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16 dicembre 2024 1 16 /12 /dicembre /2024 08:16
Matteo Collura, Perdersi in manicomio, Pungitopo

Scartabellando tra alcuni libri che raccontano della trasformazione della assistenza psichiatrica a partire dalle esperienze di Basaglia e di altri pionieri sino alla promulgazione della legge 180 del 1978 e al progressivo smantellamento degli ospedali psichiatrici, mi sono imbattuto in un volume che non ricordavo affatto.
Si tratta di una testimonianza, corredata anche di una impressionante documentazione fotografica, sulla sopravvivenza per un lungo periodo di tempo dopo la 180, dell'Ospedale Psichiatrico di Agrigento, venuto all'attenzione della cronaca nei primi anni Novanta per via di una epidemia di TBC tra alcuni dei suoi degenti cronici.
Sembra che l'Ospedale psichiatrico di Agrigento sia rimasto per lungo tempo a sopravvivere come in un'isola anacronistica fuori dal flusso temporale.
Il volume di Matteo Collura è intitolato "Perdersi in manicomio", ed è stato pubblicato nel 2014 dalla casa editrice Pungitopo (collana La Parola e l’immagine), corredato con le foto di Lillo Rizzo e Tano Siracusa ed con una postfazione di Armando Bauleo, uno dei riconosciuti fondatori della psicoterapia gruppale in Argentina.

La pagina scritta in questo libro ruota essenzialmente attorno alle foto scattate da Lillo Rizzo e da Tano Siracusa all’interno del manicomio di Agrigento, nel 1993, a distanza dunque di 15 anni dall’entrata in vigore della legge 180 del 1978.
Una sostanziale lentezza nel rendere fattiva e operante quella legge, ma anche l’ignavia e la colpevole negligenza dei vari amministratori che vi si sono succeduti nel tempo, ha fatto sì che si mantenessero per anni gli aspetti più deteriori della manicomialità.
Le foto contenute in questo piccolo libro, aspre e crudissime, riportano immediatamente alle immagini di “Morire di classe” con le foto di Berengo Gardin e Carla Cerati, scattate a Gorizia e a Colorno (Parma) quando già la rivoluzione basagliana muoveva i primi passi.

L’Ospedale di Agrigento, divenuto forse il più grande della Sicilia quanto a numero di degenti, venne alla ribalta della cronaca nel 1993 quando vennero denunciate pubblicamente dal partito radicale  (e anche Domenico Modugno espresse delle critiche molto dure) le condizioni in cui vivevano gli internati in assenza dell’attivazione di un percorso di affrancamento e di restituzione alla società, con una serie di morti dimenticati (oltre duecento degenti in undici anni dal 1977 al 1988 vi morirono per una vera e propria epidemia di TBC).
L’ospedale agrigentino che, nelle pagine della cronaca, venne definito un “manicomio-lager” chiuse definitivamente nel 1996. 
Oggi quella struttura è sede della ASP agrigentina e del Dipartimento di salute mentale.

(soglie del testo) Una drammatica testimonianza sulla follia umana di quanti si dicono «sani» e di quanti sono giudicati malati. Dal «caso Agrigento», una finestra sulla condizione del malato di follia, su una solitudine terribile, su un enorme vuoto dl relazioni, su una specie di desolata allegoria del nulla. 
«Forse non abbiamo neppure fotografato i "folli", ma soltanto degli uomini e delle donne che si sono perduti in un ex manicomio».

L'autore. Matteo Collura è nato ad Agrigento nel 1945. Autore del bestseller Sicilia sconosciuta (Rizzoli 1984, 1997) e della versione teatrale del romanzo si Sciascia Todo modo, scrive articoli di cultura per il Corriere della Sera e vive a Milano

La facciata del corpo principale dell'Ospedale psichiatrico di agrigento

L’Ospedale Psichiatrico di Agrigento. Un po' di storia

L’Ospedale Psichiatrico di Agrigento fu costruito tra il 1926 ed il 1931 sull’estremità orientale della collina detta della “Rupe Atenea” nell’ex feudo San Biagio, in una zona prevalentemente rocciosa
L’intera struttura manicomiale si componeva di tre corpi centrali posti su tre livelli e di dieci padiglioni sempre posti su tre livelli.
Il primo corpo era situato al centro del primo livello sul viale centrale e qui si trovavano ubicati la Direzione Sanitaria, la Segreteria, la Biblioteca, la Farmacia, i laboratori d’analisi cliniche, anatomia microscopica, l'ambulatorio di terapia fisica e ionoforesi, marconiterapia, ultrasuono, diagnostica radiologica, settore
ammodernato nel 1960 con un complesso di psicodiagnostica. In questo livello si trovavano anche l’alloggio dei medici e il cinema-teatro con 150 posti a sedere.
Il Secondo Corpo, al centro del secondo livello, ospitava la Direzione Amministrativa, l’Economato, l’alloggio
dell’economo, la cucina, la dispensa, il forno, le caldaie, la calzoleria e l’alloggio delle suore appartenenti all’ordine “Figlie di Sant’Anna”, il servizio cassa e l’officina degli elettricisti, la falegnameria, i laboratori per i fabbri e calzolai, per rispondere a tutte le esigenze interne.
Nel terzo corpo al centro del terzo livello erano ubicati il guardaroba, la lavanderia, la sartoria e la sala cucito e la stireria.
Più in alto ancora, quasi al limite con il muraglione del costone nord della Rupe Atenea, sorgevano il serbatoio centrale dell’acqua potabile e una grande cabina di trasformazione elettrica.
I Padiglioni dei degenti.  A sinistra di questi palazzi, rivolgendo lo sguardo verso la montagna, si trovavano i reparti maschili mentre a destra si trovavano i reparti femminili sempre in numero di cinque, disposti simmetricamente a seconda della destinazione.
La I sezione, anche chiamata Reparto Osservazione, era destinata agli ammalati primi ammessi da sottoporre per legge a 15 giorni di osservazione prolungabili a 30, prima della destinazione ai reparti.
La II sezione era riservata agli ammalati con diagnosi di malattia mentale ma bisognosi di ulteriori terapie intensive; qui trovavano posto anche gli ammalati “calmi”, bisognosi di terapie generali, ricostituenti o in attesa di essere affidati alla famiglia.
La III sezione era destinata agli “incurabili”, agitati permanenti aggressivi, suicidi, coprofagi, dementi irrecuperabili e cronici. Il reparto era comunemente chiamato la “Fossa dei Serpenti”.


[NB - In questo padiglione è stata allestita la mostra “C’era una volta il manicomio” ed è visitabile il rifugio antiaereo scavato nel tufo dai degenti, fissando un appuntamento]

Nella IV sezione era un settore di altissima vigilanza dove trovavano posto gli epilettici, parafrenici, schizofrenici o detenuti in osservazione psichiatrica, questi prevalentemente nella sezione uomini, si ha ricordo soltanto di una donna detenuta in osservazione psichiatrica.
La V sezione era occupata dai malati tranquilli piuttosto paranoici, non laceratori, affetti soprattutto da ansia e depressione.
Nel settore orientale si trovavano altri tre isolati: La Chiesa, la camera mortuaria dove venivano praticate le autopsie, e una altro reparto dalla capienza di dieci posti che originariamente fu di isolamento il cosiddetto “Reparto Infettivi” fu chiuso dopo la scoperta dell’antibiotico e i malati furono trasferiti in strutture
ospedaliere specializzate.
La zona più a sud dell’odierna Casa della Speranza, oggi occupata dall’orto botanico, era denominata zona Agricola, un podere esteso centinaia di ettari e il con un ricco frutteto, mandorleto, orto e numerosi animali che permettevano all’intero Ospedale Psichiatrico di rendersi per buona parte autosufficiente nel fabbisogno alimentale
Chiesa di Sant’Antonio. La chiesa di Sant’Antonio, seppur nelle sue piccole dimensioni, è costituita da tre navate con arcate gotiche, dello stesso stile sono le quattordici finestre, per cui all’interno si può godere di una penombra che facilita il raccoglimento e la percezione del soprannaturale tipico dello stesso stile gotico che sembra spingere lo spirito verso l’alto.
Fu progettata dall’architetto Donato Mendolia.
Originariamente la Cappella fu dedicata al “Sacro Cuore di Gesù”
La capienza della chiesetta è di circa 150 persone ed è dotata di un prestigioso organo elettronico “Mascioni” del 1958.

[Ricerca storica e testi curata dal Dr. Giorgio Patti e dalla Dr.ssa Chiara Minuta]

Franco Basaglia, Morire di classe, Nuova edizione per Il Saggiatore

Franco e Franca Basaglia (a cura di), Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Il Saggiatore, 

Morire di classe (1969) da tempo non era più reperibile nelle librerie. Abbiamo deciso di ripubblicarlo ora, nella sua integrità, perché possa testimoniare alle nuove generazioni quale fosse la condizione dei malati mentali prima della rivoluzione di Franco Basaglia, di Franca Ongaro Basaglia e di tutte le donne e gli uomini che insieme a loro hanno operato per scardinare quel sistema. Un lavoro collettivo che ha segnato una svolta epocale nella gestione della salute mentale e ha portato all’approvazione della legge 180. (Alberta Basaglia, Luca Formenton)

Ringraziamo Elena Ceratti e Gianni Berengo Gardin per la collaborazione alla nuova edizione di questo libro «simbolo».

(da Wikipedia) Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, pubblicato per la prima volta nel 1969, è un'opera che critica le condizioni in cui si trovavano gli ospedali psichiatrici italiani dell'epoca, pubblicato da Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia con fotografie in bianco e nero di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, una introduzione dei Basaglia e vari altri testi.

Contesto. Negli anni sessanta lo psichiatra Franco Basaglia era il direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia. Anche se lo avrebbe dovuto gestire secondo i criteri tradizionali, simili a un carcere, Basaglia, sua moglie Franca Ongaro e il loro gruppo invece ridussero la contenzione dei pazienti, tanto che nel 1967 furono rimossi i lucchetti da tutti i reparti, in linea con gli ideali della psichiatria democratica. Basaglia ne scrisse in un libro molto famoso pubblicato nel 1968, L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico; e i cambiamenti da lui apportati furono meglio conosciuti grazie al documentario televisivo, I giardini di Abele, realizzato da Sergio Zavoli nel 1968 e trasmesso per la prima volta nel 1969.

Fotografia. Come riferisce il fotografo Gianni Berengo Gardin, nel 1968 Franco Basaglia chiese alla fotografa Carla Cerati di documentare per una rivista le condizioni nei manicomi italiani. A disagio per l'incarico, Cerati chiese a Berengo Gardin di accompagnarla; lui accettò a condizione che fosse permesso anche a lui di scattare fotografie, e in seguito convinse Basaglia a realizzare un libro. Nel resoconto dello storico John Foot non è menzionata nessuna rivista, e uno dei primi progetti del libro prevedeva fotografie di entrambi gli autori, Cerati e Berengo Gardin, ambedue già conosciuti da Basaglia.

Cerati e Berengo Gardin realizzarono i loro scatti in quattro ospedali: a Gorizia (il manicomio diretto da Basaglia), Colorno (vicino a Parma), Firenze e Ferrara. Il grado di libertà dei due fotografi variava notevolmente: fu permesso loro di visitare il manicomio di Firenze soltanto una volta (dove non furono bene accolti dalla direzione), ma erano molto più liberi di lavorare a Gorizia.

La loro fotografia era soggetta ad altri vincoli. Anche se Berengo Gardin aveva fotografato incontri tra pazienti a Gorizia, e scene in cui era presente Basaglia, queste ultime furono omesse dal libro: Basaglia voleva evitare l'impressione del paternalismo e Foot fa notare che le foto di Gorizia non rispecchiavano la situazione dell'epoca (insolitamente libera per i tempi) e si limitano a descrivere il suo passato repressivo.

Prima della pubblicazione del libro, e con l'appoggio del politico Mario Tommasini, fu organizzata a Parma una mostra intitolata La violenza istituzionalizzata (e più tardi fu spostata a Firenze); questa fu la prima occasione in cui furono esposte al pubblico molte delle fotografie che più tardi sarebbero apparse in Morire di classe.

Alcune immagini del libro sono state utilizzate anche nel film I giardini di Abele e Nei giardini della mente, per altri libri e volantini.

Testi. Il libro contiene un'introduzione scritta dai Basaglia, inoltre testi di Erving Goffman, Michel Foucault, Paul Nizan, Luigi Pirandello, Primo Levi, Louis Le Guillant e Lucien Bonnafé, Jonathan Swift, Rainer Maria Rilke, Frantz Fanon, Peter Weiss e altri.

John Foot fa notare nel suo saggio sulla storia della psichiatria radicale in Italia  che sia l'introduzione sia il testo fanno uso della nozione dell'istituzione totale, creata da Goffman o da lui resa famosa, nozione importante nel libro di Goffman (pubblicato nel 1961) Asylums, la cui traduzione italiana era stata pubblicata nel 1968. Il manicomio era totalitario (Goffman e Foucault), "colonizzava" i pazienti (Fanon), o li riduceva alla condizione di uomini "vuoti" dei campi di concentramento (Levi).

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7 dicembre 2024 6 07 /12 /dicembre /2024 07:18
Giuseppe Trevisan, La Vita Rubata

La vita rubata. Memorie di un quasi adatto tra manicomi elettrici e servizi territoriali difettosi di Giuseppe Trevisan, pubblicato da Nuovadimensione, nel 2022 (con una precedente edizione nel 2015 per Futura Edizioni) è un testo tra diario e memoir, molto interessante e attuale, il cui l’autore, creando un personaggio fittizio che è il soldato Pino Lancia, racconta le sue personali vicissitudini a partire dal primo internamento in manicomio e poi, attraversando una serie di contatti successivi con le istituzioni psichiatriche, nel periodo cruciale che vide poi la promulgazione della legge 180 del 1978, e - a seguire - con i servizi psichiatrici nati successivamente a tale data. Le sue esperienze si svolgono a Udine, Pordenone e dintorni.
Il volume è completato da un inserto fotografico che illustra momenti diversi della vita di Giuseppe Trevisan e che offre degli scorci sull’ospedale psichiatrico di Udine.
Il volume è arricchito da una postfazione scritta da Giorgio Simon, che ha avuto un ruolo importante come dirigente nell’Agenzia regionale della sanità del Friuli Venezia Giulia, con il titolo “La vita rubata, note storiche su servizi e diritti”
A chiusura, con il titolo ”Apriamo quelle porte: colloqui sanvitesi con Mario Novello“, segue la trascrizione di due incontri promossi dall’Associazione Fuoritema, avvenuti a San Vito al Tagliamento nel novembre 2018 e nel gennaio 2019 in cui lo stesso Mario Novello nella forma di una lunga intervista racconta le esperienze di transizione dell’assistenza psichiatrica in Friuli Venezia Giulia dopo il 1978, ma includendo anche - ovviamente - importanti considerazioni e ricordi del suo lavoro a fianco di Franco Basaglia, a Trieste.
Viene da ultimo, ma di importanza per l’inquadramento generale dell’opera, un commento a firma della Aps Fuoritema, che nella sua qualità di associazione che lavora per l’inclusione sociale, ha promosso la pubblicazione del volume e che, nelle sue parole conclusive, pone sul tappeto dei nodi problematici attuali e scottanti sullo stato dell’arte dell’assistenza psichiatrica in Italia.

Dalla postfazione di Giorgio Simon: “La vita rubata attraversa la storia dei diritti e delle istituzioni italiane di mezzo secolo. Racconta della sanità militare, dei manicomi, del ricovero coatto di quello volontario, della nascita dei servizi territoriali e dell’applicazione della legge 180. Ma soprattutto racconta che fino a molti anni fa anche in Italia era considerato normale rinchiudere una persona malata, maltrattarla, privarla di ogni diritto e dimenticarsi di lei

(Quarta di copertina) Il soldato Pino Lancia ha difficoltà d'inserimento nel mondo militare e cerca tutte le scappatoie per sfuggirvi: ma inutilmente. Ci viene inserito a forza in quel groviglio di serpi. Persino un vecchio amico di suo padre, un alto ufficiale, non riesce a fargli ottenere l'esonero. Così Pino Lancia viene internato in manicomio (perché a giudizio del direttore dell'ospedale militare ha ottenuto troppi giorni di convalescenza) in un padiglione di "malati"; e comincia il suo calvario. Si rende conto che l'ospedale psichiatrico provinciale non guarisce, anzi, peggiora la situazione: gli psicofarmaci profusi a piene mani, gli elettroshock, il lettino di contenzione, il cibo scadente, peggiorano il suo stato di salute, e lo gettano sull'orlo della follia. In appendice, un importante contributo di Mario Novello sugli anni in cui ha lavorato con Franco Basaglia.

L’autore. Giuseppe Trevisan detto “Pino Lancia” nasce a San Vito al Tagliamento (Pordenone) il 2 marzo 1949. Compie studi regolari mostrando però attitudine per le materie umanistiche e, in particolare, per letteratura e poesia. 
Fin dalla giovinezza conosce il disagio psichico. 
Entra nel mondo del lavoro provandosi nei più svariati mestieri: ristoratore agente di commercio, bracciante agricolo e anche “operatore psichiatrico“ ha pubblicato le raccolte di poesie “Le lacrime di Dio” (2007) e “Angeli di strada“ (2010)

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3 novembre 2024 7 03 /11 /novembre /2024 13:03
Amy Meyerson, La libreria del tempo andato, Nord

Ho apprezzato particolarmente la lettura dell'opera prima nel campo della narrativa di Amy Meyerson, La libreria del tempo andato (The Bookshop of Yesterdays, nella traduzione di Alessandro Storti), pubblicato dalla Editrice Nord, nel 2019. 
Di tanto in tanto mi piace leggere dei libri che parlano di libri o che abbiano al centro della loro storia un negozio di libro, o un libraio. E gli esempi in questo particolare campo della narrativa, sono molteplici. Come anche sono numerosi i brevi saggi che parlano dei libri, della passione per i libri, della relazione indissolubile che leggo un lettore ai libri e di idiosincrasie dei lettori.

Questo romanzo è davvero un mirabile esempio di tale filone.

Miranda è la protagonista indiscutibili di questo romanzo che celebra la persistenza della memoria e la ricerca di una verità storica, assieme allo zio Billy che vi gioca un ruolo altrettanto importante. I libri e il Prospero Bookshop ne sono i deuteragonisti.
Lo zio materno, Billy, proprietario della Libretia “Prospero Books” ha avuto un ruolo affettivo speciale nell’infanzia di Miranda che da lui è stata educata all’amore per i libri attraverso il gioco e con vere e proprie cacce al tesoro letterario. Questo rapporto privilegiato s’é interrotto improvvisamente, quando Miranda era alle soglie dell’adolescenza, a causa di un litigio tra Billy e la madre.
Billy letteralmente scompare per anni dalla vita di Miranda, lasciandola con un senso di nostalgia per qualcosa che si è traumaticamente interrotto.
Improvvisamente, Miranda che adesso vive nella East Coast dove dopo il diploma, da qualche anno, lavora come insegnante riceve la notizia della morte dello zio e, insieme, una lettera che - secondo il modo in cui è stata addestrata - rappresenta l’inizio di una “caccia al tesoro” letteraria.
Miranda dunque si sposta urgentemente in California per partecipare alle esequie dello zio defunto per scoprire che è divenuta la sua erede universale e che, pertanto, éadesso proprietaria della Prospero Books.
Ciò comporta per Miranda il doversi confrontare con diverse sfide: decidere di rimanere piuttosto che tornare alla vita precedente; assumersi la responsabilità della Prospero Books che versa in un grave dissesto finanziario; riconciliarsi con la memoria di Billy che, alle soglie della sua adolescenza, l’ha tradita; e, infine, seguire le tracce e gli indizi lasciati da Billy appositamente per lei e che, passo dopo passo, la ricondurranno alla verità e alle sue origini.
Alla fine, Miranda riconciliata con il suo passato, prenderà in mano con decisione le redini della Prospero Books che però - come segno dell’inizio d’una nuova era - verrà ribattezzata con il nome di “Bookshop of Yesterdays” che è anche il titolo del romanzo in lingua originale..
Nella caccia al tesoro, inventata da Billy come veicolo del suo lascito, ma anche come strumento di riconciliazione, gioca un ruolo-chiave “La Tempesta” di Shakespeare (sia la libreria sia Miranda traggono i loro nomi dai personaggi  dell'ultimo lavoro teatrale di Shakespeare che è in qualche modo, incentrato sul tema del commiato: e c'è una ragione in ciò).
Nel corso della caccia al tesoro Miranda apprenderà tutti i dettagli della sua storia e scorprirà anche le ragioni dell'improvviso e definitivo allontanamento della zio: e sarà così pronta a lasciarlo andare come figura reale per accoglierlo nel ricordo.

L’ho trovato davvero coinvolgente e mi sento di consigliarlo.

(Soglie) Una caccia al tesoro fra i libri con in palio un premio speciale: la felicità.

(Risvolto) Delicato e toccante, «La libreria del tempo andato» è un inno alla forza dei legami familiari e al potere che hanno i libri di connetterci con le persone che amiamo. Perché spesso regalare un libro è un modo per confessare sentimenti che non riusciamo a esprimere a parole.

Miranda è cresciuta in mezzo ai libri. Letteralmente. Da bambina, infatti, passava ore e ore a vagare tra gli scaffali di una libreria, giocando alle cacce al tesoro letterarie che il proprietario, suo zio Billy, organizzava per lei. Grazie a lui, Miranda ha imparato ad amare quei mondi d’inchiostro racchiusi tra le pagine, il profumo inconfondibile della carta, il mosaico variopinto delle copertine. Un giorno, però, quando lei aveva dodici anni, la madre aveva all’improvviso tagliato i ponti col fratello e l'aveva portata via, lontano da lui e dalle sue avventure. Ma ecco che, sedici anni dopo, lo zio Billy muore, lasciando in eredità a Miranda la libreria. E non solo. Miranda riceve per posta una copia della «Tempesta», con un’unica frase sottolineata: ""Siedi: ora devi sapere di più"". Il messaggio è chiarissimo. È l'inizio di una nuova caccia al tesoro. L'una dopo l’altra, Miranda raccoglie le molliche di pane disseminate dallo zio, incamminandosi lungo un sentiero costellato di citazioni letterarie e segreti taciuti troppo a lungo. E, cercando tra le

Amy Meyerson

pagine dei romanzi che hanno segnato la sua giovinezza, Miranda non solo scoprirà la verità sullo zio e sulla loro separazione, ma si renderà conto che quella libreria è la sua casa e il suo destino…

Hanno detto:
"Un omaggio colto, ammaliante e appassionato al magico mondo dei libri" - Publishers Weekly

L’autrice. Amy Meyerson vive a Los Angeles e insegna Scrittura creativa alla Southern California University. "La libreria del tempo andato" è il suo romanzo di esordio

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16 ottobre 2024 3 16 /10 /ottobre /2024 13:53

“Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.”

Stefano Catellani, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, Bollati Boringhieri (p. 11)

Catelllani, Fort Apache, Bollati Boringhieri, 2003

Le storie di questo libro nascono dall’anelito a raccontare le vicende di uomini e donne in cui sono stato emotivamente coinvolto. Sono state scritte nell’arco di molti anni; alcune prendono origine dalla rielaborazione di relazioni cliniche portate in supervisione, altre sono Racconti di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutte sono diventate lo spunto di riflessione sul mio lavoro.” (p. 11)
Questo è ciò che scrive Stefano Catellani nelle pagine introduttive al suo saggio clinico, Fort Apache. Storie e appunti di uno psichiatra qualsiasi, edito da Bollati Boringhieri (nell'ambito della Collana L’esperienza Psicologica e Medica), nel 2003.
L’autore - nella sua introduzione al testo - esplicita la sua volontà di non voler uscire dal crocevia principale per imboccare delle strade laterali e meno trafficate di tipo super-specialistico e, quindi, afferma la sua determinazione nel definire se stesso come uno psichiatra “qualsiasi”, cioè psichiatra e basta, senza ulteriori aggettivazioni, e dunque psichiatra “senza qualità” (in ciò, forse, strizzando l'occhio a Robert Musil).
Ciò allo scopo di evitare il potere stigmatizzante dell’ideologia che è contenuta implicitamente nella scelta di un campo di applicazione piuttosto che di un altro quando ci si accosta ai saperi psichiatrici, poichè tale scelta - con le sue ricadute nelle prassi della quotidianità clinica - è pericolosa, teoricamente, clinicamente e ideologicamente e si presta a derive oppure ad esclusioni e scotomi (per esempio, relativamenti alla determinazione di quali siano i pazienti "buoni" da trattare e quali invece da abbandonare a se stessi, perché ingestibili, ingovernabili etc etc).
Ritengo che solo lo sforzo di confrontarsi continuamente con la contraddittorietà dei propri linguaggi interni e dei propri saperi possa permettere alla psichiatria e agli psichiatri di tentare di confrontarsi con i linguaggi contraddittori e contrastanti dei loro pazienti.” (p. 14)
Questo libro - come dice il titolo - è stato scritto da uno psichiatra «qualsiasi», che opera nei servizi territoriali del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, e racconta delle storie cliniche. Sopraffatti da linee-guida e diagrammi, pare che gli psichiatri — come pure spesso gli psicoanalisti — non siano più capaci di raccontare se non in forma di brevi schemi anamnestici o di sintesi di puntate di diario clinico asettiche e povere di anima, oppure ancora in forma di “excerpt” ovvero di estrapolazioni decontestualizzate che servono all’autore che li cita per dimostrare una certa tesi.
Invece, Catellani racconta bene, di sé e dei pazienti che sceglie per le sue storie. Ribadiamo: storie e non anamnesi, e nemmeno le malefiche «vignette», storielline cliniche funzionali solo all'enunciato che lo psichiatra o lo psicoanalista stanno sostenendo. 
Qui no, sono raccontate finemente nei dettagli vicende esistenziali e vicende di incontri: per che via il paziente arriva, in ambulatorio o al Pronto Soccorso, cosa fa e cosa racconta di sé, come reagiscono paziente e medico all'incontro, nei comportamenti e nelle parole e come si storicizzano a vicenda, scrivendo della relazione terapeutica una narrazione condivisibile e condivisa.
Un clima fortemente interpersonale, perché l'uomo-psichiatra si china accanto all'uomo-paziente, più interessato alla sua vita e alle rappresentazioni di sé, e ai pensieri e agli affetti che in lui ne derivano, che alla sola psicopatologia: lo psichiatra - e lo psicoanalista - modifica, con il suo intervento, il campo su cui interviene e, nel momento in cui è in gioco, non può più presumere di conservare una osservazione neutrale né, tanto meno, oggettivante, pena la reificazione del suo stesso pensiero e del suo agire (per mano delle nosografie, linee-guida, protocolli, manuali di tecnica etc.).
Queste storie e queste convinzioni sono raccontate con uno stile sobrio e semplice, senza eccedere in tecnicismi (ma ricorrendo ad una epicrisi teorica, quando ciò appare necessario), esprimendo nello stile un modo di raccontare che, trasmettendo anche delle emozioni e lasciando trapelare la soggettività del terapeuta, è pieno, ricco, elegante.
I casi clinici illustrati da Catellani dimostrano che si può uscire da alcuni schemi precostituiti nell’assistenza al malato psichiatrico: e poi c’è da chiedersi chi sia o cosa sia effettivamente, oggi, il malato di mente.
Il libro di Catellani è stato pubblicato nel 2003: e a distanza di vent’anni è tuttora valido e pienamente attuale, in quanto illustra - pur con tutte le difficoltà - un modello di intervento virtuoso e praticabile in direzione ostinata e contraria rispetto a modelli operativi pigri oppure intrisi di pregiudizi antichi anche se mascherati con nuovi volti.
Oggi come oggi, abbiamo bisogno di molti altri libri come questo di Catellani per scardinare alcuni costrutti mentali e sociali sulla follia e sui disturbi psichici che, tuttora vigorosi, rimandano a una dimensione ancora ben radicata di “manicomio mentale” che poi porta - nelle prassi quotidiane - all’attivazione di “mini-manicomi” o di manicomi “chimici”.
Libri come questo oppure come altri di più esplicita denuncia delle malpractice medico-psichiatriche come sono quelli scritti in anni più recenti da un Piero Cipriano, neo-basagliano convinto e battagliero.
Il volume è dotato di alcune appendici che lo rendono particolarmente interessante tra le quali una su alcune ”parole dubbie“ del gergo psichiatrico, ma anche una di citazioni colte, oppure un’altra (titolata "Creativa mente") contenente degli esempi di produzioni letterarie degli stessi pazienti, proprio per dare voce a questi ultimi dal momento che, spesso, anche nelle pratiche psichiatriche attuali il paziente tende a perdere la propria soggettività, o meglio ne subisce la sottrazione.
Scrive Catellani: “Ho scritto gran parte di questo libro per raccontare le storie di pazienti diagnosticati come schizofrenici e per uscire dalle gabbie di questa definizione. (…) … nulla di tutto ciò descrive l’incredibile esperienza umana di questi pazienti. “ (p. 291)
E poi ancora: “Il setting riveste grande importanza per chi, come me, ritiene che in ogni lavoro psichiatrico, anche nella pura prescrizione farmacologica, vi sia sempre una funzione psicoterapeutica attiva (che può essere positiva o negativa). la psichiatria non ha grandi costi: non necessita di dispendiosi macchinari, né di farmaci dei prezzi proibitivi [anche se - va pur detto - a distanza di vent’anni da queste parole non si può non rilevare che il trend delle case farmaceutiche è quello di imporre nuove molecole estremamente costose - nota mia]; le nostre ‘sale operatorie’ sono gli ambulatori, il nostro ‘bisturi’ é il tempo, le nostre ‘risonanze magnetiche’ sono costituite dall’ascolto. La qualità, la stabilità e la continuità del setting (tempo e luogo dell’ascolto) sono indispensabili ad una buona assistenza psichiatrica.” (Ib., pp 291-292)

(Quarta di copertina) Le storie di questo libro nascono dal bisogno e dal desiderio dell'autore, impegnato nel lavoro con pazienti psichiatrici, di raccontare le vicende in cui si è trovato a essere coinvolto emotivamente: si tratta di rielaborazioni di relazioni cliniche, oppure ricordi di casi interessanti, divertenti o curiosi. Tutti sono diventati spunti di riflessione sulla pratica quotidiana dell'assistenza psichiatrica. Ma soprattutto l'autore avverte l'esigenza di narrare la vita, i sentimenti, gli umori, le relazioni di persone vive e reali, per uscire dall'atrofia intellettuale delle parole burocratiche e spersonalizzanti delle cartelle cliniche e delle classificazioni diagnostiche.
Narrare per valorizzare l’esperienza, per evitare che il fiume della vita (dei pazienti, e dell’autore stesso) resti in sabbiato nel deserto delle nosografie e dei protocolli. Catellani auspica c’è questa storie questi appunti possano aiutare i lettori a rivedere i pregiudizi nei confronti dei pazienti psichiatrici e dei disturbi mentali di cui tutti siamo più o meno portatori, a superare le barriere concettuali tra salute e malattia, tra “normalità” e follia

L’autore. Stefano Catellani, psichiatra, e dirigente medico in psichiatria presso la Asl della città di Bologna.

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10 ottobre 2024 4 10 /10 /ottobre /2024 11:44
Tom Lin, Ferrovia di Sangue, Einaudi

Ferrovia di Sangue (titolo originale: The Thousand Crimes of Ming Tsu) di Tom Lin, pubblicato da Einaudi, Collana Stile Libero Big nel 2022, nella traduzione di Alfredo Colitto, è un romanzo in stile western ambientato in un periodo storico in cui l’epopea del West già si stempera per cedere il passo alla modernità con l’arrivo della ferrovia transcontinentale, ma è anche il romanzo di esordio di Tom Lin.
Ming Tsu, di origini cinesi, ma adottato da un bianco (ed è dunque un cinese "assimilato" che, in quanto tale, non porta il codino, com'era tradizione nei cinesi che arrivarono a frotte per contribuire alla costruzione della Ferrovia) è un pistolero (così lo ha fatto crescere il bianco che è stato il suo padre-padrone, come killer su commissione) che adesso cerca vendetta poiché da un gruppo di Bianchi violenti, sostenuto da un Giudice, gli è stata sottratta la moglie Ada.
La sua mission adeso è uccidere spietatamente tutti quelli che hanno ordito questa ingiustizia ai suoi danni. 
Il caso vuole che si ritrovi viaggiare con una pittoresca compagnia di artisti itineranti (che forse non sono soltanto artisti ma anche individui dotati di poteri diversi e straordinari) i quali, capeggiati da un impresario, mettono in scena uno spettacolo facendo della propria diversità motivo di attrazione, come i Freaks del circo Barnum
Ombra e consigliere di Ming Tsu è il Profeta, un cinese vecchissimo e cieco, ma dotato del potere della preveggenza.
Si tratta - per alcuni versi - anche di un romanzo “on the road” (che rivisita, quindi, alcuni dei topoi della Frontiera), poiché la compagnia itinerante si va spostando attraverso i deserti da una cittadina all’altra verso ovest, imbastendo i suoi spettacoli, mentre al tempo stesso Ming Tsu che fa da guida e protegge i suoi compagni di viaggio dai pericoli va consumando la sua vendetta, alla ricerca del sogno di ricongiungimento con la sua perduta Ada.
E' indubbiamente un bel romanzo in cui elementi di avventura si mescolano con quelli del crime, del noir e delle storie western di vecchio conio - classiche per alcuni versi - ed anche con l’arricchimento d’un pizzico di paranormale e di straordinario, grazie all’incontro con questi compagni di viaggio portatori ciascuno di “stranezze” e di abilità metamorfiche.

 

(Soglie del testo) Un gruppo di bianchi, sicuri della loro intoccabilità, gli ha portato via tutto. Ma nessuno sa uccidere come Ming Tsu. E adesso è in cerca di vendetta.

Per anni Ming Tsu è stato costretto a lavorare come uno schiavo alla costruzione della ferrovia transcontinentale, insieme ai tanti cinesi che con la loro sofferenza hanno aperto il West agli americani e che nessuno ricorda mai. È fuggito solo quando il Profeta – un vecchio cinese cieco, capace di leggere il futuro – non gli ha detto che era il momento. Adesso è tornato. E può iniziare la sua caccia. È deciso a eliminare i suoi nemici uno per uno e raggiungere la California, raggiungere Ada, la donna che gli hanno strappato dalle braccia. Ad accompagnarlo fino a Reno sarà un gruppo di bizzarri artisti dai poteri soprannaturali, un carrozzone di freak che gli insegneranno cosa vuol dire essere umani.



Hanno detto
«Una saga western perfetta per un film dei fratelli Coen» – The Boston Globe

Tom Lin

«Un libro in cui l'atmosfera dei western di Cormac McCarthy lascia spazio alle sfumature e alle ombre di Ray Bradbury» – Jonathan Lethem

«Un romanzo originalissimo, con una prosa vivida e meticolosa, in cui persino un temporale può assumere proporzioni mitiche» – The New York Times Book Review

 

L’autore. Tom Lin è nato in Cina, ma quando aveva quattro anni la sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti. Laureato presso il Pomona College, si dedica ormai esclusivamente alla scrittura. Per Einaudi ha pubblicato Ferrovia di sangue (2022), il suo primo romanzo

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4 ottobre 2024 5 04 /10 /ottobre /2024 07:28
Italo Bonera, E' stata legittima difesa, Ianieri, 2024

Ho letto con grande piacere il recente romanzo di Italo Bonera, È stata legittima difesa, pubblicato da Ianieri (Le Dalie Nere), nel 2024
Innanzitutto come classificare questo romanzo?
Beh! Io lo collocherei sicuramente nell’ambito del noir come genere letterario anche se vi è, al contempo, una forte componente di studio psicologico del personaggio principale che fa guadagnare a questa narrazione punti per una pole position anche in una dimensione letteraria più generalista e meno di genere, legandola peraltro anche a una dimensione sociologica dell’attualità del femminicidio e della fucina interiore da cui scaturiscono questi crimini. 
Il protagonista Gabriele è - come dice il risvolto di copertina - un maschio molto “basic”: poche aspirazioni, ma un impiego stabile, una famiglia tipo fatta di moglie e due figli, vita di routine piena di impegni lavorativi e familiari in una città di provincia. 
Dentro di lui, tuttavia, si agitano delle forze oscure di cui non ha grande consapevolezza: e si tratta di forze sulfuree che scaturiscono da un passato di cui non ha memoria e in cui si deposita greve peso d’una tragedia familiare da lui personalmente vissuta (o, forse, direttamente provocata dalle sue passioni e consuetudini di piccolo chimico in erba).   
Vi è anche il continuo dialogo con un compagno, amico immaginario, il “vecchio con il Campari”, con il quale si confronta e discorre nei momenti critici.
Le forze oscure sono tenute a bada anche nella sua consuetudine con le armi da fuoco e con la sua frequentazione di un poligono di tiro. 
Emerge e si fa sempre più evidente una componente immaginaria e allucinata nella vita quotidiana di Gabriele che rende gli incontri con altre persone, anche per via delle sue incombenze lavorative, dense di significati e di possibili sviluppi
Ed è quello che accade nell’incontro con l’enigmatica Leonarda, di cui Gabriele - dopo un casuale primo approccio - diviene amante. Ma poi chi sia “veramente” Leonarda rimane del tutto inesplicato, se cioè sia un personaggio reale, oppure reale, sì, ma trasmutato dalle elucubrazioni e dai costrutti immaginativi di Gabriele.
Vi è in definitiva, in questo processo, la rappresentazione di un delirio nel suo farsi, un percorso nel quale il delirio diviene il modo attraverso cui il delirante si va costruendo man mano un mondo accettabile all'interno del quale muoversi,
Dal momento del fatidico incontro in poi gli eventi interni ed esterni evolvono rapidamente verso un esito drammatico.
Non starò a raccontare ulteriori dettagli della trama, per non fare da spoiler a chi si accingesse alla lettura di questo romanzo che consiglio vivamente.
La cosa davvero interessante di questa quinta prova letteraria di Italo Bonera è stata la capacità di sollevarsi dalla letteratura di genere (come sarebbe stato un semplice noir) per entrare in un ambito letterario di più ampio respiro in cui si intersecano piani diversi che sono quello immaginario del protagonista e quello della vita reale assieme alle ossessioni del controllo che caratterizzano il nostro vivere quotidiano e che, in alcuni casi, possono diventare dei demoni potenti che condizionano il nostro agire, guidandolo a volte verso le più drammatiche conseguenze.
Ho detto che, nella lettura, si va rapidamente verso la fine dal momento dell’incontro con Leonarda, ma tengo a precisare  che questo avverbio “rapidamente” riguarda l’assetto psicologico del lettore nello scorrere le pagine del romanzo, che letteralmente volano via, poiché in realtà in questo incontro e nei suoi sviluppi c’è tutto il romanzo.
Ritengo che sia anche fortemente drammaturgico l’espediente cui ricorre l’autore, cioè  quello di introdurre, come intercalare, un punto di vista esterno, di tipo - direi - giudiziario, che cerca di ricostruire le dinamiche degli eventi ex-post, in una supposta aula di tribunale, fornendo al lettore la possibilità di aggiungere - come in un puzzle - le ultime tessere mancanti della storia, volutamente omesse e fornendo al tempo stesso un inatteso sviluppo collaterale, con l’aggiunta di un ulteriore punto di vista.


(Risvolto) Nello squallore d’una provincia asfittica, dove ognuno non riesce a comunicare se non con sé stesso, Gabriele, quarantenne basic, vive una mediocre normalità: la bella moglie, i figli, gli amici del bar, la macchina, il lavoro. E un immaginario ascoltatore delle sue lamentazioni, “il vecchio del Campari”, sintomo d’una precarietà di equilibrio, detrito d’un trauma passato. La routine del protagonista viene sconvolta dall’incontro con Leonarda, decisa a succhiare la vita fino all’ultimo respiro e a fare tutto ciò che non hai mai osato prima, senza rimpianti e finché il destino glielo concederà. La loro relazione clandestina è magnetica, irrazionale, sensuale e diventa in breve uno scontro tra mondi in rotta di collisione, mettendo in luce i rapporti tossici di Gabriele e la sua smodata ansia di controllo


 

Italo Bonera

L’autore. Italo Bonera è nato e risiede a Brescia. Insieme al conterraneo Paolo Frusca, è l’autore di “Ph0xGen! Mille soli per l’impero“, romanzo ucronico giunto finalista al concorso Urania nel 2006 e quindi pubblicato per la prima volta nel 2010 da Mondadori, nella collana Millemondi. Ha collaborato con Frusca anche alla realizzazione della raccolta di racconti fantascientifici “Cielo e ferro. Il futuro è cambiato” (La Ponga, 2014). Nel 2013, Gargoyle ha dato alle stampe il suo thriller distopico dal titolo “Io non sono come voi”.
(
da "Brescia oggi) Ha cominciato a scrivere, scrivere sul serio, vent’anni fa. Senza chiedersi se fosse tardi, a quarant’anni compiuti. Tu chiamala, se vuoi, urgenza. Vent’anni senza fermarsi mai: «Sono al mio quarto romanzo, devo terminare la stesura del quinto. Ho concluso racconti innumerevoli, sto lavorando ai prossimi due. Due o tre. Dopodiché avrei in animo di fare un altro paio di romanzi». Ci arriverà, Italo Bonera. Gli basta andare dove lo porta il cuore, come dimostra «Il male che fa bene»: edito da Calibano, fresco d’uscita, storia di una vita che non concede tregua ed è un forte sentire in ogni suo attimo.

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19 settembre 2024 4 19 /09 /settembre /2024 06:46

Si tratta di una mia nota del 2009, scritta a commento di una foto da me scattata (testo in buona parte di tipo compilativo)

Maurizio Crispi (18 settembre 2009)

Lombrico stanato dalla pioggia

Dopo la pioggia vengono fuori i vermicelli, lunghi e grassi
In realtà, si tratta di quelli che più appropriatamente si chiamano lombrichi e, quando si parla di lombrichi, il pensiero non può che correre a Darwin.
Su queste umili creature Charles Darwin, che oggi compirebbe 200 anni, scrive l’ultimo libro della sua vita, nel 1881, un anno prima di morire. Il libro si intitola "The formation of Vegetable Mould, Through the action of Worms, with Observation on Their Habits"  (tradotto in italiano con il titolo "L'azione dei vermi") e molti studiosi lo considerano una curiosità o addirittura una stranezza, non all’altezza di un naturalista del suo calibro.

Fa eccezione Stephen Jay Gould, che sostiene che quest’ultima opera è «una celata sintesi dei principi di argomentazione, elaborati lungo un’intera vita, identificati e utilizzati nella più grande trasformazione della natura mai prodotta da un solo uomo». «I vermi – continua Gould – sono a un tempo umili e interessanti, e il lavoro di un verme, se sommato per tutti i vermi, per lunghi periodi di tempo, può plasmare il paesaggio e modellare il suolo». Il terreno è qualcosa che l’intuito ci porta a considerare come molto stabile, se non addirittura immutabile. Forse è perché ci appoggiamo sopra le nostre case, i beni immobili cui affidiamo il nostro benessere e la nostra protezione. Darwin dimostra però che il suolo tanto stabile non è perché è in realtà sottoposto a un continuo fermento provocato dai lombrichi.

Darwin svela l’entità del lavorio di queste piccole bestie sulle turbolenze del suolo in maniera meticolosa. Innanzitutto dà i numeri, calcolando «quale vasto numero di vermi vive non visto da noi, sotto i nostri piedi»: oltre 21 000 per ettaro di suolo britannico (pari a 142 chilogrammi di vermi). Poi con i dati che raccoglie da persone sparse in ogni angolo del pianeta, arriva a concludere che i vermi sono distribuiti in maniera molto più ampia e in una varietà di ambienti ben superiore rispetto a ciò che noi possiamo immaginare. Quindi scava buchi profondi nel terreno per vedere quanto i vermi si estendono in profondità nel suolo. Infine cerca evidenze dirette del continuo ricircolo del terriccio sulla superficie terrestre, che sarebbe provocato dall’ingestione e dall’escrezione della terra da parte di queste bestie tubuliformi.

Darwin compì numerose, pazienti misure degli escrementi dei lombrichi, che stima variare fra 3 e 7 tonnellate per ettaro. Secondo i suoi calcoli ogni dieci anni si formano fra 2 e 6 centimetri di nuovo terriccio. Sono numeri non trascurabili, se li moltiplichiamo per migliaia di anni. Viene da pensare che i vermi abbiano contribuito ad affossare le rovine greche e romane su cui si sono costruite le nostre città medievali e moderne. L’ultimo libro di Darwin è dunque, citando di nuovo Gould, «un trattato esplicito sui vermi e il suolo, e una discussione velata di come è possibile imparare sul passato studiando il presente».

Buon compleanno Mr. Darwin!

Il saggio ultimo di Darwin fa riflettere sulla finitezza della vita e sul modo in cui attraverso la morte e il disfacimento si generi di continuo nuova vita

Charles Darwin, L'azione dei vermi

Charles Darwin, L'azione dei vermi (a cura di Giocchino Scarpelli, nella traduzione di Milli Graffi), Mimesis, 2012

Ultima opera di Charles Darwin, questo studio sulle piccole creature della terra convalida la teoria dell’evoluzione. Come una metafora dell’intero sistema, il lombrico agisce allo stesso modo della selezione naturale: lavora in modo nascosto e instancabile, e con la complicità del tempo è in grado di trasformare la faccia del pianeta. Dedicato appunto allo studio delle creature più ordinarie e umili, il testo del grande naturalista rivela come i lombrichi, nel loro inesausto impegno nel rivoltare e vagliare la terra, producano alla lunga vasti e inaspettati effetti, dalla formazione dell’humus al dissodamento del suolo, alla trasformazione del paesaggio stesso. Tutt’altro che esseri spregevoli, nonostante l’aspetto, i lombrichi delle pagine di Darwin, dalle quali trapela una poeticità profonda, dimostrano anche barlumi di quella che chiamiamo intelligenza. Qual è allora il lascito di Darwin, in quest’opera che precede di poco la sua scomparsa? Che la Selezione Naturale è come un verme, cieca e instancabile. Che l’uomo non è l’unico detentore dell’intelletto. Che esiste nel regno animale una scala nella distribuzione di facoltà e disposizioni, ma nessun salto, poiché la nostra origine è comune. Anche se tocca alla specie umana il dovere di salvaguardare e preservare il mondo vivente.

Charles Darwin (1809-1882) con la teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale ha rivoluzionato la scienza, la filosofia e il pensiero occidentale. L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale fu pubblicata nel 1881, benchè quello di Darwin fosse un interesse che risaliva al 1837. Le sue opere più celebri sono Viaggio di un naturalista intorno al mondo (1839), L’origine delle specie (1859), L’origine dell’uomo (1871) e L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872).

Giacomo Scarpelli insegna Storia della Filosofia all’Università di Modena e Reggio Emilia. È autore dei volumi Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo (1993), Il dio solo. Alle origini del monoteismo (1997), La scimmia, l’uomo e il Superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni (2008), Ingegno e congegno. Sentieri incrociati di filosofia e scienza (2011). Ha curato l’edizione di opere di Kant e di Bergson e Storia della biologia in Italia (1987). 

Milli Graffi, poetessa e anglista, ha insegnato all’Università di Verona. Dirige la rivista “Il Verri”. Ha pubblicato i volumi di versi Mille graffi e venti poesie (1979); Fragili Film (1987); L’amore meccanico(1994); Centimetri due (2003), Embargo voice (2006) e, inoltre, studi su Marinetti, Palazzeschi e Breton. Tra le sue traduzioni Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio (1989), e La caccia allo Snualo (1985) di Lewis Carroll.

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9 settembre 2024 1 09 /09 /settembre /2024 08:12
Claudia Pineiro, Elena lo sa, Feltrinelli

Elena lo sa (pubblicato da Feltrinelli nel 2023, nella traduzione di Pino Cacucci) dell'argentina Claudia Piñeiro, è un bel romanzo, indubbiamente - pochi fatti, pochi eventi materiali che si sviluppano nell’arco di sole dodici ore (nello stesso tempo riguardanti un’intera vita) - ma, molto sinceramente, ho delle difficoltà nel poterlo considerare un noir, così come viene presentato nelle note editoriali.
È la storia di Elena, una madre la cui figlia è stata trovata impiccata in cima alla torre campanaria della chiesa vicino alla casa dove abita. Gli organi inquirenti hanno stabilito che si è trattato di suicidio, ma Elena non è disposta ad accettare questa conclusione.  Elena sostiene che Rita non avrebbe mai potuto suicidarsi e poi men che meno in una notte di tempesta, visto che aveva paura dei fulmini e che soffriva di acrofobia.
Elena é ammalata di una grave forma di sindrome di Parkinson che si è sviluppata nel corso degli ultimi anni e ha delle importanti e severe limitazioni nella sua mobilità e autonomia, visto che la sua malattia ha avuto un decorso particolarmente aggressivo. La figlia Rita che non si era ancora sposata, in questo imprevisto declino, ha rappresentato il suo pilastro e il suo punto di riferimento.
Elena non si rassegna all’ipotesi del suicidio e periodicamente continua ad incontrarsi con l’ispettore Avellaneda, anche quando il caso è stato dichiarato ufficialmente chiuso, e quest’ultimo - Avellaneda - la ascolta non più per dovere di ufficio, ma per puro spirito umanitario. 
Quando la incontriamo, Elena è disposta a giocare la sua ultima carta per trovare qualcuno che ritenga affidabile e che l’aiuti a continuare le indagini e le ricerche al posto suo, visto che il suo corpo non la sorregge più a dovere.
Intraprende quindi un lungo viaggio attraverso la città per andare a visitare una persona, Isabel, che ritiene possa avere un debito di gratitudine con Rita e con lei stessa.
La sua è una vera e propria missione di speranza, ma questa visita la metterà di fronte ad una verità ineludibile, ad un’ipotesi che non aveva affatto preso in considerazione.
Il romanzo si articola tutto in dodici ore circa che sono scandite dalle assunzioni del farmaco che le consente una mobilità semi normale, il levodopa. 
Le sue azioni difficoltose, inceppate, vengono descritte meticolosamente e riescono a trasmettere al lettore le sensazioni di lentezza, di blocco e di impotenza in cui è imprigionato il soggetto portatore di un morbo di Parkinson grave.
Il lettore si affatica e soffre assieme ad Elena che mette un piede davanti all’altro, che storce il collo per poter guardare dal basso verso l’altro il suo interlocutore e che sente imminente l’arrivo di un blocco motorio totale. Percepiamo in modo tangibile il terribile rallentamento del fluire del tempo che è proprio del Parkinson, mentre ancora l’acutezza dei pensieri non si è ancora affievolita, ma è tuttavia imprigionata nella corazza greve del rallentamento della motilità volontaria e talvolta del suo disperante blocco.

Vi è una profonda riflessione sul rapporto con una malattia invalidante, quale è il Morbo di Parkinson, ma anche sul fatto che con il progredire dell'età e con l'avanzare di una malattia invalidante il rapporto accuditore/accudito tra genitori e figli si inverte: e non è detto, né lo è mateticamente certo, che un genitore voglia essere genitore (o che ne abbia gli strumenti) o che un figlio possa accettare di divenire genitore del proprio genitore, quando una malattia o l'età avanzino in maniera ineludibile. Nulla in questo ambito è mai scontato: anche se la società e il pensiero comune sembrino richiedere ciò.

Le lunghe, interminabili dodici ore in cui scorre il romanzo sono anche, ovviamente, una riflessione sul vivere e sul morire, sul senso da dare alla propria vita nella malattia e sull’ipoteca che la malattia di uno mette sulla vita degli altri familiari, tenendo presente che non sempre la caparbia volontà di sopravvivere e di tenere alta la propria resilienza davanti alla malattia (la Malattia con la “M” maiuscola, personificazione d’una Nemesi esigente, "Lei" come Elena chiama la sua malattia quando con lei si trova a dialogare nella disperazione e nella lotta) trova supporto nei familiari che stanno attorno: la verità è che, a volte, sono proprio i sani a gettare la spugna, a fuggire spaventati e ad arrendersi

Il pathos che questa lettura - in meno di duecento pagine - riesce a trasmettere è grande e profondo, soprattutto autentico e accentuato da uno stile di scrittura caratterizzato da blocchi interi di pensieri con l’unica interpunzione di virgole.
Di grande impatto emozionale, ma proprio per questo l’ho letto (in parte letto ad alta voce e condiviso) a piccole dosi.

 

(Soglie del testo) Libro finalista dell’International Booker Prize 2022. In una trama noir molto riuscita, Claudia Piñeiro descrive con rara maestria e partecipe vicinanza la quotidianità di una malata di Parkinson tra i mille dettagli di ostacoli da superare, difficoltà imposte dalla mancata “obbedienza” delle gambe e dei piedi per muoversi, dando spessore al personaggio stoico di Elena che non si arrende mai.

Dopo che Rita viene trovata morta nel campanile della chiesa che frequentava, le indagini ufficiali sull’incidente vengono rapidamente chiuse. 
Sua madre, ammalata di Parkinson, è l’unica persona ancora determinata a trovare il colpevole. 
Raccontando un difficile viaggio attraverso le periferie della città, un vecchio debito di gratitudine e una conversazione rivelatrice, Elena lo sa svela i segreti dei suoi personaggi e le sfaccettature nascoste dell’autoritarismo e dell’ipocrisia nella nostra società.

Hanno detto

«In apparenza è un giallo serrato e conciso con una protagonista decisiva. Ma è anche un commento penetrante sui rapporti madre-figlia, l’umiliazione della burocrazia, i fardelli del dover prendersi cura di un disabile e le imposizioni dei dogmi religiosi alle donne.» - Kathleen Rooney, New York Times

Claudia Pineiro

L’autore. Claudia Piñeiro, nata nel 1960 a Burzaco (Argentina) è scrittrice, drammaturga e sceneggiatrice, e con Feltrinelli ha pubblicato: Tua (2011), Betibù (2012), La crepa (2013) con il quale si è aggiudicata il Premio Sor Juana Inés de la Cruz 2010, Un comunista in mutande (2014), Piccoli colpi di fortuna (2016), Le vedove del giovedì (2016), Premio Clarìn 2005, poi adattato al cinema da Marcelo Piñeyro nel 2009, e Le maledizioni (2019).
Nel 2019 si è aggiudicata il Premio Pepe Carvalho, riconoscimento internazionale destinato agli scrittori di polizieschi e intitolato al famoso detective ideato dallo scrittore Manuel Vázquez Montálban, vinto in passato da autori come Andrea Camilleri, Petros Markaris e James Ellroy

Nel 2023 è stata lanciato on film tratto dal romanzo della Piñeiro, disponibile attualmente sul portale Netflix

Elena lo sa (Elena sabe) è un film del 2023 diretto da Anahí Berneri, tratto dal romanzo omonimo di Claudia Piñeiro

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25 agosto 2024 7 25 /08 /agosto /2024 03:40
Tess Gerittsen, Ombre nella notte, Longanesi, 2020

Ho letto quasi tutti i libri di Tess Gerritsen.
E' una scrittrice che apprezzo, sin dai tempi in cui la scoprii attraverso un suo medical thriller davvero avvincente.
Poi, c'è stata la lunga serie di thriller di successo planetario con le due protagoniste Maura Isles, anatomo-patologa e la detective Jane Rizzoli e da questi romanzi è stata tratta una fiction di successo. 
La Gerritsen con "Ombre nella notte" (titolo originale The Shape of the Night), pubblicato da Longanesi nel 2020, rompe la lunga serie dei polizieschi e introduce una storia che ha tutti i requisiti per potersi considerare di fantasmi: ambientata nel Maine, in una grande casa antica su di una scogliera, davanti ad un paesaggio marino superbo e mozzafiato, in una piccolissima comunità in cui tutti sembrano conoscere tutti e soprattutto dove occultati e taciuti segreti di fatti del passato.
Ava è una donna in crisi e ha scelto di venire ad abitare qui per portare a termine il suo libro di antiche ricette del New England,ma soprattutto per riprendersi dal trauma di un evento doloroso di cui in qualche modo si sente responsabile. Ed ha anche un grosso problema con l'alcool, ancora non del tutto risolto.

Questo lo scenario. Sin dal suo arrivo viene coinvolta in eventi ominosi che la spaventano e la attraggono al tempo stesso. Sarà il fantasma del primo proprietario della dimora, morto in mare nel corso di una violenta tempesta, a perseguitarla in forma di fantasma? Oppure si tratta di altro? La narrazione si muove secondo le direttive di una classica ghost story ed è, per questo motivo, avvincente. Tutto conduce ad un finale a sorpresa che lascia il lettore un po' spiazzato.
La narrazione é magistrale e coinvolgente.  
Un romanzo di difficile catalogazione: mi sono chiesto se collocarlo tra gli altri romanzi della Gerritsen, oppure tra i libri di fantasmi. Ho ripiegato per questa seconda soluzione. Anche se, in verità, lo si dovrebbe definire più correttamente uno "psycho-thriller".

 

(dal risguardo di copertina) La vita di Ava Collette, scrittrice di libri di cucina, è stata sconvolta da un'indicibile tragedia. Per ritrovare pace e serenità, Ava ha deciso di lasciare Boston e trasferirsi a Brodie's Watch, una magnifica casa in una tranquilla cittadina sulla costa del Maine. Qui, ne è certa, finirà di scrivere il manuale sulla cucina del New England a cui lavora da mesi e troverà il modo di superare il passato. Tutto sembra andare alla perfezione, ma Ava ha la costante sensazione di non essere sola. Finché i suoi dubbi non trovano conferma: una notte si sveglia di soprassalto e si trova faccia a faccia con un'apparizione che la turba profondamente. Davanti a lei c'è un uomo, ma non dovrebbe esserci perché il suo aspetto è quello di una persona morta molti, molti anni prima, un ufficiale di marina che, a quanto si mormora in paese, non ha mai lasciato quella casa. Da quel momento Ava impiegherà le sue giornate indagando su quell'uomo, sparito improvvisamente nel nulla... mentre di notte si lascerà affascinare e infine sedurre dalle sue visite spettrali, in un susseguirsi di eventi che la faranno dubitare della propria sanità mentale. Ma è più vicina alla realtà di quanto possa sospettare: esiste un segreto, che la gente di quel posto sperduto si bisbiglia all'orecchio, e che Ava dovrà svelare in fretta, prima che il numero

Hanno detto
«Un sapiente intreccio fra thriller psicologico, giallo ed erotismo, che trascina il lettore a un finale sorprendente» – Library Journal
«Uno dei romanzi migliori di Tess Gerritsen. Una casa dal passato oscuro, una trama che inchioda il lettore dalla prima all'ultima pagina» – Publishers Weekly
«Un thriller avvincente, la leggenda di una casa stregata... ma è davvero una leggenda? Un assoluto page-turner che esplora i limiti dell'amore e del senso di colpa
» – Kirkus Reviews

L'autrice. Tess Gerritsen, dopo essere stata un medico con la passione per la scrittura, è diventata un'affermata scrittrice con la passione per il medical thriller, genere che ha rinnovato con personaggi indimenticabili, soprattutto nella serie dedicata alla detective Jane Rizzoli e all'anatomopatologa Maura Isles, serie della quale fanno parte Il chirurgo, Lezioni di morte, Corpi senza volto, Il sangue dell'altra, Sparizione e Muori ancora.
Presso Longanesi sono usciti anche La fenice rossa e L'ultima vittima, Il prezzo, Forza di gravità, Il battito del sangue.

Mia lettura, conclusa il 25 agosto del 2021, in campagna ad Altavilla.
Mi era sfuggito di inserire il mio commento-recensione, postato su FB, nel mio blog

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21 agosto 2024 3 21 /08 /agosto /2024 11:25
La Parabola del Seminatore di Octavia E. Butler

La parabola del seminatore (Parable of the Sower), opera della maturità di Octavia E. Butler e pubblicata in lingua originale nel 1993 (in lingua italiana per la prima volta nel 2000, nella traduzione di Anna Polo nei tipi di Fanucci, collana Solaria) è un racconto di speranza che si svolge in un futuro distopico, in cui gli Stati Uniti sono diventati una nazione in rovina, le città sono cinte da mura, e ovunque si diffondono epidemie, incendi e follia. Lauren Olamina è una ragazza di 18 anni afflitta da una sindrome di iperempatia, che la costringe a provare il dolore che vede negli altri. Quando l’enclave in cui vive viene distrutta, assieme alla sua famiglia (quasi nessuno sopravvive) e ai sogni per il futuro, Lauren afferra uno zaino pieno di scorte (che già aveva predisposto da tempo, preconizzando un possibile crollo) per iniziare un difficile viaggio verso nord, alla ricerca di un luogo in cui vivere in relativa sicurezza, senza dover abbandonare la speranza. Lungo la strada, al primo manipolo di sopravvissuti si aggiungono altri fuggitivi, ai quali Lauren rivela il suo personale credo religioso, Il Seme della Terra, il cui assunto fondativo è semplice e al tempo stesso rivoluzionario: “Dio è cambiamento”.
L’opera, pur essendo considerata all'unanimità mainstream, si può definire sicuramente come un romanzo catastrofico e post-apocalittico ovvero anche come una narrazione in cui l’apocalisse è ancora in divenire, ma non si è ancora manifestata nei suoi più drammatici esiti: quello tratteggiato da Octavia Butler è un mondo in via di disgregazione, in cui non vi sono più certezze e nemmeno sicurezze precostituite. Coloro che vivono ancora in aree relativamente sicure sono sottoposti ad incursioni sempre più violente da parte di quelli che hanno già perso tutto e che sono alla ricerca di cibo, di soldi, di strumenti e utensili, di armi; le forze di polizia sono ormai inefficienti e chiedono di essere pagate per i loro interventi, se non diventano esse stesse attivamente ladronesche; in più, vi sono i consumatori di una droga letale, il cui nome è “Piro“, e che spinge i suoi consumatori ad appiccare incendi letali, poiché dalla visione della loro potenza distruttiva traggono fremiti estatici. E non mancano situazioni di cannibalismo da parte dei più disperati ed affamati, assieme all’insorgere di nuove forme di schiavismo.
Proprio a causa della piaga dei piromani comincia a verificarsi il definitivo tracollo delle aree ancora protette e molta gente, inclusa la nostra protagonista, si mette per strada alla ricerca di posti ancora sicuri: una sorta di “ferrovia sotterranea” alla ricerca di salvezza e di un luogo sicuro dove vivere.
La narrazione si sviluppa attraverso i regolari aggiornamenti del diario tenuto da Lauren, mentre - in parallelo - si sviluppa la sua convinzione di fede e speranza, statuita dal dogma secondo cui “Dio è cambiamento”, dal 20 luglio del 2024 al 10 ottobre del 2027.
Il seguito è ne “La parabola dei talenti” (Parable of Talents) del 1997.
Il romanzo di Octavia E. Butler, pubblicato in lingua originale nel 1993 è un testo visionario che non propone soluzioni correttive all’incipiente disastro, se non la fede nella speranza di un futuro migliore.
Vi è dunque una componente salvifica e messianica, così come nel successivo e celebrato romanzo di Cormac McCarthy, La strada, del 2006.
L’edizione originale Fanucci è preceduta da una splendida e documentata prefazione di Sandro Pergameno.
In fondo alla stessa edizione è possibile leggere una breve intervista rilasciata dalla stessa Butler, che racconta gli esordi della sua carriera di scrittrice e indica quanto nella scrittura de “La Parabola del Seminatore” sia stata influenzata dalle atmosfere e dalle suggestioni religiose e culturali della propria famiglia.
Alla domanda su quali siano state le persone che hanno influenzato il suo lavoro, risponde
I miei parenti, mia madre e mia nonna, e il loro continuare a vivere delle vite che io ritenevo orribili. Ci è voluto parecchio tempo prima che capissi l’importanza della religione nelle loro vite. A volte era tutto quello che avevano. Ci sono stati momenti in cui stavamo per morire di fame, altri in cui gli avvenimenti erano tali persone meno forti avrebbero pensato al suicidio. Ma loro avevano una religione, e le ha aiutate moltissimo. Da ragazzi si è arroganti perché non si capisce molto, e io lo sono stata spesso, fino a quando ho iniziato a capire quanto la religione significasse per loro. A quel punto ho iniziato a vedere la religione in modo diverso e ho scritto ‘La parabola del seminatore’, in cui il padre della protagonista è un prete battista. Mio nonno era un prete battista, ma non l’ho mai incontrato. Mio padre è scappato di casa. In realtà se ne andò via da da Pittsburgh, e fuggì in California, perché mio nonno voleva farlo lavorare nelle acciaierie, e lui non voleva. (…) … mio padre morì, così non ho conosciuto davvero neanche lui. Ho qualche ricordo che probabilmente è la somma di memoria confuse e di quanto mi ha detto mia madre. Credo che tutto ciò che ci accade, lo si voglia o meno, finisca nella propria scrittura. E il fatto di scrivere cambia il tuo modo di essere, e come guardi il mondo.” (Ib. pp. 345-346)

La parabola del seminatore (Octavia E. Butler)

Ne consiglio vivamente la lettura.

Il titolo si ispira alla parabola del seminatore contenuta in versioni lievemente differenti nei Vangeli di Marco, Matteo e Luca (ed anche in quello di Tommaso)
 

(Dal Vangelo secondo Matteo) Il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma, levatosi il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. Un'altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra cadde nella buona terra e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno.

Aggiungiamo - a beneficio di coloro che volessero intraprendere la lettura di questo romanzo qui che “La parabola del seminatore” è stato ripubblicato recentemente, con una nuova traduzione (di Martina Testa), dalla casa editrice Sur nel 2024 ed è dunque facilmente reperibile.

 

(Presentazione della nuova edizione per i tipi Sur) “La parabola del seminatore” è l’opera della maturità di Octavia Butler. Echi biblici, temi sociali e ambientalismo si fondono con ritmi e atmosfere da romanzo d’avventura, dando vita a un personaggio femminile profetico e modernissimo che incarna inquietudini, sfide e speranze del nostro tempo.

In un’America del futuro devastata dal cambiamento climatico, in cui le risorse si stanno esaurendo e il caos ha preso il sopravvento sulla legge, solo alcune piccole comunità isolate conservano una parvenza di ordine sociale, difese da muri contro le bande di disperati che saccheggiano, violentano, incendiano. È in una di queste enclave che vive Lauren, un’adolescente dalle straordinarie doti percettive, empatica e determinata, sempre più preoccupata per la violenza che preme da fuori e a cui il mondo degli adulti – primo fra tutti suo padre, il pastore battista della comunità – sembra impreparato. Nei quaderni dove annota le sue osservazioni, Lauren dà progressivamente forma a una nuova religione, «il Seme della Terra», fondata sull’idea del cambiamento, dell’adattabilità e dell’iniziativa individuale. Quando gli ultimi argini al dilagare della violenza verranno meno, sarà il Seme della Terra a sostenere Lauren e i suoi compagni in un rocambolesco esodo verso la salvezza.

 

Octavia E. Butler

L’autrice. Octavia E. Butler, nata nel 1947, Pasadena (California), è stata una delle più importanti scrittrici americane di fantascienza. É stata cresciuta dalla madre e dalla nonna. Malgrado la borsa di studio MacArthur - che le ha reso la vita più facile negli anni successivi -, ha faticato per decenni per imporsi come autrice di riferimento (scrivendo di notte e lavorando di giorno come televenditrice, ispettrice di patatine e lavapiatti), quando i suoi romanzi distopici che esploravano i temi dell'ingiustizia dei neri, del riscaldamento globale, dei diritti delle donne e della disparità politica non erano, a dir poco, richiesti dal mercato.
Con i suoi romanzi e i suoi racconti ha vinto più volte l’Hugo Award e il Nebula Award, i massimi riconoscimenti del mondo anglosassone per la letteratura d’immaginazione. Nel 2000 le è stato attribuito il PEN American Center Lifetime Achievement Award in Writing. La sua opera è apprezzata per la prosa snella, i forti protagonisti e le indagini sociali inserite in storie che spaziano da un lontano passato a un lontano futuro. Oltre ai romanzi Legami di sangue (2020) e La parabola del seminatore (2024), SUR ha pubblicato la raccolta di racconti La sera, il giorno e la notte (2021).

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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