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4 novembre 2022 5 04 /11 /novembre /2022 08:47
Joe Hill, NOS4A2, Sperling&Kupfer

Con NOS4A2 (pubblicato nel 2014 da Sperling&Kupfer nella collana "Pandora" con la traduzione di Andrea Carlo Cappi), Joe Hill ci ha regalato una bella storia, degna delle migliori del padre suo, confermando la sua capacità di grande affabulatore.
Mi è piaciuto straordinariamente e l'ho letto, appassionandomi; sul finire, rallentando il ritmo della lettura per prolungarne il piacere e per rimandare il momento del congedo dai suoi personaggi, così come si fa quando ci si ritrova a degustare una pietanza prelibata. 

Alcuni hanno infatti detto che NOS4A2 potrebbe sembrare un romanzo scritto proprio dal padre di Joe Hill che è -  diciamolo pure - l'insuperabile Stephen King: ma no!, secondo me. Oppure sì, nel senso che da ragazzo Joe Hill deve essersi sicuramente infarcito la testa con letture incalzanti delle opere del padre. E dunque non si può ignorare che egli si sia plasmato a quella scuola, pur maturando degli stilemi e delle preferenze proprie, e che, oltretutto, ha avuto una Musa letteraria nella madre Tabitha (che qui, oltre a ricevere una dedica in epigrafe, compare nel nome di un personaggio (l'investigatrice della FBI che, a poco a poco, dovrà convincersi della straordinarietà degli eventi su cui indaga), quella Tabitha che - anche lei poetessa e scrittrice - ha probabilmente avuto un ruolo di primordine nella fortuna letteraria del marito.

Siamo di fronte ad una storia horror condita di elementi fantasy e, sicuramente, vi fanno capolino la serie della Torre Nera e il prestigioso romanzo che King scrisse a quattro mani con Peter Staub, Il Talismano, ma si riconoscono anche le sedimentazioni della letteratura vampirica: in fondo, le cifre della targa della spettrale Rolls-Royce (modello Wraith del 1938) che trasporta l'odioso vilain Charles Manx nelle sue esecrabili missioni e nei viaggi da e verso Christmasland, "il paese dove è sempre Natale", sono pronunciandole con accento inglese l'anagramma di "Nosferatu" (NOS4A2 = NOS-FOUR-A-TWO che suona appunto “Nosferatu”) e sappiamo bene che "Nosferatu", il non morto,  è uno dei prototipi dell'immaginario vampiresco.. Ma -  ritengo - c'è anche qualcosa di Christine, la macchina infernale (ovvero del celebre romanzo di Stephen King del 1983): cioè si tratta di un'auto che vive una vita propria e che trasforma colui che la utilizza  o lo fa ringiovanire (o rivivere), ma sempre in una dimensione di distillato del Male.
Poi c'è il concetto di "inscape", dentro il quale i cattivi costruiscono le loro orride e mistificanti costruzioni e dove altri, dotati di poteri straordinari come Maggie Smith (la bibliotecaria veggente) o Vic McQueen possono entrare, attraverso porte da loro stessi create come il Ponte coperto di legno (non più esistente da anni) che è in grado di condurre Vic McQueen dovunque voglia andare (anche a centinaia o migliaia di chilometri dal posto in cui vive) per ritrovare cose e persone scomparse o per salvare qualcuno dalle grinfie di Charles Manx e, infine, il suo stesso figlio. I poteri che Vic McQueen e Maggie Smith che si ritrovano ad avere e ad usare implicano tuttavia un costo non indifferente: ogni incursione, ogni transito producono dolore e sofferenza e, prospetticamente, le esistenze adulte di Maggie e Vic non sono certamente felici e sono state rovinate.
Maggie e Vic assieme rappresentano un pericolo gravissimo per Charles Manx e quindi egli, da autentico malvagio qual'è, egli farà di tutto per sbarazzarsene. Come nel caso del Conte Dracula che occasionalmente recluta dei servitori che possano annunciare al mondo la sua venuta (com'è il caso di Renfield nel romanzo originario di Bram Stoker) oppure custodirlo e tenerlo al sicuro durante le ore obbligate di letargo diurno, peraltro, Manx ha bisogno di aiutanti che lo assistano nelle sue turpi imprese e che egli recluta con il miraggio di Christmasland (un vero e proprio paese dei balocchi in stile horror): in questo ruolo, avrà una funzione di spicco Bing Partridge, perfettamente delineato in tutta la sua odiosità.
Ancora una volta viene presentata una lotta tra Bene e Male che va avanti per anni sino ad una conclusione, in parte scontata (non del tutto) e solo per un pelino consolatoria.
Trovo che lo stile di Joe Hill sia parecchio diverso da quello del padre: la narrazione è più ariosa con numerosi stacchi e flashbacks che consentono all'autore di dare alla vicenda una sua corposità temporale, ma con assoluta snellezza. Si legge appassionandosi e ogni capitolo conduce immediatamente noi lettori  a quello successivo, senza mai desiderare uno stacco.
Aggiungo qui come semplice curiosità che il titolo dell'edizione originale inglese è NOS4R2, mentre quello italiano è della serie si presenta come NOS4A2 (mi chiedo perchè).
La serie TV, articolata in due stagioni, è - a mio avviso - molto ben fatta e va sicuramente vista (ma - questo è il mio suggerimento - solo dopo aver completata la lettura del romanzo), anche se probabilmente per esigenze di sceneggiatura nella sua sceneggiatura sono state introdotte numerose modifiche, soprattutto tagliando via tutta la parte riguardante le straordinarie esperienze infantili di Vic McQueen e il percorso di scoperta della sua capacità di "varcare soglie" per entrare in suo personale "inscape".
Nella serie Vic appare già quasi adulta e il suo mezzo di trasporto per superare il Shorter Way Bridge è già la moto, mentre all'inizio - nella sua infanzia - utilizzava una biciclettina da cross (che, in un episodio della serie, viene solo citata, quando appare come un relitto abbandonato all'interno del ponte coperto).


(Risvolto di copertina) L'unica ragazzina che sia riuscita a sfuggire al male implacabile di Charlie è diventata una donna che cerca, disperata, di dimenticare. Ma Charlie Manx non ha mai smesso di pensare all'eccezionale Victoria McQueen e non si fermerà finché non avrà avuto la sua vendetta.
Victoria McQueen ha la stupefacente capacità di trovare le cose: un braccialetto smarrito, una foto persa, risposte a interrogativi che non hanno soluzione. Quando passa con la sua bicicletta sul vecchio e traballante ponte coperto nei boschi dietro casa sua, emerge sempre nel posto in cui deve andare. Vie tiene segreta questa sua insolita abilità, perché sa che nessuno le crederebbe. Anche Charles Talent Manx ha una dote tutta sua. Gli piace portare in giro i bambini sulla sua Rolls-Royce del 1938 con la targa personalizzata NOS4A2. A bordo della macchina, lui e i suoi innocenti passeggeri possono uscire dalla realtà e percorrere strade segrete che portano a uno straordinario parco dei divertimenti che lui chiama Christmasland. Chilometro dopo chilometro, il viaggio sull'autostrada dell'immaginazione distorta di Charlie trasforma i suoi preziosi passeggeri, rendendoli terrificanti e inarrestabili quanto il loro "benefattore". Poi viene il giorno in cui Vic esce per cercare guai... e inevitabilmente la sua strada incrocia quella di Charlie. Questo è stato molto tempo fa. Ora l'unica ragazzina che sia riuscita a sfuggire al male implacabile di Charlie è diventata una donna che cerca, disperata, di dimenticare. Ma Charlie Manx non ha mai smesso di pensare all'eccezionale Victoria McQueen e non si fermerà finché non avrà avuto la sua vendetta. Vuole dare la caccia a qualcosa di molto speciale, qualcosa che Vic non potrà mai sostituire.



 

Joe Hill

L'autore.  Joe Hill nato nel 1972, a Hermon (Maine) è lo pseudonimo di Joseph Hillstrom King: come si nota dal cognome, lo scrittore statunitense è figlio dell'altrettanto famoso Stephen King. Secondo di tre figli, Joe cresce a Bangor, nel Maine. Il prestigioso Time lo ha definito «uno dei più raffinati scrittori americani di horror»: gli fa da contraltare il Washington Post, denominandolo «uno degli autori di spicco nella letteratura fantastica del Ventunesimo secolo». In Italia la sua prima raccolta di racconti Ghosts (scritta nel 2005) è uscita nel 2009 per Sperling & Kupfer. Seguiranno, tra gli altri, i romanzi La scatola a forma di cuore (2007, Sperling & Kupfer), La vendetta del diavolo (2012, Sperling & Kupfer, da cui è stato tratto il film Horns, per la regia di Alexandre Aja, con Daniel Radcliffe in veste di protagonista), NOS4A2. Ritorno a ChristmasLand (2014, Sperling & Kupfer), The fireman (2016, Sperling & Kupfer). Joe Hill ha anche ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, come il Bram Stoker Award e il British Fantasy Award. Lo scrittore ha altresì collaborato alla stesura di una serie di fumetti, pubblicati in Italia da Magic Press e Panini Comics. Il progetto, iniziato nel 2008, s'intitola Locke & Key ed è illustrato da Gabriel Rodriguez.


NOS4A2 è la serie televisiva horror statunitense ideata da Jami O'Brien e basata sull'omonimo romanzo del 2013 di Joe Hill.
La serie, articolata in due stagioni con dieci episodi ciascuna, viene trasmessa su AMC dal 2 giugno 2019; in Italia, è stata distribuita su Prime Video dal 7 giugno.

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13 ottobre 2022 4 13 /10 /ottobre /2022 07:42
Soluzione finale di Andrea Novello e Giampaolo Zarini, Marsilio (foto Maurizio Crispi)

Soluzione finale, scritto a quattro mani da Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini, pubblicato da Marsilio (collana Farfalle) nel 2005, é un romanzo interessante.
L'ho comprato molto tempo addietro e l'ho letto soltanto ora, trascinato da un improvviso impulso.

La trama si presenta avvincente sin dalle prime battute e si comprende subito di essere di fronte ad un medical thriller.
Le cose però, dopo un po', si complicano poiché la narrazione si sposta verso un baricentro complottista, di cui non dirò nulla per non togliere ai futuri lettori il piacere della scoperta.
L'avvio è davvero incalzante, sin dalle battute iniziali e viene voglia di andare avanti, bruciando le tappe. Poi, però la trama si avvolge su se stessa, perdendo di ritmo. Quelli che, a mio avviso, avrebbero dovuto essere i due personaggi principali - e cioè Sean McQuinlan e l'investigatrice Everett - vengono ridotti ad un ruolo marginale e di semplici comprimari, perdendo di fatto la loro funzione di "risolutori" e "salvatori".
Malgrado l'impennata finale in morti assassinati la narrazione perde di vigore e non vi è alcuna soluzione. Tutto rimane ambiguo e si evince chiaramente che i protagonisti hanno lottato contro i mulini a vento o contro un'Idra dalle molte teste. Quindi non viene fatta giustizia, se non in un modo molto sommario e parziale, non c'è un Bene che trionfa: ci sono solo perdenti, di fronte ad una ferrea volontà di complotto che prima o poi risorgerà per proporre altre scellerate soluzioni finali.
Infatti, la strategia della "soluzione finale" - così come era stata prospettata - si inabissa, senza scomparire, lasciando soltanto perdere ogni traccia di sé (e solo temporaneamente, si intuisce, in attesa di tempi migliori).
Il plot, dunque, alla fine risulta deludente, ma ciò nonostante il romanzo si legge egualmente con molto piacere sino all'ultima riga.

 

(Risguardo di copertina) New York, Downtown Hospital, ore 10,03. Il piccolo Ralph, ricoverato d'urgenza in ospedale, se n'è andato e tutti sembrano voler chiudere il suo fascicolo il più rapidamente possibile. Non ci sono dubbi: morte naturale. Ma per il pediatra Sean McQuillan non può essersi trattato solo di un caso, qualcosa non quadra nel referto ufficiale che è stato stilato. Ha visto con i suoi occhi quello che è successo: il bambino gli è morto tra le braccia a causa di un edema cerebrale. E Sean è certo che non può essersi trattato di una fatalità. Ma chi può avere voluto la morte di Ralph? Chi può aver tolto la vita a un innocente con fredda premeditazione? E per quale motivo? Perché i vertici dell'ospedale rifiutano di fare l'autopsia al povero Ralph Friedman?

 

Gli Autori. Andrea Novelli residente a Savona, da sempre scrive con Gianpaolo Zarini a quattro mani. Autori di romanzi e racconti, hanno esordito con il medical thriller Soluzione finale (Marsilio, 2005), che ha vinto il Premio Palazzo al Bosco 2003 di Firenze come migliore inedito. Sono usciti successivamente Per esclusione (Marsilio, 2008; Mondadori 2011), Il paziente zero (Marsilio, 2011), Acque torbide per l’investigatore Astengo (Fratelli Frilli Editore, 2012), oltre a diversi racconti pubblicati da Mondadori, Delos Book, Giulio Perrone Editore, Robin Edizioni, Chichilli, Elliot Edizioni. Per Feltrinelli pubblicano, nella collana digitale Zoom Filtri, il ciclo di Manticora (Damnatio, 2014; Morbus e Aeternitas, 2015).

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21 settembre 2022 3 21 /09 /settembre /2022 18:12
Paul Theroux, Luce accecante, Baldini & Castoldi

Il viaggio a volte può essere metafora per esprimere altro, e soprattutto finisce con il diventare un'avventura interiore dentro se stessi.
Il viaggio nello stesso tempo, quando una precedente esperienza è stata masticata e digerita, divenendo perfino - in alcuni casi oggetto di una narrazione bestselling - si trasforma in oggetto commercializzato, svuotato di qualsiasi valenza interiore. Quando ciò si verifica, occorre ricreare le condizioni per una "rinascita" e per una rifondazione del Sé.
Ed ancora, se il viaggio in un luogo non solo distante ed esotico, ma anche in un certo senso "esoterico" porta l'individuo a scoprire una vena visionaria e profetica, ecco che allora si verificano le premesse per un totale rivoluzionamento della precedente condizione di appiattimento e di schiaccianti sensazioni di inutilità. L'esperienza del viaggio, secondo queste premesse, diventa anche, il preambolo di un'esperienza sciamanica, assumendo che lo sciamano è colui che, con la facilitazione dell'uso di certe sostanze psicoattive che aprono la mente oppure attraverso l'immersione in una qualsivoglia malattia grave o nella follia ha compiuto un viaggio di andata verso i territori sconosciuti e spaventosi dell'impensabile e dell'indicibile e ne ha fatto ritorno, divenendo a pieno titolo colui che, avendo visto la natura profonda delle cose, può fregiarsi della qualifica di "psiconauta" e di guida di coloro che versano in analoghe difficoltà e che, per questo motivo, ha la facoltà di porsi come guida nei confronti di chi è sofferente, conducendolo senza edulcorazioni alla trama di verità delle cose.
Se poi a questi aspetti taumaturgici si aggiunge la cecità che è anche il dono di una visione al di là di Maya, cioè del velo ingannevole con cui la realtà si presenta, il gioco è fatto. Molti dei grandi profeti, molti aedi e poeti, molti sapienti e indovini (vedi ad esempio il caso del vecchio Tiresia) erano ciechi, privati della vista come senso: ma questa loro mancanza si tramutava nel dono della chiaroveggenza e del veder profetico, del poter vedere "oltre" le apparenze. Tutte queste riflessioni si traggono dalla lettura di uno dei romanzi di Paul Theroux, scrittore canadese-statunitense, autore sia di romanzi fiction sia di resoconti di viaggio (tra di questi possiamo ricordare un "ritorno in Patagonia" scritto assieme al grandissimo Bruce Chatwin, l'ultimo dei viaggiatori inglesi del Novecento).

Il protagonista di Luce Accecante (titolo originale inglese Blinding Light, nella traduzione di Fenisia Gianini Jacono), pubblicato da Baldini&Castoldi Dalai nel 2007, Slade Steadman, è stato l'autore di uno dei più popolari libri di viaggio del mondo.  Il suo libro che contiene la descrizione di un viaggio attorno al mondo senza passaporto, violando tutte le frontiere, con il racconto dettagliato di tutte le peripezie e degli stratagemmi messi in opera di volta in volta, è diventato un cult, generando una serie televisiva, nonché un merchandising che ha messo in commercio una linea di abbigliamento e di accessori da viaggi "avventurosi" sulle orme di Steadman (ma in realtà pseudo-avventurosi),  nonché un vero e proprio modello, ineliminabile e non ignorabile, per viaggiatori agiati, alla ricerca d'una parvenza di brivido rispetto alla vita ordinaria.
Da tempo Slade, annichilito dal suo stesso successo, non ha più nulla da dire al mondo, essendo divenuto vittima proprio di quel successo planetario, irrimediabilmente schiacciato e svuotato di ispirazione. Si è ritirato di fatto, in una lussuosa residenza nell'esclusiva Martha's Vineyard, vivendo dei proventi delle royalty che gli arrivano giorno dopo giorno.
Vorrebbe scrivere ancora, ma l'ispirazione lo ha abbandonato. 
Per recuperare verve creativa e per rimettersi in gioco rispetto alla piatta routine in cui si sente confinato, decide di intraprendere - assieme alla compagna Ava, dalla quale è in procinto di separarsi a causa della fine di ogni guizzo anche soltanto sessuale nella loro relazione - un viaggio avventuroso (per quanto edulcorato) nella più remota provincia orientale della giungla ecuadoregna (per ironia, un vero e proprio viaggio alla "Slade", circondato da viaggiatori che vestono il suo marchio e che pensano "Slade"). Al culmine di esso, l'incontro con gli sciamani del luogo - benché in un contesto di squallore per nulla idealizzante (tutto l'opposto della narrazione di Carlos Castaneda - si vedano "A scuola dello stregone" e i successivi volumi), e la sperimentazione di un preparato ottenuto da una rara erba allucinogena (una varietà di Datura), cambieranno la sua vita.
L'assunzione della droga, infatti, sin dall'inizio provoca in lui una cecità temporanea: mentre Slade è in questo stato sperimenta una condizione estatico-visionaria che gli permette di attingere ai suoi ricordi con particolare vividezza, ma nello stesso di vedere dentro le persone che lo circondano e che spiazza, mettendoli a nudo con foga impietosa e senza sconti per nessuno, con affermazioni dissacranti e disvelanti sulle loro intime debolezze e paure. Questa capacità di vedere dentro di sé e di leggere l'animo altrui, lo rimette in condizione di riprendere a scrivere nuove pagine, cosa che al suo ritorno fa con regolarità e costanza, assumendo giornalmente dosi della sua droga e vivendo in questa condizione di cecità ispirata e visionaria: Ava da cui era prima del viaggio in procinto di separarsi diventa la sua segretaria e scrivana.
Infatti, essendo chimicamente cieco per la maggior parte del tempo, in realtà più che scrivere il nuovo libro, lo va dettando giorno dopo giorno alla sua compagna, assieme alla quale recupera un'intesa sessuale con una potenza mai sperimentata prima, rimettendo in scena in versione fortemente erotiche sue esperienze fantasticate in epoche passate della sua vita. Di notte, Ava diventa la reincarnazione delle fantasie sessuali che ha evocato durante il giorno nello stato di cecità.
Steadman, durante questa fase, viene anche accolto con particolare deferenza nell'entourage esclusivo del Presidente degli Stati Uniti, dell'epoca (Clinton), impelagato in una rete di menzogne attorno ai noti atti sessuali compiuti con la stagista.
Alla fine, Steadman partorisce il suo nuovo libro che battezzerà "Il Libro delle Rivelazioni", di cui viene decretato immediatamente il successo enorme di critica e di pubblico, sulla scorta del quale egli parte per un giro di promozioni con tappe in alcune delle principali città degli Stati Uniti, mantenendo la menzogna della sua cecità (acquisita chimicamente, ma mai dichiarata in quanto tale): la sua versione ufficiale è che sia diventato cieco, ma che nella sua cecità egli abbia ricevuto il dono della visionarietà. La sua cecità è un bluff e parte del suo successo si fonda ora sul suo carisma visionario, poiché pur essendo cieco e incapace di vedere, in realtà vede in profondità con uno sguardo che trapassa tutti i segreti individuali, quelli più gelosamente custoditi. E, tra l'altro, con sprezzo utilizza questo enorme potere di vedere dietro le apparenze per ferire e dominare gli altri che lo circondando, pendendo dalle sue labbra, pronti ad essere fustigati ed umiliati dalle sue parole e dalle sue sentenze apodittiche.
Steadman è divenuto "colui che sa" e "colui che vede", proprio perché é cieco (chimicamente).
Ma, ad un certo punto, si ritrova cieco per davvero: quando ll tour promozionale è quasi agli sgoccioli, egli si accorge traumaticamente che la cecità persiste, anche quando gli effetti chimici della Datura dovrebbero essere cessati. E, a quel punto, si ritrova ad essere vulnerabile, sperimentando la fine di quella inebriante onnipotenza e, soprattutto, della sua protervia e del suo atteggiamento di fustigatore delle debolezze e delle menzogne altrui, egli stesso vittima della sua propria menzogna.
Dovrà intraprendere un percorso per ritornare indietro e per disfare gli effetti negativi del suo abuso, umiliandosi e ridimensionandosi.
Luce Accecante è un meta-romanzo sullo stallo esistenziale e sulla resurrezione di un autore in crisi creativa e d'identità, ma al prezzo d'una menzogna.
Il mio parere di lettore é che Steadman sia davvero insopportabile: forse per questo ho letto il romanzo a fatica, prendendomi numerose pause.
Ma è interessante: pienamente calzante con il tema della "La follia nell'arte", trattato in un recente volume.


(Dal risguardo di copertina) Il protagonista del libro è l'autore di uno dei più popolari libri di viaggio del mondo, ma per più di trent'anni ha lottato contro il suo stesso successo, alla ricerca di un equilibrio difficile da trovare. Un viaggio lungo un fiume di una remota provincia nell'est dell'Ecuador gli concede però la possibilità di incontrare quel che gli mancava e di sperimentare una droga miracolosa che induce temporanea cecità. Al suo rientro negli Stati Uniti, ringiovanito e pieno di idee, l'uomo riesce non solo a scrivere e ricordare ma anche, aiutato da una sovrannaturale capacità di premonizione, a vivere contemporaneamente in due dimensioni. Paul Theroux si confronta con i fantasmi dello scrittore (la paura della pagina bianca e il senso di inadeguatezza), e consegna al lettore un meta-romanzo sulla crisi e la resurrezione di un autore in crisi d'identità.

 

Paul Theroux

L'autore. Paul Theroux nasce a Medford, nel Massachusetts, nel 1941 è il terzogenito dei sette figli di Albert Eugene Theroux, un rappresentante di una ditta manifatturiera del cuoio franco-canadese, e di Anne Dittami, un'insegnante di grammatica statunitense di origini italiane. Consegue la laurea in scrittura creativa presso l'Università del Maine, per poi specializzarsi presso le Università di Syracuse e Urbino.

Ha pubblicato il suo primo romanzo, Waldo, nel 1967. Dopo aver terminato l'università ha vissuto 5 anni in Africa, luogo che ha ispirato i suoi successivi lavori: Fong and the Indians, Girls at play e Jungle lovers. Nel continente africano insegna e prende parte a missioni umanitarie.

Ha successivamente insegnato all'Università di Singapore prima di stabilirsi in Inghilterra.

Il suo romanzo più conosciuto è sicuramente The Great Railway Bazaar - by train through Asia, pubblicato nel 1975. Con The Mosquito Coast ha vinto il James Tait Black Memorial Prize per la narrativa nel 1981; dal romanzo, cinque anni dopo, è stato tratto l'omonimo film (con Harrison Ford).

In Italia i suoi libri sono stati pubblicati da Baldini Castoldi Dalai (Hotel Honolulu, Ultimo treno della Patagonia, O-Zone, Gallo di Ferro. In treno attraverso la Cina, Mosquito Coast, Ultimi giorni a Hong Kong, Dark Star Safari), Mondadori (Costa delle zanzare) e Frassinelli (Da costa a costa).

Ha collaborato altresì con settimanali e mensili, quali Playboy, Esquire e The Atlantic Monthly.

Paul Theroux si è sposato due volte: con Anne Castle dal 1967 al 1993 e successivamente con Sheila Donnelly (dal 18 novembre 1995). Attualmente vive alle Hawaii. Dal primo matrimonio ha avuto due figli Marcel Theroux e Louis Theroux, entrambi scrittori e presentatori televisivi, ed è lo zio dell'attore Justin Theroux.

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15 settembre 2022 4 15 /09 /settembre /2022 09:15
Peter Matthiesen, Il leopardo delle nevi, Mondadori, 1980

Il Leopardo delle nevi di Peter Matthiesen è diventato negli anni un libro culto, utilizzato da viaggiatore e da esploratori del versante tibetano dell'Himalaya.

Io lo comprai alla sua prima uscita in edizione italiana nel 1980 (in lingua originale era comparso appena due anni prima, nel 1978), ma lo misi da parte ripromettendomi di farlo in seguito. In quel periodo ero molto interessato a libri naturalistici e ne compravo più di quanti potessi leggerne, anche se - malgrado il titolo - Il Leopardo delle Nevi è libro naturalistico soltanto marginalmente, mentre è fondamentalmente un libro di viaggio e, se vogliamo, anche di formazione.

Tra il 2020 e il 2021 mi è capitato di leggere due, molto più recenti, resoconti di viaggio che ne parlavano: ma non solo in essi l'opera di Matthiesen veniva asetticamente citata. Bensì dei due viaggiatori, rispettivamente il nostro Paolo Cognetti e il francese Sylvain Tesson era stata un vero e proprio Badaeker lungo percorsi sostanzialmente sovrapponibili e fedele compagno di viaggio, letto durante i bivacchi notturni alla luce del fuoco o di una fioca lanterna e gelosamente trasportato nello zaino, al riparo delle intemperie.

Sono andato immediatamente a cercarlo tra i miei libri e, dopo qualche esitazione, in merito alla sua collocazione, con mio grande giubilo, l'ho trovato e ho subito cominciato a leggerlo. Lettura tardiva, ma ancora più prelibata dopo una tanto lunga stagionatura. I libri sono così: non è detto che, nel momento in cui li prendi, siano destinati ad un'immediata fruizione. Ed è un piacere ancora maggiore sapere che sono stati in uno degli scaffali di casa tua in fedele attesa, silenti, promananti una loro silenziosa energia. 

Comincia così:

Sul finire del settembre 1973 partii insieme a GS verso la Montagna di Cristallo, camminando in direzione ovest sotto l'Annapurna e nord lungo il fiume Kali Gandaki, poi di nuovo ad ovest e a nord attorno ai picchi Dhaulagiri e attraverso il Kajiroba, quattrocento chilometri o più, verso la Terra di Dolpo sull'altopiano del Tibet. GS è lo zoologo George Schaller (ib., Prologo, p. 11).

 

Prima di questa spedizione, George B. Schaller aveva già compiuto importanti osservazioni naturalistiche tra cui quelle relative al Gorilla di montagna dei Monti Virunga nel cuore della foresta tropicale africana (che io avevo già già letto a quel tempo - Cfr. L'anno del gorilla, De Donato, 1968) e lo scopo di questa sua spedizione era quella di osservare il bharal, o Pecora Azzurra dell'Himalaya, con l'intento di capire se questa specie fosse in realtà più capra che pecora. Un sottoprodotto di questa osservazione naturalistica avrebbe potuto essere l'individuazione di qualche esemplare di qualche rarissimo individuo del Leopardo delle Nevi (Panthera uncia), che - nel corso del XX secolo - era stato avvistato solo altre due volte (ed uno dei due avvistamenti era appannaggio dello stesso Schaller).

 

La spedizione di George Schaller, iniziata il 28 settembre 1973 da Pokhara, punto di partenza di tutte le spedizioni himalayane, e conclusasi nel dicembre successivo regalerà molteplici e dirimenti osservazioni sul Bharal, mentre sarà quasi fallimentare per quanto concerne gli avvistamenti del Leopardo delle Nevi che rimarrà una metà desiderata, ma sempre evanescente.

Poco dopo il rientro dei due esploratori a Katmandu, la Terra di Dolpo verrà chiusa ai visitatori stranieri a causa di disordini su base politica.


Matthiesen che farà da accompagnatore di Schaller per poi ripartire un po' prima di lui, sarà il cronista di questo viaggio con una profonda sensibilità che deriva dall'avere abbracciato lui stesso la fede buddhista e dall'essere dunque un praticante della meditazione profonda. E, quindi, di quest'avventura diventerà anche il cantore ispirato e profondo.

Il suo resoconto, infatti, supportato da appunti pressoché giornalieri, è - apparentemente - la narrazione di accadimenti, di fatti e di luoghi, ma è in realtà un viaggio interiore, nel profondo nell'animo.
Non può che essere così, dal momento che - man mano che la piccola spedizione con il suo seguito di guide e di portatori si allontana dalla civiltà occidentalizzata (con le sue brutture, con i resti di plastica e con i cumuli di immondizia) ed entra in lande sempre più remote, la vita materiale si va esemplificando sempre di più, lasciando spazio ampio agli scenari interiori.
Non può che essere così.
Matthiesen cerca la pace dell'anima, dal momento che è ancora fresca dentro di lui la ferita aperta dalla morte per cancro della moglie molto amata, anche lei buddista.
Il viaggio così, benché scandito dallo scorrere dei giorni del calendario, diventa un tempo sospeso e avventura di esplorazione interiore alla ricerca di pace e di equilibrio, pur nell'accettazione dell'impermanenza.

Le descrizioni dei luoghi, con le case che si fanno sempre più semplici ed essenziali, con i loro muri di preghiera, con le bandiere di preghiera che vibrano nel vento tutte sbrindellate, con i piccoli tempi e con  monasteri minuscoli, fatti di piccoli stanze, eppure pieni di inestimabili tesori della fede, con la sobrietà e la capacità di vivere con pochissimo (anche dal punto di vista alimentare), rimandano costantemente ad una dimensione del vivere profondamente mistica.

Il viaggio di Schaller e di Matthiesen si concluderà il 1° dicembre a Katmandu in attesa del volo che li riporterà alla civilizzazione e qui avviene la transizione dal Buddismo all'Induismo ben più affollato e rumoroso: in un luogo in cui le due culture e le due tradizioni religiose si confrontano e si mescolano. 
E' il tempo dei commiati e degli abbandoni. 
La fine del viaggio è accompagnata dalla nostalgia per i luoghi che si sono visti e che si stanno per abbondare forse per sempre, senza possibilità di ritorno, e forse anche per via dell'ombra rimasta evanescente di quel mitico leopardo delle nevi, appena una volta avvistato (forse), ma mai visto realmente.

Ma è questo che debbono essere i viaggi più veri e profondi (i viaggi dell'anima, in altri termini): non il tempo del compimento e dell'accumulo di trofei da portare via con sé, ma il tempo del non concluso e di ciò che rimane imperfetto, di ciò che non si potuto trovare, benché lo si sia cercato a lungo e con intensità.

Dunque, in questo, il resoconto di Matthiesen contiene degli insegnamenti profondi e vi si ritrovano le sue radici dell'essere libro di culto. 

 

Peter Matthiesen, Il Leopardo delle Nevi, BEAT, 2015

​Il Leopardo delle Nevi è attualmente disponibile in edizione BEAT (2015) e questo ne è il risguardo di copertina.

Nell'autunno del 1973 l'autore, in compagnia dello zoologo e naturalista George Schaller, percorse a piedi più di 250 miglia nel cuore della regione himalayana del Dolpo, l'ultimo baluardo rimasto dell'autentica civiltà tibetana. I due viaggiatori cercavano il leopardo delle nevi dell'Asia del nord, una creatura così poco avvistata da essere diventata quasi mitica. Pubblicato per la prima volta nel 1978, è il racconto di un viaggio avventuroso tra le gole profonde e le montagne del Tibet, ma è anche un racconto sulla vita e la morte, sul rapporto con la natura e sul senso dell'esistenza. Al viaggio e alla ricerca del mitico animale, si affianca un viaggio più significativo, quello alla ricerca dell'essenza della vita.

 

 

Peter Matthiesen

L'Autore. Peter Matthiessen, naturalista, esploratore, narratore, è nato a New York nel 1927 ed è morto a Sagaponack il 5 aprile 2014.
Negli anni Cinquanta è stato cofondatore della rivista letteraria statunitense Paris Review.
Le sue numerose spedizioni nelle aree più selvagge del mondo l’hanno condotto in Alaska, Asia, Australia, Oceania, Africa, Nuova Guinea e Nepal, memorabilmente descritti nei suoi libri: The Cloud Forest, Under the Mountain Wall, Blue Meridian, Killing Mr. Watson, At play in the Fields of the Lord, e, soprattutto, Il leopardo delle nevi.

 

 

 

 

Sono felice di averlo trovato tra i miei libri. Ero tassativamente sicuro di averlo. Sylvain Tesson nella sua scrittura-reportage sul leopardo delle nevi si è ispirato a questo classico che gli è stato compagno di viaggio nella sua spedizione alla ricerca della "pantera delle nevi", seguendo quasi lo stesso percorso di Matthiesen, come del resto racconta Cognetti in un altro libro diaristico ambientato negli stessi luoghi.
E la sua lettura mi ha aiutato ad immergermi nel ricordo del mio viaggio in Nepal nel lontano 1992 e del mini-trekking che mi ritrovai a fare lungo i pendii dell'Annapurna, assieme a due occasionali compagni di viaggi.

La Pantera delle Nevi di Sylvain Tesson, Sellerio

Sylvain Tesson, La pantera delle nevi (titolo originale: La panthère des neiges, nella traduzione di Roberta Ferrara), Sellerio (collana Il Contesto), 2020

(Risguardo di copertina) Nel 2018 Sylvain Tesson viene invitato dal fotografo naturalista Vincent Munier ad andare alla ricerca degli ultimi esemplari della pantera delle nevi. Questi animali magici e segreti, schivi ma altrettanto temuti, la cui caratteristica è la dissimulazione e l’occultamento, vivono in Tibet, sull’immenso altipiano del Qiangtang. In inverno le temperature sono glaciali, l’area è costantemente spazzata da forti venti e la neve non riesce mai ad attecchire. In volo verso la Cina Tesson conosce Marie, la compagna del fotografo, cineasta naturalista, e Léo, aiutante di campo e filosofo. Sono diventati una «banda dei quattro», insieme affrontano la strada e raggiungono paesaggi sempre più maestosi e deserti. La popolazione diminuisce, al suo posto la fauna sembra apparire dal nulla, al riparo dagli effetti nocivi della civiltà; greggi di antilopi, pecore blu, mandrie di yak, branchi di lupi, predati e predatori attraversano distese lunari e sconfinate, sembrano fagotti di lana, o macchie di inchiostro. A 5.000 metri di altitudine si apre il regno della pantera. In questo santuario naturale, totalmente inospitale per l’uomo, il felino ha trovato il modo di sopravvivere e di difendere la sua tranquillità. Per avvistarla bisogna organizzare degli appostamenti in cui restare immobili a volte per trenta ore consecutive, con la temperatura che staziona a decine di gradi sotto lo zero. La ricerca di questo animale mitico diviene per Sylvain Tesson il racconto di un’avventura straordinaria e la scoperta di uno spazio infinito di riflessione. Le conseguenze disastrose dell’intervento umano sulla natura, il destino di un mondo in cui le specie animali andranno a scemare fino a scomparire, l’annullamento del sé nella meditazione indotta dall’attesa spossante, la spiritualità che l’accompagna, il divenire invisibili nel flusso degli elementi che regala la fugacità della meraviglia. E poi la consapevolezza che la natura è popolata di presenze che ci guardano senza ostilità, ma tenendoci d’occhio: «gli animali sono i guardiani del giardino pubblico, dove l’uomo gioca col cerchio credendosi il re». Immergendosi totalmente nell’ambiente, trasformandosi in uno sguardo assoluto capace di vincere sul tempo, Tesson ha scritto il suo libro più coraggioso e importante.

Sylvain Tesson

(Quarta di copertina) Un’immersione totale nei maestosi paesaggi del Tibet, l’incontro con mondi incontaminati, un avvicinamento alla meditazione e un’iniziazione all’arte dell’attesa.

«Un canto d’ammirazione per la natura e il regno animale» - Bernard Pivot, Le Journal du Dimanche

L’autore. Scrittore, giornalista e grande viaggiatore Sylvain Tesson è nato nel 1972. Dopo un giro del mondo in bicicletta si appassiona all’Asia centrale, che visita frequentemente a partire dal 1997. Come autore esordisce nel 2004 con un racconto di viaggi, L’Axe du loup. Nel 2009 ha pubblicato con Gallimard Une vie à coucher dehorse. Nel 2011 è arrivato il grande successo di Nelle foreste siberiane (Sellerio 2012), che ha vinto il Premio Médicis 2011. Tra gli altri suoi libri

Paolo Cognetti, Senza mai arrivare in cima, Einaudi

Paolo Cognetti, Senza mai arrivare in cime. Viaggio in Himalaya, Einaudi , 2018.

Questo piccolo libro, prezioso, contiene  il resoconto del viaggio che Paolo Cognetti intraprese sul finire del suo quarantesimo anno, nel 2017, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
Il libro di Paul Matthiesen più volte citato è stato, per Cognetti, un assiduo compagno di viaggio: una copia di questo "mitico" volume, infatti, ha viaggiato assiduamente con lui. Si potrebbe dire che il viaggio di Cognetti&Co., benché molto più compresso nel tempo, rispetto a quello di Matthiesen, sia stato un'avventura autenticamente "sulle tracce".
Il volume è corredato di splendidi disegni, da bozzetti realizzati durante il viaggio da uno dei suoi compagni di avventura, Nicola Magrinche si ritrova di frequente di frequente a dialogare con le sue tavole a dialogare con i testi di grandi autori.

«Alla fine ci sono andato davvero, in Himalaya. Non per scalare le cime, come sognavo da bambino, ma per esplorare le valli. (...) Ho camminato per 300 chilometri e superato 8 passi oltre i 5000 metri, senza raggiungere nessuna cima. Mi accompagnavano un libro di culto, un cane incontrato lungo la strada, alcuni amici: al ritorno mi sono rimasti gli amici»
 

(dal risguardo di copertina) Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Questo libro è un taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il sa­liscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza. «Alla fine ci sono andato davvero, in Himalaya. Non per scalare le cime, come sognavo da bambino, ma per esplorare le valli. Volevo vedere se da qualche parte nel mondo esiste ancora una montagna integra, vederla coi miei occhi prima che scompaia. Sono partito dalle Alpi abbandonate e urbanizzate e sono finito nel più remoto angolo di Nepal, un piccolo Tibet che sopravvive all'ombra di quello grande e ormai perduto. Ho camminato per 300 chilometri e superato 8 passi oltre i 5000 metri, senza raggiungere nessuna cima. Mi accompagnavano un libro di culto, un cane incontrato lungo la strada, alcuni amici: al ritorno mi sono rimasti gli amici».

Hanno detto di questo libro

«"Senza mai arrivare in cima. Viaggio in Himalaya" ci riconsegna quei luoghi nello spirito di una esplorazione e di una immedesimazione autentiche in cui sono la natura e l’oltre a plasmare la psiche del viaggiatore che le contempla, ne subisce il fascino, finanche la forza invincibile» – Andrea Velardi, Il Messaggero

«Cognetti, tra pecore azzurre e leopardi invisibili, ha fatto un viaggio nell’aspra poesia della natura» – Paolo Mauri, la Repubblica

«Paolo Cognetti riprende il passo fisico e letterario – lento, costante, classico – col quale ci aveva lasciati» – Stefania Chiale, Sette – Corriere della Sera

 

 

La Pantera delle Nevi - film documentario

Fu un’apparizione religiosa. Oggi il ricordo di quella visione ha per me un carattere sacrale. Lei alzava la testa, annusava l’aria. [...] Viveva sotto il vello del mondo. Era coperta di rappresentazioni. La pantera, spirito delle nevi, si era vestita con la Terra.
Sei pronto a partire per un viaggio che ti cambierà per sempre? 
Tratto dal racconto diaristico di Sylvain Tesson 𝙇𝙖 𝙋𝙖𝙣𝙩𝙚𝙧𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙚 𝙉𝙚𝙫𝙞, il miglior documentario dei César 2022 e del Trento Film Festival 2022.
La voce narrante è quella di Cognetti: e così si chiude il cerchio.
Le musiche sono di Warren Ellis e di Nick Cave.
Nelle sale cinematografiche dal 20 ottobre. 

Questa la sinossi ufficiale:
Molto più di un documentario, La pantera delle nevi è un film filosofico, che segue il celebre fotografo naturalista Vincent Munier e il romanziere e avventuriero Sylvain Tesson nel cuore degli altopiani tibetani, tra valli inesplorate e impervie, dove vive una fauna rara e nascosta agli occhi dei più.
Per diverse settimane Vincent Munier e Sylvain Tesson esploreranno queste valli alla ricerca di animali unici, cercando di avvistare la pantera delle nevi, uno dei grandi felini più rari e difficili da avvicinare. Più i giorni passano e più i due protagonisti entrano in contatto con la disarmante bellezza dell’universo, domandandosi quale sia il senso di ciò che li aspetta a casa al loro ritorno e quindi il posto dell’essere umano nel mondo.
La stessa pantera delle nevi, sfuggente e maestosa, qui diventa il simbolo della natura incontaminata che non si interessa all’uomo, metafora di un mondo in pericolo che potremmo non essere più in grado di vedere nel giro di poche generazioni per le disastrose conseguenze degli interventi umani.

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6 settembre 2022 2 06 /09 /settembre /2022 20:50

Bellissimo! Mi è rimasto nel cuore questo ispettore stropicciato, disincantato e la sua storia tragica, disperata. Suggerisco di leggere prima almeno "La signora in verde" per poter entrare nella sua vita

Sandra Platania, amministratice del gruppo FB "Parliamo di libri, Parliamo di noi"

Arnaldur Indriðason, Le abitudini delle volpi, Guanda, 2013

Le abitudini delle volpi di Arnaldur Indriðason (nella traduzione di Silvia Cosimini), pubblicato da Guanda nel 2013, contiene il racconto di un caso non “ufficiale” dell’ispettore Erlendur Sveinsson.
Erlendur, durante na sa licenza dal lavoro, si è recato a passare alcuni giorni in una sperduta zona dell’Est della Finlandia dove prima egli stesso viveva con i genitori e il fratello più piccolo, sino alla tragedia che segnò in modo indelebile la sua vita.
Erlendur, in questa circostanza "di vacanza", è andato ad abitare proprio nel rudere della casa che un tempo era stata sua e dei genitori e qui si è installato precariamente, con tanto di sacco a pelo e lampada a gas, sobbarcandosi a molte scomodità, ma è ciò che desidera.
Erlendur - come sanno i fedeli lettori di Indriðason - è, da sempre, assillato dall’enigma della scomparsa del fratello più piccolo nel corso di una bufera di neve e di vento. E’ anche - da sempre - tormentato dalla consapevolezza di essere stato lui il sopravvissuto e, in qualche modo, anche colpevole del fatto che il fratellino si fosse accompagnato a lui e al padre per sua insistenza in quella che sembrava una banale uscita nella brughiera.
Questa tragedia ha segnato l’intera sua vita, tanto da indurlo ad interessarsi in modo quasi ossessivo ai casi di persone scomparse, ancor di più da quando si trovò ad intraprendere la carriera di poliziotto.
Mentre - durante questo non canonico periodo di ferie - si aggira nei luoghi della sua infanzia alla ricerca di qualche traccia del fratello scomparso (e sarà proprio qui che un cacciatore di volpi, tale Boas, che lui incontra nella brughiera, gli darà delle dritte, illuminandolo - per così dire - sulle "abitudini delle volpi"), si imbatte nel caso di una donna pure lei scomparsa misteriosamente nel corso di quella memorabile tempesta di neve nel lontano 1942 (proprio nelle stesse circostanze in cui si erano perse le tracce del fratellino di Erlendur, Bergur)
Come un segugio, Erlendur si mette sulle tracce di questa donna, Matildur, per disvelare il mistero della sua scomparsa, attivato da voci e dicerie che sente mormorare con molta riservatezza e circospezione da alcuni anziani abitanti del posto che va via via incontrando. E cerca di capire cosa sia veramente successo: così facendo, con la sua testardaggine, evoca i fantasmi del passato, sentendo che sia sua dovere morale portare luce in quel mistero. E nello stesso tempo arriverà ad una qualche conclusione circa la scomparso del fratello che, in un certo senso, potrà riposare in pace.
E’ un romanzo di grandi rimpianti e di grandi solitudini, ma anche di grandi inquietudini.
Indriðason, prima ancora che uno scrittore di storie "crime" è uno scrittore (ed anche cantore) a tutto tondo dello spirito dell’Islanda.
Di quando in quando prendo uno dei suoi romanzi, ancora non letti, che attendono nello scaffale a lui riservato (li ho tutti), e lo leggo, immergendomi di nuovo nelle atmosfere dell’Islanda che ho avuto modo di visitare e percorrere in due diverse occasioni.

 

(Dal risguardo di copertina) L’ispettore Erlendur è tornato nei luoghi della sua infanzia. Trascorrerà qualche tempo nel piccolo villaggio sulle rive di un fiordo dell’Islanda orientale, deciso ad affrontare una volta per tutte l’ossessione che lo perseguita fin da quando era bambino: la scomparsa del fratello minore Bergur durante una bufera di neve. Di notte, solo nel rudere abbandonato della sua casa, attende che l’oscurità, il gelo e il vento gli riportino i fantasmi della tragica esperienza che distrusse per sempre la sua famiglia; di giorno, vaga per i boschi e la brughiera alla disperata ricerca di indizi. E proprio qui si imbatte per caso in una vicenda per molti versi simile a quella di Bergur: la sparizione di una giovane donna, in una notte di tormenta, nel gennaio del 1942. Una storia non ancora dimenticata, ma che molti preferirebbero lasciare sepolta sotto decenni di segreti e sensi di colpa. Immerso in un paesaggio aspro, in cui una modernità disordinata e invadente si scontra con una natura ancora capace di sconvolgere, Erlendur si lascia trasportare in un’indagine al confine tra realtà e allucinazione, travolto da un’insaziabile sete di risposte che lo costringerà a scavare ostinatamente dentro ferite mai curate, a riportare in luce antiche suggestioni, a riesumare tormenti inconfessabili. «Ho già letto almeno cinque libri con protagonista il commissario Erlendur Sveinsson: sono ben scritti...» Andrea Camilleri «L’Islanda ha trovato il suo Mankell... Assolutamente nordico, un narratore che rappresenta un marchio di grande qualità. Erlendur è un personaggio meraviglioso.

 

Hanno detto:
«Erlendur, poliziotto disilluso che fa luce laddove l’Islanda pare immersa in una notte infinita. Insomma, un grande.» Anna
«Un autore da seguire e da amare. Uno scrittore di noir costruiti con intelligenza e capacità letterarie non comuni.» Il Giornale
«Indriðason si conferma abile a indagare passioni e sentimenti (anche i più morbosi) senza cedere al buonismo.» Corriere della Sera

 

Arnaldur Indridason

L'autore. Arnaldur Indriðason è uno scrittore islandese di romanzi polizieschi che hanno come protagonista il personaggio di Erlendur Sveinsson. Ha lavorato come giornalista indipendente e come critico cinematografico. Laureato in storia, ha scritto il suo primo romanzo nel 1997. Ha vinto numerosi premi fra i quali il Glasnyckeln e Gold Dagger. Tra i suoi romanzi pubblicati da Guanda: Sotto la città (2005), La signora in verde (2006), La voce (2008), Un corpo nel lago (2009), Un grande gelo (2010), Un caso archiviato (2010), Un doppio sospetto (2011), Cielo Nero (2012), Le abitudini delle volpi (2013), Sfida cruciale (2013), Le Notti di Reykjavík (2014), Una traccia nel buio (2015), Un delitto da dimenticare (2016), Il commesso viaggiatore (2017), La ragazza della nave (2018), Quel che sa la notte (2019) e I figli della polvere (2021).

Non puntava a vendicarsi. Non puntava a riempire le carceri di disgraziati. Puntava solo a scoprire la verità, caso per caso. Era l'unico principio che aveva seguito negli anni in polizia, trovare risposte alle domande che lo assillavano. Scoprire verità che si erano perdute, erano state dimenticate e non sarebbero mai state ritrovate.

Le abitudini delle volpi, p. 229

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18 agosto 2022 4 18 /08 /agosto /2022 07:53
Fernando Aramburu, Vita di un pidocchio chiamato Mattia, Salani, 2008

Fernando Aramburu è uno scrittore spagnuolo molto noto, forse uno dei più celebrati scrittori contemporanei in lingua spaguola, autore di molti romanzi, tra cui Patria
Pochi conosceranno forse di Aramburu un piccolo volume che contiene la storia di un redivivo Candido in forma di pidocchio: si tratta di Vita di un pidocchio chiamato Mattia (Vita de un piojo llamado Matia, nella traduzione di Elena Rolla, Salani Editore, 2008).
Qui, in questo breve libro, splendidamente illustrato da Raùl Arias, è contenuta la lunga breve vita di un pidocchio che si autonomina "Mattia", poiché Mattia è il nome del macchinista ferroviario sulla cui testa si schiude la sua lendine.
Mattia è un decisamente un personaggio degno di Voltaire - un Candido redivivo in forma di pidocchio - che passa indenne attraverso catastrofi e cataclismi per arrivare alla fine della sua vita nel folto giardino tranquillo della pellaccia di un cane, nei cui meandri si ritira a trascorrere la sua vita da pensionato.
Un pensionato che però ha tanto da raccontare.
Anche il mondo dei pidocchi sa essere terribile e può essere teatro di sopraffazioni e di tirannidi, ma anche di meravigliose avventure, scoperte ed esplorazioni. Ma, di capello in capello e di testa in testa, per quanto perigliose siano le sue vicissitudini, Mattia riesce sempre a sopravvivere.
E' notevole il cambio di prospettiva. poter capire come tutto cambia se le nostre dimensioni dovessero diventare a pochi millimetri soltanto: e, in questo senso, la bella favola di Mattia, mi ha fatto pensare alla storia perturbante (per me, quando la lessi) di Richard Matheson, Tre millimetri al giorno, che è la storia di un uomo che per ragioni misteriose comincia a perdere ogni giorno tre millimetri della sua storia (e il suo corpo si restringe di conseguenza), sino ad entrare nel piccolissimo e poi nell'infinitamente piccolo.
La vita del pidocchio Mattia è tutta contenuta in un libro breve, suddiviso in capitoletti di poche pagine, particolarmente adatto ad essere ad alta voce, in compagnia. E, se chi legge è bravo ad introdurre la necessaria drammatizzazione, il godimento è assicurato.
Non è un caso che l'epigrafe che introduce il testo sia una dedica che recita: "Dedico questa storia alle persone care su cui vivo", come a dire che Aramburu identificandosi con un pidocchio, come quello della storia voglia dire: in fondo noi uomini siamo tutti un po' pidocchi e, tra essi, ci sono quelli - come mattia - che sono capaci di raccontare una loro storia.

 

(Soglie del testo) Una storia per giovani dagli 8 agli 88 anni
Mattia nasce sulla testa di un capotreno, ma non vi rimane a lungo… di testa in testa, tra forfora, altri pidocchi bulletti, cappelli e armadi, tutta la vita di Mattia, dalla nascita fino alla tranquilla pensione su un cane
«Che schifo, c'è un pidocchio sulla mia testa!» Quante volte avremo detto o sentito questa frase? Ma allora perché un pidocchio non potrebbe dire: «Che schifo! C'è un uomo sotto i miei piedi»? E Mattia, nato sulla testa di un macchinista che (per fortuna!) si lava poco, deve fare i conti con tutti i pericoli che il luogo comporta: dagli spaventosi denti del pettine alle bollenti vampate di phon, dai lavori forzati nelle cave di forfora al rapporto con gli altri zampettanti coinquilini. Fino a che non decide di tentare la fuga… Una scoppiettante metafora della vita e dalla convivenza civile, vista con gli occhi di un piccolo pidocchio generoso che non si scoraggia davanti alle difficoltà. E ora, vi state grattando la testa?


«Fernando Aramburu è la punta di diamante degli autori spagnoli contemporanei» Expansión

 

L'Autore. Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria (Guanda, 2017), uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017. In Italia ha pubblicato Vita di un pidocchio chiamato Mattia (Salani, 2008), I pesci dell'amarezza (La Nuova Frontiera, 2007), Il trombettista dell'utopia (La Nuova Frontiera, 2005), Anni lenti (Guanda, 2018), Mariluz e le sue strane avventure (Guanda, 2019) e I rondoni (Guanda, 2021).

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10 agosto 2022 3 10 /08 /agosto /2022 18:06
Joe Connelly, Pronto soccorso (Bringing Out the Dead), Marco Tropea Editore, 1999

Dal primo romanzo di Joe Connelly, Pronto soccorso (titolo originale: Bringing Out the Dead, nella traduzione di G. Guerzoni), pubblicato da Marco Tropea Editore (1998), è stato tratto il film di Martin Scorsese, interpretato da Nicholas Cage (uscito nelle sale cinematografiche USA nel 1999), con il titolo omonimo che, nella distribuzione italiana, è diventato "Al di là della vita".
Ho acquistato il romanzo subito dopo aver visto il film, quindi tra il 1999 e il 2000.
Ho cominciato immediatamente a leggerlo.
Troppo disperante.
Sono andato in pausa.
E' rimasto sul mio comodino sino al 2015, quando ho ripreso a leggerlo un capitolo alla volta
Con questo ritmo lento e rilassato sono riuscito a finirlo il 9 agosto 2022, giorno in cui ricorre il mio compleanno.
E sono contento di avere portato a termine questa lettura.
S'è trattato di un tempo spropositamene lungo per leggere una storia che si svolge tutta nell'arco di due notti e tre giorni, ma - in fondo - ne è valsa la pena e sono contento di non avere mollato.
I turni sull'ambulanza di di Frank Pierce, soccorritore, ma stanco del suo lavoro (si potrebbe dire che egli sia prossimo ad un burnout, con una continua oscillazione tra un polo di euforia maniacale quando riesce a salvare delle vite e uno di profonda disperazione e sconforto quando invece la sua missione salvifica fallisce), si rende conto che tutti quelli che soccorre a cui lui tiene (perché verso costoro si accende nei pochi attimi del primo soccorso un'empatia, una relazione positiva), muoiono, mentre quelli che vengono soccorsi poiché sono in condizioni critiche ma desiderano morire, rimangono in vita, oltre ogni limite ragionevole.
Il mondo notturno di Frank Pierce è allucinato e delirante, non si comprende mai cosa sia reale e cosa invece sia frutto di visioni di morti che ritornano e che lo ossessionano. Frank non ne ne può più di tutte queste morti  e di questi morti tenuti in vita artifialmente (dopo essere stati richiamati ad una pseudo-vita con procedure eroiche di rianimazione) e vorrebbe dimettersi, e più va avanti, come un coatto in un lavoro che non regge più, più si sente esaurito e consunto. E si chiede se tutto questo darsi da fare serva poi veramente a qualcosa; si pone anche il quesito se questi morenti desiderino veramente di essere richiamati alla vita o se piuttosto non vogliano altro che un gentile accompagnamento in un presunto Aldilà o verso il nulla, a seconda di cosa si creda a proposito delle cose ultime.
E' così che questa storia offre la possibilità di compiere una riflessione profonda sui temi del vivere e del morire, ma anche sull'aberrazione delle cure estreme (di mera sopravvivenza somatica) che vengono impartite ai comatosi. E sopratutto ci si sente portati ad interrogarsi sulle pratiche di una Medicina sempre più onnipotente e demiurgica che si arroga il diritto di riportare indietro dalla morte oppure di mantenere alcuni per un tempo indefinito in un limbo di non-vita, laddove in altri tempi e in assenza dei macchinari e delle sofisticherie tecnologiche odierne essi sarebbero stati lasciati andare. A volte la Cura vera e più profonda è nel lasciare andare, non nel trattenere.
Nel romanzo le vicissitudini di Frank Pierce (nel film impersonato da Nicholas Cage), paramedico dell'Emergency Medical Service a Manhattan, riflettono le esperienze reali dell'autore del romanzo, che ha lavorato a lungo - per dieci anni - come paramedico in un'unità di Pronto soccorso.

 

(Risguardo di copertina) Quando la notte anonima e paurosa scende sulla metropoli per Frank Pierce è ora di andare al lavoro: deve domare i demoni della malattia e della morte, accompagnare un'umanità impaurita e ferita verso la speranza della salvezza. O chiudere gli occhi ai disperati.
Da qualche anno Frank Pierce lavora nelle ambulanze del Pronto soccorso, e gli sembra il mestiere più bello del mondo. Vola per le strade di Hell's Kitchen [Hell's Kitchen (ovvero "la cucina dell'inferno") è un termine usato in lingua inglese per riferirsi a un sobborgo degradato, con riferimento all'omonimo quartiere di Manhattan. Il termine è anche il titolo di svariate opere artistiche e trasmissioni televisive], il quartiere più "malato" di New York, in compagnia di colleghi appassionati e generosi come lui, rispondendo alle chiamate difficili - attacchi cardiaci, accoltellamenti, sparatorie, collassi da overdose - con il coraggio e la forza di chi ha una missione da compiere.
Salvare vite umane è la sua droga, e giocare all'angelo della resurrezione la sua gioia più profonda. Del resto è stato un incidente stradale a portare tra le braccia di Frank il grande amore, come se il caos gli avesse imposto di rispettare la tradizione iniziata dai suoi genitori che si erano conosciuti e innamorati in una stanza d'ospedale.

 

Joe Connelly

Ma non tutti gli interventi si concludono con un successo e Frank, abituato com'è a godersi sino in fondo l'euforia di ogni salvataggio, non ha difese contro il dolore dei fallimenti. I fantasmi delle persone che nessun massaggio cardiaco ha potuto risvegliare dal lungo sonno cominciano ad essergli più presenti dei vivi. Come la piccola Rose, la ragazza dall'impermeabile giallo, che lui non è stato capace di salvare…

 

L'autore. Joe Connelly ha lavorato per quasi dieci anni come paramedico al St Clare's Hospital di New York, la città in cui è nato e dove al tempo dell'uscita del suo primo romanzo viveva insieme alla moglie. Ha scritto un secondo romanzo, mai tradotto in Italiano, dal titolo "Crumbtown" che non ha avuto successo quanto il primo e che è stato accusato diai critici di ricorrere agli stessi, abusati, cliché. Attualmente vive con la famiglia in una location nelle Adirondacks Mountains.
 

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28 luglio 2022 4 28 /07 /luglio /2022 18:54

Di questo libro di Maria Attanasio ho pubblicato una mia nota nella mia bacheca Facebook, ma mai qui sul blog. E ciò nel 2015 circa. Rilancio qui quella recensione, con qualche rimaneggiamento.

Maria Attanasio, Il Condominio di Via della Notte, Sellerio Editore

Con il Condominio di Via della Notte (Sellerio Editore, Collana Il Contesto, 2013, Maria Attanasio ci ha regalato un bel romanzo distopico che richiama - come si impone sin quasi da subito alla mente del lettore  - 1984 di George Orwell, ma anche Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley.
Maria Attanasio - come conducendo un esperimento in un laboratorio creativo (di scrittura) - esamina i progressivi sviluppi perversi di una società fondata sulla non accettazione dell'Altro da sé e sulla crescita dell'intolleranza, sino alle più estreme conseguenze che sono di tipo dittatoriale e del controllo sempre più esteso e dilagante dalla sfera dei comportamenti a quelli privati.
Il volano di un simile sviluppo nella "esemplare" città di Nordìa è la non accettazione dell'Altro: dal momento in cui si statuisce che alcuni individui sono dei "fuoriluogo" e che vanno discriminati, non accettati, espulsi e - laddove non sia possibile espellerli - vessarli sino alle più estreme conseguenze: questi assunti portano ad atteggiamenti oltranzisti che si estendono dalle scelte più generali, riguardanti l'amministrazione cittadina e una dimensione più macroscopica, a quelle riguardanti il microcosmo dei singoli condomini, dove l'Altro che vi arriva come residente è un estraneo che sconvolge il quieto vivere e dà fastidio con la sua stessa presenza.
Quello descritto magistralmente da Maria Attanasio attraverso le vicende di Rita Massa é il fenomeno che porta alle più abiette intolleranze a partire dal rifiuto basilare dell'Altro da sè, di colui che, anche in piccole scelte e nelle sue più innocue idiosincrasie, viene considerato un non-omologato e, in quanto non-omologabile, un pericolo inaccettabile per la stabilità di una società in cui tutti, per viverci, devono essere tutti eguali in un comune ed indistinto grigiore.
Ciò che Maria Attanasio descrive in forma fiction è in fondo quello che capita in tutte le società che, fondate sul dominio più che sulla condivisione democratica, attivano centri di tortura più o meno occulti, i campi di concentramento finalizzati alla reclusione e all'annullamento dell'Altro, o a tutta una serie di altre attività più o meno brutali di eliminazione fisica.
Ovviamente, l'intolleranza di cui sono animatori gli stessi zelanti cittadini che si pongono come i difensori dell'integrità della propria nicchia societaria e i suoi integgerrimi custodi va di pari passo con l'indifferenza - per quieto vivere - dei più che chiudono uno o entrambi gli occhi per non vedere ciò che accade veramente e che lasciano correre sulle più palesi ingiustizie di cui sono eventualmente testimoni.
Il romanzo di Maria Attanasio è seguito da una nota in cui l'Autrice spiega il percorso che l'ha portata a scriverlo e da una sorta di biografia ragionata in cui per ciascun movimento (o parte) della narrazione l'Autrice rivela alcune fonti testuali che l'hanno ispirata.
Bello da leggere. Bello per le riflessioni cui il lettore viene sollecitato. Bello per gli approfondimenti che si è indotti a fare o per i riscontri di comuni conoscenze letterarie e saggistiche.


(Dal risguardo di copertina) Una metropoli contemporanea, «il migliore dei mondi possibili», una società basata su ordine e sicurezza in cui un decalogo ferreo sancisce confini legislativi e morali. Confini che una donna, armata solo di storie e di parole, è in grado di infrangere. Un omaggio alla tradizione distopica di Aldous Huxley e George Orwell, un romanzo visionario e caustico, che racconta una potenziale deriva della nostra stessa realtà
A Nordìa, futuristica città che non esiste sulle mappe, «vigilanza» è la parola d’ordine per realizzare un sogno di perfezione collettiva fondato sulla disciplina, la sicurezza e un consenso sociale estremo e intollerante. Quel sogno entusiasma la maggioranza della popolazione e spaventa e indigna i pochi che scelgono di resistere o dileguarsi.
Tra questi c’è una famiglia che si va frantumando. La moglie, Rita, sembra accorgersi che le utopie che avevano caratterizzato il suo passato sono diventate una pericolosa nostalgia, e assieme vede svanire l’amore per il marito. Questi, al contrario di lei, non accetta il quieto vivere narcotizzato promulgato dal governo e fugge dal paese, lasciando la donna e la piccola Assia dietro di sé. Con il trascorrere degli anni la situazione di Rita si rivela sempre più difficile, mentre la figlia coltiva un rancore intenso e ribelle.
Un giorno Rita si scopre improvvisamente sola. Per troppo tempo ha guardato da un’altra parte, come sperando si trattasse di un brutto incubo, di un’allucinazione destinata a dissolversi. Ora si trova a lottare per mantenere un suo equilibrio e non soccombere ai rimorsi. La città inizia a inquietarla profondamente: ormai il razzismo è promosso come modernità, i cittadini vengono suddivisi per categorie, il controllo, referendum dopo referendum, diventa sempre più assoluto, tutto è videosorvegliato, non esiste un diritto di accesso e di movimento senza un pass, un codice, una parola d’ordine. Eppure per Rita arriva improvviso un cambiamento: una casa ricevuta in eredità dal padre, che sempre le è stato estraneo, accende una scintilla, una possibilità di rinnovamento. E in questa casa, nel condominio di Via della Notte, la donna decide di affidare alla scrittura il racconto della propria vita, sperando di ritrovarvi un senso, una forma e un’idea di libertà, mettendo però a repentaglio la sua stessa sicurezza.
Storia di una donna pavida e insieme coraggiosa, allegoria sottile quanto evidente delle peggiori derive populiste e autoritarie che caratterizzano il panorama politico e istituzionale italiano, questo romanzo reagisce con intelligenza e cuore, con indignata e tormentata sensibilità, al rumore sinistro che sale dalle macerie di un’epoca.
Nel 2013, "Il condominio di Via della Notte" è stato il libro del mese di agosto più votato dagli ascoltatori di Fahrenheit-Radio3 e ha partecipato alle votazioni per il libro dell'anno.

 

Maria Attanasio

L'Autrice. Maria Attanasio (Caltagirone, 1943) collabora a riviste e giornali. Ha scritto poesie (Interni, 1979; Nero barocco nero, 1985; Eros e mente, 1996; Amnesia del movimento delle nuvole, 2003) e saggi. Con questa casa editrice ha pubblicato Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile (1994), Piccole cronache di un secolo (1997, con Domenico Amoroso) e Di Concetta e le sue donne (1999). A questi si aggiunge Lo splendore del niente e altre storie, uscito nel 2021.
 

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20 luglio 2022 3 20 /07 /luglio /2022 19:40

Pubblicato circa un anno addietro su Facebook e ancora non lanciato qui sul mio blog.

Watertruck con spruzzatore anteriore

Sono in una villa con un grande giardino attorno
E' la mia casa di villeggiatura estiva
C'è anche la mamma che non vedo da molto tempo
E arriva anche M., il nostro mastro di fiducia, capace di aggiustare qualsiasi cosa
E' lui, ma è anche diverso
L'elemento che più lo rende strano (e che ci fa straniti nell'osservarlo) è il fatto che esibisca un paio di baffetti in stile Hitler
Si siede davanti a noi e parliamo di affari
Nel frattempo, arriva una grossa autocisterna
M. ci spiega che l'automezzo deve fare il pieno d'acqua alla nostra presa e poi andare in giro per le strade limitrofe, per spruzzare sulla loro superficie acqua nebulizzata e così rinfrescarle, oltre ad abbattere la polvere che il vento di scirocco tende ad alzare in nugoli soffocanti

 

Vi ricordate dei tempi andati (parliamo della mia infanzia, quindi anni Cinquanta) quando lungo le vie di Palermo passavano nelle più torride giornate estive questi carri che con appositi ugelli sistemati nella parte frontale all'altezza delle ruote spargevano acqua sulla superficie d'asfalto? Procedevano a passo d'uomo spargendo il loro carico d'acqua sulla superficie delle strade assolate, coprendo con i loro passaggi la maggior parte della rete stradale cittadina, ma soprattutto dando beneficio ai pedoni nelle vie assetate del centro città.
L'effetto era quello di un'immediata sensazione di refrigerio, oltre alla piacevolezza di quel lieve sentore di terra bagnata che immediatamente si levava sino alle nostre narici, simulando le sensazioni olfattive di un improvviso piovasco. Poi questa cosa (meritoria) divenne obsoleta e non venne più praticata.

Chi sa perchè.

Forse per indurre i cittadini a starsene a casa e ad acquistare più pompe di calore, con l'effetto della crescita esponenziale dell'inquinamento termico delle città?

O forse perchè non si teme più il contagio delle tubercolosi? Riguardo a questo punto, al culmine della diffusione di questa temutissima malattia infettiva si riconobbe che uno dei vettori prinicipali della diffusione del bacillo di Koch era lo sputo: soprattutto negli ambienti pubblici ed anche nelle strade, in assenza di adeguate misure di sanificazione, nei residui organici dello sputo i germi responsabili della tubercolosi potevano sopravvivere a lungo, andando incontro ad una sorta di "sporificazione", per cui poi con facilità si levavano nell'aria in forma di polvere.

Per questo motivo, lo sputo per terra negli ambienti pubblici, al chiuso ed anche all'aperto era pesantemente sanzionato, e, in più, molti ambienti erano dotati di apposite sputacchiere (come anche nelle abitazioni private le sputacchiere erano degli oggetti d'arredamentio talvolta in ceramica o maiolica)

Forse, quella misura di umidificazione delle strade era un residuo di quelle pratiche di igiene pubblica risalenti ai tempi ruggenti della TBC.

Poi, con la rivoluzione successiva all'introduzione degli antibiotici nel trattamento delle malattie infettive, la TBC non ha destato più problemi e questa salutare pratica - dell'umidificazione delle strade pubbliche - è stata accantonata.

O forse anche perchè, con l'avvento del liberismo, tutte quelle pratiche "di comunità" che erano state pensate primariamente per il benessere dei cittadini (e per rendere la città vivibile) sono state dismesse e relegate tra le consuetudini desuete.

Ero perplesso, di fronte alla richiesta di M.. Perchè mai l'autobotte doveva rifornirisi alla nostra presa d'acqua? Che c'entravamo noi? Il camion, trattandosi di un servizio per tutti, non avrebbe dovuto andare a rifornirsi al pubblico acquedotto?
E, ammettendo che il camion si rifornisse al nostro punto d'acqua, nel caso che non fosse stato dato - per quest'azione - uno specifico permesso, non è che potesse verificarsi - ci chiedevamo - che noi  avremmo potuto essere perseguiti per aver reso possibile l'esecuzione di un'azione illecita e non prevista?
Insomma, impigliata in questi interrogativi che rimanevano senza risposta, la discussione si arenava e presto M. con i baffetti da Hitler esauriva tutte le armi di convinzione a sua disposizione
E non se ne faceva nulla
(più avanti)
Intraprendo con qualcuno una discussione a proposito della famosa pubblicazione OMS sulla prima evoluzione della pandemia in Italia, a cura dell'ufficio regionale OMS di Venezia, e subito ritirata dopo appena pochi giorni dalla sua messa online per una deliberata - gigantesca, quanto sfrontata - azione di depistaggio decisa nelle alte sfere, perchè in un suo breve paragrafo emergeva che l'Italia al momento dell'arrivo del SARS-COV-2 era priva di un piano pandemico aggiornato (a fronte dell'obbligo di aggiornarlo ogni tre anni in base alle nuove direttive OMS emergenti, quello italiano era fermo al 2006)
Io ero inserito come in un contesto di un'intervista televisiva  o in assetto da tavola rotonda e venivo intervistato. All'improvviso arrivava proprio Ranieri Guerra, principale autore assieme ad altri vertici governativi italiani e alle più alte sfere dell'OMS, dell'insabbiamento di quell'importantissimo documento, e me lo trovavo davanti
Non sopportavo la sua presenza, con quel sorrisino di supponenza (già visto in trasmissioni televisive) e quell'aria di intangibilità (la pioggia lo bagna e il vento lo asciuga) e cominciavo ad insultarlo con veemenza e ad affermare che il suo modo di porsi era espressione d'una totale assenza di onestà intellettuale e di senso morale, ed anche di una buona dose di arroganza
E perché poi?
Soltanto per la necessità di preservare delle relazioni ad alto livello che poi avrebbero potuto far comodo e per non scontentare nessuno dei potenti sensibili alla possibilità che potesse essere messa in mostra qualche pecca e qualche omissione a loro carico
Nella discussione mi accaloravo particolarmente. Era come se dovessi portare avanti una crociata personale contro questo Ranieri Guerra


(Dissolvenza)


 

Francesco Zambon, Il pesce piccolo. Una storia di virus e di segreti, Feltrinelli

Il giorno prima mi ero immerso a corpo morto nella lettura del libro (un saggio-memoir) di Francesco Zambon (Il Pesce Piccolo, publicato da Feltrinelli nel 2021) sulle vicissitudini del rapporto OMS di cui lui stesso aveva coordinato l'elaborazione nella primissima fase di esordio della pandemia Covid e mi ero indignato.
Poi stimolato  da questa lettura ero andato a guardare il secondo servizio di Report "Virus e segreti di stato" (quello andato in onda nel novembre 2020) che, a suo tempo, mi ero perso.
E mi ero indignato ancora di più.
Consiglio a tutti la lettura del memoir accorato ed indignato di Francesco Zambon: tutti dovrebbero leggerlo per comprendere come in questo nostro sistema, le persone oneste e corrette sono destinate a far la parte dei "pesci piccoli", da vilipendere e da sacrificare, per tutelare i "pesci grossi" che, invece - come gli stronzi - rimangono sempre a galla e che, con assoluta disinvoltura, possono mettere in atto azioni di depistaggio, omissioni, insabbiamento, calunnia, senza che nessuno riesca a spostarli dalle loro candide torri, opponendo a qualsiasi azioni un muro di gomma e una barriera difensiva assolutamente inincibile.
A completare questo quadro - una vera e propria ciliegina sulla torta - è giunta - proprio in questi giorni - una serie di emendamenti presentati da alcuni deputati nelle Commissioni affari esteri e affari sociali e approvati lo scorso 8 luglio, in base ai quali la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Coronavirus dovrebbe occuparsi solo di quanto accaduto prima del 30 gennaio 2020, il giorno precedente alla dichiarazione d’emergenza nazionale, solo in relazione alla Cina, dunque, e senza prendere in considerazione il ruolo dell’Oms.
E, di conseguenza, anche l'inchiesta aperta dai magistrati di Bergamo dopo i servizi di Report in merito al mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale, fermo al 2006 e poi frettolosamente aggiornato con una semplice copia-incolla al 2016, rischia di vanificarsi, con ira comprensibile da parte dei familiari delle vittime della Lombardia, in primo luogo.
E' così: nel racconto di Zambon che si è licenziato dall'OMS per poter raccontare la sua storia (che assume i toni di una vera e propria vicenda kafkiana) si colgono tutte le coloriture nefaste del rapporto tra una persona retta che va alla ricerca della verità ed un sistema immenso che oppone a qualsiasi azione un muro di silenzio e di indifferenza, se non attivandosi - al contrario - in controffensive  e azioni di screditamento pubblico, concertati nelle segrete stanze.

(18 luglio 2021)

 

Francesco Zambon

Il libro. Francesco Zambon, Il pesce piccolo. Una storia di virus e segreti, Feltrinelli (collana Serie Bianca), 2021
(risguardo di copertina) Il ricercatore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha svelato i retroscena del piano pandemico italiano ée, al tempo, nel 2020, cioè, responsabile dell'ufficio OMS ubicato a Venezia] racconta gli errori e le coperture che hanno fatto del nostro paese il grande malato.
"Non potevo rimanere in silenzio"
Venezia, febbraio 2020. Il carnevale viene interrotto bruscamente e Francesco Zambon, veneziano e funzionario dell’OMS, mentre dalla sua finestra vede i turisti in abiti variopinti correre terrorizzati verso il primo vaporetto disponibile, riceve l’incarico di coordinare le informazioni che arrivano dall’Italia e che possono essere utili al mondo: il Covid-19 non è più un virus esotico, ha fatto irruzione in Occidente. Seguono settimane di lavoro forsennato, per provare a capire cosa stia accadendo nel nostro paese, perché tutti quei contagi, perché tutti quei morti. L’11 maggio il rapporto è finito, approvato dai vertici dell’OMS, stampato e pronto per essere divulgato. Potrebbe salvare molte vite. Ma qualcosa si inceppa e il 13 maggio il rapporto viene ritirato. Perché? Perché conteneva alcuni errori, dicono dai vertici dell’OMS. Ma la ragione è che rivelava un dettaglio fondamentale: il piano pandemico italiano non veniva aggiornato dal 2006, quindi era del tutto inadeguato. Ecco perché tutti quei morti. Ecco perché nessuno doveva sapere. Questa è la storia di un uomo solo, che ha denunciato e pagato in prima persona. Questa è una storia che ha fatto il giro del mondo, su cui le procure stanno indagando e che in queste pagine viene raccontata per intero per la prima volta. Nessuno sa quante vite sarebbero state risparmiate, ma tutti devono sapere quali sono state le omissioni, le coperture, le viltà che hanno reso il nostro paese così colpevolmente fragile.

Francesco Zambon si diploma giovanissimo in pianoforte prima di laurearsi in medicina a Padova. Dopo la specializzazione e dottorato in Sanità pubblica, consegue un master in Business administration negli Usa. Nel 2008 comincia a lavorare per l’Organizzazione Mondiale della Sanità a Mosca e poi a Venezia, dove diventa coordinatore della risposta Covid per Oms fino alle sue dimissioni nel marzo 2021. Nel 2021 ha pubblicato con Feltrinelli Il pesce piccolo. Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.

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20 luglio 2022 3 20 /07 /luglio /2022 07:16

Scritto alcuni anni fa su Facebook e mai pubblicato qui nel blog. Un ripescaggio che ripropongo con qualche perfezionamento.

Il Libro illeggibile MN 1 (riprodotto in alto) è stato progettato da Bruno Munari per la Casa editrice Corraini nel 1984 e, nell’immediata profondità dei suoi colori, è ora arrivato alla sua settima edizione.

Il Libro illeggibile MN 1 (riprodotto in alto) è stato progettato da Bruno Munari per la Casa editrice Corraini nel 1984 e, nell’immediata profondità dei suoi colori, è ora arrivato alla sua settima edizione.

Esistono libri "illegibili" oppure siamo noi lettori transitoriamente incompatibili con un certo libro?

Lo spunto per pormi un simile interrogativo viene da una piccola nota che ho rinvenuto postata su Facebook, questa mattina.

Marco Pomilio, Il Cane sull'Etna, Rusconi

Dice, infatti, una Elena Cifali (runner, lettrice e mio contatto su FB): Il cane sull'Etna (1978) di Marco Pomilio  [che, nato ad Orsogna il 14 gennaio 1921  e morto a Napoli il 3 aprile 1990, è stato scrittore, saggista e giornalista] raccoglie cinque racconti che, in un primo momento, avrebbero dovuto essere inseriti in un romanzo organico. Dei cinque non sono riuscita a leggerne più di due.
Il libro non mi è piaciuto e interromperne la lettura l’ho trovato indispensabile.
Non mi ha appassionato, il linguaggio ricercato fa piacere e arricchisce, ma l’esagerazione nella ricerca dei termini e dei sinonimi mi risulta estenuante.
Troppo caldo e troppa poca concentrazione per poterne godere.
Al momento mi accontento di riporlo nello scaffale tra gli “illeggibili”.
Pazienza, ogni tanto capita anche a me di non riuscire a portare a termine un’opera!

L'idea che in una biblioteca personale possa esserci uno scaffale dedicato ai libri "illegibili" è stimolante, per alcuni versi: ma, nello stesso tempo, evoca l'idea che vi possa essere una sorta di ghetto dei libri, dove stanno quei volumi condannati alla condizione di "illegibilità" (o etichettati tali).

Un Aganteo Volloca (altro mio contatto su FB, nome fake, che è in realtà, l'anagramma del vero nome e cognome), leggendo la nota di Elena Cifali, ha soggiunto: Il reparto "illeggibili", se posso permettermi, ha un che di provvisorio; il mio è ben dotato ma, di tanto in tanto, qualcuno di questi libri in quarantena mi chiama e ... puff! scopro che nel frattempo è diventato un altro libro.

Ecco una profonda verità! Un libro può essere molti libri, presentarsi a noi con molti volti diversi, o meglio offrirci di sè solo quelle caratteristiche che, in un certo momento storico possiamo vedere, quelle e non altre.

Un libro non è mai illeggibile al 100%, bensì sei tu lettore che, in quel momento e in quelle circostanze, non lo puoi leggere. Al libro che, ad un primo tentativo di lettura, è parso "illeggibile", occorre fare ritorno. Occorre lascialo a sedimentare nella quiete dello scaffale su cui è stato riposto, ma anche ogni tanto occorre sfogliarlo, leggere qualche paragrafo qua e là, annusarlo, soppesarlo. Con il libro non ancora letto in modo completo perchè reputato "illegibile" dovrebbe attivarsi una schermaglia, un gioco in punta di fioretto, in attesa di tempi migliori.

I libri "illeggibili" possono essere una sfida con il lettore, perchè lo sottopongono ad un cimento, con il loro essere "challenging"!

A volte sono loro che ti chiamano e ammiccano, forse non cessano mai di farlo: i libri riposti attendono il momento in cui potranno prendere vita nella mente del lettore, introducendolo a cose ancora mai viste.

Mi è capitato diverse volte di poter leggere con fluidità e grandissimo interesse un'opera che, a un primo approccio, mi era parsa ostico.

La sfida, inoltre, è anche saper trarre delle cose buone da qualcosa che, in sé, di primo acchitto, ti pare cattiva.

Ma è anche ovvio che, nel mare magnum di ciò che viene continuamente sfornato dalle case editrici che, per motivi di gestione, devono continuamente produrre nuovi libri, anche se poi non li vendono (per destinarli poi al macero oppure al circuito delle vendite sottocosto), non è tutto oro ciò che viene pubblicato: qualche volta - o spesso - capita che vengano pubblicate cose che meriterebero piuttosto di essere scartate ancora in bozza, prima che dalla loro incubazione vengano fuori farfalle incapaci di volare. Specialmente oggi, quando tutti, incoraggiati dall'uso dei social si ritrovano all'improvviso con la vocazione dello scrittore...).

Ma, parlando di produzioni letterarie che siano mediamente di buona fattura, può anche capitare che vi debba essere una totale incompatibilità tra lettore e singolo libro.

A volte ciò succede perchè le "soglie" del testo ci traggono in inganno, promettendoci cose mirabolanti, oppure stimolando la nostra curiosità e le nostre voglie,  oppure perchè la visione del mondo dello scrittore è radicalmente differente dalla nostra, oppure perchè si tratta di elucubrazioni mentali e di controcimenti intellettuali che non hanno nulla da insegnarci: insomma, cose così.

Ma anche in questo caso: il libro che ti capita tra le mani e che abbiamo acquistato decisi a farlo nostro, deve essere comunque letto oppure anche se non letto integralmente almeno "saggiato".

Magari non una lettura approfondita: soltanto una lettura rapida, in croce, scorrendo le pagine velocemente con gli occhi, lasciando che la nostra attenzione venga catturata da singole parole e da frasi isolate qua e là e raccolte come acini d'uva da un grappolo ancora acerbo.

Ancora, leggendo, se ci sono, le soglie al testo, epigrafi, dediche, prefazioni, introduzioni, postfazioni e la pagina dei ringraziamenti che sempre ha tanto da insegnarci sullo scrittore e sulle sue piccole - o grandi - idiosincrasie.

E, detto tra noi, spesso, un libro che non ci è piaciuto, rimane più impresso nella nostra mente di uno che ci è piaciuto e che ci ha fatto andare letteralmente in estasi.

Quello che ho imparato scrivendo recensioni per libri e per romanzi, è che anzichè lanciarsi in una selvaggia critica destruente, bisogna sempre valorizzare le cose che ti sono piaciute, che hanno arricchito le proprie conoscenze, che hanno stimolato a pensare sia pure in direzioni divergenti da quelle praticate dall'autore, e soltanto dopo esporre le critiche, senza però cadere nei luoghi comuni della critica formale.

Per completezza, il libro cui la nostra Elena Cifali si riferisce è Il Cane sull'Etna. Frammenti di una enciclopedia del dissesto (Rusconi, Milano, 1978), di cui - secondo notize raccolte da internet, è stata pubblicata - postuma - un'edizione aggiornata ed ampliata nel 2014.

 

I libri "illegibili" per antonomasia sono piuttosto quelli "inventati" con piglio provocatorio e dissacrante da Bruno Munari: e sono quelli che tendono ad una rinuncia della scrittura testuale e che dovrebbero sollecitare il lettore ad altre modalità di approccio al libro, in quanto "oggetto", tra le quali venga valorizzato soprattutto quella "estetica".
Nel 1949 Munari progettò per la prima volta una serie di “libri illeggibili”, in base a questo assunto. Non più semplicemente supporto per il testo, la carta comunica un messaggio attraverso il formato, il colore, i tagli e la loro alternanza. Si omettono gli elementi che costituiscono il libro tradizionale, come il colophon e il frontespizio, e la lettura diventa lo svolgersi cadenzato di una composizione musicale, con timbri sempre diversi nell’alternarsi delle pagine.
Nel segno della rarefazione visiva e della sperimentazione dei materiali, la produzione di “libri illeggibili” continua per Munari lungo tutto l’arco della propria vita. Nel 1955 alcuni libri "illeggibili" furono esposti al MoMA di New York, nella cui Design Collection ne sono tuttora conservati 9 esemplari.

Il Libro illeggibile MN 1 (riprodotto in alto) è stato progettato da Bruno Munari per la Casa editrice Corraini nel 1984 e, nell’immediata profondità dei suoi colori, è ora arrivato alla sua settima edizione.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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