Cosa sono le panchine, esattamente?
E' una bella domanda che può lasciare campo aperto ad una molteplicità di risposte.
Alcune cose si possono velocemente dire, nel tentativo di costruire un abbozzo di panchina-pensiero...
Ma, certamente, un discorso sulle panchine non può esaurirsi nella loro descrizione come pezzi di arredo urbano oppure in una loro rappresentazione utilitaristica di luoghi ideati per consentire la sosta e il riposo del viandante.
Sì, sono questo, ma nello stesso tempo sono anche molto altro ancora.
Innanzitutto, la panchina - dovunque sia collocata - rappresenta un punto di intersezione tra un tempo lento ed un tempo che, invece, scorre veloce (oggi, sempre piu' veloce, tra l'altro: immaginaniamo ad esempio una panchina collocata nel punto in cui passi il binario di Un treno ad alta velocità)... Chi siede su una panchina, nel momento in cui lo fa, si mette fuori dal tempo veloce degli altri ed entra in un tempo rallentato e pigro...
Ciò gli consente di osservare la realtà da un'altra prospettiva, che fa sembrare la velocità a cui si muove il mondo un po' da comica finale.
In piu', mettendosi fuori dal tempo veloce, ci si colloca in un punto di osservazione privilegiato e, allora, ci si accorge che accadono cose che, quando indaffarati e trafelati siamo trascinati in avanti senza sosta dalla freccia del tempo, non avremmo mai potuto osservare.
La panchina, ancora, è un luogo con una sua spazialità, che - avendo delle regole temporali sue proprie - è anche extra-spaziale (potrebbe anche essere una navicella dei desideri, un tappeto magico, una macchina del tempo e quant'altro): un luogo che consente di decollare con la mente verso un "Altrove".
La panchina è un luogo in cui accadono delle cose, come ci ha insegnato il bel film di Nanni Moretti: la gente vi si ferma, vi legge o il libro o un giornale, vi interagisce, vi conosce nuove persone; sulla panchina ci si addormenta per un sonnellino ristoratore, ci si può fare una merendina o mettere in atto un bel picnic; ci si incontra con una nuova - futura - fidanzata, ci si bacia e ci si accarezza, sempre godendo di questo statuto extra-temporale ed extra-spaziale...
Mettersi a sedere su di una panchina - rispetto al mondo degli altri - è come indossare un mantello dell'invisibilità alla maniera di Harry Potter...
Infine le panchine possono essere fotografate, interpretate, lette, narrate e ri-narrate...
A questo riguardo, ci sono due modi di fotografare le panchine: uno è quello di riprendere la panchina in sé, quella non "abitata" (né da umani, né da animali: spesso ci sono i gatti che se ne impossessano, come nel caso de Le Panchine di Perinaldo). In questa eventualità, attraverso il vuoto e l'assenza, quella panchina rimanda ad una scena (o a un suo ipotetico modo d'uso) che può essere colmato da chi la osserva (e la fotografa e, fotografandola, la interpreta). Sempre in questo caso, il vuoto e l'assenza consentono a ciascun osservatore di costruire una propria storia su quella panchina oppure di utilizzarla come luogo delle sue proiezioni mentale: ed ecco che la panchina viene popolata dai suoi fantasmi interni, dalle sue visioni, oppure viene investita dalla policromia delle emozioni dell'osservatore.
L'altro modo è quello di fotografare la panchina "abitata" (che è un modo piu' ampio per dire "utilizzata"): allora la panchina assume il valore di una cartina al tornasole antropologica e sociologica...
Ed è "narrata" da chi in quel momento la sta vivendo.
Ma, anche in questo caso, con la fotografia, ancora una volta si interpreta e si narra una storia che non necessariamente è coincidente con quella di chi in quel momento sta seduto sulla panchina.