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Giaccio sulla panca di sasso
ingentilita da una coperta di grassi fiori purpurei
Via vai di api laboriose
dentro e fuori le corolle carnose
dove vorrebbero ancora impollinare
ma quei fiori hanno esaurito il loro ciclo vitale
- loro, le api, non lo sanno, sembra -
e sprigionano già l’odore greve della decomposizione
I gabbiani veleggiano,
mentre i piccioni ormai sempre più sparuti
timidi si nascondono
Abbandonato sulla dura pietra
dormo
per un attimo sogno, forse,
all'improvviso i raggi obliqui
del sole nascente
mi colpiscono di taglio il volto
gli occhi ancora chiusi
Cambia la temperatura
ma il freddo della panchina sotto le schiena e le natiche
continua ad essere di sollievo
e gusto così la carezza calda del sole
sulla pelle
Poi,
splish splash,
vengo bersagliato dai gentili doni
di un gabbiano in volo
Apro gli occhi e li volgo al cielo
accettando l'imprevisto
con stoica attitudine
Mi alzo e vado
fiducioso
verso un nuovo giorno
Manco a farlo apposta Splish splash è il titolo di una canzone in stile Elvis degli anni Sessanta motivo per cui ho modificato il titolo aggiungendovi "splosh"...
Luce abbacinante
nel pieno del pomeriggio
Aria calda e asciutta
Saremo presto al giorno più lungo
E subito l’anno
volgerà al declino,
mentre l’estate darà i suoi frutti
Non cedo alla lusinga della luce piena e forte
Mi chiudo piuttosto nella fresca ombra di casa
Non voglio neppure guardarla,
questa luce,
che mi fa strizzare gli occhi
e fa male all’anima,
né espormi al fiato caldo del sole
Ciò che più voglio
è stare nella semioscurità della stanza
come una talpa
ma con i miei libri accanto
a leggere,
leggere,
dormire,
sognare
E ho sognato che correvo,
correvo all’infinito
con leggerezza sublime
ad ampie falcate
e, ad ogni passo,
un interminabile tempo di volo
Trasportavo una grossa pietra tondeggiante
sotto il braccio
Era ben pesante:
eppure non mi appesantiva nel mio andare
E volando nella corsa
giungevo a quella che sentivo essere
la mia destinazione,
il liscio mare di oro fuso
nel quale in un ultimo empito
dall’aggettante dirupo
mi lanciavo
sempre stringendo a me
quel fardello pietroso
E poi l’oblio
Durante la II Guerra Mondiale, i londinesi per proteggersi dai bombardamenti tedeschi si rifugiarono nei tunnel della metropolitana che, già allora, era estesissima e ramificata, ponendosi di fatto come un enorme rifugio antiaereo già a disposizione.
Dicono che, una volta cessato l'allarme immediato, alcuni, per paura, ci rimanessero nei giorni successivi a bivaccare per proteggersi così dall'imprevedibile prossimo raid.
Senza che fosse stato previsto dal piano di protezione della popolazione civile, all'interno delle gallerie nacquero punti di vendita (ambulanti o anche fissi) di ogni genere: dal venditore di The caldo, al libraio fornito di un suo barachino mobile, a quello che somministrava generi di ristoro diversi etc.
Si creò nella profondità dell'Underground londinese un abbozzo di società civile.
Tra i governanti britannici, così racconta uno storico inglese in un suo libro che contiene una serie di piccoli saggi sulla "Londra sotterranea", si generò paura che la popolazione scesa nelle gallerie - una volta assuefattasi a quelle diverse condizioni di vita - non sarebbe più risalita alla superficie. Per questo motivo, essi scoraggiarono queste forme di iniziativa spontanea e, una volta cessata l'emergenza, proibirono decisamente ogni bivacco sotterraneo (si veda al riguardo Peter Ackroyd, I Sotterranei di Londra, Neri Pozza, Il Cammello Battriano, 2014).
C'è in questo piccolo frammento di storia - che suona quasi come un apologo - un insegnamento relativo alla dimensione claustrofilica che con facilità nella vita di una persona qualsiasi (anche molto attiva ed estroversa) può da un momento all'altro prendere piede e radicarsi.
C'è il fascino potente del claustrum come luogo fisico (ma anche un luogo della mente) nel quale ciascuno può rifugiarsi e stare perché lì non "non temerà alcun male"
Quando si cominciano ad apprezzare le gioie e l'infinita sicurezza del claustrum può diventare difficile tornare indietro, risalire alla superficie o venire fuori negli spazi aperti .
Specie se, in quello spazio claustrale, hai a disposizione tutto ciò di cui puoi avere bisogno.
Quando morì mio padre io che, allora, ero ancora studente universitario, mi insediai nella stanza adibita a suo studio personale, il suo "Sancta Sanctorum". Lì, lasciando tutte le sue cose, aggiunsi come stratificazione aggiuntiva le mie: libri di studio, libri di altro genere (narrativa o saggi) dischi, oggetti personali di ogni genere.
Quella per me divenne una stanza accogliente, dove - a prescindere dalle ore dedicate allo studio - passavo gran parte del mio tempo. Mi piaceva molto anche quest’idea delle stratificazioni archeologiche in cui io andavo aggiungendo il mio strato a quello di mio padre che, a sua volta, nel suo studio aveva collocato libri e oggetti di pertinenza della generazione che lo aveva preceduto.
E la cosa curiosa è che, per motivi complicati (di cui qui non parlerò), nel corso dell’ultimo anno specialmente, ho fatto ritorno a quella stanza in pianta relativamente stabile, colonizzandola con oggetti del presente (o del passato recente) e aggiungendo quindi un ulteriore strato a quelli precedenti, compreso il lungo periodo in cui mio fratello aveva utilizzato la stanza come ufficio del Coordinamento H.
Era questa la stanza dove, all'occorrenza accoglievo anche i miei amici o dove portavo le mie fidanzate (anzi, nei loro confronti, il farle entrare dentro questa stanza era una prova molto speciale).
La stanza infatti non solo era un luogo fisico, ma anche era uno spazio della mente molto personale ed intimo.
In quel periodo sentii intenso il fascino del claustrum di cui accennavo prima: più stavo in quella stanza più mi veniva difficile uscirne fuori. Pensavo: Qui ho tutto ciò che mi serve, perché mai dovrei fare la fatica di uscire?
Ma quella fu soltanto una fase transitoria.
Poi, uscii di nuovo a riveder le stelle, per riecheggiare il verso dantesco.
Ma l'attrazione del claustrum è sempre potente (affascinante ed insidiosa assieme). E come non ricordare qui il bellissimo saggio di Elvio Fachinelli, Claustrofilia (Adelphi, 1983)?
Cammino nella luce chiara del primo mattino
Il ginocchio incerto, il piede dolente
Un passo dietro l'altro
Esco al mattino
dicendo a me stesso
Vado a fare due passi con Frida
l'amico cane defunto e sepolto
Anch'io a piedi con il mio cane fantasma
della congrega numerosa
di coloro che si fanno accompagnare
da uno stuolo di ombre
E' duro abbandonare le vecchie abitudini
E' duro lasciar andare le cose
Il tempo dei commiati - Frammenti e pensieri sparsi
Giorni vuoti la casa vuota una sepoltura improvvisata in mezzo ai cipressi messi a dimora anni prima per onorare un altro amico a quattro zampe pietre su pietre terra alla terra una piccola lapide ...
http://www.frammentipensierisparsi.net/2019/01/il-tempo-dei-commiati-04.html
Piazzetta di borgata
e alberi rivestiti di verde tenero
e siliquastri risplendenti
di gemme amaranto
e, per loro, il manto di smeraldo
non è ancora arrivato
Tempo lento
C'è una giostrina
ferma e silenziosa
E c'è anche una mini-ruota
dotata di navicelle-mazinga
che oscillano lievi,
ma non ci sono bambini
e mancano voci, giochi e risa
Panchine numerose,
anch'esse vuote
molte di loro
quasi del tutto sommerse
dalla crescita selvaggia
di erbe infestanti
Solo dalla spalliera di una
emerge una testa rivestita di candidi capelli,
talmente immobile
da far pensare ad una statua
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Questo scritto l'ho recuperato da una vecchia galleria fotografica su Facebook (Aprile 2013), di cui era il commento.
In quelle foto c'era mio fratello, ed anche Frida, allora nel pieno delle forze.
Testo e galleria fotografica sono il ricordo di uno dei tanti momenti che condividevo con mio fratello: lo accompagnavo alle sue riunioni e poi me ne stavo a vagabondare nei dintorni, senza meta.
Raccogliendo pensieri ed immagini.
Una con i capelli turchini
come la fatina di Pinocchio
attraversa la strada,
svagata
Uno con barba e capelli da nazareno
cammina con lo sguardo sognante
immerso in chi sa quali salvifici pensieri
Una scura con i capelli afro scolorati
e raccolti in un tuppo enorme, torreggiante,
con improbabili estensioni alla vita
incede di sbieco come una chioccia
senza i suoi pulcini però
Ecco, non c'è due senza tre
Strani incontri
Strangers things
stranger days
Ogni tanto si cammina svagati per le strade e capita di osservare - senza che l'occhio ricerchi alcuna particolarità - delle stranezze tematiche che - chi sa perchè - ti colpiscono e ti rimangono impresse.
A volte, é stupefacente il fatto che alcune percezioni, unite da un tema comune, si presentino a grappolo, quasi che esse fossero già nella tua mente, prima ancora che nella realtà.
Riemergono poi nel ricordo, secondo quella particolare costellazione e ti viene voglia di lasciarne una traccia...
Giorni vuoti
La casa vuota
Una sepoltura improvvisata
in mezzo ai cipressi messi a dimora anni prima
per onorare un altro amico a quattro zampe,
pietre su pietre,
terra alla terra
una piccola lapide
la ciotola con i biscottini preferiti
e una pallina per i giochi
Frida è rimasta lì in campagna
Negli ultimi tempi,
quando andavamo,
poi voleva rimanere
Anziché avvicinarsi a me
per salire in auto,
se ne stava immobile vicino alla casa,
a guardarmi
Ero costretto a trascinarla
e a farla salire
Era come se quello fosse da sempre stato
il suo posto designato
Ora Frida é là
contenta, io voglio immaginare,
perché sta riposando in pace,
mai io andrò sempre a trovarla
come non smetterò mai di chiamarla
Frida! Frida!
Andiamo, è tempo di andare!
Ma per una volta, in verità, è stata lei a dirmi,
senza parole,
E’ tempo di andare!
per ricordarmi che il tempo dei commiati
arriva sempre, inesorabile,
per tutti,
quando solo ombre saremo
Frida's last day. Vorrei ricordare qui che Frida (2003-2019) fu "figlia" del Ser.T (discendente da una cagnona dal pelo tutto bianco che per questa sua caratteristica era stata chiamata appunto "Bianca" e che era stata adottata dagli operatori della struttura, dotata - per le sue necessità - di un ampio giardino interno; il Ser.T (Servizio Tossicodipendeze) fu il luogo in cui lavorai sino a buona parte del 2004. Frida è stata in assoluto il cane più longevo tra quelli che ho avuto nel corso dei decenni.
Mi ha accompagnato nello spostamento dal Ser.t ad altra sede lavorativa, nel passaggio all'età felice del pensionamento e mi è stata vicino in un periodo in cui si sono alternati lutti ma anche importanti cambiamenti e felici eventi.
Frida è stata sempre una testimone silenziosa e fiduciosa, molto monella ed indisciplinata: essendo una meticcia aveva la tendenza spiccata a seguire i suoi istinti.
Il veterinario mi diceva che secondo lui, a giudicare dalla chiazze scure sul dorso che si intravedevano sotto il pelo bianco, doveva avere degli ascendenti di cani cacciatori, quelli che hanno appunto le "roane".
Era molto monella, scappava sempre sempre per andare a razzolare tra i rifiuti dove trovava sempre saporiti bocconi (per lei) oppure, quando eravamo in campagna si allontanava per andare a rotolarsi voluttuosamente su resti immondi, fossero escrementi vecchi oppure resti organici di vario tipo: e da queste imprese ritornava poi tutta orgogliosa (e puzzolente): un puro orgoglio canino per il quale non si poteva mai rimproverarla.
L'ho sepolta in campagna, a Piano Aci.
E questo è ora il posto dove Frida giace in pace.
Soffia il vento. Stormiscono le fronde e si vede in lontananza il mare.
E' un luogo di pace.
Ma qui tornerò a lavorare ancora per sistemare meglio questa sepoltura improvvisata.
Forse, porrò anche una piccola lastra di marmo con su inciso il nome di Frida e le indicazioni dell'arco della sua vita.
Forse, vicino alla piccola lapide, metterò ad ardere una piccola fiammella di cera.
Con Gabriel, verremo di sicuro a portare dei fiorellini per salutarla ancora e ancora..
Tutti i cani che ho avuto sono stati per me dei grandi amici, perché con loro ho sempre condiviso le mie solitudini, che c'erano sempre, anche quando ero circondato da altri.
La solitudine è una condizione basilare dell'esistere e bisogna essere consapevoli di ciò.
I nostri amici a quattro zampe ci aiutano in ciò, perché condividono la nostra solitudine con i loro silenzi e con quella fiammella inestinguibile di amore che brilla nei loro occhi, quando ci guardano.
A volte noi non li ripaghiamo mai abbastanza con gratitudine.
Si è addormentata in auto, mentre - come sempre - andavamo in campagna. L'avevo messa dietro, nel portabagagli, perché davanti stava scomoda ed era irrequieta. Improvvisamente, mentre viaggiavo, ho avuto la netta sensazione di un'assenza, di un vuoto. Ma non perché fosse cambiato qualcosa nel panorama delle mie senso-percezioni: eppure ho avuto questa impressione in modo ben preciso. E ho pensato: "Frida se ne è andata". Infatti, quando siamo arrivati e ho aperto il portellone, Frida si era come addormentata ed era volata via.
Ciao, Frida. Rimani nei nostri cuori! Avrei voluto chiuderle gli occhi, come si fa con le persone. Ma non ci sono riuscito.
Il posto che ho scelto per la sua sepoltura lo avevo già individuato da tempo. Da quando Frida aveva cominciato a stare male, cioè. E' lo stesso luogo della sepoltura di una cagnolina, una cucciola di pastore tedesco, Theela si chiamava, morta precocemente poco dopo i suoi tre mesi di età. Così Frida non sarà del tutto sola: Gli altri cani stanno sepolti in un'altra parte del terreno, vicino alla casa, un po' più in basso.
Ho dovuto procedere in fretta perchè non avevo molto tempo a disposizione: dovevo ripartire in tempo per andare a prendere Gabriel a scuola...
Prima di mettere la terra ho steso su Frida il tappetino su si sdraiava in auto, per evitare il contatto diretto tra la terra e il suo corpo e, accanto a lei, ho posato il suo guinzaglio
Poi, ho messo a dimora una piantina. Mi piace pensare che le radici del giovane virgulto si nutriranno di Frida e che Frida possa ricrescere come albero (e in ogni caso nutrirà i cipressi che le stanno vicino)
Ciao Frida! Un giorno, forse ci rivedremo, quando anch'io sarò ombra: se esiste un luogo in cui vanno tutti i cani morti e i loro padroni è possibile che ci rincontriamo.
Questo è il posto di Frida. Soffia il vento. Stormiscono le fronde e si vede in lontananza il mare. E' un luogo di pace. Ma qui tornerò a lavorare ancora per sistemare meglio questa sepoltura improvvisato. Forse, porrò anche una piccala lastra di marmo con su inciso il nome di Frida e l'arco della sua vita. Forse, vicino alla piccola lapide, metterò ad ardeTutti i cani che ho avuto sono stati per me dei grandi amici, perché con loro ho sempre condiviso le mie solitudini, che c'erano sempre, anche quando ero circondato da altri. La solitudine è una condizione basilare dell'esistere e bisogna essere consapevoli di ciò. I nostri amici a quattro zampe ci aiutano in ciò, perchè condividono le nostre gioie ma anche pene e dolori. Sono presenti, dei testimoni muti, ma preziosi compagni.
Nubi plumbee
gravano sulla città al risveglio
pioggia gelida e raffiche di vento
ombrelli che si schiantano
monnezza alla deriva nelle pozze di acqua piovana
foglie secche e oggetti di plastica sparsi
lungo i marciapiedi
quasi fossero stati lanciati ad arte
da netturbini burloni o forse dispettosi
gatti morti, abbandonati da giorni,
si guardano attorno con occhi ciechi,
le cornee opacate e il pelo arruffato
Poi, dopo tanto travaglio e tormento,
si affaccia il sole e scampoli di cielo si aprono nell’azzurro
Pioggia e vento
Tuoni e fulmini
Foglie secche cadute
ridotte in poltiglia
Il vento ritorce gli ombrelli
e li trasporta via
Poi, rimangono per terra
come fiori appassiti
un passo dopo l’altro
la mia passeggiata con i cani
scansando pozze d’acqua
guadando altre pozzanghere
troppo vaste per evitarle
Faccio così il trailer urbano, o anche
il cercatore di tracce addomesticato
E così procedo
di pozza in pozza
nulla trovando sul mio cammino
l’ombrello chiuso stretto nella mano,
Inutile orpello per oggi
Se lo aprissi
in un attimo
volerei via
chi sa dove
in un altro luogo
in un altro tempo
altroquando
E questo è quanto
E questo scrissi forse due anni dopo...
Questa pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari,
racconti e piccoli testi senza pretese.
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.
Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.