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22 luglio 2011 5 22 /07 /luglio /2011 18:42

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La Festa di Orfeo (Gargoyle, 2011) – in lingua originale La Fiesta de Orfeo – opera prima narrativa dello spagnolo Javier Sánchez Márquez, è di lettura godibilissima e piena di suggestioni letterarie e cinematografiche (ma anche antropologiche, per non parlare dei riferimenti all’occultismo magico).  

Si colloca, indubbiamente, ad una sorta di incrocio tra letteratura di genere poliziesco (nella tradizione delle indagini della coppia Holmes-Watson) e horror con venature splatter (la scena della “mattanza” di Longtown), ampi riferimenti occultistico-satanici (con la rappresentazione di messe nere dagli inattesi sviluppi porno-horror rasentanti lo snuff, di riti evocativi torbidi, di accurate descrizioni di oggetti che evocano le potenze luciferine e il Maligno), non mancando naturalmente i richiami alle tradizioni e ai culti esoterici “neri”, mai del tutto sopiti, dei “movimenti satanici”, in testa ai quali – per le sue diramazioni sin quasi alla nostra contemporaneità – va rammentato quello fondato da Aleister Crowley, evocato dal personaggio di lord Sherrinford Meinster, demonologo corrotto dal Male, cui fa da controparte il professore Arthur Alberline, che – pur ateo (ha perso la Fede in gioventù, a causa dell’esperienza diretta con gli orrori della seconda guerra mondiale) – tenta di contrastare il trionfo di Lucifero, monitorando tutti i fenomeni più strani che accadono in giro per il mondo, attenendosi tuttavia – almeno apparentemente – ad una ferma fede nella razionalità. Naturalmente, l’autore strizza l’occhio non solo ai detective "classici" della letteratura (la coppia formata da Andrew Carmichael e Harry Logan, agenti di Scotland Yard inviati ad indagare sulla strage di Longtown e sulle sue strane diramazioni), ma anche alla sfilza degli “investigatori dell’occulto”: in questa linea, Sánchez Márquez avrebbe avuto i numeri per dare un contributo – in termini di un racconto aderente al canone holmesiano – all’antologia  Il Grimorio di Baker Street (Gargoyle, 2010). Infine, con la sciarada di riferimenti e citazioni di cui è ricco il testo (alcuni più difficilmente individuabili, altri di più facile ed immediato riscontro), rende uno splendido omaggio alla cinematografia horror di quel periodo di cui vengono dati ampi e rigorosi dettagli. L’attore Peter Cushing, reclutato dalla Hammer per girare – assieme a Cristopher Lee nei panni della “Creatura”  – The curse of Frankestein (il film che strutturò appunto il sodalizio di lavoro con Christopher Lee), viene inviato da regista e produttore a “scuola di paura”, partendo dal postulato che la paura può essere interpretata  soltanto se la si è “veramente” conosciuta. E, a causa di ciò, transitando dall’incontro – poco efficace – con un abbottonato e troppo razionale Alberline, per il tramite della torbida – quanto bella – dottoressa Marianne Pearson, ad un colloquio con Meinster, viene invitato a partecipare ad un happening “speciale” nella dimora di quest’ultimo e immesso come “agente” in una serie di vicende strabilianti, assieme alla piccola “compagnia” di paladini che si forma (e anche qui, come in altri romanzi e film del filone horror, compare quel compagnonnage, di cui è prototipo il manipolo di eroi che si accinge a contrastare Dracula, sotto la guida di van Helsing) con Arthur Alberline, Andrew Carmichael, Harry Logan e lo stesso Peter Cushing.

Ma, non ultimo aspetto rilevante, il romanzo rende anche un grandissimo tributo alla cinematografia in generale intesa come “settima arte” e a quella – più nello specifico – della Hammer Films, generando, quindi, una riflessione sull’enorme potere di suggestione contenuto nelle immagini cinematografiche e sulla possibilità di trasmettere potenti messaggi subliminali che finiscono coll’influenzare significativamente le convinzioni, le azioni e le scelte dei fruitori del Medium cinematografico (ipotesi – non a caso – messa a lungo al vaglio dei servizi segreti USA).

Da questo punto di vista, del resto, la cattiva cinematografia, negli anni del secondo conflitto mondiale, è stata utilizzata come strumento di propaganda e di diffusione di “false” verità.

Come un tempo, circolavano i “grimori” (un grimorio o Libro delle Ombre è un libro di magia: e i libri di questo genere, che vennero scritti in gran parte tra la fine del Medioevo e l’inizio del XVIII secolo, contenevano soprattutto corrispondenze astrologiche, liste di angeli e demoni, istruzioni per creare incantesimi, preparare medicine e pozioni, invocare entità soprannaturali e fabbricare talismani. Pochi nella tradizione storica sono autentici, molti altri sono in realtà degli pseudobiblia), intesi come testi “maledetti” il cui possesso avrebbe consentito di padroneggiare le formule per evocare – dominandole – le Forze del Male, aprendo a loro delle porte di accesso al nostro mondo (come, ad esempio, nel bel romanzo di Franco De Stefani, Luce nera, edito da Il Punto d’Incontro, 2009), così nell’epoca della cinematografia si fa strada l’idea che possano esistere delle pellicole “maledette”, la cui visione genera il male e asservimento di chi ha assistito allo spettacolo, aprendo la via allo stabilirsi di un “nuovo ordine” nel mondo.

Questo è il vero fulcro narrativo del romanzo di Javier Sánchez Márquez, che va delineandosi a poco a poco per piccole scoperte successive, mettendo assieme le tessere in cui i protagonisti inciampano, come in un puzzle, a partire dal primo e inquietante resoconto enunciato da un turbato Boris Karloff. La festa di Orfeo è anche la storia serpeggiante (di cui quelli che la conoscono preferiscono tacere) di un film malefico La fête du Monsieur Orphée, realizzato da due cineasti, seguendo le precise indicazioni di Lucifero in persona.

Ma su questi aspetti che rappresentano la struttura portante della trama e garantiscono al lettore l’effetto sorpresa non si può dire troppo, perché altrimenti gli rovineremmo il piacere della scoperta.

Rimane da dire tuttavia che il romanzo di Sánchez Márquez propone certamente una speculazione estremamente suggestiva (che si innesta – tra l’altro – nel dibattito sulla nocività dei videogiochi che vengono utilizzati dagli adolescenti e di cui esistono tipologie davvero nefaste, come i giochi di guerra, oppure quelli in cui si impersonano personaggi crudeli e violenti) e su quello dell’esistenza o meno dei cosiddetti snuff movies,

In un recente romanzo (John Marks, West side Transilvania, Edizioni E/O, 2010), Ian Torgu, vampiro transilvano del XXI secolo, contattato per un’intervista da Evangeline Harker, produttrice di un potente network statunitense, la prende in ostaggio, inviando subito dopo al suo network una serie di filmati “vuoti” (in cui si vede un’inquadratura fissa su di una sedia vuota con una colonna sonora fatta di soli, inquietanti rumori di sfondo). Questi filmati  immettono virus nelle reti interne dei computer del network, inquinando le menti di tutti gli operatori, dei produttori e dei dirigenti (che sentono e poi a loro volta ripetono come una litania  i nomi di luoghi dove sono state perpetrate stragi e delitti contro l’Umanità) e le persone “contagiate” da questa pressione occulta a poco a poco mutano di personalità, convertendosi al Male (che equivale a godere delle stragi, delle uccisioni, delle guerre: del resto è questa la vera pornografia mediatica: l’alimentarsi di continuo di immagini del Male che sono quelle a cui siamo ormai assuefatti e, a noi, appaiono ciò che ordinario, di cui alimentare la psiche).

Il procedere della narrazione è avvincente e pieno di colpi di scena. L’autore riesce ad utilizzare, integrandoli bene, tutti gli artifizi narrativi “classici” del genere (l’epistola, le annotazioni diaristiche, narrazioni inserite nelle narrazioni) per dar vita – un po’, a tratti, come in Dracula – ad una narrazione policentrica che si distende nel tempo e nello spazio, con incursioni a partire dal qui e ora che ha come centro l’indagine poliziesca, prima sulla scena del crimine efferato di Longtown e poi a Londra, dove si consuma il resto della vicenda.

Il risultato, come scrive lo stesso autore in chiusura al volume in una “classica” pagina di ringraziamenti, è un abile ibrido narrativo, “…un innocuo mostro di Frankenstein, creato a partire da attimi di nostalgia, passione letteraria e scariche adrenaliniche di cinema” (p. 291).

Tale effetto è anche prodotto dal fatto che Sánchez, proprio per via del breve enunciato riportato sopra, travasa nel romanzo le sue passioni letterarie e cinematografiche e gioca a rimpiattino con il lettore, disseminando il suo testo di indizi e di riferimenti, che non sempre – come in una sciarada – sono identificabili. Ogni lettore ne scoprirà solo alcuni, contento di anticipare la delucidazione offerta dalla nota al testo corrispondente, mentre – in altri casi – dovrà cedere le armi oppure a – sorpresa – arriverà la nota a spiegargli la ricchezza della filigrana di quel dettaglio, rendendolo significativo e non più un banale accessorio.  

Una lettura dunque che, per alcuni versi, va avanti come una sciarada e che, se cominciata, si deve proseguire senza interruzioni fino alla conclusione.

Come in molte opere di genere, ciò che conta veramente è l’abilità dell’autore di tenere in sospeso il lettore (e se stesso, mentre scrive) a spingerlo ad andare avanti sino alla prossima sorpresa, alla prossima scoperta, al prossimo brivido o colpo di scena.

Come in molti romanzi che fortemente catturano il lettore, anche qui la conclusione pare troppo affrettata e precipitosa e lascia con un certo dispiacere, perché – senza volerlo veramente – ci si ritrova a doversi congedare da quei personaggi con i quali si è acquisito tanta familiarità e con cui ci si è in parte identificati: in fondo, la qualità dei romanzi si gioca tutta nella loro capacità di attivare attraverso lunghi preliminari la nostra libido di lettori e, quando si arriva alla “conclusione”, subentra la malinconia.

Parafrasando una famosa frase di altro tipo (attribuita ad Aristotele), si potrebbe dire che post lecturam omne animal triste. Ovviamente, se hai amato quel testo: ed è ciò che capita con La festa di Orfeo.

Unico punto debole, a mio avviso (ma è solo la mia opinione personale) le scene di azione (come il memorabile duello finale, con Peter Cushing abile spadaccino; oppure la precedente incursione del duo Alberline/Fleming nei sotterranei del perfido Meinster con tanto di confronto all’ultimo sangue con i suoi scagnozzi) suonano, rispetto a tutto il resto, un po’ acerbe (ci si rende che manca qualcosa in termini di “raffinamento”) e si fanno un po’ piatte: la mera descrizione di azioni.

Ma questo è solo un piccolo neo che, assolutamente perdonabile, non guasta l’insieme.

Trattandosi di un romanzo che presenta tra i suoi personaggi Peter Cushing e l’esordio della Casa Cinematografica Hammer nella sua avventura del ri-concepimento del genere horror in celluloide, è quanto mai opportuna – e utile – la prefazione (dal titolo “Nuovo cinema Inferno”) scritta da Franco Pezzini e Angelica Tintori, grandi esperti della cinematografia horror sia per il modo in cui hanno sviluppato una storia della cinematografia sul vampiro, ma soprattutto per il loro recentissimo Peter & Chris. I Dioscuri della notte (Gargoyle 2010), nella quale tratteggiano il complesso e lungo sodalizio di lavoro e di amicizia tra Peter Cushing e Christopher Lee, raccontando nello stesso tempo un pezzo importantissimo della storia della cinematografia horror degli anni Sessanta e Settanta.

 

Sintesi del romanzo

“1956: l’Inghilterra è sconvolta dalla raccapricciante strage di Longtown, avvenuta alla frontiera scozzese. Centinaia di bambini sono stati uccisi selvaggiamente: i loro corpi – violati e mutilati come a osservare un macabro e arcano rituale – sono stati trovati carbonizzati e aggrovigliati in un’aberrante piramide umana, rinvenuta nella chiesa del villaggio. Era qui che i piccoli si erano riuniti per vedere la proiezione di un film su invito del parroco locale, anch’esso assassinato. Il Governo dispiega tutte le sue forze in pompa magna: l’Esercito, teso ad assicurare il massimo stato di protezione agli abitanti della contea, gli esperti scientifici, impegnati a fare ogni tipo di rilievo, e naturalmente gli agenti di Scotland Yard, pronti a imbastire un’indagine a 360°. Chiamati a occuparsi del caso sono Andrew Carmichael, ispettore dal fiuto ineguagliabile per casi un po’ fuori dalla norma, e il suo assistente Harry Logan.

Nello stesso tempo, una piccola casa cinematografica, la Hammer, decide di cimentarsi nel rilancio della filmografia horror producendo un’innovativa versione a colori del Frankenstein con la regia di Terence Fisher. Ne sarà protagonista Peter Cushing: per entrare nella parte, però, è previsto che l’attore segua un peculiare apprendistato: egli dovrà essere capace di incutere realisticamente il terrore nel pubblico oramai smaliziato del secondo dopoguerra, e, per farlo, dovrà venire in contatto con le fondamenta della paura umana più ancestrale, al punto da essere in grado di attraversarla: solo in quanto capace di sostenere direttamente javier-marquez-sanchez.jpgl’incontro col terrore, infatti, Cushing potrà essere considerato dagli spettatori interprete credibile dell’inquietante nobile scienziato. Nella sua preparazione sui generis, il popolare attore s’imbatterà in due ciceroni dalle personalità antitetiche – il professor Arthur Alberline, eminente storico, esperto di aspetti antropologici e religiosi, e lord Sherrinford Meinster, demonologo e collezionista spasmodico di tutto ciò che è legato al Maligno – e finirà coinvolto, suo malgrado, nell’inchiesta – frattanto spostatasi a Londra, scenario di altri delitti – condotta dai poliziotti Carmichael e Logan; inchiesta che porta a una misteriosa pellicola risalente agli anni del Cinema muto, intitolata La fête du Monsieur Orphée…

 

L’autore

Javier Sánchez Márquez, nato a Siviglia nel 1978, è uno scrittore spagnolo decisamente originale; giornalista e saggista, attualmente collabora con diverse testate ed è il vicedirettore della rivista Cambio 16. In qualità di esperto di musica rock ha pubblicato alcuni lavori dedicati a Big come Bruce Springsteen, Neil Young, Simon & Garfunkel, ed Elvis Priesley oltre che un’enciclopedia musicale. Un’altra sua grande passione, l’horror cinematografico d’annata, è servita invece come fonte d’ispirazione primaria per questo suo romanzo d’esordio: La fiesta de Orfeo (La festa di Orfeo).

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

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