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19 aprile 2016 2 19 /04 /aprile /2016 19:43
Non sono più Silver Surfer

Cammino all’alba
in solitudine
lungo vie deserte

Attraversando il piccolo parco vicino casa
cè la pace
c’è l’aria fresca e pulita del primo mattino,
mentre s'intrecciano le voci degli uccelli,
tutte diverse, a formare un piccolo mosaico sonoro

E’ un equilibrio dinamico, in continua trasformazione,
un dispositivo caleidoscopico che incanta la mente

Poi, spostandomi ancora,
raggiungo la via principale
dove scorre il traffico mattutino

Una moto passa con un rombo fastidioso,
si sente l’ansimare pesante dei bus,
carichi dei lavoratori più precoci
Insidiose polveri sottili cominciano a levarsi

Come accade ogni mattina,
incrocio una camminatrice, elegante e profumata:
passa di lì sempre allo stesso orario, facendomi da segnatempo
La saluto al passaggio: “Buongiorno!”,
ma lei mi ignora

Altri passano, volti ormai a me noti,
ma pur sempre persone sconosciute
Cosa fanno?
Chi sono?
Cosa pensano?
Dove vanno?

Nel sogno di questa notte, qualcuno arrivava
all'improvviso
e, come una furia, cercava di scaraventare il mio PC a terra,
io mio opponevo,
e, alla fine, la mia postazione di lavoro era salva,
una colluttazione senza spargimento di sangue.
Ma per quanto tempo ancora?

Poi, mi spostavo altrove

Ed ero in una casa, a più piani,
dov'era in corso una festa sfrenata,
ma nessuno mi prendeva in considerazione:
ero condannato all'invisibilità sociale
Cercavo di farmi notare,
di far sentire la mia voce,
di ricevere attenzioni,
ma nulla accadeva
Sino a che comprendevo:
per essere accettato da quella comunità festaiola
dovevo buffoneggiare,
coprendomi di ridicolo
E così ho fatto: funzionava davvero!
Ma poi, dopo un po’,
quando io stesso cominciavo a divertirmi,
ecco che un crampo doloroso alla gamba
mi ha costretto ad interrompere

Ed è rimasto solo il rammarico
per una cosa bella finita anzitempo:
con la scoperta che, spesso,
dietro l’odio si nasconde l’amore
Poi, poi, cos'è veramente l'amore?

Silver Surfer al femminile

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16 aprile 2016 6 16 /04 /aprile /2016 08:58
Il mondo in frantumi (e la traccia della memoria)
Il mondo in frantumi (e la traccia della memoria)
Il mondo in frantumi (e la traccia della memoria)

Il mondo è pieno di folli
crazy people
con il patentino della normalità

E non c'è come difendersi

Si comprende da frasi che si intercettano al volo,
per strada

Gente inutilmente accalorata

Discussioni al telefono,
di cui arrivano solo frammenti insulsi,

discussioni private che però diventano pubbliche,
senza pudore e ritegno

Modi di reagire il più delle volte sopra le righe

Tutto un fermento di comportamenti esasperati ed esasperanti

Sembra che nessuno sia più in condizione di rapportarsi all'altro
in modi quieti
o di starsene seduto a guardare un filo d'erba che trema timido nel vento
o a leggere un libro

Gente che urla in auto con i finestrini abbassati,
cosicché tutti possano sentire turpi e futili litigi
e, intanto, gesticola e contorce il volto

Colpi di clacson adirati ed impazienti, rabbiosi,
appena ti trovi ad indugiare

Dov'è finita la gentilezza?

Gente che perde la testa per un nonnulla
“Io”
“Io”
“IO”

Cani che mordono cani,
perseguendo neo-bisogni,
quando si potrebbe vivere davvero con poco

Tutti esasperati,
esagitati,
febbrili,
assertivi allo spasimo di se stessi
e poco o nulla importa di punti di vista alternativi,
arroganti
Ignoranti,
stupidi
E niente è peggio della stupidità,
accompagnata dall'arroganza

 

L'odio per l'altro da sé
Non c’è meticciato di punti di vista

E poi questo parlare,
parlare,
parlare in un flusso ininterrotto
ascoltando solo se stessi mentre si blatera

Vorrei stare in un luogo del silenzio
in cui non sia dato l'obbligo di interagire con alcuno

Dove potersi fare i cazzi propri,
contemplare,
agire se il caso - ma in modi sempre rispettosi -
non dover subire per amore di pace

Siamo noi,
siamo noi senza più fede,
senza più scopo,
senza regole,
senza giustizia
in un mondo in frantumi

E stiamo perdendo noi stessi

NaftalinaMentre scrivevo queste righe, all'improvviso sono stato colto da una breve ed intensa quasi allucinazione olfattiva.
Cos’è mai stato?
Mah...
Era l’odore della naftalina della mia infanzia. Quell’odore che ti colpiva con forza quando si aprivano gli armadi dove si conservavano le cose di lana dell’inverno che, per proteggerle dal sempre temuto lavorìo delle tarme venivano messe in naftalina. Un odore forte ed intenso che si viveva in pieno, quando arrivava il gran giorno del “cambio di stagione” che decretava la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno e, quando - in particolar modo le coperte pesanti di lana (quella lana spessa e rigida, dalla fitta tessitura delle coperte di una volta) venivano messe nei letti, soppiantando le leggere copertine di cotone prettamente primaverili e autunnali.
Era quello un gran giorno che segnava il punto di svolta della circolarità del nostro tempo di vita, un vero spartiacque utile nel ricordarci che, se c’erano delle cose che procedevano secondo la logica dell’accrescimento e della linearità, altre invece erano destinate a tornare sempre e rappresentavano nelle nostre esistenze (non solo di noi bambini, ma anche degli adulti che ci circondavano) dei punti fermi, quasi delle certezze.
Quelle coperte di lana, intrise di naftalina, ci dicevano che era passato un anno e si ricominciava con l’inverno, aspettando la primavera: era il ciclo delle stagioni che si rinnovava e che adesso non c’è più. Finito!
Chi fa più la rotazione stagionale degli armadi? Nessuno! Tutto deve essere costantemente a disposizione. E chi usa più la naftalina? Quasi nessuno! E’ un articolo ormai obsoleto.
Chi si preoccupa più che le coperte e altri tessuti vengano devastati dalle tarme? Nessuno, perché viviamo in un mondo dominato dall'imperativo dell’“usa e getta”. E intanto c’era quella prima notte da trascorrere con l’aroma forte e pungente della naftalina che ti penetrava nelle narice e che era fantastico, non disturbante, come era in altri momenti l’odore della “coccoina”, quella colla di uso universale per attaccare le figurine (che allora, sul retro erano sprovviste di quel comodissimo straterello auto-adesivo).
Non vedevo l’ora di andare a letto, in quel giorno fatidico, e quando ci andavo mi lasciavo scivolare con tutta la testa sotto le coltri per respirare quell’aroma a pieni polmoni.
Mi sentivo in qualche misura rassicurato e felice, forse anche sovraeccitato. Poi, magari, quell'intensità finiva con il disturbarmi, assieme al peso e alla rigidezza di quelle coperte che, ancora, dopo essere state stipate negli armadi non si erano imbibite di aria e risultavano alquanto opprimenti. E, di fatto, in quella prima notte non dormivo tanto bene: ma non l’avrei mai ammesso. Poi, nelle notti successive, quell’odore si attenuava e rientravamo nella normalità. Chi sa perché, mentre scrivevo, mi ha preso questa quasi-allucinazione. Non saprei proprio. Forse, perché adesso non vedo più il ricorrere di quelle cose rassicuranti proprie dell’età dell’oro che è stata l’infanzia (almeno la mia infanzia, per come io la vedo adesso).
Oggi, non ci sono più punti fermi benevoli che ritornano, la differenza tra le stagioni è abbattuta quasi del tutto, le farfalle stanno morendo, specie esotiche sono all’assalto della flora e della fauna autoctone del Mediterraneo e le uniche cose che ricorrono con periodicità implacabile sono tasse e balzelli. Non c’è più felicità in questo. Solo mestizia e nostalgia. E, se è vero che adesso ho una famiglia che mi proietta nel futuro, tuttavia mi trovo a rimuginare da giorni che io sono l'unico sopravvissuto della mia famiglia nucleare, morti i nonni, morti entrambi i miei genitori, morto mio fratello. Sotto questo profilo sono rimasto davvero solo. Spesso in un passato non troppo lontano mi ritrovavo a rimuginare scenari in cui ero io a morire prima di mio fratello e la sorte ha voluto che le cose accedessero al contrario. Disegni imperscrutabili che si possono soltanto accettare perchè, pur apparendoci insensati nei loro effetti immediati, fanno pur sempre parte di un più vasto disegno con il quale non ci è possibile interferire.
L'odore di naftalina era la felicità, era la felicità di essere tutti assieme: era quell'odore forte che ritrovavo nel letto di mio fratello, in quello della nonna, in quello di papà e mamma e tutti assieme lo respiravamo.
E si poteva sognare che il mondo fosse forte e buono, non come quello in frantumi di cui parlavo appena prima che si accendesse nelle mie narici la traccia olfattiva della naftalina della mia infanzia perduta. E scusatemi di questo sproloquio... ho scritto spinto da uno stato di necessità...

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18 marzo 2016 5 18 /03 /marzo /2016 21:08
Un giorno di pioggia (foto di Maurizio Crispi)

La pioggia cade sommessamente

Acceso da un raggio di sole
prende vita ad ovest l'arcobaleno iridescente

Un attimo di sublime

Una cacata liquida occhieggia sul marciapiede
e, al passaggio, un odore nauseabondo mi investe,
di topi morti e decomposizione

Povero cane!, penso
O magari sarà stato un Cristianuccio senza ritegno...

Suoni mesti e colori grigi,
ad eccezione di quell'effimero effetto prismatico di prima

Bisogna affrettarsi per ritrovare un riparo

Gimme shelter from the rain, gimmeshelter

Andare,
dormire

cercare senza trovare,
aspettare, ripiegato su un me stesso

sempre più piccolo,
sino a scomparire,
effetto tre millimetri al giorno

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17 marzo 2016 4 17 /03 /marzo /2016 07:04
Corsi e ricorsi

Gli oggetti che mi circondano viaggiano da un luogo all’altro,

continuamente riorganizzati,

Corsi e ricorsi, dall’ordine statico al caos e poi di nuovo ad un ordine fittizio

Nulla è mai definitivo per quanto ci possa illudere

Ora succede che gli oggetti defluiscono, tornando al luogo delle origini,

come risucchiati dal reflusso della marea

La vita d'una persona è fatta di pezzi e di cose

Ogni singolo pezzo, ogni oggetto, ha una storia da raccontare:

si tratta di reperti fossili

che però vivono nel ricordo di chi li ha acquisiti

Ogni reperto è Intellegibile, solo a colui cui l’oggetto apartiene

per quanto si possa pensare diversamente

quando si è preda della grande illusione (stolto pensiero!)

La grande illusione è quella per cui ogni singolo oggetto,

perfino il primo dente adulto che abbiamo avuto estratto,

possa essere importante e degno di nota anche per altri

Facciamo di simili cose le nostre personali reliquie, sacre, intoccabili

Eppure, se soltanto spostiamo il punto di osservazione,

se relativizziamo, ci accorgiamo di vivere sepolti in mezzo a mucchi di spazzatura

che ci levano l’aria e che ci impediscono di respirare

Siamo solo preda d'un errore di giudizio,

se pensiamo che altri possano considerare la nostra spazzatura

reliquia da venerare e santificare

Meglio buttar via tutto, eliminare i cascami e le scorie,

togliere via il superfluo

per evitare che coloro che ci seguiranno

o rimarranno indietro debbano poi maledirci

Da tempo, ho smesso di acquistare souvenir di viaggio

Li trovo stucchevoli, mentre - prima - tornando da luoghi lontani,

andavo fiero di questi piccoli trofei

che a me, e a me soltanto, raccontavano storie

Alla mamma, sino all’ultimo, in occasione delle ricorrenze,

regalavo oggetti che pensavo potessero piacerle

Lei mi guardava benevola e sorrideva per non contrariarmi,

ma il suo sguardo limpido mi diceva che quei doni erano superflui,

solo un inutile appesantimento:

lei era andata oltre e non avrebbe potuto portare nulla con sé

Anzi, diceva sovente di voler distruggere,

come l’Aureliano Buendia del romanzo,

tutto ciò che la riguardava,

appunti, carte documenti, foto

Noi la schernivamo, la blandivamo

Non comprendevamo e ci chiedevamo sgomenti:

perché mai desiderare di morire e di scomparire, prima di essere morti?

E poi la mamma non l’ha fatto

Forse solo per non dispiacerci

o forse soltanto perchè alla fine le sono mancate le forze per poterlo fare

Ma questo suo desiderio, in fondo, aveva un senso, credo

Sogno spesso di essere in situazioni difficili, di transito,

e di aver perso delle cose importanti,

pezzi, strumenti, parti di me

Qualche volta è la macchina fotografica, talaltra sono gli occhiali,

altre volte me stesso e la mia identità

e allora il senso di smarrimento è totale

Forse anche questo è parte del mistero della vita e della morte,

delle transizioni e delle sparizioni,

dei passaggi che dovremmo dominare

ma che più spesso soltanto subiamo,

illudendoci di esserne padroni,

e di essere capitani del nostro vascello

Fanno bene coloro che vivono da cercatori di tracce,

operando in modo da non lasciare mai alcuna traccia di sè

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10 marzo 2016 4 10 /03 /marzo /2016 08:59
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri
Cimiteri

L'8 marzo 2016 è stato il giorno di ricorrenza del compleanno della mamma che, se fosse stata in vita, avrebbe compiuto i suoi 98 anni. E ho pensato che potesse un buon giorno per andare a farle visita al Cimitero, andare a visitare lei e Salvatore.
Andare ogni tanto al cimitero a trovare quelli che ci hanno lasciato ha un effetto rasserenante, che certamente dipende anche dai piccoli riti che si compiono, come strappare via le erbacce, pulire la lastra tombale e le iscrizioni su di essa, lasciare qualche fiore, e anche il contatto fisico con il luogo di sepolura, come il tocco di na mano, una piccola pacca, una carezza, esattamente come quei gesti che si scambiano tra viventi.
Recitare qualche preghiera anche se non si è praticanti assidui della religione e non si ha una fede nel senso canonico, corrobora il cuore: spesso quando ci si rivolge ai morti si è portatori di una fede selvaggia, arcaica, adogmatica, eppure intensa che rappresenta il grado primevo dell'escatologia e dei costrutti sulle cose ultime che da sempre - sin dai suoi albori - hanno assilato l'Uomo.
Quando ci confrontiamo con i nostri Morti siamo di fronte al Mistero, quel Mistero nel quale un giorno dovremo entrare anche noi, quando finalmente ci sarà dato di sapere.
Parlare tra sé e sé con i cari estinti, a volte rivolgere loro la parola ad alta voce o pronunciare il loro nome sono altri piccoli riti che hanno la loro importanza.
Anche chi non crede in una religione "istituzionale" può pensare che i nostri morti aleggino da qualche parte, che ci sia un luogo nel quale siano in pace e siano in contatto tra loro, che - da dove sono - dovunque sia questo luogo intangibile - ci guardino e ci proteggano.
Ci sono e sono con noi: noi lo crediamo fermamente ( e secondo me lo credono anche quelli che assumono - ma per una necessità di autoprotezione dal confronto con l'ineffabile - una posizione negazionista nei confronti di ciò che sta al di là di quella soglia).
A volte, girovagando per i cimiteri e soffermandosi a guardare le lapidi, i cippi, le cappelle gentilizie, i loculi, con una miriade di fiori freschi, altri appassiti, o di plastica, nonchè vari altri ammennicoli messi lì - sembrerebbe - a dar compagnia a quelli che ci hanno lasciato indietro e sono in un luogo altro, non si può non essere sovrastati dal pensiero che, se mettiamo assieme tutti i morti che ci hanno preceduto, si creerebbe un esercito sconfinato di anime che, certamente, supererebbe il numero dei viventi.
In ogni città, accanto alla città dei vivi c'è dunque una città dei morti che soverchiano in numero e consistenza i vivi.
E noi, i viventi, paradossalmente, siamo quelli che sono stati lasciati indietro.
Se si accetta il pensiero che ci sia qualche traccia dei morti (chiamiamola anima, spirito, soffio vitale), si deve anche provare riverenza nei loro confronti e considerarli un punto di riferimento importante dei nostri dialoghi interiori.
In fondo, il film di GiuseppeTornatore "Stanno tutti bene" (protagonista Marcello Mastroianni), parla proprio di questo e di questo dialogo ininterrotto con i nostri cari scomparsi.
La mamma, negli ultimi anni di vita, specie quando si sentiva sconfortata per via degli acciacchi, invocava spesso sua madre: "Mamma! Mamma!" diceva. E, probabilmente, l'invocarla gliela faceva sentire vicina, come una presenza benevola e capace di comprensione. Sicuramente quell'invocazione faceva parte di un ininterrotto dialogo interiore.

La visita al cimitero di Sant'Orsola (noto anche come Camposanto di Santo Spirito) è stata seguita da un breve passaggio da quello di Santa Maria di Gesù, che è il cimitero più antico di Palermo e dove si trova sia la tomba della famiglia Crispi, ma anche la Cappella gentilizia della famiglia dello zio Giovanni.
Anche se oggi quel piccolo gioiello di pace e quiete è stato deturpato da un ampliamento moderno, aggirarsi dentro i suoi spazi terrazzati, fiancheggiati da antichi cipressi e da cespugli di bosso e dominati da una chiesa antichissima (cui era - e forse - è abbinato un convento) invita alla meditazione sulle cose ultime, con una vista rasserenante su Monte Pellegrino e l'apertura verso il mare.
Quando ero piccolo - forse 10 anni - al culmine di una passeggiata in bici, mio padre mi portò qui e mi indicò la sepoltura di famiglia, all'antica, una semplice lastra di pietra lineata e sbrecciata, annerita dal tempo, con delle incisioni sopra. E mi disse - queste parole non le avrei mai più dimenticate, perché furono il mio primo contatto con la dimensione della morte - "E' qui che un giorno verro a riposare, in questa quiete. E' bello pensarlo".
Mi offrì con questa frase una dimensione serena di contiguità (o forse di necessaria prossimità) con la Morte (e con il Morire) che deve sempre essere considerata una nostra vicina amica (e non nemica): solo così si può vivere serenamente, pensando alla quiete che un giorno - non si sa quando, non si sa come - ci attende, al Mistero nel quale entrerebbe e saranno loro i nostri cari che non sono più ad assisterci nel transito.

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3 marzo 2016 4 03 /03 /marzo /2016 07:32
Di fronte all'infinito e all'indistinto

(Maurizio Crispi) Ci sono delle immagini che tu vuoi fotografare perché ti rimandano prepotentemente ad altre rappresentazioni (a loro volte derivanti da opere d'arte) depositate nei sedimenti della memoria.
In questo caso, non appena ho visto questa figura stagliarsi in lontananza contro lo sfondo marezzato del mare agitato dal vento che si andava facendo sempre più incalzante non ho potuto non pensare al famoso dipinto del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich e alla citatissima sua opera "Il viandante sul mare di nebbia".

Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, 1818L'uomo da me avvistato è quasi nella stessa posa meditativa, e qui con una mano si puntella alla coscia destra, mentre lì (nel celebre dipinto) la mano del viandante regge un bastone da passeggio o un alpenstock.
Entrambi sembrano essersi fermati nel loro incedere di fronte ad una distesa che è - in entrambi i casi - un mare (liquida distesa o coltre di nebbia, fa lo stesso) che rappresenta un indubbio rimando all'infinito e sembrano rimanere titubanti e stupefatti di fronte all'immensità di questa distesa (dove, nel caso dell'acqua, lo sguardo si perde in lontananza, attratto dai confini incerti dell'orizzonte, mentre nel caso della coltre di nubi il mistero è in ciò che non si può vedere): e questa distesa rimanda alla meraviglia dell'incompiuto e di ciò che si cela al di là del limite sino a cui entrambi i viandanti hanno potuto camminare ancora al sicuro. Oltre vi è l'ignoto che, pur ominoso esercita una potente attrazione e, laddove si rimanga al di qua limite, attiva un potente e struggente sentimento di nostalgia.
Al di là della solida roccia su cui poggiano i piedi, si distende davanti ad entrambi - al camminatore e al viandante solitario - l'infinito con il suo fascino ma soprattutto con le sue incertezze. E il punto sino a cui i due uomini, camminatore solitario e viandante, sono giunti rappresenta a tutti gli effetti, più che un limite, una soglia: sta a ciascuno di loro, decidere se proseguire oltre (almeno tentarci), oppure fermarsi e rimanere solo con la nostalgia del non tentato.

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20 gennaio 2016 3 20 /01 /gennaio /2016 11:02
La fedeltà di un cane vilipesa e offesa: cose che capitano in Italia

E' recente la notizia di un cane siciliano di nome Leo (Favignana), che, rimasto orfano del proprio padrone, ha seguito il suo feretro sino alla chiesa dove si sarebbero svolte le funzioni religiose di commiato e che poi sarebbe rimasto nei pressi del cimitero a guaire e a lamentarsi, comunque in vigile e fedele attesa.
Sembra che, passato il momento di commozione pubblica per il nobile gesto, il continuo guaire del cane sia stato considerato molesto e che il cane sia stato preso a fucilate da ignoti e ferito, tanto da dovere essere sottoposto ad un intervento chirurgico per aver salva la vita.
E' possibile che la notizia contenga delle falsificazioni e delle non-verità.
Ma a prescindere da questa cautela, apre la via a delle considerzioni che, a caldo ho pubblicato sulla mia pagina FB.
Siamo in Italia e le cose belle ed edificanti (dalle quali potremmo trarre esempio nel nostro vivere quotidiano) prendono queste pieghe.
In Scozia (Edinburgo), molto tempo fa (18° secolo), il cane Bobby segui il corteo funebre del proprio padrone e, da quel momento rimase sulla pietra tombale.
Tutti gli abitanti della cittadini e i frequentatori del cimitero gli portavano quotidianamente da mangiare e da bere.

La statua di HachikoLì rimase per oltre quattordici anni. Quando il cane fedele mory venne sepolto accanto al suo padrone e poco tempo dopo a spese della cittadinanza una statua di pietra che lo raffigurava, venne collocata su di un plinto proprio lì per ricordare un tale esempio di fedeltà e di dedizione.
E non parliamo poi del famoso caso di Hachiko che, tanto celebrato come simbolo di fedeltà incrollabile, tornò ad aspettare ogni giorno della sua lunga vita (per oltre 10 anni) il proprio padrone alla stazione ferroviaria dove questi arrivava al termine della sua giornata lavorativa.
Oppure possiamo ricordare -ma sempre fuori dall'Italia - il caso di Capitan, un meticcio che per oltre 6 anni rimase a vegliare instancabilmente sulla tomba del proprio padrone.

In Italia un povero cane che manifesta analoga dedizione al padrone defunto viene preso a fucilate (se la storia riferita dall'articolo che ispira queste considerazioni è vera). Per fortuna, in altri casi, i testimoni umani assumono un atteggiamento di rispetto e protettivo nei confronti di simili esempi di fedeltà canina: a Nicosia (Sicilia) il cane Sugar, dal luglio 2014 va ogni giorno in visita sulla tomba del proprio padrone, percorrendo cinque chilometri: e questa è, sicuramente, una bella storia che fa da contraltare alla tristezza indotta dalla notizia del cane fedele ferito perchè "disturbava".
L'articolo che mi ha datol'occasione perfare queste considerazioni, a prescindere dalla potenziale inesattezza dei fatti riportati, è - a mio avviso - una parabola efficace sulla nostra italiota insensibilità.
Per esempio, ci si può chiedere: sono le nostre città attrezzate con adeguati "pet cemetery"?
Ne ho visti alcuni in UK, dove sono molto diffusi: e sono tutti delle autentiche oasi di pace e di serenità.
Da noi esistono, ma sono per lo più privati e fondati da persone imbevute di grande cultura e animate da alti ideali, come ad esempio quello che si trova all'interno della Fondazione Piccolo di Calanovella a Capo d'Orlando.
In Italia, i problemi si eliminano alla radice, senza pensare ad altre soluzioni possibili, perchè sono scomode e, possibilmente, fanno guadagnare meno soldi: vedi il caso degli ulivi pugliesi.

Capitan, per più di sei anni vicino alla tomba del suo padrone

Sugar, il cane fedele di Nicosia (Sicilia)

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11 gennaio 2016 1 11 /01 /gennaio /2016 21:12
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime

(Maurizio Crispi) Poco dopo Capodanno, approfittando dei giorni di vacnza, abbiamo fatto una piccola gita a Monreale, uno dei maggiori gioielli dell'archittettura arabo-normana e esempio sublime dell'arte del mosaico bizantino, in una giornata piovosa, ma non troppo fredda.
La pioggia stizzosa si è scatenata alla nostra uscita dal Duomo impedendoci di stare a gironzolare e magari di fare anche una capatina al forno delle Sorelle Mammina per prendere il classico pane di Monreale a lievitazione naturale, cotto a legna.
Non mi dilungherò sul Duomo (splendido) che ho visitato in molteplici occasioni e che , ciò malgrado, non finisce mai di stupirmi, con l'esterno rustico che unisce in sé i caratteri del luogo di culto e della fortezza e con gli scintillanti mosaici all'interno che formano nel loro insieme un grande e sublime testo pittorico che racconta il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Quello che mi ha sorpreso (e deluso) dall'ultima visita in ordine di tempo è stato il constatare che la fuga di scale che conduce dal Parcheggio comunale al Centro storico (e alla Cattedrale), benché di recente realizzazione, è già scivolato in una condizione entropica di inarrestabile degrado, con i gradini rotti e scheggiati, alberi semiabbattuti e mai più sistemati, spazzatura negletta abbandonata qua e là, ringhiere di protezione mancanti per lunghi tratti.
Un clamoroso esempio di pubblica amministrazione assente e latitante, rispetto ai suoi obblighi: questa scalinata l'ho percorsa qualche anno fa, quando forse era stata da poco inaugurata e mi era sembrata bella, anche perché sboccava nella via acciottolata di grande pregio scenografico.
Oggi, invece quella stessa scalinata sembra essere diventata una via del dolore, un'ascensione al Golgota, con quel passaggio mortificante dal sottopasso (da attraversare obbligatoriamente, salvo - per chi lo sappia - a fare un giro più lunghetto), dove si aprono dei gabinetti pubblici da cui si sprigiona un mefitico di sentore ammoniacale di piscio, appena dissimulato dal disinfettante al bergamotto.
Dalle stalle alle stelle, per così dire.
Provare per credere.
Al Parcheggio comunale si fermano molti dei torpedoni che portano le comitive di turisti stranieri in visita: la scalinata di accesso dovrebbe essere tenuta in ordine, poiché rappresenta a tutti gli effetti il vestibolo e il biglietto di presentazione della cattedrale stessa.
Come possono i turisti preparare il loro animo alla meraviglia che avranno modo di vedere, transitando da un percorso così mal tenuto?
Le solite cose nostrane: del degrado, sembra che a nessuno importi veramente, così come "manutenzione" è una parola da non dover mai pronunciare.
Dire che, forse, ai turisti piace così, perché in questo modo hanno il brivido di sperimentare una full immersion in un contesto che è loro alieno e in un percorso di ascensione dalle miserie, dal degrado e dalle brutture, alla solennità e alla bellezza incomparabile e regale dei mosaici contenuti all'interno del duomo, oppure sostenere che ai più si offre un percorso penitenziale che li porti dopo molto patire all'ascesi religiosa o all'afflato mistica, è - almeno questo é ciò che io pensi - una penosa mistificazione.
Lo si può dire per ironizzare, ma non certamente parlando sul serio.
Senza tenere conto del rischio che qualcuno possa infortunarsi, salendo o scendendo quei gradini ammalorati, spezzati e scheggiati in più punti.

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29 dicembre 2015 2 29 /12 /dicembre /2015 08:04
Vivere come se ogni giorno potesse essere l'ultimo

Pensavo a qualcosa mentre mi trovavo a camminare lungo vie deserte, di mattina prima dell’alba, confortato dal silenzio surreale e ovattato che mi circondava.

Mi dicevo che questi miei pensieri erano da scrivere, per fissarli.

Ma di cosa si trattava?
...

Ah, sì! Ora ricordo...

Pensavo al fatto che troppo spesso viviamo senza pensare alla morte e al morire.

Viviamo, come se fossimo eterni, destinati a durare per sempre.

E in questo siamo profondamente egoisti nei confronti di quelli che, alla nostra dipartita, saranno lasciati indietro.

Mentre camminavo a passo svelto, ancora nel buio, mentre i primi chiarori stentavano ad arrivare, ho ripercorso alcune tappe della mia vita in funzione delle morti che si sono succedute.

La morte (le morti e le dipartite di cui sono stato testimone) sono state molte, alcune più dolorose di altre.

La nonna Maria, dolcissima.

La prozia Irene, devota di Salvatore.

Mio padre, scomparso tragicamente e - in un sol colpo - anche la cugina Elisabetta (entrambi periti nel disastro aereo di Punta Raisi nel 1972).

Il cugino Gabriele scomparso dall’oggi al domani, in un tragico incidente, quando ancora la vita doveva dischiudersi davanti a lui con tutti i suoi doni.

La mamma, di cui paventavo sempre la morte improvvisa per un qualsiasi accidente, ma che - malgrado le mie orribili paure - è campata a lungo, assolvendo alla sua missione e al suo voto di efficienza.

E mio fratello Salvatore, ultimo della serie, tralasciando tutte le altre persone di famiglia, fratelli di papà e mamma, mogli e mariti.

Tralascio anche le morti improvvise di alcuni compagni di scuola, tutte morti anticipate, ma nella statistica.

Naturalmente, le morti più cogenti sono state quelle delle persone con cui ho vissuto.

Di queste morti, a parte il dolore, mi è stato risparmiato tutto, all’infuori del dolore.

Già, perchè la morte di qualcuno è fatta anche di infiniti, fatiganti, strascichi amministrativi e burocratici, di cui, sin dal primo giorno bisogna occuparsi.

Da queste cose sono stato protetto, direi. E, forse, a dismisura. Qualcun altro si è occupato di tutto, lasciando a me, soprattutto nel caso della morte della mamma solo alcuni compiti marginali.

La mamma, quasi all’ultimo, quando sembrava che stesse per andarsene (ma poi ci regalò alcuni altri giorni della sua compagnia prima di congedarsi per sempre) mi indicò un cassetto della sua stanza, dicendomi che lì dentro c’erano i documenti del cimitero. E questa cosa almeno la sapevo quando lei se ne andò. Ma, per tutte le altre, buio totale.

E dunque non ho imparato nulla, in corso d’opera: mi è sempre sfuggita la possibilità di costruirmi un prezioso bagaglio di know how.

E con la morte di Tatà ho sbattuto drammaticamente contro il muro delle mie incompetenze ed ignoranze.

Ho dovuto fare tutto da me: ed è stato doloroso, forse ancor di più che dello scontrarsi con il trauma della perdita.

Ora vorrei istruire qualcuno, possibilmente mio figlio Francesco, lasciando delle memorie scritte, e forse anche cominciare a spiegargli le cose passo passo, in modo da trasmettergli l’esperienza (dolorosa) che ho acquisito in questi mesi e fare in modo che lui, almeno, sia pronto e sappia quali sono i passi fondamentali da compiere.

E vorrei anche trasmettergli qualcosa dei ricordi di famiglia e delle storie delle mia vita, in modo tale, invitandolo a registrare in forma audio o scritta quanto io possa dirgli, in modo tale che quando io non ci sarò più o quando la memoria comincerà a tradirmi, gli rimanga una traccia scritta, con dettagli, eventi, date, nomi di persone, che - per quanto riguarda la mia famiglia - una volta scomparso io sarebbero persi per sempre.

Spesso gli adulti, quelli di una generazione avanti, sono “egoisti”, perché non volendo pensare alla propria morte (che potrebbe arrivare tra l’altro, non per vecchiaia, ma inattesa e precoce), mettono la testa sotto la sabbia ed evitano di intraprendere passi per istruire i propri figli sul morire e sulle incombenze post mortem che li attendono.

E non ci sono più nella nostra società anziani di riferimenti che possano sopperire con la loro saggezza e con le loro competenze all’ignoranza dei giovani su alcune questioni essenziali.

E non dovrebbe essere così.

Occorre vivere ogni giorno della propia vita come se potesse essere l’ultimo.

Occorre prepararsi e lasciare tutto a posto, in modo che chi rimane possa avere la strada spianata.

Il consumismo smodato dell’Occidente che include anche il consumo usa-e-getta dei giorni da vivere di ciascuna vita, e a vivere costantemente proiettati nel futuro di nuove acquisizioni, ci distoglie da questo compito pensoso e dalla necessità di mantenere costantemente un solido ancoraggio nel passato e nei luoghi (incluse le persone) da cui veniamo.

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31 ottobre 2015 6 31 /10 /ottobre /2015 06:54
Halloween and the wild things
Halloween and the wild things
Halloween and the wild things
Halloween and the wild things

Dolcetto, scherzetto

Zucca,
Grande Zucca,
Great Pumpkin

Where are all the wild things gone?

E bisogna anche fare attenzione,
quando meno te lo aspetti
arriva alle tue spalle il maniaco custode pazzo,
dell’antico cimitero abbandonato,
brandendo una vanga insanguinata,
mentre vecchi gufi gufeggiano

All the wild things are gone!

Eppure le cose selvagge
c’erano un tempo,
a long time ago
once upon atime

E ora?
No avventura,
No imprevisto,
No sorprese dietro l’angolo...

Oppure sì?

Chi potrà dirlo?

Eppure, camminando
gli strani incontri con esseri mattacchioni
che ti guardano ammiccanti
e ti tirano fuori la lingua
in un simpatico sberleffo
non mancano mai
e non smettono di sorprenderti

Oppure, ti puoi imbattere
in facce ghignanti,
che generano inquietudine

La wilderness per essere tale
deve poterti attrarre con le sue armi di seduzione,
incantarti come le Sirene con il loro canto,
ma nello stesso tempo terrorizzarti

 

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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