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17 agosto 2024 6 17 /08 /agosto /2024 12:59
La ragazza interrotta

La ragazza interrotta (Girl, Interrupted) di Susanna Kaysen, pubblicato originariamente da Corbaccio nel 1994 (e successivamente ripreso, in economica, da TEA con diverse ristampe e riedizioni) è un libro in forma di diario del 1993, scritto dall'autrice statunitense Susanna Kaysen.
Nelle sue pagine l'autrice racconta della sua esperienza come paziente in una clinica psichiatrica negli anni Sessanta.
Nel 1999 dal libro è stato tratto un film, Ragazze interrotte (Girl, Interrupted) diretto da James Mangold, con Winona Ryder e Angelina Jolie, con una trama in parte simile e in parte divergente rispetto al libro.

Nell'aprile 1967, la diciottenne Susanna Kaysen, rampolla di una famiglia bostoniana molto in vista, fu ricoverata al McLean Hospital, a Belmont, nel Massachusetts, dopo aver tentato il suicidio per overdose da farmaci in pillole. Visitata da uno psichiatra, Susanna negò che si fosse trattato d’un tentativo di suicidio
Lo psichiatra, che la visitava le suggerì di prendersi del tempo per riorganizzarsi e su di un taxi la “spedì” (con il previo consenso dei genitori) al McLean, un ospedale psichiatrico privato, ma senza chiederle previentivamente quello che oggi i chiamerebbe un "consenso informato". 
Fu, di fatto, la sua famiglia - con la connivenza dello psichiatra "curante" - di decidere in tal senso, poichè Susanna con i suoi comportamenti fuori dalle righe e tendenzialmente auto-lesivi  creava imbarazzo alla sua famiglia.
Le nostre famiglie. Secondo la teoria più diffusa era quella la ragione per cui ci trovavamo lì dentro, eppure erano completamente assenti dalla nostra vita in ospedale. Ci chiedevamo: eravamo anche noi altrettanto assenti dalla loro vita lì fuori?
I matti sono un po’ come i calciatori scelti per battere il rigore. Spesso è pazza l’intera famiglia, ma poiché non può entrare tutto in ospedale, si sceglie una sola persona come pazza e la si interna. Poi, a seconda di come si sentono gli altri componenti, la si tiene dentro o la si risbatte fuori, per dimostrare qualcosa sulla salute mentale della famiglia stessa” (ib., p. 94)

Vi è in questo ragionamento, detto molto in sintesi, sia la teoria del “capro espiatorio” nell’espressione del disturbo mentale, visto secondo un’ottica sistemica, sia quella del “paziente designato“. 

A Susanna, entrata in clinica con una diagnosi di Sindrome depressiva con rischio suicidario venne successivamente diagnosticato un disturbo borderline di personalità (declinazione diagnostica vaga ed incerta) e la sua degenza in ospedale venne estesa a 18 mesi, invece delle due settimane proposte.
Solo molto dopo la sua "liberazione" Susanna poter leggere le carte relative al suo ricovero, ottenute per intercessione di un avvocato.
La diagnosi alla dimissione fu di “Personalità Borderline” che può significare tutto e niente. E lei la nostra protagonista la confuta descrittivamente punto per punto.
Ad ogni modo, che significa personalità borderline? Pare che sia una via di mezzo tra la necrosi e la psicosi: una psiche incrinata ma non sregolata. Anche se per citare il mio psichiatra post-Melvin: ‘É la maniera per indicare le persone il cui stile di vita dà fastidio’” (Ib., p. 143)

Susanna riflette, in alcune delle sue pagine, sulla natura della sua malattia,  e sulla violenza della psichiatria, suggerendo che la sanità mentale sia una falsità o una mistificazione costruita per aiutare i "sani" a sentirsi "normali" al confronto con la “follia” di alcuni designati a rappresentarla. 
Si chiede anche come i medici trattino le malattie mentali e se stiano curando il cervello o la mente. 

Ragazze interrotte (Locandina del film)

La salute mentale riconquistata di Susanna e l'incertezza che sarà veramente "guarita" quando sarà ufficialmente rilasciata dalla clinica in cui è stata ricoverata o anche il lecito interrogativo se fosse veramente "malata" nel momento del suo internamento sono tutti elementi che fanno luce sulla relatività con cui va guardata ogni malattia mentale. 
Gli individui che esprimono le proprie emozioni in modo insolito sono ostracizzati dalla società quando, in realtà, come esseri umani siamo tutti candidati a stare nello spettro della follia se soltanto venissimo analizzati rigorosamente da un professionista che esercita la sua arte di diagnosticare, solo facendo riferimento a rigidi schemi pre-costituiti. 
Essere "pazza" era per l’autrice la risposta naturale agli eventi stressanti della sua vita in un momento di particolare vulnerabilità, dedicato alla guarigione della sua bambina interiore.

La diagnosi e il conseguente ricovero l’hanno fatta sentire come una “ragazza interrotta”.

Il titolo dell'opera deriva dal quadro di Vermeer, Concerto interrotto (Girl Interrupted at her Music), cui Susanna è particolarmente legata perché con la ragazza musicante che viene interrotta durante la lezione di musica, sente una profonda affinità, un sentire che si attiva in lei, quando scopre per la prima volta questo dipinto al Frick Museum dove l’opera è custodita.
“Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita, interrotta nella musica dei miei diciassette anni, com’era stata la sua vita, strappata e fissata su tela: un momento reso immobile, per tutti gli altri momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere. Quale vita può guarirne?” (Ib., p. 159)
“La ragazza che suona posa in un altro genere di luce, l’intermittente, minacciosa luce della vita, che ci fa vedere noi stessi e gli altri solo in modo imperfetto, è assai di rado.“ (Ib., p. 160)


(Quarta di copertina) A diciotto anni Susanna Kaysen, dopo una sommaria visita di un medico che non aveva mai visto prima, viene spedita in una clinica psichiatrica, nota per i suoi pazienti famosi (Sylvia Plath, James Taylor e Ray Charles, tra gli altri) e per i metodi all'avanguardia. Vi passerà i due anni successivi e la sua storia, raccontata con tono distaccato, a volte comicamente beffardo e sempre autoironico, riesce nell'impresa di trasmetterci il senso di un'esperienza che in genere può essere compresa soltanto da chi l'ha vissuta.
Da questo libro è stato tratto il film Ragazze interrotte con Winona Ryder e Angelina Jolie per la regia di James Mangold.


Hanno detto:

«È facile accedere all'universo parallelo degli insani, ci assicura Susanna Kaysen, e noi le crediamo. Ogni parola conta in questa ricostruzione commovente, coraggiosa e divertente.» - Kirkus Review

«Pungente, onesto e trionfalmente divertente... una storia irresistibile e commovente.» - New York Times Book Review

 

Susanna Kaysen

L’autrice. Susanna Kaysen (Cambridge, 11 novembre 1948) è una scrittrice statunitense, figlia dell'economista Carl Kaysen, professore al MIT che fu primo consigliere del presidente John F. Kennedy.
Ha frequentato il liceo al Commonwealth School a Boston e al Cambridge School of Weston prima di essere ricoverata al McLean Hospital nel 1967, per il trattamento psichiatrico di una presunta depressione (ipotesi motivata dal fatto che alcuni suoi comportamenti autolesivi furono interpretati come tentativi suicidi ari). In clinica apprese di essere affetta da “disturbo borderline di personalità”. Venne dimessa dopo diciannove mesi.
Questa esperienza, che l'ha segnata profondamente, è stata materiale fondamentale per la sua autobiografia, scritta nel 1993, Girl, Interrupted; il libro nel 1999 diventerà il film Ragazze interrotte, con Winona Ryder nel ruolo di Susanna.
È

"A volte l'unico modo per rimanere sani è diventare un pò pazzi" Stati Uniti, 1967: la diciassettenne Susan Kaysen ha gli stessi dubbi e le stesse incertezze di tante sue coetanee. Lo psichiatra con cui si incontra dà a questo comportamento il nome di 'disturbi marginali della personalità' e la spedisce al Claymoore Hospital. Qui Susan conosce Lisa, Daisy, Georgina, Polly e Janet, un gruppo di amiche fuori dagli schemi. Alla fine Susan dovrà scegliere fra il mondo di coloro che vivono all'interno dell'istituto e quello al di fuori. Guidata dall'infermiera Valerie e dalla dottoressa Wick la ragazza decide di lasciarsi alle spalle questo 'universo parallelo' rivendica la propria indipendenza e continua a vivere da sola e alle proprie condizioni.

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23 luglio 2024 2 23 /07 /luglio /2024 20:08

In Street Cop (nella traduzione di Norman Gobetti), pubblicato da Einaudi (Stile Libero Extra), nel 2023, la scrittura post-moderna di Robert Coover incontra il genio grafico di Art Spiegelman.
Di Spiegelman ben conosciamo - e conosco - le doti. Personalmente ne ho apprezzato la graphic novel a partire dal celeberrimo Maus.
Di Robert Coover ancora non avevo letto nulla e, quindi, Street Cop per me ha rappresentato solo un primo assaggio della sua opera.
Si tratta di un piccolo pastiche letterario, ambientato in un'anonima città USA e in un ipotetico futuro distopico in cui accadono le cose più grottesche ed impensabili.
Immaginiamo un ex tossico e homeless che diventa poliziotto, uno dei pochi poliziotti in carne ed ossa in una città che si trasforma in continuazione, le cui vie cambiano continuamente aspetto, in cui lo scenario è occupato da droni teleguidati che applicano la Legge (spesso compiendo madornali errori, motivo, per cui i fallaci cop in carne ed ossa risultano alla lunga sempre più efficaci), da poliziotti robot, da commercianti di zombie.
Tutto si confonde, in questo scenario e non vi è più alcuna certezza.
Il nostro protagonista si trova impegnato a dover condurre un’indagine pressoché impossibile, continuamente distolto da eventi grotteschi e quasi rocambolesche avventure, il nostro poliziotto in carne ed ossa, così riflette:
Non sa più per certo cosa abbia senso e cosa no. Essere vivo, ad esempio, ha senso? Forse no. Però è l’unica cosa che c’è, senza non hai niente. Non sei niente. È qualcosa in lui non vuole che questo succeda. Non sa se quel qualcosa sia buono o cattivo, ma è il motivo per cui ha portato in salvo il suo grosso culo.” (Ib., p. 101)
Il piccolo volume è magnificamente illustrato - come già detto - sia da tavole a piena o a doppia pagina, sia da piccole miniatura del grande Spiegelman.


(Quarta di copertina) «La gente veniva fucilata e moriva come in passato, ma non necessariamente in quest’ordine». 


(Risguardo) La penna di un grande scrittore – Robert Coover, uno dei maestri della letteratura americana – incontra il genio di Art Spiegelman in un gioiello di satira e trasgressione.
In un futuro molto prossimo un poliziotto lotta per conservare la propria umanità tra robot-fattorini, spacciatore di droghe sintetiche e droni assassini.

 

Robert Coover

Gli autori. Robert Coover, nato nel 1932, a Charles City (Iowa), è uno scrittore statunitense. Si è presto affermato come uno dei più vigorosi narratori di orientamento postmoderno per l’energia di una scrittura che distrugge il confine tra probabile e improbabile, imponendo al lettore nuovi modi di percezione del divenire. Nei suoi primi tre romanzi C. ha analizzato fenomeni tipici della società americana: il sorgere di nuove confessioni religiose di natura esoterica in L’origine dei Brunisti (The origin of the Brunists, 1966, nt); lo sport come interesse totalizzante in Il gioco di Henry (The Universal Baseball Association Inc., 1968); la politica come spettacolo di massa in Il rogo (The public burning, 1977, nt). Nei testi narrativi di Contrappunti e controcanti (Pricksongs and descants, 1969, nt) − tra i quali notissimo è La babysitter (The babysitter) − sono invece contrapposte alle favole del passato le altrettanto grottesche e terrificanti storie del nostro tempo. Tra i suoi libri si ricordano inoltre Sculacciando la cameriera (Spanking the maid, 1981), Una serata al cinema (A night at the movies, 1987) e Un campione in tutte le arti (Whatever happened to Glommy Gus of the Chicago Bears?, 1987), Pinocchio a Venezia (Pinocchio in Venice, 1991, nt), Bambino di nuovo (A child again, 2005, nt).

 

Art Spiegelmann (autoritratto, come un personaggio di Maus)

Art Spiegelman è nato a Stoccolma nel 1948, ma già nel 1951 la sua famiglia, di origine polacca, si è trasferita a New York.
Nel 1962 ha venduto al «Long Island Post» il suo primo disegno, l'anno dopo ha creato fumetti come Garbage Pal Kids e Wacky Packages.
Nel 1980, sulla rivista «Raw» da lui stesso fondata, è uscito il primo capitolo del suo capolavoro, Maus: la storia (autobiografica) di una famiglia ebrea internata in un lager, raccolta in volume nel 1986, gli è valsa nel 1991 il premio Pulitzer. Suoi disegni e fumetti sono apparsi su numerosi quotidiani e riviste, dal «New York Times» al «Village Voice» e al «New Yorker», e sono stati esposti in musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero.
Vive a New York con la moglie, Françoise Mouly, e i loro due figli, Nadja e Dashiell.
Di Spiegelman Einaudi ha pubblicato The Wild Party di Joseph Mancure March, da lui illustrato, Maus, L'Ombra delle Torri e BE A NOSE! («Stile libero»).

Sotto: Art Spiegelman al lavoro, nel suo studio, alla scrivania e un autoritratto come personaggio di Maus.

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5 luglio 2024 5 05 /07 /luglio /2024 12:19
Michael Critchon, James Patterson, Eruption, Longanesi, 2024

Con “Eruption” (pubblicato in traduzione italiana da Longanesi nel 2024, per la traduzione di Annamaria Raffo), ha visto la luce dopo molti anni un manoscritto rimasto incompiuto di Michael Crichton, i cui eredi hanno deciso che potesse valere la pena pubblicarlo, affidando - dopo aver a lungo soppesato la questione -il compito di revisione al rinomato autore di crime (ma non solo, poiché possiede doti di grande duttilità ed è, tra l'altro, aduso a collaborazioni con altri scrittori) James Patterson, il quale ha accettato la sfida. 

A James Patterson, uomo di incredibile talento, va la mia profonda riconoscenza per aver collaborato a questo progetto. Ho capito fin dal primo momento che avrei potuto fidarmi di te perché facessi vivere questa storia eccezionale e le brillanti idee di Michael“ (Sherri Crichton).
Si è trattato di un lungo lavoro di revisione e adattamento di un materiale ancora magmatico che Crichton aveva abbandonato da molti anni nello scrigno dei lavori che lo avevano affascinato, ma che erano rimasti incompiuti.

The black zone’, il titolo provvisorio assegnato da Michael si basava su un argomento che lo affascinava da anni. Michael discuteva raramente delle sue idee dei suoi progetti, anche con i familiari o con gli amici più stretti, ma parlava spesso del suo progetto sul vulcano e durante un viaggio in Italia facemmo appositamente una deviazione per visitare Pompei e consentirgli di approfondire le ricerche sulla storia che aveva ambientato alle Hawaii.
Dopo la morte di Michael, ho rinvenuto il manoscritto incompiuto nell’archivio. Non riuscivo a credere alla storia straordinaria che aveva costruito come solo lui sapeva fare. Il ritrovamento di questo tesoro ha dato l’avvio a un intenso lavoro di ricerca durante il quale sono stati passati al setaccio in un gran numero di documenti e diversi dischi rigidi per recuperare tutto il materiale attinente alla vicenda.
Nonostante Michael fosse meticoloso nelle sue ricerche e nell’organizzazione dei dati, incrociare e aggiornare tutti quei file non è stata impressa da poco. Ma questo lavoro ha rivelato una storia straordinaria e brillantemente strutturata.
” (Sherri Crichton, in “Antefatto”, p.413)

La trama è decisamente avvincente. 
Uno dei vulcani delle Hawaii si sta riattivando e si appresta ad un eruzione che, secondo gli esperti del locale osservatorio vulcanologico, potrebbe essere quella più pericolosa di sempre, di una potenza mai ancora vista e catastrofica. Nello stesso tempo delle "speciali" scorie radioattive conservate in una vicina base “segreta” dell'esercito USA sono a consistente rischio di essere travolte dalla lava, con la possibilità che si liberi un potentissimo agente diserbante che potrebbe sterminare nel mondo ogni forma di vita vegetale (agente che, a suo tempo, era stato miscelato con delle scorie radioattive, con l'ipotesi falllace che in questo modo sarebbe stato sepolto per sempre in qualche sito dedicato allo smaltimento delle scorie). 
Viene creata una speciale task force per scongiurare il pericolo in una corsa contro il tempo per cercare di deviare il flusso della lava ed evitare la catastrofe ecologica finale, con il combinarsi di tutte le risorse umane disponibili e con l'impiego delle più aggiornate tecnologie
Alla fine, sarà la Natura stessa a riportare tutto in un alveo di non pericolosità.
Catastrofe scampata, dunque, ma non senza vittime e danni di grande portata!
Ma sino a quando, sarà possibile scampare all’ultima e definitiva catastrofe? 
Un romanzo a lieto fine, dunque, che tuttavia pone degli interrogativi sul modo disinvolto di stoccare materiali pericolosi e che si legge in un crescendo di tensione, con una serie di colpi di scena al cardiopalmo

 

Quarta di copertina. Le Hawaii stanno per essere incenerite da un’eruzione vulcanica senza precedenti nella storia dell’umanità. Ma il mistero custodito in un laboratorio militare segreto rischia di essere più pericoloso e terrificante…

(Risguardo di copertina) Il grande romanzo incompiuto di Michael Crichton ha trovato in James Patterson la sua naturale, scintillante conclusione.

Hawaii, 2016. Rachel Sherrill, brillante biologa in forze ai Giardini Botanici di Hilo, sta accompagnando una scolaresca in visita, quando uno dei ragazzini le chiede di spiegargli uno strano fenomeno: alcuni alberi stanno diventando neri e trasudano una sostanza che sembra inchiostro, mentre nel cielo altrimenti sereno, contro il quale si staglia il profilo del vulcano Mauna Loa, risuonano tuoni minacciosi. Evacuato il parco, dopo un sopralluogo dell’esercito l’incidente viene derubricato a incendio, e tutto sembra continuare come se nulla fosse…Hawaii, 2025. Nove anni dopo, mentre il mondo si prepara ad affrontare sfide ambientali sempre più pressanti, il Mauna Loa cova una furia sempre più intensa. John MacGregor, appassionato surfista nonché esperto vulcanologo e capo dell’Hawaiian Volcano Observatory, sa che un’eruzione catastrofica del Mauna Loa è inevitabile. Ma c’è di più. Nel cuore del vulcano si cela un segreto oscuro, un’eredità del passato che potrebbe essere la rovina dell’intero pianeta. Nei recessi di una caverna sulle pendici del monte sono stati nascosti anni prima alcuni contenitori di un erbicida che per errore è stato reso radioattivo. Se liberato nell’atmosfera da un’eruzione, avrebbe conseguenze catastrofiche non solo per la popolazione di Hilo, ma per l’ecosistema e gli abitanti di tutta la Terra. Mentre il tempo stringe e l’attività del Mauna Loa sfiora il punto di non ritorno, MacGregor e la sua squadra si lanciano in un’odissea disperata per fermare il disastro imminente, in lotta con il calore feroce delle colate laviche e le scosse sismiche che sembrano far crollare ogni speranza. Solo una missione suicida, o un miracolo in cui nessuno sembra più credere, possono salvare le sorti dell’umanità…

 

 

Michael Crichton

Michael Crichton, nato nel 1942, Chicago, è poi cresciuto nel quartiere di Roslyn, Long Island, con il fratello minore (coautore di un suo romanzo) e le due sorelle.
Laureato in medicina alla Harvard Medical School ha iniziato a scrivere i suoi romanzi, già durante gli anni degli studi universitari sotto due diversi pseudonimi, John Lange e Jeffrey Hudson.
Ha abbandonato presto la professione medica per dedicarsi interamente alla scrittura.
A soli 25 anni gli viene diagnosticata una forma benigna di sclerosi multipla, come lui stesso racconta nella sua autobiografia.
A 27 anni lo raggiunge il successo: il suo romanzo Andromeda diventa immediatamente un best seller.
Con i soldi guadagnati così può iniziare a viaggiare per il mondo, la sua grande passione, e a conoscere anche i posti più sperduti del globo.
Ha divorziato per quattro volte (dalla quarta moglie ha avuto la figlia Taylor) prima di sposare l'ultima moglie Sherri Alexander.
Dopo una lunga battaglia contro un tumore, è morto a 66 anni il 4 novembre 2008.
Da alcuni dei suoi celeberrimi romanzi sono stati tratti film di eguale successo come: Jurassic Park, La grande rapina al treno, Congo, Timeline, Sol levante.
I suoi libri sono editi in Italia da Garzanti.

James Patterson

James Patterson, nato Newburgh (New York, USA) nel 1949, è uno scrittore statunitense. Dopo gli studi, nel Massachusetts e nel Tennessee, si è trasferito a New York, dove ha lavorato per l’agenzia pubblicitaria J. Walter Thompson, diventando il presidente della filiale americana.
Vincitore nel 1977 del prestigioso premio Edgar per il miglior romanzo d’esordio (The Thomas Berryman Number), da allora si è imposto come uno dei migliori e più prolifici autori di thriller.
La sua fama è legata soprattutto al personaggio di Alex Cross, lo psicologo cacciatore di serial killer interpretato sul grande schermo da Morgan Freeman in due fortunate trasposizioni (Il collezionista e Nella morsa del ragno), ma anche ai romanzi delle Donne del club Omicidi e alla serie Maximum Ride.

I suoi libri, tradotti in tutto il mondo, solo negli Stati Uniti hanno superato le dieci milioni di copie vendute. Tra i suoi libri più recenti si ricorda La setta, uno dei capitoli della serie Witch&Wizard, pubblicato da Nord nel 2016; L'evaso, scritto insieme a Michael Ledwidge e pubblicato da Longanesi nel 2016 e sempre per Longanesi nel 2017 Peccato mortale scritto con Maxime Paetro e Chi soffia sul fuoco, scritto con Michael Ledwidge. È del 2018 Tradimento finale. Con l'ex presidente degli stati uniti Bill Clinton ha scritto il thriller Il presidente è scomparso (Longanesi 2018) e La figlia del presidente (Longanesi 2021).
Nel 2019 escono La seduzione del male, Instinct e Qualcosa di personale (Longanesi) e Prova d'innocenza (tre60), scritto insieme a Andrew Gross.
Nel 2020 esce per Longanesi L'ultimo sospettato e Al centro del Mirino, scritto con Michael Ledwidge. Altro scritto con quest'ultimo autore è Una bugia quasi perfetta (Tre60, 2021). Sempre nel 2021 pubblica con Sherman Casey Gli ultimi giorni di John Lennon (Longanesi).
È anche autore di libri per ragazzi, tra cui si ricorda il bestseller Scuola media.

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1 luglio 2024 1 01 /07 /luglio /2024 06:16
Edward Abbey, Desert Solitaire, Baldini&Castoldi 2015

Desert Solitaire. Una stagione nella natura selvaggia (Desert Solitaire: A Season in the Wilderness, nella traduzione di Stefano Travagli) di Edward Abbey in anni abbastanza recenti è stato molto opportunamente riproposto da Baldini&Castoldi /nella collana "Romanzi e racconti, nel 2015), dopo una prima edizione praticamente introvabile per i tipi di Muzzio, nel 1993, con il titolo di "Deserto solitario".
Questa era la presentazione di quella prima edizione: 
"Deserto solitario di Edward Abbey, un fecondo scrittore statunitense di “letteratura naturalistica”, è il racconto eloquente, amaro e stravagante di una stagione trascorsa dall’autore, in qualità di ranger, a sorvegliare l’Arches National Park nello stato dello Utah (area di Moab), uno dei luoghi più caratteristici e più selvaggi dell’immenso e variegato paesaggio del Nord America: la regione dei canyon. All’epopea dell’esperienza narrata dall’autore, alla fine degli anni 160, questi territori ancora 'selvaggi' cominciavano ad essere investiti dal turismo 'su scala industriale' e ad essere minacciati dal progetto di una diga che ne avrebbe sommerso una parte, assieme alle ineguagliabili forme di vita animali e vegetali che l’abitavano. Il libro è per questo diventato negli Stati Uniti un documento di denuncia attorno a cui si è raccolto il movimento degli ambientalisti per difendere la natura dei parchi. Il libro non è però un semplice resoconto: è un racconto vero, di una notevole cifra letteraria, che contiene molte altre storie – di indiani e cow-boy, di cercatori di uranio e di cavalli selvaggi – che sfumano nella favola e nel mito; è un inno poetico e ribelle, di rara ispirazione, alla natura selvaggia; è un manifesto dai toni anarchici e estremi sui rapporti dell’uomo con l’ambiente naturale.
Scrive Abbey nella sua breve introduzione al volume:
"Una decina di anni fa [la sua opera fu pubblicata per la prima volta nel 1968] decisi di andare come ranger stagionale in un luogo chiamato Arches National Monument, vicino alla cittadina di Moab, nello Utah sudorientale. Il motivo della decisione non è più importante, ciò che ho trovato lì è l'argomento di questo libro" (p. 7)
Si trattò per lui di un'esperienza durata un semestre (dal 1° aprile sino al 30 settembre). 
Ritornò a fare lo stesso lavoro anche l'anno successivo.
Sarebbe tornato anche per il terzo anno e forse lo avrebbe fatto anche per tutti gli anni successivi, ma rinunciò.
Perchè? Ce lo dice lo stesso Abbey:
"... gli Arches, un luogo primitivo quando vi ero stato la prima volta, sfortunatamente avevano conosciuto sviluppo e sfruttamento [che per lui furono intollerabili da affrontare] e dovetti rinunciare" (ib.).
La bellezza della natura selvaggia era stata deturpata e, negli anni successivi, lo sarebbe stata ancora di più, con progetti dissennati di sviluppo turistico, di sfruttamento minerario e idroelettrico, con la costruzione di una diga che, messa in opera, avrebbe stravolto l'aspetto originario dei canyon, occultando per sempre alcune delle più magnifiche bellezze naturali.
Abbey riferisce di essere tornato comunque, a distanza di molti anni, negli stessi luoghi, di aver fatto un tour completo e di essersi, infine, fermato per una terza stagione che gli diede modo di registrare i cambiamenti drammatici avvenuti in sua assenza.

Edward Abbey, Deserto Solitario, Muzzio

L'essenza del libro è tratta dalle pagine di diario che Abbey ha riempito febbrilmente in queste tre stagioni, mentre altri capitoli sono stati costruiti con il ricordo di escursioni effettuate in altri momenti e con digressioni/riflessioni di vario tipo, tra le quali non mancano delle critiche intense e dure contro il suo datore di lavoro stagionale, cioè l'amministrazione del National Park Service (che fa capo al Dipartimento dell'interno del Governo degli Stati Uniti).
La sua esperienza ripetuta nel corso degli anni è stata di solitudine vivificante nel cuore del deserto (all'interno di scenari di una bellezza grandiosa), alloggiato in una piccola roulotte, con un incarico da ranger che comportava per lui un minimo di impegno giornaliero per alcuni compiti di routine e che, per il resto del tempo, lo lasciava libero di contemplare, di riflettere, di meditare, di osservare nei dettagli più minuti la flora e la fauna e di compiere anche delle escursioni.
Una posizione invidiabile quella di Abbey, per alcuni aspetti, a condizione di saper tollerare la solitudine.
L'esperienza della wilderness è anche un'esperienza di solitudine e di capacità di star da soli.
In questo senso, la scrittura (e l'esperienza che ad essa è sottesa) di Abbey si avvicinano molto a "Walden, ovvero la vita nei boschi" di Henry David Thoreau che è un classico sotto molti punti di vista e, tra le tante cose, anche dell'anarchismo libertario.
Ma, in molti passaggi, c'è anche molto di Twain, a mio parere, e soprattutto del suo personaggio iconico Huckleberry Finn che si vede emergere chiaramente nel lungo capitolo che descrive la discesa del Colorado, compiuta da Abbey su due canotti di gomma attrezzati per un'avventura di una settimana, assieme ad un amico. 
O anche la venatura lirica e struggente in alcune descrizioni paesaggistiche e naturalistiche che fa pensare alla prosa di Cormac McCarthy, quando i suoi personaggi agiscono al cospetto di una Natura che è assieme bellissima e intangibile, quasi crudele in questo distacco dagli Umani.
Vi è una forte vena di anarchismo libertario, quando Abbey - per esempio - invita coloro che vorranno visitare l'"Arches National Park" di lasciare l'auto alle soglie del parco e di avventurarsi a piedi ad esplorare, facendo ciò che possono (e vedendo ciò che possono, di conseguenza) soltanto muovendosi sulle proprie gambe. Ma questa vena si ritrova anche nell'invettiva che egli lancia contro coloro che vorrebbero costruire più strade asfaltate e più piazzole di sosta all'interno del Parco (il suo, ma anche di altri), per consentire forme di turismo facile e superficiale, in altri termini "consumistico" (da ciò discende il corollario che alcuni dei luoghi più belli dovrebbero essere mantenuti "segreti", anche se la la società dei consumi fa di tutto per evitare ciò).
Abbey sarebbe stato sicuramente tra quelli che qui in Italia si sarebbero schierati fermamente contro l'uccisone dell'orso "killer", come del resto lui accetta pacificamente che, nel corso della sua permanenza nel deserto, possa imbattersi in un puma. Simili accidenti fanno parte della wilderness e non si può bere dal calice di essa senza tener conto di eventuali pericoli (ed eventualmente affrontarli, o patirne le conseguenze), come anche smarrirsi nel deserto, morire per disidratazione o altro.
Quella di Desert Solitaire è una lettura assolutamente godibile ed è possibile imbattersi in alcuni passaggi descrittivi che - come ho già detto - sono fortemente lirici.
E, per tutti i motivi illustrarti, è anche un testo di formazione per il lettore che legge i resoconti e le narrazioni delle tre stagioni di Abbey nel deserto sudorientale dello Utah.
Infine, aggiungerei come postilla, non si può leggere l'opera narrativa successiva di Abbey, pubblicata la prima volta nel 1975, "The Monkey Wrench Gang" (I Sabotatori, Meridiano Zero, 2001) senza aver letto prima Desert Solitaire, poichè proprio qui si ritroveranno tutte le tematiche e le motivazioni che spingono i quattro protagonisti a diventare sabotatori per contrastare lo sfruttamento efferato del deserto e il sovvertimento (nonché l'addomesticamento) della natura selvaggia, voluto dal Governo centrale e dalle multinazionali.
La filosofia dei quattro sabotatori trae radici e alimento proprio dalle pagine di Edward Abbey e le loro imprese diventarono un "classico" della nuova ondata del movimento ecologico statunitense e del mondo (e, per alcuni versi, anche del cosiddetto "ecoterrorismo").


(Risguardo di copertina) "Desert solitaire" è diventato un libro di culto sin dalla sua pubblicazione, nel 1968. Un racconto provocatorio e mistico, arrabbiato e appassionato, in cui Edward Abbey ci restituisce la sua esperienza di ranger nell'Arches National Monument, nel Sudest dello Utah, catturandone l'essenza e trasmettendoci il desiderio di vivere nella natura e conoscerla nella sua forma più pura: silenzio, lotta, bellezza abbagliante. Ma "Desert solitaire" è anche il grido angosciato di un uomo pronto a sfidare il crescente sfruttamento operato dall'industria petrolifera, mineraria e del turismo. 
Sono trascorsi quasi cinquant'anni, e le osservazioni di Abbey, le sue battaglie, non hanno perso nulla della loro rilevanza. Anzi, oggi più che mai, "Desert solitaire" ci chiama a combattere, mettendoci di fronte a un'ultima domanda fondamentale: riusciremo a salvare ciò che resta dei nostri tesori naturali prima che i bulldozer manovrati dal profitto colpiscano ancora?

Edward Abbey

 

L'autore. Edward Abbey,1927, Home (Pensylvania) e deceduto a Oracle (Arizona) nel 1989.  
Ha studiato presso l'Università del New Mexico e all'Università di Edimburgo. 
Filosofo, saggista e romanziere americano, esordì come scrittore negli anni Sessanta dopo aver lavorato a lungo come guardia forestale nei parchi nazionali di mezza America. Arrivato al successo con The brave Cowboy, che divenne un film interpretato da Kirk Douglas, con The Monkey Wrench Gang fu consacrato eroe della nuova ondata ecologista americana, diventando al contempo autore di primo piano nel panorama letterario americano.

 

Edward Abbey, I Sabotatori, Mneridiano Zero

Più di vent’anni dopo averlo acquistato, mi sono accinto alla lettura del romanzo cult di Edward Abbey, I Sabotatori (titolo originale: The Monkey Wrench Gang), pubblicato da Meridiano Zero nel 2001.
Quando l'ho preso tra le mani era ben stagionato, con le pagine ingiallite a dovere e, finalmente, l'ho aperto, l'ho sfogliato e finalmente mi ci sono immerso, avendo la consapevolezza di avere tra le mani un libro cult, un vero prodotto d’annata, scritto da un ecologista ante litteram (ma anche predicatore dell’ecoterrorismo), quando ancora ben poco si parlava di tutela dell’ambiente, con l’eccezione, ovviamente di un classico come “Primavera silenziosa” di Rachel Carson.
Il primo capitolo mi ha fatto intendere che io e questo libro saremmo andati d’accordo!
Ho sentito sin da subito che sarebbe stato il mio libro di lettura preferito nelle mie attese in auto!


(Presentazione) Un medico. La sua infermiera nonché fidanzata. Un giovane reduce specializzato in demolizioni. Un mormone con tre mogli. Un improbabile quartetto di aspiranti guerriglieri, eco-terroristi decisi a salvare quel che resta della natura di Utah e Arizona, del selvaggio paesaggio del deserto. Intraprenderanno una lunga serie di sabotaggi e di avventurose incursioni fino al progetto più ambizioso: far saltare la diga del Glen Canyon, intollerabile scempio ambientale.
Praticamente sconosciuto in Italia, il polemista-filosofo-naturalista-scrittore Edward Abbey (1927- 1989) è considerato una specie di eroe dal movimento ambientalista e dalla controcultura americana. La sua lotta appassionata in difesa della wilderness ha raccolto schiere di ammiratori entusiasti e di detrattori imbestialiti. Nato durante la Grande Depressione in una sperduta fattoria dei monti Appalachi, in Pennsylvania, all’età di 17 anni si mette sulla strada e viaggia per il Sud Ovest, in autostop e su carri merci, restando folgorato dalla bellezza selvaggia di quei luoghi desertici da cui per tutta la vita non riuscirà mai più a staccarsi. Abbey esprime una ribellione radicale contro il concetto imperante di antropocentrismo. La guerra che l’uomo ha dichiarato alla natura – afferma l’autore – nasce dalla terrificante percezione che essa è assolutamente indifferente al destino dell’uomo. Inutile attribuire valenze etiche alla natura, un processo efficiente, brutale, spietato e insieme pulito e meraviglioso. È un luogo magico in cui si può entrare solo patteggiando costantemente la propria presenza.

Nel ‘75 dà alle stampe quello che diverrà il suo best seller: The Monkey Wrench Gang (I Sabotatori), dove – tra il serio e il faceto – propone una sorta di contro-vandalismo attivo contro il vandalismo perpetrato dal cosiddetto progresso contro la natura, che dopo l’ignoranza distruttiva dei pionieri deve subire le pratiche distruttive coscienti delle industrie. In questo libro facile e scanzonato, Abbey abbandona la contemplazione e la disobbedienza civile di Thoreau per indossare definitivamente gli abiti di Ned Ludd.
 

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22 maggio 2024 3 22 /05 /maggio /2024 10:26
Domenico Cacopardo, Agrò e il Maresciallo La Ronda, Marsilio

Mi è capitato di trovarmi per le mani, qualche tempo fa il poliziesco, Agró e il Maresciallo La Ronda, pubblicato da Marsilio (Le Farfalle), nel 2013, di cui è autore Domenico Cacopardomagistrato e scrittore.
L'ho trovato di lettura gradevole, liscia, scorrevole, a tratti sapida: un piacevole intrattenimento.
Appartiene questa indagine ad una serie composta da una decina di romanzi polizieschi che vedono nei panni di protagonista il sostituto procuratore della Repubblica Italo Agrò. 
Qui, ci troviamo davanti ad un antefatto (o, come si tende a dire oggi, di un “prequel”) in cui il futuro sostituto procuratore è ancora uno studentello di legge e, mentre si trova in vacanza estiva, nel suo piccolo paese del Messinese, viene chiamato dal Maresciallo La Ronda, al comando della locale stazione dei Carabinieri, perché l’aiuti a stendere dei rapporti su di un caso di omicidio (inizialmente solo a metterli in bella forma) 
Siamo nel 1976, in un’epoca in cui erano ancora assenti del tutto, telefonini e altri dispositivi elettronici, nel tempo inoltre in cui i documenti venivano trasmessi come “cablogramma”: e questo ha il suo fascino, perché ci parla di un’epoca lontana che i più anziani di noi hanno vissuto.
L’”avvocatucolo” si rivela, tuttavia, sagace e pieno di idee e il pur ruvido Maresciallo prende ad apprezzarlo e ad interpellarlo sempre più spesso e negli orari più strani per proficui “scambi di idee”: sicché il giovane Agrò si ritrova sempre più coinvolto in un’indagine "non autorizzata", sul cui evolversi  manterrà - come si conviene - il dovuto riserbo nei confronti di amici e parenti, ma anche della sua morosa.
Senza nemmeno saperlo, poiché di Cacopardo non avevo ancora letto sinora alcun romanzo, mi sono imbattuto per puro caso nella prima avventura di una serie.
Il libro, in ottime condizioni, me lo ha proposto il mio edicolante a metà prezzo.

 

(Risguardo di copertina) Sant'Alessio Siculo, fine estate 1975. Il futuro dottor Italo Agrò è ancora studente di legge nell'università di Napoli e sta terminando le vacanze nel suo paese d'origine. Il maresciallo dei Carabinieri, Augusto La Ronda, che ha già in passato chiesto a Italo di aiutarlo a stilare qualche rapporto particolarmente delicato, lunedì 7 settembre, lo fa prelevare in un bar di Letojanni, dov'era con gli amici, e condurre in caserma: nel pomeriggio è stato ritrovato tra i ruderi della chiesa di Sant'Agostino il cadavere di Biagio Mudaita, un giovane che lavorava nell'amministrazione della falegnameria paterna. Tra i maricaretti familiari, il mare della sua terra, il passaggio definitivo dall'adolescenza all'età adulta e gli aromi di una Sicilia lussureggiante, Italo Agrò non si limita a correggere il rapporto che il maresciallo intende inviare alle superiori autorità: si appassiona al caso e, in modo riservato, ma non troppo, collabora con il maresciallo con suggerimenti e riflessioni che lo aiutano nelle indagini, mentre si consumano quegli ultimi giorni di vacanza, durante i quali Italo inizia la sua storia d'amore con Irene Mangiacola, detta Nené.

 

Domenico Cacopardo

L’autore. Domenico Cacopardo, nato nel 1936 a Rivoli in Piemonte, ma di origini siciliane, è uno scrittore italiano. Laureato in giurisprudenza, è vissuto in varie città italiane condotto dagli impegni professionali: Consigliere di Stato sino al 2008, è stato anche Magistrato per il Po a Parma e Magistrato alle Acque a Venezia. Collabora con numerose testate giornalistiche nazionali e locali. 
L'endiadi del dottor Agrò è il primo episodio della fortunata serie del sostituto procuratore Italo Agrò, di cui sono usciti per Marsilio anche Agrò e la deliziosa vedova Carpino (2010), Agrò e la scomparsa di Omber (2011). Tra le sue opere, pubblicate sempre con Marsilio, ricordiamo anche Il delitto dell'Immacolata (2014), Semplici questioni d'onore (2016). Nel 2022 esce per Ianieri edizioni il romanzo giallo Pater.
Il dottore Agrò, sostituto procuratore della Repubblica, ha preso forma con il romanzo di successo “L'endiadi del dottor Agrò” che é divenuto presto uno dei suoi più fortunati personaggi: il sostituto procuratore Italo Agrò, alter ego dello scrittore, che da alcuni anni lo anima durante il programma "il taccuino del dottor Agrò", in onda ogni sabato pomeriggio sull'emittente nazionale Radio 24.
Agrò è poi tornato anche in alcuni dei successivi romanzi.
Giusto a titolo di curiosità, citiamo qui che Domenico Cacopardo ha avuto una controversia con Andrea Camilleri. Convinto di aver subito un affronto da Questi, che - nella sua opera Il nipote del Negus - ha voluto chiamare un personaggio col nome di Aristide Cacopardo, ha deciso di citare in tribunale l'autore del Commissario Montalbano sentendosi diffamato.
Il punto della discordia era da attribuire ad una frase del libro di Camilleri che descriveva il Cacopardo del romanzo come «persona attendibile anche se un poco chiacchierato (è fissato di essere un grande scrittore e consuma il suo stipendio pubblicando romanzi a sue spese)».
Cacopardo chiese in tribunale di sospendere la pubblicazione de Il nipote del Negus e di ritirarne tutte le copie invendute: il giudice del Tribunale civile di Parma respinse le sue richieste. 


https://www.cacopardo.it/
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Domenico_Cacopardo

(22 aprile 2023)

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14 maggio 2024 2 14 /05 /maggio /2024 06:50
Davide Longo, Un mattino a Irgalem

Un mattino a Irgalem di Davide Longo (Feltrinelli UEF, 2019) tra i primi romanzi di Davide Longo, è stato in origine pubblicato da Marcos y Marcos nel 2001.
E ha visto successive edizioni con Fandango e poi con Feltrinelli (Zoom), prima di approdare alla UE.
È ambientato in Etiopia e ad Addis Abeba nel periodo di intervallo tra la fine della Guerra d’Etiopia e l’inizio della II Guerra Mondiale, nei brevi anni in cui si consolida (ma nemmeno poi tanto) la dominazione italiana in quei territori
Pietro, avvocato e appena promosso a tenente di complemento, viene inviato proprio nella qualità di avvocato militare ad Addis Abeba per fare da difensore d’ufficio di un certo Prochet che, nelle sue funzioni di “esploratore”, ha compiuto delle atrocità sia nei confronti degli Etiopi (ribelli e non) sia nei confronti dei suoi stessi connazionali, azioni talmente efferate di cui nessuno intende parlare esplicitamente
Pietro (di cui non conosceremo mai il cognome) si trova immerso in una realtà in cui le regole del vivere civile sono come sospese, dietro l’esile facciata di ordine della disciplina militare.
Il suo difeso non parla e non si confronta: non intende collaborare in alcun modo alla costruzione di una linea difensiva qualsivoglia.
Prochet ci appare come una specie di colonnello Kurtz in Cuore di Tenebra: è questa la suggestione letteraria che ne ho tratto, anche se qualcuno tira in ballo, come antecedente letterario illustre, Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, di recente ripubblicato da Adelphi, pubblicato la prima volta nel 1947 e vincitore della prima edizione del Premio Strega
Pietro è spaesato e sembra perdere in una atmosfera che è, allo stesso tempo, surriscaldata e oziosa/languida ogni usuale punto di riferimento e in qualche modo si lascia contaminare.
É un romanzo che è difficile da classificare: non è un noir, non è un mistery; non è un giallo e nemmeno un legal thriller di stampo militare.
Mi è sembrato piuttosto un bel romanzo che affresca magnificamente un periodo storico e l’anima nera delle velleità coloniali del regime fascista, con una conclusione che non è nemmeno una conclusione ma che si pone come una nemesi che colpisce il Giusto e l’Ingiusto allo stesso modo
Davide Longo è un autore che mi ritrovo ad apprezzare sempre di più e di cui sto a poco a poco leggendo tutti i romanzi

 

(Quarta di copertina) “Uomo sbagliato, posto sbagliato, tempo sbagliato". È questo lo stato d'animo di Pietro, giovane avvocato di Torino, appena promosso tenente nel Regio esercito italiano. Regio di nome, fasullo, fascista di nerbo, fin troppo reale. Difatti: l'anno di disgrazia è il 1937, il luogo della tragedia è l'Etiopia, dove è appena "tornato l'impero dei colli fatali", "eia-eia-alalà" e tutto il resto della farsa macabra. Il potere militare in orbace, o qualsivoglia imitazione del medesimo, affida a Pietro il classico caso che nessun avvocato vorrebbe nemmeno da morto. Ritrovarsi scaraventato 'ab imperio' a migliaia di chilometri da casa, a difendere l'indifendibile. Sul sergente Prochet, duro e puro comandante dei gruppi esploratori etiopi, grava infatti l'accusa di omicidio. Un momento, un momento: omicidio nel mezzo di una brutale guerra coloniale? Omicidio in un contesto che fa dell'omicidio stesso la propria divinità? A quanto pare, però, il sergente Prochet è andato un minimo sopra le righe. Un'incursione in un remoto villaggio nel deserto si è risolta in un bagno di sangue talmente efferato da fare impallidire perfino il Teatro del Grand Guignol. Pietro deve quindi difendere l'imputato che non solo non parla ma che tutti quanti - dai vertici del fascio ai disperati sopravvissuti etiopi - vogliono morto. Eppure, nulla è come appare.

 

Davide Longo

L’autore. Davide Longo, nato nel 1971 a Carmagnola, vive adesso  a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. 
Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti il duo Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi 2021), il terzo episodio della serie Una rabbia semplice (Einaudi 2021), il quarto La vita paga il sabato (Einaudi 2022) e il quinto, Requiem di provincia (Einaudi, 2023).
Nel 2017 ha scritto la sceneggiatura per il film “Il Mangiatore di Pietre”, interpretato da Luigi Lo Cascio.

Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Adelphi

Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Adelphi (Fabula), 2020

 

Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la "terra ideale dei films Paramount", ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene.

«Quando la campagna sarà finita non pochi si precipiteranno a scrivere dei libri» annota Flaiano nel febbraio del 1936, mentre, sottotenente del Genio, partecipa alla guerra d'Etiopia. «Già immagino il contenuto e i titoli: "Fiamme nel Tigrai", "Africa te teneo", "Tricolore sull'Amba"!». Non a caso, attenderà dieci anni prima di ricavare da quella sofferta esperienza - fatta di sete e stanchezza, caldo e paura - un romanzo. Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la «terra ideale dei films Paramount», ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene (e che dunque cela di necessità «qualcosa di guasto»), e al centro una vicenda «assolutamente fantastica»: un delitto futile e fatale, che scatena in chi l'ha commesso un corrosivo delirio. E gli trasmette il morbo di un «impero contagioso», di un senso di colpa inscindibile dal rancore, di una pietà commista a disprezzo per un mondo ignoto, l'Africa - «lo sgabuzzino delle porcherie», dove gli occidentali vanno «a sgranchirsi la coscienza».

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9 maggio 2024 4 09 /05 /maggio /2024 12:00

«L’uomo è direttamente sopra di lei, incastonato nel ghiaccio. È a faccia in giú, con le braccia lungo i fianchi, occhi e bocca aperti, e la fissa come se fosse ancora vivo. Ma non c’è aria nei suoi polmoni, né vita nei suoi occhi. E l’urlo di Addie echeggia in tutto il Coire an dà Loch».

Il rumore del ghiaccio (Prologo)

Peter May, Il rumore del ghiaccio, Einaudi

Sin da subito ho imparato ad apprezzare i romanzi di Peter May (e il mio primo approccio con la sua narrativa è stato il primo volume della trilogia di Lewis, L'isola del cacciatore di uccelli e ne sono rimasto entusiasta). Arriva ora in libreria, Il rumore del ghiaccio (A Winter Grave, nella traduzione di Alfredo Colitto), sempre per i tipi Einaudi (Stile Libero Big), 2023 che non mi ha deluso (ma non avrei mai avuto al cun dubbio al riguardo).

Si legge con molto coinvolgimento dalla prima pagina alla conclusione.

La vicenda che vi è narrata ha un ambientazione futurologica. Gran parte della vicenda si svolge nel 2051, quando è in corso già da tempo una catastrofe climatica che ha determinato - per via dello scioglimento dei ghiacci - un definitivo cambiamento dei profili costieri, ma anche delle condizioni meteo.

Tutto comincia con il rinvenimento di un cadavere all'interno della neve ghiacciata nei pressi di una piccola cittadina nelle Highlands scozzesi dove si trova anche una centrale termonucleare., fortemente voluta dal governo scozzese, come atto importante per la risoluzione della crisi energetica, "un suo fiore all'occhiello".

Il detective Cameron Brodie viene inviato da Glasgow per indagare, assieme ad un medico legale che dovrà eseguire l'esame necroscopico.

Nella vicenda si dipanano due diversi piani che sono quello delle indagini attuali e quello delle vicissitudini esistenziale del detective che ha anche una ragione personale nell'avere accettato questa speciale missione.

Infatti, si ritroverà - il detective - a ripercorrere i ricordi di un passato più lontano - oltre vent'anni indietro - per risistemare alcune cose dentro di sé e, se possibile, anche sanare delle fratture che, a causa di quegli eventi lontani, si erano verificate.

Quindi, nel presente, egli si troverà non soltanto a lottare contro coloro che cercano di insabbiare in tutti i modi la sua indagine (anche al prezzo di uccidere), ma anche contro i fantasmi del passato.

Non mi ha deluso.

L'ho letteralmente divorato.

Pur con la sua ambientazione in un futuro ancora lontano (ma, in definitiva, non tanto ipotetico), il romanzo di Peter May tratta di tematiche estremamente attuali.

 

(Soglie del testo) Tra i ghiacci che ricoprono ormai da tempo le Highlands scozzesi, una giovane meteorologa si imbatte nel cadavere di uno sconosciuto. Il mondo sarà anche cambiato, ma gli uomini no, e le ragioni per uccidere restano sempre le stesse

Il corpo di Charles Younger, un giornalista scomodo, viene recuperato in un ghiacciaio. Younger non era un escursionista e il suo ritrovamento in montagna ha una sola spiegazione: seguiva una storia. Questa almeno è l’opinione di Cameron Brodie, il detective arrivato da Glasgow per seguire il caso. Ormai a fine carriera, Brodie ha sulle spalle una diagnosi implacabile e varie ragioni, anche personali, per trovarsi sulle Highlands. E mentre l’ennesima tormenta taglia fuori dal mondo i villaggi scozzesi, Brodie ha la conferma di come il male possa annidarsi ovunque, piú vicino di quanto potesse mai immaginare.

Peter May

 

L’autore. Peter May è nato a Glasgow nel 1951. L'isola dei cacciatori di uccelli (Einaudi Stile Libero 2012) è il primo volume della trilogia ambientata sull'isola di Lewis che ha ottenuto uno straordinario successo di critica e pubblico in Gran Bretagna e in Francia. Nel 2013 Einaudi Stile Libero ha pubblicato il secondo volume della trilogia, L'uomo di Lewis, e nel 2015 il terzo e conclusivo, L'uomo degli scacchi. Sempre per Einaudi, ha pubblicato, nel 2017, Il sentiero, nel 2020 Lockdown, e nel 2023 Il rumore del ghiaccio. Nel 2018 per Einaudi è uscita nei Super ET, in unico volume, la Trilogia dell'isola di Lewis

«Ti afferra dalla prima pagina, tra i migliori romanzi che May abbia scritto».

Sunday Express

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20 aprile 2024 6 20 /04 /aprile /2024 09:41
Robin Cook, Sindrome fatale (Toxin), Sperling&Kupfer

Sindrome fatale (Toxin, traduzione di Linda De Angelis) è un thriller medico scritto nel 1998 dallo scrittore statunitense Robin Cook, pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer, e mi sono ritrovato a leggerlo di recente, perchè, animato da un'improvvisa voglia di uno dei libri di questo autore, sono andato a pescarne uno in giacenza nella mia libreria e messo da parte appunto, per questo improvviso tipo di voglia.
Robin Cook è uno scrittore che coltivo di quando in quando.
Non di quelli i cui libri mi precipito ad acquistare in libreria appena sono usciti, no.
Solitamente non ricevono la mia priorità.
Li acquisto se ne ho la possibilità se ne trovo a prezzo scontato.
Nel corso del tempo ne ho infatti trovati diversi attraverso le vendite remainder.
Sono dei libri con titoli incisivi e inquietanti ero roboanti assieme, tipo “Febbre”, “Morbo”, “Epidemia”, “Contagio”, “Pandemic”, e così via (in calce a questo post sono elencati tutti i suoi titoli).

Di questi romanzi acquistati a prezzi scontatissimi e di cui ho fatto riserva, ogni tanto ne pesco uno e lo leggo.
Devo dire anche che le trame di Robin Cook, in generale, mi acchiappano (forse anche per via della mia formazione medica), perché in generale introducono il lettore immediatamente all’interno di una questione scottante che, a seconda dei casi, può riguardare la sanità pubblica e le sue storture, le malversazioni di sistemi corrotti le manipolazioni di Big Pharma ed altre tematiche scottanti e attuali.
In generale, si tratta di romanzi estremamente documentati che, senza ombra di dubbio, aprono la strada a delle riflessioni e aiutano a porsi degli interrogativi.
In questo romanzo, ad esempio, si affronta il tema delle aziende che forniscono il mercato alimentare di carni macinate, il problema della loro conservazione e del loro possibile inquinamento da parte di pericolosi agenti patogeni, ma anche delle collusioni tra i produttori e gli organismi statali di controllo.
Vi si parla anche delle tossinfezioni sostenute da un particolare ceppo di Escherichia coli che si diffondono attraverso le carni macinate non ben cotte (e possibilmente già contaminate in origine a causa degli inconvenienti procedurali legati alla gestione delle macellazioni su grande scala) e che negli Stati Uniti - al tempo della scrittura di questo romanzo - producevano diverse centinaia di morti all’anno, soprattutto come complicazione della sindrome tossica correlata (la cosiddetta Sindrome emolitica-uremica). 
Leggendo alcune pagine di questo “Sindrome fatale” (il cui titolo inglese tra l’altro è “Toxin”), viene indubbiamente voglia di non mangiare più le carni rosse, soprattutto quelle macinate che vengono dalla grande distribuzione.
Per Robin Cook scrivere è un modo per denunciare le malversazioni, le storture e le collusioni, ma anche per sensibilizzare il grande pubblico su queste grandi tematiche di sanità pubblica, sugli usi distorti dei progressi tecnologici in Medicina e sulla necessità di un superamento dei problemi segnalati attraverso l’adozione di comportamenti più responsabili.
Dal punto di vista stilistico, tuttavia, i romanzi di Robin Cook lasciano un po’ a desiderare (benché egli abbia venduto milioni e milioni di copie), soprattutto perché quando lo spunto tematico si esaurisce egli introduce nella macchina narrativa elementi che, essendo sono più da action thriller, a mio modo di vedere, fungono più da riempitivo e hanno uno scarso valore letterario.
Ciò non sminuisce il fatto che gli spunti narrativi siano sempre più che buoni.
E quindi mi sento di poter perdonare le sue cadute stilistiche.

 

Scrive l’autore in exergo:
Questo libro è dedicato alle famiglie che hanno sofferto per il flagello dell’Escherichia Coli 0157:H7 e per altre malattie contratte attraverso il cibo

 

Trama. Kim Reggis è un cardiochirurgo che non solo ha divorziato da poco, ma ha anche perso la posizione di primario del proprio reparto. E i suoi guai non finiscono qui, perché la figlioletta Becky viene colpita da una grave intossicazione alimentare. L'inesorabile progredire della sindrome, che porta alla morte Becky a causa del batterio E. coli, lo spinge a un'indagine dagli esiti agghiaccianti. L'industria della carne e l'organismo statale preposto al controllo risultano infatti legati da una segreta complicità ai danni dei consumatori e chi volesse far luce su questa sporca faccenda potrebbe rimetterci la vita.

 

Robin Cook (dal web)

L'autore. Robin Cook (New York, 4 maggio 1940) è un medico e scrittore statunitense, affermato autore di gialli, è considerato il padre dei thriller medici, e cioè dei gialli di argomento scientifico-biologico.
Si è laureato in medicina alla Columbia University e specializzato ad Harvard. Decise di abbandonare la professione dopo aver scoperto che in un ospedale in cui lavorava la cartella clinica di un paziente ricoverato da tre settimane non era stata ancora letta. Cominciò così a scrivere thriller per divulgare i maggiori problemi della sanità e della ricerca medica, temi che altrimenti non avrebbero appassionato. Dopo un primo tentativo con Year of the Intern, ottiene successo con Coma dal quale viene tratto il film Coma profondo, interpretato da Michael Douglas.
Cook ha scritto una trentina di libri che hanno ispirato anche altri film, tutti tradotti in italiano tranne il primo. Nei suoi romanzi Cook affronta diverse tematiche: dall'ingegneria genetica alle intossicazioni alimentari, dall'inquinamento chimico alla clonazione umana e qualcuno dei suoi lavoro appartiene al filone della fantascienza.
Ha venduto in tutto il mondo oltre 100 milioni di copie.

Cook scrive i suoi libri con l'assistenza di altri medici e specialisti della professione. 

 

Le opere
1972: Year of the Intern
1977: Coma (Coma)
1979: L'ombra del faraone (Sphinx)
1981: Cervello (Brain)
1982: Febbre (Fever)
1983: Al posto di Dio (Godplayer)
1985: Sotto controllo (Mindbend)
1988: Progetto di morte (Mortal Fear)
1989: La mutazione (Mutation)
1990: Sonno mortale (Harmful Intent)
1993: Vite in pericolo (Fatal Cure)
1993: Morbo (Terminal)
1996: Alterazioni (Acceptable Risk)
1997: Invasion (Invasion)
1998: Sindrome fatale (Toxin)
2000: Esperimento (Abduction)
2001: Shock (Shock)
2003: La cavia (Seizure)
2013: In caso di morte (Death Benefit)
2013: Nano
2014: Cell
2015: Host
2017: Charlatans
Serie Marissa Blumenthal
1987: Contagio (Outbreak)
1991: Segni di vita (Vital Signs)
Serie Stapleton e Montgomery
1992: Sguardo cieco (Blindsight)
1995: Epidemia (Contagion)
1997: Cromosoma 6 (Chromosome 6)
1999: Vector, minaccia mortale (Vector)
2005: Marker, segnali d'allarme (Marker)
2006: Crisi mortale (Crisis)
2007: Fattore di rischio (Critical)
2008: Corpo estraneo (Foreign Body)
2011: Il segreto delle ossa (Intervention)
2012: La cura (Cure)
2018: Pandemic

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12 aprile 2024 5 12 /04 /aprile /2024 11:36
Uomo nel labirinto, Robert Silverberg, Fazi

Ho letto di recente, appassionandomene, L’uomo nel labirinto (The Man in the Maze, nella traduzione di R. Valla), di Robert Silverberg, uno dei "grandi vecchi" della letteratura SF, ripubblicato meritoriamente da Fazi, nel 2008

Per quanto io abbia divorato centinaia di romanzi di fantascienza e anche molte opere dello stesso Silverberg, questo romanzo mi era sfuggito.
In effetti, credo di poter dire che sia uno dei migliori romanzi SF che io cambio letto negli ultimi anni.

La città-labirinto o L'uomo nel labirinto (The Man in the Maze, 1968), venne pubblicato la prima volta in traduzione italiana con il titolo “La città-labirinto”, (nella traduzione di Maria Benedetta De Castiglione), nella prestigiosa collana Urania (n.498, Arnoldo Mondadori Editore, 1968): e forse, in questa veste, mi sarà passato per le mani, visto che - grazie all'input di papà - ero divenuto un divoratore dei romanzi di fantascienza targati Urania e li compravo tutti, senza lasciarmene sfuggire nemmeno uno.
Il romanzo è stato presentato in una nuova edizione ben quarant’anni dopo dalla casa editrice Fazi, con una bella introduzione a firma di Neil Gaiman.

La trama è molto semplice, in verità, anche se tremendamente profonda per quanto riguardo il suo valore metaforico e forse anche allegorico.
C’è un uomo, Müller, che si è ritirato a vivere all’interno d’una città labirintica, costruita da una specie aliena estinta e abbandonata da millenni, ma ancora in perfette condizioni, poiché si auto-mantiene e si ripara in continuazione. 
Ma - nello stesso tempo - è dotata di trappole mortali che uccidono gli incauti visitatori o esploratori, in un sistema di difesa costruito in epoche remotissime per difendere la città da qualsiasi intrusione.
Müller vive al centro del labirinto da oltre dieci anni e qui coltiva attivamente il suo odio nei confronti dell'intero genere mano che, dopo averlo usato per i suoi fini, lo ha poi rifiutato e respinto per via della "cattive" ed intollerabili emanazioni psichiche che diffondeva attorno a sé, a causa di ciò che gli alieni avevano fatto alla sua mente.
Al suo arrivo a Lemnos, è riuscito a penetrare all'interno del labirinto, superando tutti gli ostacoli e sopravvivendo ai tranelli letali. 
Vive dunque da solo, in totale autosufficienza, ha tutto ciò che gli occorre e detesta il genere umano.
È arrivato sul pianeta Lemnos e alla sua città labirintica, in fuga, desideroso di far perdere le sue tracce per sempre.
Perché lo ha fatto?
Gli uomini hanno preso a odiarlo e a respingerlo perché dopo una missione di contatto con una specie aliena (rivelatasi peraltro infruttuosa) egli è tornato trasformato in una maniera impensabile, poiché emana delle radiazioni psichiche sgradevoli, una specie di “fetore mentale” che rende a tutto impossibile stargli accanto a distanza ravvicinata per più di pochi secondi, senza provare un indicibile disagio. 
Come i lebbrosi di un tempo, Müller - prendendo atto di ciò - ha deciso di ritirarsi dal consesso umano, maledicendolo tuttavia per il modo in cui tutti lo hanno rifiutato.

 

Robert Silverberg, La città-labirinto, Urania (Mondadori)

La sua stessa pena, all’improvviso, si rivela preziosa per gli uomini che vengono a stanarlo dal suo ritiro forzato, avendo improvvisamente bisogno di lui per la loro stessa salvezza.
Muller è combattuto: da un lato detesta gli uomini, e vorrebbe continuare a stare nel suo splendido isolamento, ma dall’altro vorrebbe recuperare ciò che ha perso.
Il romanzo si dipana come una grande allegoria con una tematica che non può non coinvolgere il lettore.
Un Silverberg d’annata, davvero in stato di grazia!

 

(Risguardo di copertina) Dick Muller è un uomo solo, la cui vita è stata stravolta da un incontro con gli alieni avvenuto durante uno sfortunato viaggio spaziale: la permanenza di un anno sul loro pianeta gli ha lasciato una strana malattia, l'impossibilità, fisica e morale, di sopportare quella che per lui dovrebbe essere la più "normale" delle presenze, quella degli altri uomini. Dotato di poteri telepatici che non può governare, incapace ormai di interagire con gli altri esseri umani, di trasmettere loro i propri sentimenti migliori, e troppo permeabile a quelli degli altri, la sua vicinanza mette i suoi simili a disagio, lo rende una presenza indesiderata, repellente, tanto da spingerlo a scegliere l'esilio sul pianeta disabitato di Lemnos, sede di un millenario labirinto, luogo ideale per tenersi lontano da tutti. Fino a quando la sua presenza sulla Terra diventa indispensabile per salvare l'umanità dal pericolo dell'estinzione; due vecchi compagni andranno così a riprenderlo, sfidando il labirinto e i suoi pericoli mortali, e lo stesso Muller, ancora memore delle antiche offese e in cerca di vendetta.

L'autore. Robert Silverberg (New York, 15 gennaio 1935) è uno scrittore di fantascienza, curatore editoriale e sceneggiatore statunitense, ripetutamente vincitore, tra gli altri riconoscimenti, dei premi Hugo e Nebula.

Robert Silverberg

È considerato, insieme a Philip K. Dick e a J.C. Ballard, uno degli scrittori che meglio sa creare utopie visionarie per raccontare il nostro presente. Nel 1956 si laurea alla Columbia University con una tesi in letteratura comparata e si sposa con Barbara Brown. Inizia in quegli anni a scrivere racconti su alcune riviste pulp di San Francisco guadagnandosi il premio Hugo come autore più promettente. Il trasferimento a New York, nell’estate del 1955, segna per Silverberg un passaggio importante della sua esistenza: Randall Garrett, un affermato scrittore di fantascienza, è il suo vicino di casa. Anche Harlan Ellison, un’altra giovane promessa letteraria, vive nello stesso stabile. Garrett introduce Silverberg a molti promettenti editor di quegli anni e i due collaborano a diversi progetti, utilizzando spesso il nome di Robert Randall.

Oltre alle collaborazioni, Silverberg continua a scrivere moltissimo, tanto che è stato costretto ad utilizzare degli pseudonimi (oltre 56) per evitare un’inflazione del proprio nome sul mercato.

Tra gli altri nomi con cui ha firmato le sue opere compaiono David Osborne, Ivar Jorgenson e Calvin M. Konx.

Tra il 1957 e il 1959 pubblica più di 220 racconti ed 11 romanzi, dedicandosi anche ai generi noir, western e romanzi erotici. Le opere comprese nel decennio 1967-1976 sono considerate ancora oggi le più importanti nella produzione di Silverberg: Nightwings, vincitore del premio Hugo nel 1968, The Masks of Time (1968), Tower of Glass (1970), A Time of Changes (1971), vincitore del premio Nebula nel 1971, Dying Inside (1972), The Book of Skulls (1972), il romanzo vincitore del Premio Nebula Good News from the Vatican (1971) e Born with the Dead (1974).

Oggi vive ad Oakland, in California, con la moglie e collaboratrice Karen Haber.

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5 febbraio 2024 1 05 /02 /febbraio /2024 06:48
Labatut, La Pietra della Follia, Adelphi

La pietra della follia di Benjamín Labatut (nella traduzione di Lisa Topi), publicato da Adelphi (collana Microgrammi) nel 2021, è il primo libro di Labatut che mi sono ritrovato a leggere e credo che, nell'approccio con quest'autore, sia stato un buon inizio: un testo semplice e agile, ma ciò nondimeno profondo, come del resto sono tutti i volumi della piccola collana Adelphi in cui è stato inserito, Microgrammi.
Labatut prende in esame il tema della follia in due brevi capitoli.
Nel primo che è titolato “L’estrazione della pietra della follia” mette assieme H. P. Lovecraft “il solitario di Providence”, il matematico David Hilbert con il suo progetto di dare una spiegazione matematica a tutto l’universo della matematica e il visionario scrittore di SF P. K. Dick con la sua ossessiva ricerca - nei suoi romanzi - d'un universo che non può mai essere conosciuto sino in fondo, poiché in esso è impossibile capire se ciò che guardiamo sia reale o soltanto un simulacro ingannevole.
Nel secondo capitolo, intitolato “La cura della follia”, Labatut ritorna sul tema della follia, prendendo spunto da un caso paradossale nel quale egli stesso s’è imbattuto, quando venne contattato da una lettrice sostenente un punto di vista secondo cui lei fosse stata più volte derubata dei suoi scritti che erano poi stati utilizzati da altri scrittori, incluso lo stesso Labatut.  Alla prima mail di questo tenore ne avevano fatto seguito altre in un fitto scambio, sino ad un’improvvisa fine delle comunicazioni. 
Ed è a questo punto che l’autore introduce nel testo un’analisi accurata del dipinto di Bosch “L'estrazione della pietra della follia”, concludendo così le sue riflessioni “…in queste faccende, non c’è modo di sapere chi sia il chirurgo, chi il frate, chi il paziente, chi la monaca e chi di noi rechi in sé la pietra della follia” (p. 77)

 

Benjamìn Labatut

(Soglie del testo) Come e quando gli incubi di Lovecraft, le visioni di Philip K. Dick e l'inquietante matematica di Hilbert - sciolti nell'inferno che chiamiamo Rete - abbiano finito per diventare qualcosa che assomiglia al nostro mondo. O peggio, che lo è.
(quarta di copertina) “…il prezzo che paghiamo per la conoscenza è la perdita della nostra capacità di comprensione

L’autore. Benjamín Labatut è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia tra L'Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all'età di quattordici anni.
Il suo primo libro di racconti, “La Antártica empieza aquí”, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award – nella sezione racconti – nel 2013. A questo libro sono seguiti “Después de la luz” (Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi, 2021), nominato per l'International Booker Prize 2021 e “Maniac” (Adelphi, 2023

 

Segue un video nel corso del quale, in una presentazione a distanza, lo stesso autore, spiega l'origine di questo piccolo libro e il suo significato (la presentazione è a cura di Davive Coppo)

H. Bosch, L'estrazione della Pietra della Follia

(da Wikipedia) L'Estrazione della pietra della follia, noto anche come Cura della follia, è un dipinto a olio su tavola (48x35 cm) di Hieronymus Bosch, databile al 1494 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid.

L'opera, secondo una ricostruzione di Charles de Tolnay, è forse quel tondo che si trova menzionato in un inventario del 1524 come di proprietà del vescovo di Utrecht, Filippo di Borgogna, e situato nella sala da pranzo del castello di Duurstede. Presumibilmente dovette essere poi acquistato da don Felipe de Guevara che poi lo cedette a Filippo II di Spagna nel 1570. Negli inventari successivi alla morte del sovrano però l'opera non è più identificabile (si parla di un tondo a tempera e di dimensioni diverse), per cui altri hanno invece sostenuto che l'opera in questione provenga dalla Quinta del Duque del Arco, dove sarebbe citata in un inventario del 1794.

La critica tendeva a riconoscervi un'opera della fase giovanile, verso il 1480, ma l'analisi dendrocronologica ha spostato la datazione della tavola a dopo il 1494. Ciò ha confermato l'ipotesi di Vermet, che vi aveva scorto la grande modernità del paesaggio.

L'opera mostra un soggetto tratto da una storiella popolare, secondo cui un credulone si fa convincere da un ciarlatano a farsi togliere dalla testa la "pietra della follia", ovvero la stoltezza. Ciò è chiarito dall'iscrizione che, con eleganti arabeschi, corre attorno al tondo: "Meester snyt die Keye ras / Myne name is lubbert das", cioè "Maestro cava fuori le pietre, il mio nome è 'bassotto castrato'". Il nome è un sinonimo di sempliciotto, quindi della persona che si fa ingannare.

Al raggiro del ciarlatano, che sta tagliando con un bisturi la fronte dell'uomo per estrarne un fiorellino, assistono senza intervenire un monaco e una suora, uno con un boccale argenteo in mano, l'altra con un libro sulla testa.

Il motivo del raggiro degli sciocchi è un tema caro nell'opera di Bosch e secondo la sua visione rappresentava una grave colpa tanto per l'ingannatore quanto per l'ingannato, reo della sua stupidaggine.

In questa opera, il chirurgo intento all'estrazione indossa un copricapo a forma di imbuto simbolo di stupidità, qui usato come pesante critica mossa contro chi crede di sapere ma che, alla fine, è più ignorante di colui che deve curare dalla «follia».

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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