Overblog Tutti i blog Blog migliori Lifestyle
Segui questo blog Administration + Create my blog
MENU
16 agosto 2022 2 16 /08 /agosto /2022 14:53
I cannoli del fontanile settecentesco di Palazzo Adriano (foto di Maurizio Crispi)

Il giorno dopo ferragosto,
sono uscito di primo mattino,
come d'abitudine,
per la rituale passeggiata umano-canina
L'impatto dell'aria calda è stato forte e devastante
Par d'essere davanti alla bocca d'un forno di panificio o per le pizze
che stia andando a pieno regime,
o nella traiettoria dell'alito caldo di un gigante

 

Ho camminato per vie deserte
Non un'anima viva, benché formalmente
il giorno sia lavorativo
Ma la verità è che la città è tutta chiusa per ferie
come un villaggio messicano
all'ennesima potenza
Anche le edicole,
ma già!, forse, il giorno dopo Ferragosto
i giornali non escono

 

Il cane ansima per il gran caldo
Io sudo copiosamente
e vado cercando i tratti di strada più ombreggiati
(o meno esposti al sole)
Le foglie dei platani, appassite anzitempo,
si sono ammucchiate negli angoli morti
e vengono di continuo spostate dai refoli dello scirocco
Ombre lunghe nel primo mattino
Eppure scorgo di tanto in tanto
qualche camminatore affranto e traballante
trafelato alla ricerca di frescura
Arriva uno su di una bici elettrica,
grosse ruote tozze,
che tiene sospeso un dispositivo
per ascoltare la musica dal cellulare
a tutto volume, mediante bluetooth
Procede in un'onda sonora di bassi
che fanno tremare i polsi

 

Sono ancora nel caldo torrido,
così torrido che di più non si può
e la mia attenzione è attratta
dalla carcassa di un piccione che si dissecca sull'asfalto,
piume e ossa, in una parvenza di mummificazione
un resto che forse, prima, è stato cibo
per i gabbiani cittadini, sempre più predatori e carnivori
Il vento che ha soffiato una notte di bufera,
qualche giorno fa,
ha spezzato rami e abbattuto dei grossi platani
Uno è stato rimosso
e rimane soltanto un'ampia ferita nella tessitura
del marciapiede con le grandi pietre squadrate
che delimitavano l'aiuola spostate come fuscelli

 

E ancora vedo delle piccole farfalle gialline
che si rincorrono nell'aria
celebrando la loro effimera vita
Loro danzano lievi,
malgrado il caldo,
ma hanno poco tempo,
non possono fermarsi a riposare
neppure per un istante

 

Poi, all'improvviso,
si sente in alto,
forse proveniente da qualche tetto condominiale
sul quale hanno preso alloggio,
sento un'improvvisa baruffa tra gabbiani
Cosa si diranno mai?

 

Il loro è loro ormai

Noi umani siamo una specie
in via d'estinzione

 

I cannoli dell'antico fontanile settecentesco di Palazzo Adriano (PA) - Foto di Maurizio Crispi)

I cannoli dell'antico fontanile settecentesco di Palazzo Adriano (PA) - Foto di Maurizio Crispi)

Dolci e fresche acque - chioccolanti - dal cannello di ottone dell'antico fontanile di pietra, al centro della Piazza di Palazzo Adriano...
In questa fontana che non cessa mai di mormorare c'è tutta la storia di un luogo...E c'è tutta la magia delle fontane quando l'acqua per dissetarsi e per rinfrescarsi era libera e gratuita, un bene di tutti.
Queste meraviglie - le fontane che erogano in continuità acqua sempre fresca e pulita - stanno scomparendo dal mondo nella disattenzione generale...

Maurizio Crispi

Condividi post
Repost0
15 luglio 2022 5 15 /07 /luglio /2022 08:02

Ho scritto questo pezzo nel luglio 2015, rendendolo visibile nel mio profilo Facebook. Probabilmente non l'ho tempestivamente pubblicato qui sul blog. Mi ci sono imbattuto casualmente, nella solita rassegna di ricordi proposta giornalmente dall'algoritmo di Facebook. E , quindi, non avendolo fatto a suo tempo, lo lancio, qui, oggi.
Delle riflessioni che arrivano in ritardo rispetto a quando furono formulate, ma che sono tuttora attuali.

Tatà e i cannoli di Piana degli Albanesi (foto di Maurizio Crispi)

Tante delle persone che sono state nella mia vita sono morte.

Mia nonna e la prozia Irene le ho viste solo nel letto di morte e poi composte nella bara. Mi è stato risparmiato il momento del loro trapasso.

Poi è stata la volta di Papà che è entrato in casa, dopo il tragico incidente, già sigillato dentro la sua bara. Mi è stato risparmiato di andare all'Istituto di Medicina Legale ad effettuare il riconoscimento di quel che restava. O forse io sono stato vigliacco e, con facilità, mi sono lasciato convincere a non andare, lasciando ad altri il pietoso compito.

Poi - e vado saltando, passando agli eventi più significativi - è stata la volta di mio cugino Gabriele. Questa volta - forse per compensare ciò che mi ero risparmiato quando era morto papà - sono andato con i miei cugini e con i suoi genitori sul luogo dell'incidente e abbiamo passato la notte davanti all'obitorio di un piccolo cimitero di provincia, in attesa che gli addetti ne aprissero le porte, con impietoso orario di ufficio.

E qui, io, facendo da supporto per i miei cugini e per i miei zii, mi assunsi parte dell'incarico del riconoscimento di Gabriele e, poi della sua svestizione dalla muta di sub che ancora indossava. In questo compito impregnato di pietas, mi ritrovai a vivere in pieno ciò che non avevo vissuto alla scomparsa di mio padre. E fu un'esperienza intensa e, in parte, destabilizzante, negli effetti che ebbe su di me negli anni successivi: un'esperienza che potei metabolizzare a poco a poco, con grande dolore.

Poi, andando avanti negli anni, siamo arrivati alla morte della mamma: l'ho seguita intimamente negli ultimi giorni, osservando il suo rapido declino e, nello stesso tempo, sentendo l'energia caparbia con cui si teneva legata alla vita, aspettando il momento proprizio per lasciarci con fierezza e nel suo modo. L'ultima notte non volle andare a letto e rimase seduta nella sua poltrona, la poltrona dove aveva passato sempre più tempo nei suoi ultimi giorni. Io mi misi nella poltrona accanto a lei per rimanerle vicino. E mi addormentai.

Quando alcune ore dopo mi risvegliai forse a causa dell'eccessivo silenzio (il suo respiro nelle ore precedenti si era fatto pesante e affannoso), mi resi conto che aveva compiuto il suo transito, con accanto la sua borsa e la sveglia che ogni mattina puntava alle 5.00 secondo un'abitudine consolidata allo scopo di avviare la routine dell'accudimento a Salvatore (mi aveva chiesto di portargliela e di caricarla per lei al solito orario di sempre). E quella sveglia all'ora stabilita suonò ancora una volta, per ricordare a tutti noi che la vita continuava con le sue necessità e i suoi obblighi.

Anche questa volta, tuttavia, mi fu risparmiato il momento del trapasso. Ero addormentato accanto a lei.

Con Salvatore, no.

Eravamo assieme e l'ho visto morire.

Ho visto la sua lotta, mentre se ne andava.

Ricorderò il suo sguardo carico di angoscia: non si è mai pronti, quando quell'ultimo momento arriva; il suo tentativo di dirmi qualcosa, delle parole che non riusciva ad articolare; il suo improvviso accasciarsi in avanti, terreo in viso, in un'immobilità che, sul momento, mi sono rifiutato di codificare nel suo vero ed ineludibile significato, per quanto io sia medico (ma che ha scelto di fare lo psichiatra, proprio per non doversi confrontare con questi aspetti del morire).

E' stato giusto che sia accaduto così, io e lui assieme, vicini come eravamo stati negli ultimi anni dopo la morte della mamma. L'ho visto e l'ho sentito mentre era sulla soglia e forse mi rivolgeva un ultimo saluto, oppure mi chiedeva aiuto, perchè ancora per lui non era tempo di andare.

Non credo che potrò mai dimenticare quel momento.

Ci penso sempre: non riesco a distanziarmene.

Quelle fatidiche sequenze compaiono improvvisamente davanti ai miei occhi e nella mia mente nei momenti più impensati.

Ed è giusto che sia così.

Ed anche vero che il tempo è un grande scultore e che poi, a poco a poco, le cose si attenuano e si smussano anche se ci affanniamo a farle vivere nel ricordo.

Quando spingo il passeggino con Gabriel, ci penso più intensamente, proprio perchè quando il transito di Tatà si è verificato io ero lì con lui nella mia funzione di fratello-spingitore.

Forse ciò dipende anche per il fatto che questa sia stata la prima volta in cui ho visto materialmente il momento del trapasso di una persona cara.

E stato così che ho bevuto il calice della vita sino in fondo.

Questa volta, in occasione del mio ultimo miglio come spingitore,  non sono stato risparmiato: ho dovuto vivere per intero il commiato da Tatà, senza sconti.

Sono convinto che, per vivere, occorre avere consuetudine con la morte e soprattutto con il morire.

 

Condividi post
Repost0
22 giugno 2022 3 22 /06 /giugno /2022 15:32
Boa gigante (dal web)

Ho sognato che camminavo in un bosco
portando un grosso serpente di pezza
verde che più verde non si può,
avvolto attorno alle mie braccia
e al mio corpo
Ed ecco che,
vicino ad un tronco abbattuto
mezzo marcio e rivestito di muschi e licheni,
avvisto un enorme serpente
gigantesco e lunghissimo,
anche lui (o lei?) d’un intenso verde-smeraldo,
così verde che più verde non si può
Le sue spire occupano una vasta area
e si muovono di continuo
Mi son fermato in preda al timore
per esaminare le opzioni possibili
Intanto, osservand, mi accorgo
che questo enorme boa verde
è una mamma
Infatti nel punto più centrale delle spire
che sembrano inanellarsi all’infinito
c’è un ammasso brulicante
di piccoli serpentelli verdi
e, in mezzo, la testa della mamma-serpente
che sembra far la guardia alla nidiata
Mi muovo con circospezione
sempre con quello stupido
serpente di pezza
avvolto attorno al corpo e alle braccia
Vorrei allontanarmi
il più presto possibile
Temo che il serpentone
(o meglio, la serpentessa)
possa aggredirmi
scorgendomi assieme al finto serpente
e scambiandomi per un avversario
che stia per attentare alla sua prole
Le spire sono dovunque
e per allontanarmi
ci devo camminare in mezzo
con il cuore in gola
- come se fossi costretto
ad attraversare un campo minato -
e mi accorgo che si muovono
sempre più velocemente,
annodandosi e sciogliendosi
Aspetto il momento fatale in cui
ne sarò ghermito e stritolato
Aiutoooooo!
E' la mia muta invocazione

 

Poco prima mentre dormivo
sdraiato sul divano
avevo sognato
che dormivo sdraiato su di un divano
Sentivo dei rumori e pensavo
che fosse la mamma
- che non vedevo da tanto tempo -
a muoversi per casa
Provavo a chiamarla,
desiderando attirare la sua attenzione
su di me, disteso su quel divano, ,
ma nessun suono usciva dalla mia gola
per quanto mi sforzassi
e sentivo nello stesso tempo
una totale paralisi di tutte le membra
Provavo e riprovavo a farmi sentire,
ma niente accadeva
Poi sentivo che qualcuno
mi sollevava il busto
pesante ed inerte come un tronco
cingendolo tra le braccia
Ed era la mamma
che, malgrado tutto,
era arrivata e mi stringeva
con le sue braccia in un abbraccio
tanto, troppo, a lungo desiderato
E scoppiavo allora
in un pianto dirotto,
irrefrenabile,
Ed ero scosso dai singhiozzi
Mamma, mamma, dove sei?
Mia madre invocava spesso sua madre
negli ultimi mesi della sua vita,
quando la fatica del vivere
e il senso di inutilità
si erano fatti per lei intollerabili
Mamma!, diceva, Voglio la mamma!

Condividi post
Repost0
20 giugno 2022 1 20 /06 /giugno /2022 06:52

Questa nota, scritta il 20 giugno del 2020, è riemersa attraverso i ricordi di Facebook, non ancora pubblicata qui, su questo blog.
E credo che sia stata per me una delle ultime "note" pubblicate su Facebook, prima che gli sviluppatori di FB abolissero questa funzione, che per me era preziosissima, in quanto mi consentiva di utilizzare il mio profilo, a tutti gli effetti come una pagina web. E capitava spesso, in questa mia gestione, che dapprima scrivessi una nota su Facebook, ripromettendomi di trasferirla dopo nel blog e che, poi, distolto da altre incombenze, mi dimenticassi di farlo.
Per quanto concerne il contenuto della nota, voglio circostanziare meglio: quando la scrissi avevo già vissuto il primo periodo del lockdown e mi ero dedicato a scrivere un mio personale diario della pandemia che poi, assieme ad altri successivi scritti estendentesi sino al marzo del 2021, si è trasformato in libro (Ai tristi tempi del Coronavirus. Dove siamo, dove andiamo - Il mio diario giornaliero, Edizioni ExLibris, 2021) e, successivamente, ho messo mano ad una serie di miei scritti sulle panchine e ne ho scritto di nuovi. Quindi, ciò che scrivo in questa nota non è esattamente veritiero, anche se è verissimo il fatto che dopo aver scritto un bel po' di note di diario relative al primo periodo della pandemia, mi fossi poi fermato, scrivendo in un arco di due mesi quattro o cinque testi soltanto: al punto di sentirmene preoccupato. 
Ritengo che i pensieri e le emozioni che si esprimono siano veri nel momento in cui si descrivono, ma essi sono fatti d'una materia plastica, continuamente mutevole, e dunque sono transitori e mobili come le nuvole. Si trasformono, sono metarmorfici e non possono essere liquidati con uno sbrigativo giudizio dicotomico vero/falso.
In fondo queste brevi note diaristiche sono delle fotografie istantanee che hanno pur sempre un loro valore documentario.

Pity the Poor Cat with Nine Lives to Live

E’ da molte settimane - forse non esagero se dico due mesi - che non ho più scritto una sola parola.

La routine di ogni giorno, i piccoli gesti quotidiani sia della gestione domestica sia dei lavori outdoor in campagna, mi hanno assorbito totalmente. Se a questi due aspetti si aggiunge la cronica carenza della connessione internet per il laptop proprio in questo ultimo periodo la lista degli impedimenti materiali è completa.

Ma - ad essere onesti - devo aggiungere che vi sono altri - più impalpabili - eventi soggettivi che hanno interferito.

Forse la mancanza di ispirazione, o forse la mancanza di quello stato estatico della mente che prelude all’atto della scrittura e che già la contiene (e sintomo di ciò vi è la cronica incapacità di ricordare al risveglio i sogni che sono sempre presenti tuttavia, abbondanti e vivaci, per quanto possa confusamente ricordare), o forse ancora la mancanza di voglia di comunicare qualsivoglia pensiero odi andare alla ricerca di immagini da catturare con la mia attrezzatura fotografica per poi divulgarle nella rete o per usarle come primum movens per lanarrazione di piccole storie.

Non sono più un attivista della comunicazione, come mi ritenevo sino a qualche tempo fa.

C’è qualcosa di più, forse. Ed è la sensazione di aver varcato in qualche modo una soglia.

Sappiamo tutti che nella vita abbiamo sempre molte soglie da attraversare. A molte di esse non facciamo caso, spinti come siamo dallo slancio e dall’entusiasmo. Di altre ci accorgiamo, invece: o per la gravità degli eventi cui esse ci conducono o per i particolari stati emozionali sperimentati.

Ogni soglia superata espone alla perdita di qualcosa, ma - al tempo stesso - apre la via a nuove potenzialità e a nuove avventure.

Con il trascorrere del tempo alcune soglie acquistano il sapore dell’ineluttabilità: ed è quando uno vorrebbe fare magari una ricarica indietro, una sorta di fast backward: ma è chiaro che non è possibile  tornare indietro per riavere più tempo, poiché è nella natura umana essere in parte legati ad un vettore del tempo lineare.

Ecco il fatto...
Il 9 agosto 2019 ho compiuto 70 anni: e devo dire che non ci ho pensato particolarmente; mi sono sentito nei mesi successivi lo stesso di sempre.

Ora si avvicina il tempo del mio 71° compleanno e, nel frattempo, qualcosa è cambiato, con Covid-19 a far da trigger e da catalizzatore, con la caduta verticale delle piccole abitudini quotidiane e con la necessità di ridisegnare stili di vita e relazioni sociali.

Il tempo si fa stretto, quando - nell'acquisire consapevolezza di aver varcato una soglia cruciale - il bilancio tra ciò che si è perso e ciò che ancora può essere trovato non è più tanto vantaggioso, come anche quello che si può trarre soppesando i propri fallimenti nel confronto con i successi o analizzando la propria perdita di vision, in altri termini della propria capacità di sognare ad occhi aperti, proiettandosi in un futuro ipotetico, ma pur sempre possibile.

Sento il tempo che passa veloce in questi giorni ed è forse la perdita di creatività, quella creatività che è alla base della scrittura, uno dei segnali premonitori dell'abbandono dell’entusiasmo, della curiosità, della vivacità mentale e della voglia di apprendere di continuo cose nuove.

So anche, tuttavia, che quello di essere vicino al fine turno è uno stato d’animo transitorio e sento che continuo ad identificarmi con il gatto che ha nove vite da vivere.

Ma anche il gatto che ha nove vite da vivere giungerà alla fine alla sua nona (ed ultima) vita...

E cosa gli rimarrà poi da fare per avere ancora più tempo?

 

L'immagine che ho usato per illustrare  questo post mi rimanda ad uno scritto dell’aprile del 2019

Condividi post
Repost0
26 maggio 2022 4 26 /05 /maggio /2022 12:11
Gabbiani predatori di città (tratta dal web)

C’è tanta solitudine in giro
e anche tanta bruttezza
e mancanza di senso estetico

 

Soffro nell’osservare
le altrui solitudini

 

Soffro nel vedere il Brutto
dispiegarsi davanti ai miei occhi

 

Soffro nel guardare le persone
sbranare il loro cibo
come se fossero affette da fame secolare

 

Soffro nel vedere gli accattoni chiedere,
appostati davanti ai templi del consumo


Soffro nel vedere
pacchion* e ciccion*
muoversi a fatica
come balene spiaggiate

 

Ma almeno le balene sono belle

 

Ho visto un gabbiano cittadino
tentare di levarsi in volo,
ma faceva una fatica bestia a decollare
poiché era appesantito da una preda
piuttosto voluminosa
che stringeva tra gli artigli
Quando ormai stavo
per piombargli addosso
(era sulla traiettoria della mia auto)
ha mollato la sua cacciagione
e, in un attimo,
s’è librato imponente
battendo con forza le sue ali, grandi come vele

 

Quel gabbiano sapeva bene
cosa vale di piu

 

E non ho molto altro da dire, per oggi

Condividi post
Repost0
17 aprile 2022 7 17 /04 /aprile /2022 15:29
Sciascia (ChatGPC)

Sono stato inviato ad intervistare Leonardo Sciascia
e ci ritroviamo su di una nave,
in viaggio verso destinazione ignota

La terra è ormai lontana,
e siamo già in mare aperto
Il bastimento sussulta e grida
spinto da motori possenti

Incontro Sciascia sulla tolda
che guarda fisso verso la costa
mentre si fa sempre più lontana ed indistinta,
fumando alla maniera di Yanez l'ennesima sigaretta

M’avvicino a Lui
che mi guarda enigmatico
con uno sguardo scuro, antico,
le borse sotto gli occhi un po' pesti,
eppure vigili e vivaci

Sciascia non proferisce verbo

Io sono come in soggezione
Dovrei articolare parola, formulare domande:
sono lì per questo in fondo, ma taccio,
imbranato ed impacciato
Ho l'attrezzatura fotografica con me,
una splendida reflex semi-professionale
La imbraccio e comincio a tirar foto
guardando attraverso il mirino
il mio soggetto

Sciascia, con quella voce un po' stridula,
tanto agrigentina,
dice qualcosa sul fatto che le foto sono sempre una mediazione
rispetto all'impatto immediato della realtà
e non proferisce altro

S’alza in piedi e, all'improvviso,
quasi fosse un abilissimo trasformista 
alla maniera di Arturo Brachetti,
mi appare abbigliato come un fotografo d'assalto,
con pantaloni mimetici cargo
forniti di ampi tasconi
e una giubba multi-tasche
Ha una macchina fotografica in mano,
ancor meglio della mia, più aggiornata

Comincia a scattar foto,
una appresso all'altra,
con intensità e con piglio professionali

Poi, spentasi questa frenesia,
lo vedo sedersi,
su d’una battagliola aggettante sul mare
e prendere a fissare con lo sguardo l'orizzonte,
lá dove cielo e mare si congiungono
e la spuma candida che si leva
al passaggio dell'opera morta dello scafo

(Altavilla, 17 aprile 2022)

Sciascia (immagine generata da ChatGPC)

(scena generata da ChatGPC) Il ponte, scuro di catrame e incrostazioni di salsedine, scricchiola sotto i nostri passi. Io e Sciascia siamo affiancati, in silenzio, appoggiati alla battagliola.

Il mare si stende in ogni direzione come un’enigma, piatto e profondo, specchio di domande senza risposte.

Lui, Sciascia, ha il volto scavato, in cui brillano occhi lucidi d’intelligenza, un'intelligenza che è abituata a frequentare il pensiero debole e il dubbio.
Ha una sigaretta tra le dita, sottile come le sue parole e ogni tanto la porta alle labbra e aspira avidamente, facendo rosseggiare la brace.
Ogni tanto parla, quasi tra sé, ma io so bene che mi sta parlando.

Sai… la verità spesso non è che un’ombra. E chi la cerca, finisce per bruciarsi con la luce”.

Io ascolti. Il vento mi spettina i pensieri, e lo sciabordio dell'acqua sulla chiglia accompagna le sue frasi come una punteggiatura liquida.

Eppure si cammina”, dico.
Sì”, risponde lui. “Ma camminare dove non si sa, è il modo più umano di cercare”.

Le luci della nave sono fioche.
Non ci sono stelle, né mappe, né promesse.
Ma c’è la navigazione che va avanti verso mete ignote e sconosciute.
E c'è il dialogo che corre come un filo teso tra due punti tra il mio tempo e il suo, tra la realtà e la coscienza.

Lui mi guarda di lato, poi sorride appena:

Forse non c’è destinazione. Forse la verità — come la giustizia — è in quel che si tenta, non in quel che si ottiene”.

La nave continua a fendere l’acqua.

Io e Leonardo Sciascia, due viandanti suL mare.
 

Leonardo Sciascia, Sulla fotografia, Mimesis, 2021

Stranamente, proprio nei giorni in cui ho fatto questo sogno, mi sono ritrovato a leggere un libro che raccoglie degli scritti di Sciascia sulla fotografia e si tratta de volume "Sulla fotografia", pubblicato da Mimesis (collana Sguardi e Visioni) nel 2021, con la curatela di Diego Mormorio.
Il volume non soltanto contiene alcune interessanti riflessioni di Leonardo Sciascia sulla fotografia, ma anche raccoglie alcuni suoi scatti inediti, realizzati negli anni Cinquanta.

Si tratta di un libretto snello (non raggiunge le 100 pagine), non particolarmente agile, sicuramente intrigante, difficile da inquadrare: non è un libro di fotografie, ed è solo parzialmente un libro sulla fotografia.

Si articola in tre parti: un'ampia introduzione di Diego Mormorio; 27 fotografie realizzare da Sciascia nella sua Sicilia e nel corso dei suoi viaggi; due saggi dello scrittore sulla fotografia.



(Risvolto) L’osservazione della realtà da parte di Leonardo Sciascia – così lucida nei suoi romanzi e nei suoi scritti giornalistici – si incontra in queste pagine con l’interesse e la curiosità che l’autore ha sempre nutrito nei confronti della fotografia. Per la prima volta viene qui proposta una galleria di scatti inediti realizzati da Sciascia attorno agli anni Cinquanta, appartenenti dunque al decennio de La Sicilia, il suo cuore, Favole della dittatura, Pirandello e il pirandellismo e Le parrocchie di Regalpetra, dove è già evidente tutto il senso della produzione letteraria di Sciascia.
Tramite queste immagini è possibile ricostruire una sorta di “geografia degli affetti” dell’autore (dalla “sua” Racalmuto alla famiglia, fino ai prodromi del suo celebre viaggio letterario compiuto con l’amico Ferdinando Scianna in occasione della lavorazione a Ore di Spagna). A completare il volume, due saggi nei quali Sciascia riflette sui concetti di sguardo, ritratto, tempo e realtà: Il ritratto fotografico come entelechia, un percorso a ritroso da La camera chiara di Barthes fino al concetto aristotelico di entelechia che prende in esame la rivoluzione del ritratto fotografico come espressione di disvelamento e, al contempo, di nascondimento, e Gli scrittori e la fotografia, una lucida disamina di quei rapporti, strettissimi, che legano fotografia, identità e tempo.

Leonardo Sciascia, Sulla fotografia, Mimesis

 

La parte più intrigante del piccolo volume sono sicuramente le 27 fotografie di Sciascia, accompagnate da altrettanti brevi estratti dai suoi scritti. Sciascia ha fatto la storia come scrittore, non come fotografo, e i suoi scatti non sono diversi dalle nostre fotografie (quelle che chiunque non essendo un professionista della macchina fotografica potrebbe realizzare): le vacanze con la famiglia, uno scorcio di paese che lo ha colpito, un panorama. Non sono fotografie straordinarie ma le trovo interessanti proprio per la loro normalità: raccontano lo sguardo dello scrittore sul mondo, sulla sua quotidianità, sulle cose che lo avevano colpito al punto da essere degne di essere immortalate e poi riguardate a casa con la moglie, o con le figlie, o come spunto per un racconto, un libro, una riflessione.

C'è poi di grande interesse e come incipit, l'introduzione di Mormorio al volume: dove si parla del suo rapporto con Sciascia ("il professore"), della genesi del volume e, ovviamente, di fotografia. Questa introduzione è stimolante, leggibile, comprensibile, per nulla cerebrale o involuta.
Siamo sulla soglia dell'inesprimibile. Ma approssimativamente: nulla è più vicino all'abolizione del tempo, tra le rappresentazioni che l'uomo sa dare della propria vita, della fotografia: ma al tempo stesso, nulla ne è più lontano.
Meno comprensibili, forse, maggiormente criptici sono i due brevissimi saggi di Sciascia sulla fotografia nei quali lo scrittore "...riflette sui concetti di sguardo, ritratto, tempo e realtà: Il ritratto fotografico come entelechia, un percorso a ritroso da La camera chiara di Barthes fino al concetto aristotelico di entelechia che prende in esame la rivoluzione del ritratto fotografico come espressione di disvelamento e, al contempo, di nascondimento, e Gli scrittori e la fotografia, una lucida disamina di quei rapporti, strettissimi, che legano fotografia, identità e tempo".
Saggi stimolanti ma, per me e per le mie conoscenze, troppo alti ed eruditi. Per lo più, quindi e purtroppo, difficilmente comprensibili.

Quindi, a chi è rivolto questo libro?
Si può iniziare a dire a chi non è rivolto: non è un libro sulla fotografia destinato a chi inizia a fotografare, questo è sicuro; e non è nemmeno un libro di fotografie da consultare per ragionare su tecnica e composizione (anche questo è sicuro). 

E', invece, un libro che potrà piacere molto agli appassionati di Sciascia scrittore, così come è un libro che apprezzerà chi è già dotato di una solida base storico-filosofica sulla fotografia, che vi troverà stimoli e spunti per crescere. 

Gli autori. Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989), scrittore, saggista, giornalista, poeta e docente italiano. Artista della parola e scrittore solitario, non intellettuale, come non amava definirsi o essere definito, ma uomo di lettere impegnato, è stato sempre attento al clima culturale a lui contemporaneo. I suoi volumi più famosi sono editi da Adelphi e Sellerio.

Diego Mormorio è nato nel 1953 a Caracas da genitori siciliani. Storico, critico della fotografia e saggista italiano, si occupa in maniera originale dei rapporti tra la fotografia e la cultura filosofica e letteraria.

Condividi post
Repost0
21 febbraio 2022 1 21 /02 /febbraio /2022 12:10
Il volo di Icaro

Un bel dì ho pensato di indossare
un paio d'ali
Le avevo appena trovate lì,
appese nell'armadio di casa,
il loro piumaggio era tutto polveroso
come se non fossero state usate da tempo

 

Un mistero
chi le avesse lasciate e perché
Le ho prese e le ho ripulite ben bene
sino a farle risplendere di riflessi iridescenti
che s’accendevano
nella luce piena del giorno

 

Dopo averle ammirate,
le ho indossate e mi calzavano a pennello
Ed ero tutto nudo
all’infuori di quelle ali

 

Preso da subitanea eccitazione
e inedita vigoria
sono uscito fuori in balcone
e ho spiccato il volo

 

Volavo e volavo
e, intanto, emettendo dei suoni celestiali
in un idioma a me sconosciuto,
provavo a chiamare a raccolta
altri volatori come me,
preso dal desiderio di condividere
tanta bellezza
e l’estasi vivificante del volo

 

Nessuno rispose al mio richiamo

 

Il Cielo, azzurrissimo, rimaneva vuoto
ed era ben triste tutto quel vuoto tinto di blu,
senza nemmeno una nuvoletta bianca
a tenere compagnia
a me, unico volatore

 

Allora, sono salito sempre più su,
in alto, in alto
verso l'infinito d’un blu
sempre più profondo
che trascolorava nel nero
e già intravedevo le stelle,
sino a quando il freddo siderale
ha bloccato i miei muscoli
e l’aria s'era fatta così rarefatta
che l'ossigeno ha smesso di nutrirli

 

Sono caduto a precipizio
le ali si sono scomposte
e mi sono state strappate via
e, in un attimo, a velocità supersonica
mi è venuta incontro la superficie del mare,
dura come il cemento

 

Mi ci sono sfracellato
con un tonfo sordo
e, poi, sono stato inghiottito dall'acqua
che è divenuta per sempre
la mia tomba liquida

 

La morale della storia è che, quando si trova un paio d'ali,
abbandonate nell'armadio
non bisogna mai rinunciare a usarle:
le ali erano state messe lì per te
Ed il volo è stato impagabile
Ora che son morto,
dopo che le ali mi sono state strappate via,
non lo rimpiangerò mai quel volo

 

Meglio un solo volo glorioso
che una vita intera di grigiore e inettitudine

Condividi post
Repost0
18 marzo 2016 5 18 /03 /marzo /2016 21:08
Un giorno di pioggia (foto di Maurizio Crispi)

La pioggia cade sommessamente

Acceso da un raggio di sole
prende vita ad ovest l'arcobaleno iridescente

Un attimo di sublime

Una cacata liquida occhieggia sul marciapiede
e, al passaggio, un odore nauseabondo mi investe,
di topi morti e decomposizione

Povero cane!, penso
O magari sarà stato un Cristianuccio senza ritegno...

Suoni mesti e colori grigi,
ad eccezione di quell'effimero effetto prismatico di prima

Bisogna affrettarsi per ritrovare un riparo

Gimme shelter from the rain, gimmeshelter

Andare,
dormire

cercare senza trovare,
aspettare, ripiegato su un me stesso

sempre più piccolo,
sino a scomparire,
effetto tre millimetri al giorno

Condividi post
Repost0
16 giugno 2015 2 16 /06 /giugno /2015 17:46
I passerotti caduti dal nido e il dolore del mondo
I passerotti caduti dal nido e il dolore del mondo
I passerotti caduti dal nido e il dolore del mondo

Camminavamo io e Gabriel, Gabriel nel passeggino.

Sul bordo della strada c'era un grosso merlo stecchito.

Birdie, birdie! - ha detto anche questa volta Gabriel che è solito segnalare con grida di giubilo gli uccelli svolazzanti, attorno a noi, anche quando sono molto lontani, poco più che puntini mobili nel cielo.

Ma il birdie stavolta non si muoveva: se ne stava immobile con le zampine rattrappite e con la testa piegata ad un angolo innaturale rispetto al resto del corpo.

Ci siamo soffermati.

Gli ho spiegato che il merlo era caduto dall'alto, che aveva sbattuto sull'asfalto duro e che, a causa di ciò, si era fatto tanto male, ma proprio tanto male, al punto che non poteva più ne muoversi, né tornare a volare di nuovo.

Ma tutto questo l'ho detto in poche parole soltanto, cercando di essere il più semplice possibile.

Poi ho detto: "Si è fatto tanto male, è morto...".

Comunque, il concetto è rimasto impresso nella mente di Gabriel che ha guardato a lungo il merlo stecchito.

Quando ci siamo visti con Maureen, a suo modo ha cercato di raccontare l'accaduto: "Hen... male! Hen... male"! ("Hen", cioè gallina: subito prima avevamo incontrato delle galline vive e vegete, che si muovevano di concerto, in una sorta di danza paso doble con un tronfio tacchino).

Quest'incontro casuale mi è sembrato l'occasione giusta per parlare di un concetto ostico e di introdurlo, a partire dall'osservazione della realtà.

Proseguendo nell'ammaestramento, quando si è trattato di attraversare la strada, l'ho esortato a lasciarsi tenere per mano (Gabriel è riottoso e vorrebbe sempre fare da solo) e, per incoraggiarlo, gli ho detto "Devi darmi la mano, ci sono le automobili e se non mi dai la mano, le macchine ti possono fare molto male...".

Anche se per arrivare il concetto di "morte" ci vorrà ancora molto, almeno c'è stata l'occasione di introdurre quello di un "male" irreversibile che porta all'immobilità totale.

Penso che bisognerebbe sforzarsi di affrontare con i bambini queste piccole lezioni di vita: uno dei punti deboli della società contemporanea è il fatto che, mentre in un passato non lontano, vita e morte convivevano - per così dire - nella stessa stanza e il morire era semplicemente un fatto della vita, oggi l'esperienza del male e della morte si è sempre più rarefatta e se ne ha una rappresentazione soltanto mediatica, con l'idea che sia qualcosa di finto.

E, paradossalmente, vi è un atteggiamento diffuso che vorrebbe proteggere i più piccini dalla percezione della sofferenza e della morte.

Ma il rischio è che poi, in seguito, quando il bambino di un tempo - nel frattempo cresciuto dovesse - imbattersi in queste esperienze, non avrebbe strumenti per poterle metabolizzare e ne uscirebbe del tutto traumatizzato, poiché sarebbe incapace di assorbirle e di farsene una ragione.

Sarebbe un po' come accade nella storia del principe Siddharta che, messo di fronte all'esperienza disperante del dolore del mondo (dopo esserne stato protetto a lungo da genitori che volevano il meglio per lui), la senti del tutto intollerabile (un tradimento e una negazione della rappresentazione di un mondo dorato ed edulcorato che era stato portato a costruirsi)e dovette intraprendere un suo personale percorso di liberazione dalla sofferenza

Condividi post
Repost0
23 maggio 2015 6 23 /05 /maggio /2015 06:21
(foto e testo di Maurizio Crispi)
(foto e testo di Maurizio Crispi)
(foto e testo di Maurizio Crispi)
(foto e testo di Maurizio Crispi)

(foto e testo di Maurizio Crispi)

Chi si trovasse a percorrere a Palermo Via Alberto Dalla Chiesa, in un tratto di strada che offre ben poco allo sguardo, poichè da un lato vi è il lungo muro di pietra che fa da recizione al Liceo Garibaldi, del tutto impenetrabile allo sguardo e, dall'altro, passato il Giardino Inglese, vi è soltanto un condominio con qualche esercizio commerciale, si imbatterà subito passato questo edificio condominiale in un piccolo giardino ombroso e ricco di alberi fronzuti. E lo sguardo dell'occasionale visitatore sarà immediatamente attratto dal contorto ceppo di olivo posto subito all'ingresso, sul quale campeggiano due targhe.

E, leggendo le targhe, scoprirà che è entrato nel "Giardino Giusto Monaco", dedicato alla memoria dell'illustre grecista, filologo classico e studioso del teatro antico, nato a Siracusa, ma palermitano di adozione.

Si tratta di un'autentica oasi di pace e di un un luogo che, come pochi, fornisce nutrimento all'anima.

In stratta connessione con l'enunciato di questa qualità, é un luogo "da leggere": arricchito com'è da ventidue targhe con citazioni tratte da autori della letteratura greca e latina, amati da Giusto Monaco.

Inaugurato nel 2008, con la riapertura del piccolo giardino comunale preesistente, ha poi avuto un lungo periodo di chiusura a causa della mancata manutenzione.

E' stato riaperto al pubblico e restituito ai cittadini nel 2012.

Il 18 ottobre 2008, alle ore 16.00, in via Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo, si inaugura il giardino comunale intitolato a Giusto Monaco. Filologo classico, studioso di letteratura latina e greca, vivo interprete del teatro antico, per oltre un ventennio Giusto Monaco ha guidato l’Istituto Nazionale del Dramma Antico – da Commissario straordinario prima, da Presidente poi – lasciando una memoria indelebile della sua statura umana e intellettuale e degli sforzi dediti alla diffusione della cultura classica, dei suoi valori, della sua forza espressiva.
Uomo di scuola, maestro di generazioni di studenti in vari licei e università italiane e, a Palermo presso il Liceo Giuseppe Garibaldi e la Facoltà di Lettere e Filosofia, Giusto Monaco è anche l’ideatore del Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani (giunta alla XV edizione) a cui la Fondazione INDA dedica ogni anno un appassionato impegno organizzativo, accrescendola ulteriormente in un processo di internazionalizzazione e nel coinvolgimento di scuole di ogni ordine e grado
.

E' un luogo molto bello, nella sua sobrietà pensosa, arricchito dalle numerose citazioni degli autori classici che furono cari a Giusto Monaco, e vibrante di giochi di luci ed ombre, con numerose panchine per la sosta.

Un luogo per passeggiare, per leggere, per sostare dai frenetici ritmi della vita moderna, per meditare.

Un luogo che serve a dare nutrimento all'anima, uno di quei rari luoghi soul food.

Ed è anche uno di quei piccoli miracoli, in cui a Palermo - malgrado tutto - ci si può imbattere.

Il Giardino Giusto Monaco a Palermo. Un piccolo miracolo di pace nel caos del traffico, un luogo "soul food"
Il Giardino Giusto Monaco a Palermo. Un piccolo miracolo di pace nel caos del traffico, un luogo "soul food"

Giusto Monaco (Siracusa, 1915 – Palermo 1994), filologo e docente italiano.

Giusto Monaco nasce a Siracusa mentre è in pieno svolgimento la Prima Guerra Mondiale. Il padre, funzionario del ministero delle Finanze, viene trasferito periodicamente, Giusto frequenta così il ginnasio a Trapani e il Liceo Classico Garibaldi a Palermo, scuola dove tornerà ad insegnare nel 1947.

Dal ’33 al ’37 frequenta la classe di Lettere della Scuola Normale di Pisa dove si laurea con una tesi su Settimo Severio. Fra i docenti ci sono Bianchi Bandinelli, Gentile, Momigliano e Giorgio Pasquali che realizzavano in quegli anni ciò in cui credevano loro e i loro maestri da un paio di millenni, il primato della cultura classica. A Pisa Giusto impara inoltre che il pensiero vive nel ridonarsi alla società che lo nutre. Questa sarà l’ispirazione per tutte le sue future attività.
Inizia l’attività d’insegnamento al Liceo Galilei di Firenze e dopo averlo continuato a Livorno e Sassari, ritorna a Palermo dove prende servizio al Liceo Garibaldi. In quella scuola insegnerà a tempo pieno fino al 1962, accompagnando alle lezioni anche l’organizzazione delle prime gite scolastiche, di seminari e perfino di pomeriggi musicali.
Giusto Monaco inizia negli stessi anni a scrivere una lunga serie di formidabili testi scolastici di letteratura greca e latina. Coinvolge un piccolo editore di Palermo – Giovan Battista Palumbo – che con le decine di libri scritti da Monaco e coautori farà le sue fortune, da 40 anni infatti, testi come La produzione letteraria nell’antica Roma e Lingua latina fanno compagnia agli studenti di moltissimi Licei italiani.

A Palermo, Monaco segue naturalmente anche gli sviluppi della vita universitaria locale e nel 1955 ottiene la “libera docenza” in grammatica greca e latina che inizia ad insegnare alla neonata facoltà di Magistero.
Monaco insegna con l’entusiasmo che ne contraddistinguerà l’intera vita professionale e al di fuori del lavoro. Ne parla così uno dei suoi migliori allievi, Gianfranco Nuzzo:

«Era un docente eccezionale. Era coltissimo, ma usava uno stile semplice e accessibile che era arricchito da un’allegria naturale, per cui ogni lezione era regolarmente condita di battute e di arguzie, quelle stesse che duemila anni prima avevano costellato le orazioni ciceroniane e sulle quali avrebbe scritto pagine magistrali nel saggio dedicato al De ridiculis».

Nel 1968 vince quindi il concorso per la cattedra di Latino e si trasferisce nella più prestigiosa facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo dove insegnerà letteratura latina e poi, dal 1977 al 1986, filologia classica.
Attraverso le raccolte di Pan, Studi dell’Istituto di Filologia latina da lui fondata nel 1973, impresse una svolta di grande efficacia e serietà alla storia degli studi classici nell’Università di Palermo e creò un centro di studi al quale afferirono giovani ricercatori, poi affermatisi, latinisti e filologi classici, medievisti, studiosi di letteratura cristiana antica e di teatro greco e latino, che trovarono nella rivista la sede cui destinare naturalmente i propri contributi. Dona la sua biblioteca personale al Dipartimento di studi greci, latini e musicali Aglaia dell’Università di Palermo.

Dal 1973 al 14 febbraio 1994 è prima, Commissario Straordinario e poi Presidente dell’I.N.D.A. (Istituto Nazionale del Dramma Antico) di Siracusa. In questi anni, si intensificano congressi biennali e seminari e nasce anche una scuola di teatro.
Giusto Monaco muore a Palermo nel 1994.

Il 18 novembre del 2008 allo studioso viene intitolato il giardino comunale, chiuso da anni, di via Carlo Alberto Dalla Chiesa che. La villetta, realizzata dal figlio Iano Monaco su un impianto a verde già esistente, presenta al suo interno ventidue testi greci incisi su targhe per poter rileggere durante le passeggiate i versi di Eschilo, Saffo, Euripide, Omero e Sofocle.

 

Giusto Monaco

Educato educai, percorsi l’involucro del mondo. Mi ricopre l’amica terra. Fui per tutti Giusto e amato, di Siracusa, in Sicilia”.
Il 13 novembre di 100 anni fa nasceva a Siracusa Giusto Monaco, studioso della lingua e letteratura greca e latina, del teatro antico; uomo di scuola, maestro di generazioni di studenti in vari Licei e Università d’Italia e soprattutto, a Palermo, al Liceo Giuseppe Garibaldi e alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Rifondatore e guida, per lunghi anni (1973-1994), dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, che nei teatri antichi di tutto il mondo, e di Siracusa in particolare, ha messo (e mette) in scena i drammi del teatro antico testimoniandone la forza espressiva, i valori etici,  l’attualità civile.
Giusto Monaco, sul teatro: Oggi come ieri, teatro è responsabilità, consapevolezza di problemi etici, civili, comportamentali, impegno a scelte personali che possono essere traumatiche ma che devono considerarsi ineludibili. Oggi come ieri, teatro è acquisizione e governo di mezzi d’espressione, affermazione di umane conquiste, esaltazione di forze individuali e di esigenze sociali. Oggi come ieri, teatro è libertà, lotta per essere artefici della propria sorte, ricerca del significato dell’esistenza, meditazione di interrogativi spesso destinati a rimanere senza risposta, rifiuto di essere oppressi, disdegno di farsi oppressori.

Condividi post
Repost0

Mi Presento

  • : Frammenti e pensieri sparsi
  • : Una raccolta di recensioni cinematografiche, di approfondimenti sulle letture fatte, note diaristiche e sogni, reportage e viaggi
  • Contatti

Profilo

  • Frammenti e Pensieri Sparsi

Testo Libero

Ricerca

Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


frammenti-e-pensieri-sparsi.over-blog.it-Google pagerank and Worth