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9 agosto 2024 5 09 /08 /agosto /2024 01:41

Keep-a-going along the road.
Vai avanti e più non dimandare

Oggi, possiamo lecitamente parlare
di tre quarti di secolo
Sono sbalordito
Penso a quando da piccolo
con mio fratello
mi chiedevo
come sarebbe stato entrare nel 2000
e facevo calcoli
per stabilire l’età che avrei avuto allora
che era per me
un’età impensabile,
irrapresentabile
Oggi, quasi al concludersi
del primo quarto del XXI secolo,
sono ancora qui

E vai allora!
Keep-a-going along the road,
Keep your eyes on the road
Stay always on the run

Cammina,
cammina,
segui sempre la strada,
di giorno segui il sole verso Ovest,
di notte orientati con le stelle

Seconda stella a destra, questo è il cammino
E poi dritto fino al mattino
Poi la strada la trovi da te
Porta all'isola che non c'è

Maurizio Crispi (9 agosto 2024)

Autoscatto (Maurizio Crispi)

Autoscatto (Maurizio Crispi)

A volte, 
mi sorprendo a pensare
che vorrei tornare ad essere adolescente, ritornando all’età dell’oro in cui
c’erano ben poche cose 
di cui preoccuparsi 
quando c’erano papà e mamma 
che di tutto si occupavano,
c’era solo da prendere il meglio, 
una vita rilassata, 
senza problemi da risolvere 
senza responsabilità da assumere
Era il tempo felice 
dei giochi e degli svaghi 
Era come essere in un giardino dell’eden

 

Autoscatto (in versione Matusalemme) - foto Maurizio Crispi

Eppure, 
quando vivevo allora quei giorni scalpitavo 
fremevo 
mordevo il freno 
desideravo che il Tempo 
accelerasse il suo corso 
e non vedevo l’ora di diventare “adulto“
e c’era anche l’irrequietezza dell’attesa,
quando il sogno tracimava nella realtà 
e pensavo che tutto fosse possibile,
quando i miei denti e la mia pelle
erano ancora giovani

Ora, invece, guardo nostalgicamente 
a quella stagione 
e la considero il mio Eden perduto
I miei genitori mi hanno lasciato giocare,
consentendo 
che io potessi trastullarmi 
con l’inutile e con il superfluo 
hanno lasciato che io leggessi i libri 
e che mi immergessi 
in universi fittizi e in mondi alternativi 
hanno lasciato che io potessi sognare

Eppure, quando ero adolescente, 
un mio me scisso 
non voleva stare in quel mondo 
voleva piuttosto schizzare in avanti, andando verso realtà sconosciute
Quel mio me era impaziente 
e viveva con sofferenza l’attesa e la stasi

E ora eccomi qua 
a desiderare un ritorno 
a quel tempo 
che ora vedo felice,
come forse non è mai stato

Mr Natural (Robert Crumb)

Forse, ciò accade 
perché mi accingo a varcare 
la soglia dei tre quarti di secolo 
- e quindi mi avvicino 
sempre di più a quel punto fatidico 
in cui gli opposti estremi 
tendono a reincontrarsi e a coincidere
e le età della vita 
si confondono e si mescolano

Vorrei andare lontano, via dove nessuno possa bussare la mia porta e schiaffarmi davanti agli occhi la dura realtà
Vorrei evadere 
essere un nessuno 
essere un Errante 
libero di cercare ciò che vuole 
o di non cercare affatto

E questo è quanto, 
dissi, accorgendomi
che mi era cresciuta 
una barba da profeta,
come quella di Mr Natural

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24 marzo 2024 7 24 /03 /marzo /2024 12:09
acacie in fiore (foto di Maurizio Crispi)

I piccioni tubano
il giorno evolve

 

La domenica delle palme é trascorsa
con un conto di molti, troppi morti
che ingombrano le città in rovina,
i teatri e i luoghi di adunanza
Sono troppi e sono tutti eguali

 

La morte è una grande livellatrice
e per ogni singolo morto,
ci si deve dolere,
non importa di quale parte
o colore siano
I morti delle guerre e degli odi
sono il più delle volte innocenti,
mentre gli scellerati purtroppo
restano in vita, 
poiché hanno stretto un patto
col il diavolo
Loro sogghignano
e poi, fingendo dolore
e con lacrime ipocrite 
giù lungo le gote,
accendono ceri per i defunti 
Per la morte d’uno solo
di questi uomini perfidi
forse gioirei senza ritegno,
ma anche ciò sarebbe forse irrilevante 
Sono certo che in un’altra vita
questi dispensatori di morte e dolore
troveranno la loro pena,
mentre qui le loro ossa
e le loro ceneri
saranno disperse
e saranno per sempre dimenticati

 

Il vento soffia 
e porta con sé
le grida di dolore e il pianto 
di coloro che sono morti
senza una giusta causa
e che anelano ad essere ricordati

Lacrime di Crocus-dillus

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10 febbraio 2024 6 10 /02 /febbraio /2024 09:16

La luce che filtra tra gli alberi è un’immagine molto romantica, ma è anche simbolica. In Giappone questo fenomeno ha una parola tutta sua, ovvero komorebi e non è solo un fenomeno naturale, ma l’invito a cogliere la luce anche nei periodi bui della vita.
In italiano, ma anche in inglese, non esiste una parola che descriva la luce che filtra attraverso gli alberi. In Giappone, invece, questo fenomeno è detto komorebi ed una parola molto specifica, composta dai caratteri kanji per albero (木), splendore (漏れ) e sole (日). Il contrasto tra la luce del sole e l'ombra, e il modo in cui le due danzano, è uno spettacolo che da sempre gli artisti cercano di catturare: basta guardare il Sentiero nel giardino e il Bosco di ulivi nel giardino Moreno, entrambe meraviglie di Claude Monet.

Le battute d’arresto sono momenti della vita, che non devono però bloccare l’esistenza umana.

La filosofia occidentale sostiene che esista la luce alla fine del tunnel. Con un contrasto molto interessante, Komorebi ci ricorda di trovare quei sottili raggi di luce nel mezzo, mentre attraversiamo il tunnel buio. Di non aspettare o procrastinare. Ma come possiamo vedere la luce, o komorebi, quando c'è molta oscurità? É fondamentale rimanere attivi, gestire lo stress e contattare amici, familiari e professionisti. L’interazione tra luce e oscurità può insegnarci molto sul benessere mentale, perché non è necessario essere nel giardino di Giverny di Monet per vedere i komorebi. Basta solo un albero e un po’ di sole tra le nuvole.

É fondamentale quindi prendersi il tempo per osservare ciò che di bello c’è nella vita, intorno a noi. É un esercizio difficile, talvolta risulta anche faticoso, soprattutto quando si è risucchiati dalla frenesia della vita occidentale, ma è fondamentale per preservare l’equilibrio mentale.

Tuttavia, la bellezza del komorebi non è solo superficiale. Quando si parla di luce, inevitabilmente, si fa riferimento all’ombra o all’assenza della luce stessa.

Komorebi riguarda le sensazioni, non solo un fenomeno ottico. Per chi parla giapponese, evoca un'immagine mentale bella, calda e silenziosa di un ambiente naturale piacevole, con i raggi scintillanti del sole che disperdono le ombre proiettate dagli alberi. Ci ricorda quindi di cercare la positività nelle piccole cose che possono aiutare a dissipare le ombre del dubbio o dell'ansia. In ogni situazione che appare cupa e oscura, ci sono piccoli punti luminosi che possono rendere l’esperienza più tollerabile. Komorebi riguarda il trovare quei piccoli raggi di luce e fermarsi per ricaricarsi, prima di proseguire.

Valentina Rorato - 6 ottobre 2023 (ohga.it)

Perfect Days di Wim Wenders, 2023, locandina

La prima cosa che mi è venuta in mente guardando sin dalle prime battute Perfect Days, il magnifico e minimalista film di Wim Wenders del 2023, è stata la mia esperienza di quando, da militare, frequentai per tre mesi la Scuola Allievi Ufficiali di complemento Medici e Farmacisti. Come allievi ufficiali eravamo assegnati per quei tre mesi ai diversi servizi e a me tocco di essere assegnato per una settimana alla pulizia dei gabinetti della mia camerata, compito che svolsi con meticolosità e attenzione, senza “arronzare”, ma con un qualche disgusto perché noi Italiani eravamo (e continuiamo ad esserlo) degli sporconi.
In quella settimana, io subentravo nella pulizia di latrine e lavabi e pavimento dopo che l'orda era già passata: ricordo che ero soddisfatto del mio lavoro che consisteva nel riportare al nitore originario gli arredi sanitari spesso imbrattati senza alcun ritegno.
Poi la settimana trascorse e rimase dentro di me quell'esperienza di lavoro solitario, poiché uno solo di noi, per una settimana intera, veniva assegnato a quel compito. 
Quando fu il loro turno, i miei colleghi se ne lamentarono, mentre io accettai quella consegna con spirito filosofico.
Come è nell'esperienza del rigovernare la cucina, quella - in quei giorni (che ricordo come giorni "perfetti") fu per me un'occasione per riflettere e meditare, attivando anche il day dreaming o lasciando prevalere - come si dice oggi nel linguaggio delle neuroscienze (ma allora non lo sapevo) il DMN cioè quella rete neurale chiamata Default Mode Network.
Il periodo finì e l'esperienza rimase con i suoi insegnamenti, almeno quelli che potei trarne.
L'altra cosa che mi è venuta in mente - ed è strettamente correlata alla prima - è quella di poter essere (o di voler essere) "cacciatore di ombre". Le ombre che possono essere nella realtà in certe configurazioni di luce e di chiaroscuri unici e irripetibili scaturiscono anche dall'interno (in termini di frammenti onirici di sogni lucidi) o di sogni da svegli) e possono rappresentare una sintesi, un'incernieramento tra mondo esterno e interno.
In questo non ho potuto non pensare ad un altro grande film di Wim Wenders (che è “Fino alla fine del mondo”), pure collegato in maniera ben più esplicita al sogno e al sognare, dove si mette in piazza addirittura la possibilità di registrare visualmente i propri sogni con la possibilità dei sognatori di rimmergersi a proprio piacimento nei propri sogni sognati intrisi di struggenti reminiscenze che riportano al tanto desiderato tempo perduto. 
Hirayama è un meticoloso pulitore itinerante di latrine pubbliche, ma è anche un lettore assiduo e un sognatore.

Fotogramma da "Perfect Days"

Con una sua piccola macchinetta fotografica analogica fotografa anche (ma a me è parso che mai vediamo il nostro Hirayama nell'atto del fotografare) e, settimanalmente, si fa fare le stampe dei suoi scatti per poi selezionarne accuratamente qualcuno o anche uno soltanto (o nessuno del tutto) che poi conserva con altrettanta meticolosità in una cassettina metallica.
Alcuni potrebbero dire che Hirayama viva una vita asfittica e ripetitiva, ma questa è sicuramente una lettura riduttiva di ciò che egli con il suo esserci ci vuole trasmettere (o che il regista vuole dire a noi spettatori raccontando le giornate perfette della sua vita minimalista).
Hirayama è indubbiamente abitudinario. Le sue giornate si scandiscono con una sequenza di gesti semplici e misurati e di consuetudini, tutto funziona come fosse regolato da un metronomo: eppure ci sono piccoli inconvenienti, ci sono degli incontri significativi in alcuni casi e in altri degli incontri mancati. Ci sono piccoli eventi che rappresentano l’improvvisa irruzione della meraviglia (come il gioco improvvisato sulla qualità delle rispettive ombre).
Ma ci sono anche dei cambiamenti come nelle letture che si rinnovano da una settimana all'altra, parrebbe: dal momento che - nel suo giorno di riposo settimanale - Hirayama passa da una libreria dell'usato dove acquista un nuovo libro che attira il suo interesse o suscita la sua curiosità, con brevi scambi di parole unilaterali della libraia che sempre mostra di apprezzare le sue scelte.
Dall'ampiezza delle scaffalature per libri collocate nella stanza in cui dorme - per altri versi spoglia ed essenziale - delle quali abbiamo una visione via via maggiore, si intuisce che Hirayama è uno che ha letto tanti libri e che i suoi perfetti giorni siano stati davvero tanti, immerso in questo lavoro e in questa esistenza di routine che - ciò nondimeno - gli offre scenari interiori sempre nuovi. E sono almeno due i libri identificabili che egli si ritrova a leggere in questo spaccato della sua vita che il registra offre alla nostra osservazione: “Le palme selvagge” di William Faulkner e “Urla d’amore” di Patricia Highsmith, oltre a numerosi riferimenti a “Gli alberi” di Kōda Aya.

Fotogramma da "Perfect Days"

E poi c'è la musica: una musica che egli cambia ogni giorno mentre in auto, armato di prodotti di pulizia, secchi e scopettoni, percorre la sua strada per spostarsi da un luogo di lavoro all'altro: una musica che ascolta in musicassette (che anche queste di tanto in tanto acquista, prediligendo scelte musicali rock e pop anni Settanta e Ottanta, o che forse ha acquistato in passato e che riesce a tenere in perfetto stato d’uso) con assoluta dedizione.
Le scelte musicali cambiano ogni giorno, forse in relazione al suo mood. La musica che Hirayama ascolta e che ascoltiamo noi mentre guardiamo il film è una musica "diegetica", dunque, come si dice in linguaggio tecnico, e anche questa è una scelta perfetta.  
Ogni giorno Hirayama esce dal suo piccolo alloggio e, come prima cosa, guarda il cielo, sorridendo all'alba incipiente, pronto ad affrontare un nuovo giorno, che sarà uno dei suoi giorni "perfetti".
Ogni giorno, così, può avere la nettezza di una meditazione Zen o può anche essere la rappresentazione altrettanto straordinaria di uno degli assunti della via del Tao.
Si intuisce che Hirayama prima di essere pulitore di latrine abbia fatto altro nella sua vita, ma di questo non è dato di sapere (anche se della sua vita passata viene fornito qualche rapido scorcio, più che una vera e propria narrazione): vige nella rappresentazione della sua quotidianità il principio del "qui ed ora" e della sospensione di memoria e desiderio, precondizioni che facilitano l'attivarsi d'uno stato sognante della mente (cosa che accade al nostro Hirayama, quando, a tratti, con l'occhio della mente, gli pare di vedere quel gioco d'ombre e di luci che poi è lo stesso che cerca di catturare nei suoi scatti fotografici.
Certo, la "perfezione" non è mai totale e radicale, come si osserva nelle sequenze finali in cui Hirayama nella sua auto di lavoro corre verso il sorgere del sole e il suo volto, illuminato da una luce calda, presenta una serie di variazioni che vanno dall'estasi più pura al dolore e alla sofferenza: in fondo, è questa la vita, correre incontro al nuovo giorno, in contatto con il proprio sé più profondo e con tutta intera la gamma mutevole dei propri stati d'animo.
Questa sequenza di chiusura, per me, è stata una delle più emozionanti.
Un film "perfetto" per alcuni versi che non può essere bollato con giudizi riduttivistici secondo i quali noi, privi come siamo di alcuni riferimenti culturali propri delle culture orientali, saremmo portati a considerare la vita minimalista di Hirayama come espressione di una vita fallimentare e di rinuncia radicale al raggiungimento di obiettivi ambiziosi.

 

Come ho scritto questo commento? 
Naturalmente ascoltando la colonna sonora del film! 
Bellissima!

 

Daniela Tofi Psi ha scritto nella sua bacheca di Facebook questo magnifico commento al film di Wenders e lo riporto integralmente qui di seguito:
Komorebi è una parola che in giapponese significa “luce che filtra tra gli alberi”. È composta dai caratteri che indicano albero, splendore e sole. Nelle lingue occidentali non esiste una parola sola per dirlo. Komorebi non si riferisce solo a un fenomeno naturale, indica anche uno stato d’animo: la capacità o lo sforzo di trovare qualcosa che possa suscitare serenità anche nei momenti peggiori della vita. La luce non esisterebbe senza l’ombra, e viceversa. “Luce che filtra dagli alberi” indica la possibilità di trovare qualcosa di luminoso nei momenti più bui. Dissipare le ombre della solitudine, del dolore, dell’ansia attraverso un raggio, una piccola cosa lucente che si manifesta nel nostro ordinario cammino quotidiano. In italiano diciamo luce in fondo al tunnel, come se il dolore e il danno fossero qualcosa di buio da attraversare per tornare a respirare e vedere. In giapponese la luce è nel tunnel, è nel cammino, è sempre – se la sai vedere. Sono uscita dal cinema, l’altra sera, un poco diversa da come ci ero entrata. Speriamo che duri. Intanto voglio alzare gli occhi verso le chiome degli alberi ogni volta che posso. Il bellissimo film giapponese di Wim Wenders, Perfect Days, è un meccanismo sonoro e visivo che ti costringe in prima battuta a prendere i tempi del racconto che non sono i nostri, senz’altro non i miei. All’impazienza dei primi minuti si sostituisce poco a poco l’incanto di quella vita che si ripete ogni giorno uguale, eppure sempre diversa. Un lavoro umile svolto alla perfezione. Un uomo che nasconde un dolore, capace di ridere nel pianto. La musica delle audiocassette, americana, è un tributo struggente all’altra metà del mondo.

 

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4 gennaio 2024 4 04 /01 /gennaio /2024 07:16
Cattedrale di Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Ho appreso che la signora Motisi (Scola da nubile) che abita al terzo piano del condominio di Via Lombardia 4 dove io vivo è deceduta, dopo lunga malattia, nel pomeriggio del 3 gennaio.
Scendevo le scale verso le 19.00 per andare ad accompagnare mio figlio Gabriel e mi sono imbattuto in quelli di un'agenzia di onoranze funebri che portavano gli arredi e tutto quanto fosse necessario per allestire la camera ardente.
Mi sono molto rattristato.
I Motisi erano più giovani dei miei genitori di un decennio circa, ma si insediarono in questo stabile nello stesso periodo dei miei: un edificio che, di recentissima costruzione (eravamo nei primi anni Sessanta), fu popolato da famiglie ancora relativamente giovani e numericamente in crescita alla ricerca d'un alloggio più comodo e più confortevole.
Siamo stati sempre gli stessi a vivere qui.
Più o meno, in questo stabile siamo tutti aborigeni: non c'è stato molto ricambio.
Qui ci hanno sempre vissuto i primi proprietari oppure i loro eredi. Di rado si sono insediati nuovi affittuari; qualche volta (ma sono stati casi rari) sono arrivati degli inquilini.
Forse anche per questo tipo di storia c'è sempre stato in questo edificio, molto forte, un senso di famiglia allargata, che - possibilmente - manca in altri condomini
A ciò contribuisce senza dubbio il fatto che siamo in pochi: infatti ci sono soltanto 14 unità abitative, rispetto ad alcuni altri mega-condomini

Ogni anno (o quasi) purtroppo si deve fare il conto di chi non c'è più e questo è l'andazzo degli ultimi tempi.

La notizia della dipartita della signora Motisi mi ha profondamente rattristato anche per via della quasi coincidenza di tempistica.
Il suo decesso è avvenuto nel pomeriggio di ieri, mentre quello della mia mamma si è verificato nella notte tra il 3 e il 4 gennaio del 2010, con una sfasatura di alcune ore soltanto tra l'uno e l'altro
Quindi, nel dolermi per la scomparsa della signora Motisi, non posso che rimemorare la dipartita della mia mamma e della sua ultima notte, prima del trapasso che per lei fu come un lieve addormentamento, senza dolori o sofferenza.

Dove vanno coloro che non sono più?
Chi è credente ha pronta una risposta consolatoria ed è propenso a sostenere che vadano nel Cielo (secondo le formulazioni cristiane)
E chi non crede?
Ognuno si costruisce le sue personali teorie al riguardo
Quello che posso dire io è che i Morti sono in qualche modo sempre con noi
Ci guardano
Ci osservano
A volte dialogano con noi
Noi diamo loro voce, in realtà
Ci sono a volte come presenze impalpabili, come una brezza o un alito che si muove nell'aria delle nostre case e che ci fa vibrare
Compaiono nei nostri sogni e con loro interagiamo
Vivono e continuano a vivere perché siamo noi a mantenerli in vita nella nostra memoria
E quando noi non ci saremo più cosa accadrà?
Ecco questa è una bella domanda e apre una prospettiva su di un insondabile mistero
Se esiste una differente dimensione che ci attende nel post-morte, ecco, forse allora ci incontreremo con loro, con i nostri cari estinti (e questo è un pensiero consolatorio, al quale è ben difficile sottrarsi)

La mamma nel giorno del suo novantesimo compleanno (foto di Maurizio Crispi)

Questo scrissi l'anno scorso: Il 4 gennaio 2010, nelle prime ore del nuovo giorno, quando ancora faceva buio, la mamma se n’è andata via lievemente, in punta di piedi, quasi senza disturbare nessuno, come aveva sempre detto nei suoi desiderata.
Per andarsene, ha colto il momento in cui io, seduto accanto a lei in poltrona per vegliarla, mi ero addormentato.
Quando mi sono risvegliato, forse perché invaso dall’improvviso silenzio del suo respiro appesantito, la sua anima bella era volata via.
Dopo poche ore, alle 5.00, è suonata la sua sveglia che la mamma la sera prima, mi aveva chiesto di puntare alla solita ora, quando lei si alzava per supervisionare i preparativi del risveglio di mio fratello che erano affidati ad un badante (ma lei non rinunciava ad essere presente, per verificare che tutto andasse per il verso giusto)
Quella sveglia ci ha ricordato che la vita, anche senza di lei, continuava e che, pur assente da quel momento in avanti, avrebbe continuato a vegliare su di noi.
Mamma, dovunque tu sia, riposa in pace.
Continui a vivere nel mio cuore.

 

 

E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua di fronte all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

La Madre (Giuseppe Ungaretti)

Questa poesia di Ungaretti piaceva tantissimo alla mamma (lei amava Ungaretti, assieme a Quasimodo e a Caldarelli), tanto che la feci leggere in chiesa, durante il servizio funebre; il lettore di questa intensa e commovente lirica fu mio figlio Francesco. 

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13 maggio 2022 5 13 /05 /maggio /2022 17:28
Lo yin e lo Yang (foto tratta dal web)

L'altro giorno, qualcuno mi ha chiesto
se io sia mai stato veramente felice

Sono di quelle cose che, di tanto in tanto,
si usa chiedere

E' una domanda banale, eppure profonda
Tuttavia, il quesito mi ha lasciato interdetto
e spiazzato, basito quasi;
e, lì per lì, non ho saputo rispondere

In effetti, è vero, sono rimasto quasi senza parole
di fronte ad una domanda che, forse, non mi sono mai posto

Ma si tratta d'una domanda
che, nello stesso tempo, ha un peso
e il porla può avere lo stesso effetto d'un sasso
lanciato su uno specchio d'acqua tranquillo
Il sasso scompare nella liquida profondità,
anzi vi scivola dentro,
ma il suo impatto genera una serie di perturbazioni concentriche
che turbano quella liquida superficie,
altrimenti immobile

Un modo per rispondere, forse, è girarci attorno
Penso, tuttavia, che la Felicità la si possa definire
soltanto per differenza rispetto all'infelicità e al dolore
Ci si deve fare una ragione di ciò,
poiché non esiste un valore assoluto della felicità
ma si tratta di un'entità del tutto relativa,
vaga ed indefinibile
che, comunque, non pertiene
ad una dimensione straordinaria della vita,
ma è bensì intimamente intrecciata con il quotidiano
Quel quotidiano fatto di dolori e sofferenza,
di bisogni che non sempre possono essere soddisfatti
e di desideri che rimarrano inesauditi
La felicità come condizione permanente dell'animo non esiste,
a meno che non si entri nella dimensione estatica della mente,
quella propria di un Santo o di futuro tale che contempla
la trascendenza del divino
Noi Umani che viviamo nella realtà abbiamo
una base di "manque", di bisogni,
e su questa s'innestano dei momenti "felici",
quelli in cui il bisogno è placato,
il desiderio è parzialmente esaudito
il dolore è lenito e così via
Se così non fosse, ci troveremmo a vivere
nella condizione del primigenio stato edenico
che è quella del bambino che, accudito in tutto e per tutto,
ha un seno nutriente e ricco di latte a disposizione
Invece, anche la storia biblica ce lo dice:
noi fummo cacciati dall'Eden
e condannati a sentire il freddo e la fame
a provare dolore
a lottare per sopravvivere
a faticare per trovare il nostro cibo quotidiano
La base è quella:
solo per differenza possiamo cogliere, nell'ordinarietà,
alcuni istantanei passaggi di felicità
oppure trovandoci a sperimentare,
per dirla con Kundera,
una condizione di "insostenibile leggerezza dell'essere"
ma soltanto per momenti veloci e transitori,
Poi, dentro questa cornice,
in una vita di diseqilibri continui
che danno come risultante una condizione di accettabile equilibrio
(come è nel caso della dinamica che sottende l'andare in bici)
ognuno saprà individuare,
e trovandoci continamente impegnati in na lotta per l'omeostasi
i suoi personali momenti di felicità,
ma sempre e solo per differenza
Insomma, dobbiamo tenere conto del fatto che,
in una condizione di "normalizzazione" dell'infelicità quotidiana,
vi possano essere momenti fulgidi e straordinario
nei quali possiamo avere la sensazione
di toccare il cielo con un dito
o di levitare a tre metri o a 15 metri da terra
Abbiamo sempre a che fare con forze contrapposte
che, dentro di noi, si integrano ed interagiscono di continuo,
come lo Yin e lo Yang della tradizione orientale
ambedue le forze fondamentali e necessarie
nell'equilibrio dell'intero universo
e del singolo individuo

Non è detto che la felicità significhi una vita senza problemi.
La vita felice viene dal superamento dei problemi, dalla lotta contro i problemi, dal risolvere le difficoltà, le sfide.

Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio, sforzarsi.

Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato.

Zygumnt Baumann (Il Cenacolo Intellettuale)

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29 dicembre 2015 2 29 /12 /dicembre /2015 08:04
Vivere come se ogni giorno potesse essere l'ultimo

Pensavo a qualcosa mentre mi trovavo a camminare lungo vie deserte, di mattina prima dell’alba, confortato dal silenzio surreale e ovattato che mi circondava.

Mi dicevo che questi miei pensieri erano da scrivere, per fissarli.

Ma di cosa si trattava?
...

Ah, sì! Ora ricordo...

Pensavo al fatto che troppo spesso viviamo senza pensare alla morte e al morire.

Viviamo, come se fossimo eterni, destinati a durare per sempre.

E in questo siamo profondamente egoisti nei confronti di quelli che, alla nostra dipartita, saranno lasciati indietro.

Mentre camminavo a passo svelto, ancora nel buio, mentre i primi chiarori stentavano ad arrivare, ho ripercorso alcune tappe della mia vita in funzione delle morti che si sono succedute.

La morte (le morti e le dipartite di cui sono stato testimone) sono state molte, alcune più dolorose di altre.

La nonna Maria, dolcissima.

La prozia Irene, devota di Salvatore.

Mio padre, scomparso tragicamente e - in un sol colpo - anche la cugina Elisabetta (entrambi periti nel disastro aereo di Punta Raisi nel 1972).

Il cugino Gabriele scomparso dall’oggi al domani, in un tragico incidente, quando ancora la vita doveva dischiudersi davanti a lui con tutti i suoi doni.

La mamma, di cui paventavo sempre la morte improvvisa per un qualsiasi accidente, ma che - malgrado le mie orribili paure - è campata a lungo, assolvendo alla sua missione e al suo voto di efficienza.

E mio fratello Salvatore, ultimo della serie, tralasciando tutte le altre persone di famiglia, fratelli di papà e mamma, mogli e mariti.

Tralascio anche le morti improvvise di alcuni compagni di scuola, tutte morti anticipate, ma nella statistica.

Naturalmente, le morti più cogenti sono state quelle delle persone con cui ho vissuto.

Di queste morti, a parte il dolore, mi è stato risparmiato tutto, all’infuori del dolore.

Già, perchè la morte di qualcuno è fatta anche di infiniti, fatiganti, strascichi amministrativi e burocratici, di cui, sin dal primo giorno bisogna occuparsi.

Da queste cose sono stato protetto, direi. E, forse, a dismisura. Qualcun altro si è occupato di tutto, lasciando a me, soprattutto nel caso della morte della mamma solo alcuni compiti marginali.

La mamma, quasi all’ultimo, quando sembrava che stesse per andarsene (ma poi ci regalò alcuni altri giorni della sua compagnia prima di congedarsi per sempre) mi indicò un cassetto della sua stanza, dicendomi che lì dentro c’erano i documenti del cimitero. E questa cosa almeno la sapevo quando lei se ne andò. Ma, per tutte le altre, buio totale.

E dunque non ho imparato nulla, in corso d’opera: mi è sempre sfuggita la possibilità di costruirmi un prezioso bagaglio di know how.

E con la morte di Tatà ho sbattuto drammaticamente contro il muro delle mie incompetenze ed ignoranze.

Ho dovuto fare tutto da me: ed è stato doloroso, forse ancor di più che dello scontrarsi con il trauma della perdita.

Ora vorrei istruire qualcuno, possibilmente mio figlio Francesco, lasciando delle memorie scritte, e forse anche cominciare a spiegargli le cose passo passo, in modo da trasmettergli l’esperienza (dolorosa) che ho acquisito in questi mesi e fare in modo che lui, almeno, sia pronto e sappia quali sono i passi fondamentali da compiere.

E vorrei anche trasmettergli qualcosa dei ricordi di famiglia e delle storie delle mia vita, in modo tale, invitandolo a registrare in forma audio o scritta quanto io possa dirgli, in modo tale che quando io non ci sarò più o quando la memoria comincerà a tradirmi, gli rimanga una traccia scritta, con dettagli, eventi, date, nomi di persone, che - per quanto riguarda la mia famiglia - una volta scomparso io sarebbero persi per sempre.

Spesso gli adulti, quelli di una generazione avanti, sono “egoisti”, perché non volendo pensare alla propria morte (che potrebbe arrivare tra l’altro, non per vecchiaia, ma inattesa e precoce), mettono la testa sotto la sabbia ed evitano di intraprendere passi per istruire i propri figli sul morire e sulle incombenze post mortem che li attendono.

E non ci sono più nella nostra società anziani di riferimenti che possano sopperire con la loro saggezza e con le loro competenze all’ignoranza dei giovani su alcune questioni essenziali.

E non dovrebbe essere così.

Occorre vivere ogni giorno della propia vita come se potesse essere l’ultimo.

Occorre prepararsi e lasciare tutto a posto, in modo che chi rimane possa avere la strada spianata.

Il consumismo smodato dell’Occidente che include anche il consumo usa-e-getta dei giorni da vivere di ciascuna vita, e a vivere costantemente proiettati nel futuro di nuove acquisizioni, ci distoglie da questo compito pensoso e dalla necessità di mantenere costantemente un solido ancoraggio nel passato e nei luoghi (incluse le persone) da cui veniamo.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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