Cammino nei pressi del parco vicino casa, immerso nella mia passeggiata mattutina, e - mentre sto ancora attraversando la piazza - sento dei pianti disperati la cui intensità sale sino ad un picco, per poi scendere e riprendere a risalire.
Mi avvicino. C'è del trambusto nei pressi del cancello di una delle villette che costeggiano la strada semicircolare che contorna la villa.
Una bambina di sette-otto anni ha attraversato la strada e attende paziente sul marciapiedi.
Dal cancello semi-aperto giunge sempre il pianto fastidioso come il suono prodotto dalla puntina che s'è inceppata nello stesso solco di un disco.
Al pianto fa da contraltare una voce adulta, di un uomo.
Da lontano, non distinguo bene le parole che dice.
Le parole sono coperte dal pianto che non smette mai.
Dice l'adulto, forse il papà, "...no, non possiamo prenderla non c'è la benzina".
E, con fare più deciso, si affaccia al cancello semi-aperto.
Con una valigetta da lavoro in mano, è vestito bene, in giacca e cravatta: è mattino presto, del resto, e si starà recando sul posto di lavoro.
Dietro di lui, il bambino da cui origina tutto quel piangere. Avreà tre o quattro anni.
Piange, ha la faccia rossa, congestionata.
E' quel tipo di situazione in cui si attiva una specie di meccanismo a corto circuito (un po' isterico, si potrebbe dire) in cui il pianto si alimenta da sé, con un dipendio di energia enorme, al di là di qualsiasi ragionevolezza. Un pianto tutto in espirazione che quasi impedisce il respiro regolare.
Un tempo, i genitori (come sono stato educato io, ad esempio) non esitavano a ricorrere ad un metodo drastico: una bella sculacciata spiazzante e spesso il problema si risolveva in un attimo, con il pianto che si spegneva in un piagnucolio sempre più esile, sino al silenzio.
Ma oggi non si può più.
Il papà si allontana, passando dall'altro lato della strada che è poco trafficata. Il bimbo sempre a frignare rimane sulla soglia del cancello semi-aperto.
Piange, sempre in quel modo e intanto dice - o meglio grida - "...la macchina. ...la macchina... Voglio andare in macchina".
Mi si chiarisce il problema: quel papà si accingeva ad accompagnare i suoi bimbi a scuola o, piuttosto, al baby parking più vicino.
E voleva farlo andandoci a piedi. Il bimbo piccolo si è intestardito che vuole andarci in auto e non sente ragioni.
Si è delineata una situazione di stallo: quel bimbo con il suo pianto domina il padre che non sa più che pesci prendere, una volta fallite le armi del bonario convincimento.
Situazione difficile, indubbiamente: che dà la misura di quanto il ruolo paterno (forse più genericamente una funzione genitoriale) sia logorato e debole.
Quale soluzione/strategia adottare?
Trascinare di peso il bimbo urlante al baby parking? Potrebbe essere stata una soluzione in passato: oggi ci sarebbe il rischio che qualche benpensante chiami Telefono azzurro per segnalare che una violenza viene perpetrata su di un minore.
Chiudere il cancello e lasciarlo urlante dietro in cancello? Anche questa soluzione potrebbe suscitare da parte di quegli stessi benpensanti analoghe reazioni e, in ogni caso, l'avrebbe vinta il capriccio montato dal bimbo.
Invocare l'intervento di una mamma in questo momento assente? Forse: per alcune cose ci vuole la mamma che faccia da mediatrice e che si attivi con una serie di tenerezze e abbracci avvolgenti.
Invece, il papà in questo momento è lasciato da solo, senza la possibilità di utilizzare alcuno strumento normativo, dopo aver esaurito tutte le sue risorse di convincimento con le buone.
Impasse.
Il bimbo per contro dimostra di possedere una notevole dose di caparbietà che, un giorno forse, potrà tornargli utile, ma che nel suo percorso di crescita dovrebbe essere addolcita e regolata.
Non so trovare una conclusione e nemmeno trarre un ammaestramento da questo piccolo sketch di cui sono stato testimone.
Quel pianto reiterato ed incessante prima mi ha allarmato e poi, quando ne ho appurato la causa mi ha soltanto infastidito.
Penso soltanto che sia sempre difficile fare il mestiere di genitore e che, forse, nel loro percorso di crescita, i bimbi sono lasciati sempre più soli tra tate, televisori e videogiochi e che dunque imparano soltanto a seguire il loro capriccio e la loro volubilità, lasciando spiazzati dei genitori sempre più impreparati e deboli nelle loro funzioni.