vi è all'interno dell'albero, capace di ospitare una ventina di persone.
La facilità ad essere raggiunto da rinomate località turistiche e dai principali scali regionali (50 minuti d'auto da Tropea e soli 20 minuti da Pizzo Calabro e dall'Aeroporto, dalla Stazione Centrale e dallo Svincolo A3 di Lamezia Terme), potrebbero far sì che la visita del Platano di Curinga divenga metà quasi obbligata per i turisti in vacanza o in transito in Calabria.

Ecco qui la posizione esatta sulla Mappa: GoogleMaps

 

Le foto che corredano questo post sono tutte di Maurizio Crispi

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22 giugno 2011 3 22 /06 /giugno /2011 06:46

stonehenge-wallpaper-1.jpgIn astronomia, il solstizio è definito come il momento in cui il Sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l'eclittica, il punto di declinazione massima o minima. Il fenomeno è dovuto alla inclinazione dell'asse di rotazione terrestre rispetto all'eclittica. Il valore di declinazione raggiunta coincide con l'angolo di inclinazione terrestre e varia con un periodo di 41.000 anni tra 22.1° e 24.5°.

 Al solstizio il Sole raggiunge il valore massimo di declinazione positiva nel mese di giugno, in occasione del solstizio di estate boreale, mentre raggiunge il massimo valore di declinazione negativa in dicembre, in occasione del solstizio di inverno boreale, corrispondente all'estate nell'emisfero australe.

Il termine 'Solstizio' significa 'Sole stazionario' e indica che in questo momento astronomico l'astro non si alza né si abbassa rispetto all'equatore celeste. Nell'esatto mezzogiorno astronomico, inoltre, le ombre degli edifici e dei pali scompaiono del tutto. Sempre nel giorno del solstizio, al tropico del Cancro è possibile osservare l'immagine del disco solare nel fondo dei pozzi, riflesso dall'acqua anche a decine di metri di profondità e lo stesso fenomeno si ripete il 21 dicembre, al solstizio d'inverno, al tropico del Capricorno.

E' Stonehenge, il misterioso complesso megalitico che sorge in Gran Bretagna sulla piana di Salisbury, nel Wiltshire, il luogo più magico della terra dove celebrare il solstizio d'estate: la sua costruzione risalirebbe al 3200 AC, anche se più di recente è stato identificato un cerchio più arcaico che, anticamente era delimitato da pali di legno infitti nel terreno, nella cui successione si possono riconoscere dei varchi di "ingresso" all'interno dello spazio circoscritto, presumibilmente sacrale e rituale: questo secondo cerchio risalirebbe addirittura al 4500 AC. In ogni caso, l'epoca di costruzione del grande cerchio megalitico corrisponde grosso modo alla stessa in cui furono edifficate le grandi piramidi egizie.

Il significato di "henge", o "hinge", nell'inglese medievale era quello di un grande recinto circolare aperto ma con fossato, contenente all'interno una o diverse costruzioni in legno a pianta circolare, con struttura portante costituita da piu' file concentriche di grossi pali verticali. Questi edifici erano generalemente coperti da uno o piu' tetti anulari ed avevano un diametro che poteva arrivare ad una quarantina di metri.
Stonehenge, l' "henge" di pietra, era all'epoca considerato luogo costruito ed infestato dagli antichi spiriti pagani della zona, nonch‚ per buona misura "pascolo del demonio". Un'altro possibile significato del termine "henge" e' riportato da C. Chippindale in Stonehenge complete, e richiama invece il verbo "to hang", appendere, sospendere. Il luogo megalitico sarebbe secondo questa lettura il posto delle "hanging stones", le pietre sospese, identificate con i triliti esterni.

Gli esperti di esoterismo non hanno dubbi: quando il sole raggiunge il punto più a settentrione di tutti gli altri giorni dell'anno, lo si può vedere nascere sopra ad una particolare pietra detta ''Heel Stone'' (ovvero il "tallone di pietra", rinvenibile nella sua morfologia di un grande sasso megalitico il più delle volte isolato, in diversi luoghi dell'Inghilterra), che si trova collocato in posizione assiale rispetto alla costruzione: cosa che farebbe supporre che si tratti di una disposizione non casuale, ma ricca di simbolismo di carattere astronomico.

Molti sono gli studiosi ad ipotizzare infatti che questo luogo - secondo alcuni collocato in corrispondenza di una linea di forza temporanee (dette ley lines) fosse una sorta di osservatorio dei fenomeni celesti, utilizzato per la previsione delle eclissi o che servisse da calendario per le ricorrenze stagionali, come la semina e la raccolta del grano, o come luogo di culto delle popolazioni druidiche.

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4 gennaio 2011 2 04 /01 /gennaio /2011 16:13
Il mare di fronte a Custonaci - Foto di Maurizio Crispi

Il 3 gennaio 2011 si decide di andare a visitare il Presepe vivente di Custonaci (in Provincia di Trapani).
La giornata è splendida, la temperatura mite.
Il sole splende glorioso. 
In cielo qualche sparuta nuvoletta bianca.
Il viaggio procede gagliardo sino a Castellamare del Golfo: sosta di rito al Belvedere.
E' un piacere guardare di lì il panorama della costa curvilinea che segna il golfo di Castellamare, sino all'estremità opposta chiusa da Punta Raisi e da Montagna Longa.
Si riprende ad andare.
Ma il cielo all'improvviso si rannuvola e della giornata splendida di prima rimane ben poco.
Arrivano da Ovest nubi sempre più nere e gonfie di pioggia.
Il Nano osserva il cielo preoccupato da tanto grigiore, così incombente e minaccioso.
Arriviamo, infine a Cornino.
Subito alla ricerca della biglietteria per acquistare i biglietti d'ingresso senza dover fare la coda dopo: ma è strano non c'è nessuno.
Solo un anziano del paese, con una coppola storta sul capo: forse uno dei figuranti del presepe, messo lì a far la guardia.
Gli chiediamo notizie.
No, oggi, il Presepe è chiuso. Riprendiamo il 6 gennaio.
Ma noi avevamo letto che oggi c'era (La delusione vibra nelle nostre voci)
No assolutamente, no, non è possibile - e, così dicendo, entra sotto il grande tendone bianco dove ha allestito un modesto banchetto, davanti ad un grande televisore, per consumarvi un frugale pasto di pane e cacio, allietato da una bottiglia di robusto vinello paesano, e, dopo aver rovistato in un mucchio di carte, prende su un pieghevole.
Vedete?, dice mostrandoci le date scritte in bella evidenza.
Non possiamo che fare buon viso a cattivo gioco
Però, potreste andare a visitare, la Matrice di Custonaci  - e ci allunga un altro pieghevole ("Il Natale a Custonaci", in cui si parla della mostra “Ante Christum natum").
Uh! Lo faremo di sicuro! Ma per certo torneremo a visitare il Presepe in uno dei prossimi giorni di apertura!
Visto che siamo proprio là, ci avviamo verso Monte Cofano (che è una Riserva Naturale Orientata) per fare una passeggiata canonica
Vale davvero la pena. 
Seguendo il sentiero accuratamente tracciato e in ottimo stato d'uso, si può anche circumnavigare il monte sino alla Tonnara di Castelluzzo, ma noi ci limitiamo a procedere sino alla Torre San Giovanni, una delle torri di avvistamento della cinta difensiva della Sicilia, di quelle edificate da Camillo Camilliani nel corso del XVI secolo.
Il paesaggio è splendido e corrucciato. 
I marosi si frangono con violenza sulla scogliera. Un gabbiano volteggia alto in cielo e due marangoni si riposano all'asciutto su un grosso masso.
Un piccolo cutter in lontananza si perde tra le brume di un piovasco: molto stevensoniano
Nella torre non si può entrare: in passato era possibile, ma forse hanno deciso di chiuderne l'ingresso con un'impenetrabile cancellata per proteggere l'interno restaurato alcuni anni fa.
Siamo raggiunti dal piovasco: non possiamo fare altro che ripararci sotto l'architrave della stretta porta d'accesso
Spioverà.
Ma quando mai! Pie illusioni! 
Passa il tempo e la pioggia aumenta d'intensità.
Decidiamo di avventurarci allo scoperto e di fare ritorno all'auto.
Lì, poggiato sul sedile posteriore, c’era un bell'ombrello, ma - confidando nella clemenza degli elementi - l'avevamo lasciato lì dov'era.
La legge di Murphy impera...
Via, dunque, a passo svelto, cercando di minimizzare il danno
Ma... ci conforta pensare a "Singing in the rain" ed anche "Raindrops keep falling on my head" e così procediamo con letizia, malgrado la mala parata.
Sembra che non piova, perché il vento sospinge le gocce d'acqua da dietro: quindi, sembrerebbe che davanti a noi non stia piovendo e, invece, ci stiamo inzuppando le terga... (bella parola, neh?).
Frida, da brava cacciatrice qual è, incurante della pioggia sferzante, si rotola nella merda della vacca e poi dove è passata qualche bestia selvatica e va avanti, instancabile, procedendo a zigzag e seguendo l'usta, per noi impercettibile, ma davanti al suo tartufo palpitante si apre un intero universo di odori ed effluvi, una mappa dettagliata e tridimensionale probabilmente.
Alla macchina giusto in tempo per scansare l'infittirsi del temporale.
Ci ripariamo in una trattoria per mangiare un boccone. Siamo gli unici avventori all'interno d’un salone moderno e spazioso. Televisore maxischermo acceso: che due palle!  Ma ce lo facciamo spegnere, visto che siamo gli unici due avventori. Il gestore ci asseconda, anche se non comprende…
Il proprietario dopo aver preso la comanda ed averci servito, si scusa: Devo allontanarmi. C'è una partita dell'Inter giovanile a poca distanza da qui - ci dice, rivelando la sua natura di Interista convinto, pur senza l'ostentazione di nessuno degli orpelli prediletti dalle tifoserie.
Ci muoviamo di nuovo dopo il lauto pasto: andiamo a visitare la Chiesa di Custonaci...
In effetti, ci addentriamo su per le strette viuzze della cittadina antica: arriviamo a vedere una chiesa antica, ma la pioggia cade più fitta che mai e, quindi, dobbiamo limitarci a guardare attraverso il parabrezza uno scenario liquido di case che sembra dipinto dal pennello di un impressionista. E, in ogni caso, come scoprirò in seguito la chiesa da visitare non era quella davanti alla quale ci siamo fermati, ma il Santuario  Maria Santissima di Custonaci: e ancora non so dove si trovi, forse un po' discosto dal paese.
Il nano comunque è ben contento di stare a guardare dal riparo dell'auto: che è gongolante è dir poco. Se la spassa un mondo
Girovaghiamo in auto nello scenario surreale e tellurico delle cave di marmo di Custonaci
Il fianco della montagna è squarciato da innumerevoli ferite che mostrano le carni bianco-candide della terra, sovrastato da fosche fucine e da inquietanti tralicci - quasi neri - di acciaio e da gru a braccio mobile per spostare gli immensi blocchi di marmo.
La montagna sembra profanata, senza il conforto di alcun rituale propiziatorio
La pioggia non ci dà requie
Prossima tappa: visto che non abbiamo potuto vedere il Presepe Vivente di Custonaci, andiamo a visitare quello di Balata di Baita di cui avevamo intravisto al passaggio affissioni pubblicitarie.
Occhè! Andiamoci.
E via, sotto l'acqua battente.
Condizioni atmosferiche strane: lontano ad Ovest, dove oltre Monte San Giuliano si intravedono le sagome di Levanzo e Marettimo, il cielo all'improvviso si apre, lasciandoe irrompere una luce bassa radente, del sole ormai basso sull'orizzonte, di un intenso giallo.
Intanto dove siamo noi continua a piovere e, all'improvviso, si forma un doppio arcobaleno completo. Mai vista una cosa così!
Nel punto in cui il fascio iridescente sembra sorgere da terra, c'è una luce abbacinante, surreale, con una tonalità dominante gialla.
Fantastico.
Verrebbe voglia di cercare di arrivare sino al punto in cui l’arcobaleno sembra spuntare da terra come un tronco colorato, ma sarebbe pura illusione…
Finalmente s’arriva a Balata di Baita: con molta fatica identifichiamo il punto in cui è localizzato il Presepe, ma poiché è presto decidiamo di procedere sino al Castello di Baida, tre chilometri più in alto, per vedere se c'è quella famosa vecchina che prepara cassatelle e buccellatini che si possono acquistare, se uno arriva al momento giusto ancora con la fragranza del forno.
La pioggia continua a battere furiosa.
Arriviamo: l'atmosfera è fosca ed inquieta.
Entriamo all'interno dell'antico baglio, risalente - sembra - al XIII secolo, ma l'alloggio della vecchina (c'è una scopa antimalocchio appesa fuori dalla porta) è chiuso e sbarrato. Non un'anima viva...
Basta, ritorniamo a Balata di Baida a visitare il presepe. Presto che è tardi s'è fatta l'ora!
Arriviamo, faticosamente posteggiamo: vediamo che hanno già acceso le luci che illuminano la corte e gli edifici dell'antico casale che fa da scenario alla rappresentazione
Al botteghino ci dicono che, a causa della pioggia, l'apertura è dilazionata…
Perché?
Il 26 dicembre pioveva e abbiamo tenuto aperto con tutti i figuranti. Ma molti di loro si sono ammalati. Oggi vogliamo evitare che ciò accada di nuovo. Se potete aspettate per un poco, le previsioni meteo per questa zona dicono che dalle 18.00 la pioggia dovrebbe cessare. Dentro sono tutti pronti: si aspetta soltanto che smetta...
No, non possiamo aspettare, sarà per un altra volta. Grazie!
Decidiamo, per compensare, di andare a visitare il Castello di Inici, un altro baglio fortificato: seguiamo le indicazioni, ma poco dopo dobbiamo fermarci, perché la strada è sbarrata a causa di una frana
Un vecchio del posto ci fornisce delle informazioni, ma poco consolatorie: Sì c'è una strada che ci arriva, ma è lunga ed è difficile da trovare. Poi con il buio
Vabbé, vabbé - faccio io - E' tempo di tornare 
E si ritorna a casa: un bel the caldo ci attende e la stufetta a gas per toglierci il freddo dalle ossa
Ma prima bisognerà lottare contro la sonnolenza incoercibile lungo la via del ritorno
Una gita zen
Il presepe vivente di Custonaci era chiuso
Ci ha colto la pioggia
L’ombrello era rimasto in auto
Non abbiamo potuto visitare la Chiesa di Custonaci
La vecchina delle cassatelle non c'era
Il presepe vivente di Balata di Baida non ha aperto a causa della pioggia
La strada per il Castello di Inici era franata
Eppure abbiamo fatto un sacco di cose… e raccolto tante impressioni
Le cose migliori sono quelle che si raccolgono al di fuori di ciò che era stato pianificato
Forse questo è lo spirito zen: visione periferica, contro visione centrale, sguardo panoramico contro sguardo focale, caso rispetto a necessità, fluidità rispetto al programma rigido e monolitico
Come tramutare il rovescio in mossa vincente, insomma
"La mappa non è il territorio"
Per quest'anno non torneremo a Custonaci
Bisogna anche saper rispettare i segni del Destino e tirarsi indietro laddove occorra

La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
La visita zen al presepe vivente di Custonaci
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La visita zen al presepe vivente di Custonaci
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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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