Panchine di solitudine
Ma talvolta di condivisione e di compagnia
Se pare che uno sieda su di una panchina in solitudine,
é anche vero che egli si trova in un’interfaccia
con il mondo che scorre accanto
La panchina è stasi versus movimento
L’immobilità della panchina invita chi è in movimento
a ristare
Mentre il mondo é in affanno, l’appanchinato se ne sta fermo
in sospensione pensosa, contemplativa,
talvolta sentendosi fuori dai giochi
La panchina, dovunque si trovi,
é contemplazione o introspezione versus la vertigine del movimento
Forse, per questo, le panchine nei luoghi pubblici
possono essere così straordinarie
Sono un tramite, una porta, talvolta una finestra
E a me le panchine piacciono sempre:
ognuna di loro per quanto malmessa
ha qualcosa da dire
sia che sia vuota, in attesa di un occupante,
sia che sia temporaneamente abitata
Cosa sarebbero le panchine
se tra le loro differenti proprietà
fossero anche volanti come i tappeti delle magiche storie?
Bisognerebbe ridisegnarne l’intera filosofia e geografia,
allora
E le panchine sono la tua ancora di salvamento,
quando ti ritrovi a corto di argomenti:
panchine per voli della fantasia
Un uomo e una donna,
in piedi
al centro di una piana spoglia,
al crepuscolo
Si accostano, come riconoscendosi all'improvviso,
e s'avvinghiano in un abbraccio appassionato, come fossero i personaggi d'una statua di Rodin
Si baciano a lungo
in un tempo che si fa eterno
e in cui sembrano fondersi l'uno nell'altro
Accanto a loro
sta una figura immobile,
avvolta sino ai piedi
in un lungo saio grigiastro,
la testa coperta da un ampio cappuccio
e il volto in ombra
Parrebbe una statua di sale
minacciosa
Ha piovuto
Nell'aria si diffonde un intenso odore
di terra bagnata
di foglie secche,
e, nello sfondo olfattivo,
s'avverte anche un lieve sentore ammoniacale
Mi pervade un senso di estraneità e spaesamento
A volte più forte che mai: e allora mi sento veramente senza una patria
E quanto più mi sento radicato,
tanto più sono sradicato da ogni luogo
Forse perchè il posto dove mi sento più radicato
è una roccaforte isolata situato nel mio intimo
il ritiro ultimo dove rifugiarsi
Ce la metto tutta,
ma i miei sforzi sono vani
rimango estraniato
Questa notte ho fatto un sogno
Ero in un posto che, ad occhio e croce,
assomigliava alla casa di Altavilla e al terreno circostante
Dovevo ricevere la fornitura di acqua per l'irrigazione
Avevo aperto i rubinetti e i miei sensi erano all'erta
L'acqua con grande scroscio cominciava ad arrivare e a riempire i serbatoi
Ma, all'improvviso, qualcosa andava storto
altissimi zampilli cominciavano a schizzare verso l'alto
dalle giunzioni dei tubi
Succede di solito, perchè la pressione dell'acqua è forte,
ma stavolta si trattava di qualcosa di anomalo,
d'una forza quasi apocalittico
E, infatti, all'improvviso, grosse pietre
cominciavano a venire fuori dai muri della casa
e dalle pareti della vasca di raccolta,
la malta che le teneva uniti liquefatta (era questa l'impressione)
Tutto veniva portato via come da un maremoto,
un'onda di Tsunami,
ma solo la seconda parte, quella micidiale del risucchio
provocato dal ritirarsi delle acque che hanno profanato la terra
Mi ritrovavo sconsolato a guardare il disastro
Laddove c'era la casa
ora c'erano soltanto mucchi di pietre traballanti,
enormi buchi nei muri
o meglio dei loro frammenti rimasti in piedi in equilibrio precario
Ma non fuggivo via
Mi vedevo anzi mentre mentre mi davo da fare a preparare il cemento
e, senza nessun criterio, mettevo cazzuolate qua e là
per rabberciare i buchi
per tenere assieme i massi pencolanti,
per rimediare in qualche modo
Capivo tuttavia
che tutto questo mio agitarmi era assolutamente inutile
Una sinecura
Eppure, iterativamente,
continuavo a riempire caldarelle e buttavo l'impasto di cemento qua e là,
a casaccio
quasi fosse soltanto un'azione rituale,
un'apotropaismo per scongiurare mali peggiori
di cui l'evento di cui ero stato vittima e testimone
era soltanto l'annuncio ominoso
E, alla fine, c'era vicino a me mio fratello
nella sua carrozzina
Lo mettevo a suo agio con il tavolo davanti
e con il giornale ben dispiegato, come facevamo un tempo
La sua presenza era rassicurante e benevola
Dune di sabbia che si muovono lente
Il vento che qui sembra soffiare eterno
Nubi sfilacciate in un cielo di pallido azzurro
Seni opulenti
alcuni sontuosamente fake
Fighe depilate
Ghirmi, tascioni e tamarri -
Pancioni rigonfi
cazzi mosci e palle pendule -
se le contendono
e vinca il migliore!
Ma sarà la loro una vittoria di Pirro!
Risate sguaiate
cicaleccio di voci
Musica fragorosa sullo sfondo
Su tutto è il solleone a vincere
in questo giorno d'estate
come tanti altri
Scavo e scavo nella sabbia dura
aiutandomi con un frammento di conchiglia
Riaffiora il mio gioco preferito
da bambino
Andare alla ricerca dell'acqua riaffiorante dal mare
Il buco che vado costruendo
è stretto e profondo
accoglie tutto il mio braccio
sino al gomito e oltre
Devo contorcermi per arrivare
a grattare la sabbia del fondo
sempre più umido
sino al magico momento,
quando si forma una pozza
E mentre lavoro a questo
penso per traslato
ad un accoppiamento sacrale
con la madre terra
a somiglianza dei riti primigeni e fondativi
degli aborigeni d'Australia
Quello che rimane,
alla fine,
è il sogno del silenzio
e del chiostro ombroso
Giaccio sulla panca di sasso
ingentilita da una coperta di grassi fiori purpurei
Via vai di api laboriose
dentro e fuori le corolle carnose
dove vorrebbero ancora impollinare
ma quei fiori hanno esaurito il loro ciclo vitale
- loro, le api, non lo sanno, sembra -
e sprigionano già l’odore greve della decomposizione
I gabbiani veleggiano,
mentre i piccioni ormai sempre più sparuti
timidi si nascondono
Abbandonato sulla dura pietra
dormo
per un attimo sogno, forse,
all'improvviso i raggi obliqui
del sole nascente
mi colpiscono di taglio il volto
gli occhi ancora chiusi
Cambia la temperatura
ma il freddo della panchina sotto le schiena e le natiche
continua ad essere di sollievo
e gusto così la carezza calda del sole
sulla pelle
Poi,
splish splash,
vengo bersagliato dai gentili doni
di un gabbiano in volo
Apro gli occhi e li volgo al cielo
accettando l'imprevisto
con stoica attitudine
Mi alzo e vado
fiducioso
verso un nuovo giorno
Luce abbacinante
nel pieno del pomeriggio
Aria calda e asciutta
Saremo presto al giorno più lungo
E subito l’anno
volgerà al declino,
mentre l’estate darà i suoi frutti
Non cedo alla lusinga della luce piena e forte
Mi chiudo piuttosto nella fresca ombra di casa
Non voglio neppure guardarla,
questa luce,
che mi fa strizzare gli occhi
e fa male all’anima,
né espormi al fiato caldo del sole
Ciò che più voglio
è stare nella semioscurità della stanza
come una talpa
ma con i miei libri accanto
a leggere,
leggere,
dormire,
sognare
E ho sognato che correvo,
correvo all’infinito
con leggerezza sublime
ad ampie falcate
e, ad ogni passo,
un interminabile tempo di volo
Trasportavo una grossa pietra tondeggiante
sotto il braccio
Era ben pesante:
eppure non mi appesantiva nel mio andare
E volando nella corsa
giungevo a quella che sentivo essere
la mia destinazione,
il liscio mare di oro fuso
nel quale in un ultimo empito
dall’aggettante dirupo
mi lanciavo
sempre stringendo a me
quel fardello pietroso
Durante la II Guerra Mondiale, i londinesi per proteggersi dai bombardamenti tedeschi si rifugiarono nei tunnel della metropolitana che, già allora, era estesissima e ramificata, ponendosi di fatto come un enorme rifugio antiaereo già a disposizione.
Dicono che, una volta cessato l'allarme immediato, alcuni, per paura, ci rimanessero nei giorni successivi a bivaccare per proteggersi così dall'imprevedibile prossimo raid.
Senza che fosse stato previsto dal piano di protezione della popolazione civile, all'interno delle gallerie nacquero punti di vendita (ambulanti o anche fissi) di ogni genere: dal venditore di The caldo, al libraio fornito di un suo barachino mobile, a quello che somministrava generi di ristoro diversi etc.
Si creò nella profondità dell'Underground londinese un abbozzo di società civile.
Tra i governanti britannici, così racconta uno storico inglese in un suo libro che contiene una serie di piccoli saggi sulla "Londra sotterranea", si generò paura che la popolazione scesa nelle gallerie - una volta assuefattasi a quelle diverse condizioni di vita - non sarebbe più risalita alla superficie. Per questo motivo, essi scoraggiarono queste forme di iniziativa spontanea e, una volta cessata l'emergenza, proibirono decisamente ogni bivacco sotterraneo (si veda al riguardo Peter Ackroyd, I Sotterranei di Londra, Neri Pozza, Il Cammello Battriano, 2014).
C'è in questo piccolo frammento di storia - che suona quasi come un apologo - un insegnamento relativo alla dimensione claustrofilica che con facilità nella vita di una persona qualsiasi (anche molto attiva ed estroversa) può da un momento all'altro prendere piede e radicarsi.
C'è il fascino potente del claustrum come luogo fisico (ma anche un luogo della mente) nel quale ciascuno può rifugiarsi e stare perché lì non "non temerà alcun male"
Quando si cominciano ad apprezzare le gioie e l'infinita sicurezza del claustrum può diventare difficile tornare indietro, risalire alla superficie o venire fuori negli spazi aperti .
Specie se, in quello spazio claustrale, hai a disposizione tutto ciò di cui puoi avere bisogno.
Quando morì mio padre io che, allora, ero ancora studente universitario, mi insediai nella stanza adibita a suo studio personale, il suo "Sancta Sanctorum". Lì, lasciando tutte le sue cose, aggiunsi come stratificazione aggiuntiva le mie: libri di studio, libri di altro genere (narrativa o saggi) dischi, oggetti personali di ogni genere.
Quella per me divenne una stanza accogliente, dove - a prescindere dalle ore dedicate allo studio - passavo gran parte del mio tempo. Mi piaceva molto anche quest’idea delle stratificazioni archeologiche in cui io andavo aggiungendo il mio strato a quello di mio padre che, a sua volta, nel suo studio aveva collocato libri e oggetti di pertinenza della generazione che lo aveva preceduto.
E la cosa curiosa è che, per motivi complicati (di cui qui non parlerò), nel corso dell’ultimo anno specialmente, ho fatto ritorno a quella stanza in pianta relativamente stabile, colonizzandola con oggetti del presente (o del passato recente) e aggiungendo quindi un ulteriore strato a quelli precedenti, compreso il lungo periodo in cui mio fratello aveva utilizzato la stanza come ufficio del Coordinamento H.
Era questa la stanza dove, all'occorrenza accoglievo anche i miei amici o dove portavo le mie fidanzate (anzi, nei loro confronti, il farle entrare dentro questa stanza era una prova molto speciale).
La stanza infatti non solo era un luogo fisico, ma anche era uno spazio della mente molto personale ed intimo.
In quel periodo sentii intenso il fascino del claustrum di cui accennavo prima: più stavo in quella stanza più mi veniva difficile uscirne fuori. Pensavo: Qui ho tutto ciò che mi serve, perché mai dovrei fare la fatica di uscire?
Ma quella fu soltanto una fase transitoria.
Poi, uscii di nuovo a riveder le stelle, per riecheggiare il verso dantesco.
Ma l'attrazione del claustrum è sempre potente (affascinante ed insidiosa assieme). E come non ricordare qui il bellissimo saggio di Elvio Fachinelli, Claustrofilia (Adelphi, 1983)?
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.