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13 giugno 2023 2 13 /06 /giugno /2023 10:55
Bill Clegg, Novanta giorni, Il Saggiatore

Novanta giorni (Ninety Days, nella traduzione di Sara V. Barberis), pubblicato da Il Saggiatore, nel 2013, è un libro memoir di Bill Clegg, noto agente letterario e scrittore statunitense, una preziosa testimonianza che si pone come seguito ideale dell’autobiografico “Ritratto di un tossico da giovane” (Einaudi) dello stesso autore.
Se in quest'ultimo testo vi è la storia dell'evolversi di una grave forma di dipendenza patologica in cui si intrecciano abuso di sostanze ed eccessi sessuali e della descrizione lucida del modo in cui si strutturano e si mantengono le "abbuffate" di droga e sesso, con l'evolversi di gravi manifestazioni psicopatologiche (tipiche di chi fa uso massiccio di sostanze stimolanti di tipo dopaminergico in maniera massiccia e in un arco di tempo limitato, con subentranti assunzioni), in "90 giorni" troviamo l'altra faccia della medaglia e cioè, dopo un periodo di permanenza prolungato in una struttura riabilitativa residenziale in cui Bill è stato tenuto controllato e protetto, in sostanza avulso dal contesto sociale, il difficile percorso verso la sobrietà nella condizione di chi è ora "libero", nel senso di essere costretto a fronteggiare tutti i dilemmi dell'autodeterminazione: qui, dunque, la sobrietà è uno stato che non deriva semplicemente dall'astenersi dall'uso di sostanze (e di tutti i comportamenti correlati), ma dalla capacità (tutta da costruire) di combattere le forze interiori e i riflessi condizionati che spingono verso la ricaduta (relapse, come si dice in Inglese).

Alcuni passaggi sono eloquenti, come quello a pag. 92 (e seguenti) in cui Bill descrive la sua terza ricaduta.

"Anche se passano otto ore dalla telefonata iniziale, nulla mi distoglie dalla droga. E' come se avessi premuto un interruttore e fossi in pilota automatico. Nessuna telefonata, ripensamento o pensiero delle conseguenze può dissuadermi dal consumare droga".
 

E, in un attimo, undici giorni di sobrietà, si annullano e Bill deve ricominciare il conteggio da zero.
 

Come già con il suo prequel, ci troviamo di fronte ad una narrazione autobiografica tesa e vibrante, a tratti anche dura, senza sconti per il lettore (e nemmeno per colui che scrive che si mette a nudo sino all'osso, senza pudore, affrontando catarticamente la piena confessione, sino ai dettagli più scioccanti) e che consente di guardare con lucidità sin nelle pieghe più riposte della mente di un tossico in riabilitazione che - come in un gioco dell’oca - percorre la sua via verso la stabilizzazione dall’uso di ogni droga, costellata di trappole e di fallimenti, alla ricerca della sua prima meta (che non sarà mai quella definitiva) e cioè del raggiungimento dell'obiettivo di novanta giorni consecutivi di astensione dall'uso di qualsiasi droga (incluso l'alcool) ovvero di "sobrietà" che una delle parole cardine di A.A.. Da qui il titolo.
Dietro questo doloroso (e faticoso) percorso che si muove all'interno della filosofia degli Alcoolisti Anonimi (A.A.) (che, con piccole variazioni ed aggiustamenti, può essere applicata a tutte le diverse forme di dipendenza patologiche, ivi incluse quelle non farmacologiche: e si veda a tal riguardo un libro - pure memoir - di recente pubblicazione, dal titolo "Azzardo" che racconta la storia di una donna dedita al gioco con le slot e soccombente ad una devastante dipendenza) c’è la ricerca della Verità - per quanto dolorosa possa essere - e della solidarietà di altri e verso altri con i quali si condivide lo stesso percorso.
Ogni tossicodipendente sarà per il resto della sua vita “riabilitazione” e la sua sobrietà dipenderà esclusivamente dalla capacità di comunicare senza infingimenti e menzogne le proprie difficoltà e le proprie debolezze all’interno della complessa relazione che si viene a creare tra il tossico in riabilitazione, il proprio sponsor e altri tossici che magari stanno peggio e nei cui confronti può attivarsi il senso di responsabilità e la sollecitudine (secondo il modello originario scaturito dall'incontro di due alcolisti (tra i quali il co-fondatore Bill W.) che avevano smesso di bere e cercavano di mantenere la propria sobrietà). 
Tutto questo mediato dalle “stanze” dove avvengono le riunioni di auto-aiuto in cui si concretizza la filosofa degli AA con molteplici occasioni di incontro, di confronto e di discussioni, in cui ciascuno è incoraggiato a partecipare, mantenendo l'anonimato e che poi diventano anche delle stanze mentali, profondamente interiorizzate.
Novanta giorni é, infine, un libro che può interessare chiunque perché ragiona dell’importanza estrema della ricerca della verità nelle relazioni interpersonali.


(Risguardo di copertina) Novanta giorni è l'obiettivo. Novanta giorni puliti per uscire dal buio, solo novanta giorni. La sostanza di Bill è il crack. Ma le crisi di astinenza, le ricadute, il rehab si ripetono per ogni dipendenza. Novanta giorni è infatti la storia di chiunque sia caduto, almeno una volta, in quella spirale. È la storia di persone interrotte che insieme cercano di mettere ordine nelle loro vite. I nuovi amici di Bill sono ex tossici che provano, un giorno alla volta, a non farsi. Una comunità che si incontra, discute, partecipa a riunioni settimanali, s'incoraggia con entusiasmo sportivo e premura fraterna, una rete di solidarietà che condivide un obiettivo: la libertà dai lacci della compulsione. Legami che per il vecchio Bill, brillante agente letterario diviso fra cocktail mondani e attici sulla Fifth Avenue, sarebbero stati impensabili. Nei reticoli di Manhattan si incrociano i destini di Polly, insegnante elementare cocainomane, che non riesce a smettere perché vive con la sua gemella Heather che ancora si droga; Lotto, figlio adottivo di una coppia di gioiellieri ebrei, che ha girato dodici centri di riabilitazione e pensa di poter prendere in giro la vita ancora una volta; Asa, giovane studente, rosso di capelli, innamorato di Bill, salvifico e silenzioso. E Bill, che grazie ai suoi nuovi amici impara a raccontare la verità, la sua verità.
 

Bill Clegg

L’autore. Bill Clegg, agente letterario americano, è autore dei memoir Ritratto di un tossico da giovane (Einaudi, 2011) e 90 giorni (Il Saggiatore, 2013). Il suo primo romanzo, Mai avuto una famiglia (Bompiani, 2016), è stato selezionato per il National Book Award, il Man Booker Prize, la Andrew Carnegie Medal ed è stato definito uno dei migliori libri del 2015 tra gli altri dal Library Journal, da Booklist, dal Guardian, da Kirkus Reviews.

Bill Clegg, Ritratto di un tossico da giovane, Einaudi

Questo memoir che racconta la storia tossicomanica di Bill Clegg, prima che entrasse nel mondo della riabilitazione, è interessante, ma è una lettura davvero faticosa, capace di mostrare, quasi al microscopio i meccanismi e le dinamiche interiori che scattano quando uno è preso dalla voglia smodata e irrefrenabile di consumare la sua droga preferita e, in questo caso, si tratta del "crack", che - in forma di cristalli - si fuma in apposite pipette con il principio attivo che, in funzione della manipolazione chimica che ha subito per essere tramutato in cristalli, penetra la barriera emato-cerebrale, provocando degli effetti massivi e rapidissimi che, dopo poco svaniscono. Da qui la tendenza del consumatore di rimanere intrappolato nel meccanismo devastante del craving che lo spinge verso un consumo ripetuto a brevissimi intervalli di tempo, magari con la contemporanea assunzione di alcool e di altre sostanze psicoattive.
La dipendenza dal crack è una delle più devastanti in assoluto, poiché il consumatore immerso in un modello di consumo detto anche drug-binge (parola che che in italiana può essere tradotta con "abbuffata") è capace di spendere nel giro di pochissimo tempo quantità enormi di denaro, indebitandosi sino al collo ed incurante delle conseguenze su se stesso e sugli altri, familiari, parenti e amici.

E, naturalmente, il memoir di Bill Clegg è intessuto anche di ricordi antichi (storie infantili ed adolescenziali), il che è corretto, poiché il percorso che porta una persona (e in questo caso è Bill) a coinvolgersi in esperienze di uso dipendente di sostanze psicoattive, nasce da lontano, dalle dinamiche familiari, dal modo in cui si è costruito il rapporto con il corpo, da come si sono svolte le prime esperienze di masturbazione (e, soprattutto, se queste hanno assunto un carattere compulsive e sono state oggetto di un non-detto).
 

«L’orrore strisciante delle ultime settimane: ricascarci; mollare Noah, il mio ragazzo, al Sundance Film Festival quasi una settimana prima; mandare una e-mail alla mia socia in affari, Kate, dicendole di fare quello che le pareva della nostra attività, che io non sarei tornato; entrare e subito uscire da una clinica di riabilitazione di New Canaan, nel Connecticut; passare una sfilza di notti all’hotel 60 Thompson per poi buttarmi a capofitto nello scabroso clima drogato dell’appartamento di Mark, con gli sbandati che rimediano un po’ di crack gratis quando qualcuno organizza un’abbuffata. L’orripilante film dei miei recenti trascorsi mi balena dietro le palpebre, e il futuro senza una bustina, nella consapevolezza che passeranno ore prima di vederne un’altra, si staglia con l’evidenza del nuovo giorno che sorge».

Come Bill Clegg, giovane agente letterario di successo, si lascia travolgere dalla tossicodipendenza e perde tutto, dal lavoro agli affetti, sprofondando in una vita fatta di mille alberghi tutti uguali, voli aerei mai presi, avidità e paranoia, incontri maschili e sesso consumato senza ombra di passione.
Un memoir lacerante: l'esplorazione di una deriva cieca, narrata senza facili giustificazioni e priva di autocompiacimento.
La storia di una dipendenza assoluta, senza un vero perché.
Una discesa negli abissi della paranoia, raccontata con l'implacabile precisione ed eleganza della grande letteratura.

Di quest'opera hanno detto

«Bill Clegg ha scritto un memoir snello, teso, rutilante. Anche se sappiamo da subito come dovrebbe finire la storia, è difficile credere che il protagonista riuscirà a sopravvivere all’ordalia che descrive con tanta, terrificante ricchezza di dettagli».
Jay McInerney

«Questa storia di un uomo – quasi sempre rinchiuso in camere d’albergo e impegnato in una guerra straziante con se stesso – è destinata a diventare un vero e proprio classico della letteratura sulla droga».
Irvine Welsh

Alessandra Mureddu, Azzardo, Einaudi

Azzardo di Alessandra Mureddu (Einaudi, Collana "Gli Unici, 2023) viene presentato come un romanzo per il quale vige la formula “ogni riferimento a persone esistenti e a persone è puramente casuale”.

Ma, in realtà, si tratta di una storia fortemente autobiografica, come del resto ha rivelato l’autrice in successive interviste.
C’è il racconto di anni e anni di dipendenza dal gioco d’azzardo (che oggi con una recente definizione onnicomprensiva viene definito "ludopatia"), soprattutto da quello istantaneo e fulmineo delle macchinette, ovvero dalle slot machine.
Sono descritti nel libro tutti i passaggi di un’esistenza votata al gioco e alla dissipazione, apparentemente alla ricerca della vincita e della mitica cascata di monetine, ma in realtà dolorosamente porterà verso la sconfitta e la ripetizione coatta di questa esperienza.
Tutti i momenti e i passaggi vengono ritratti lucidamente nella loro essenza, compreso il disfacimento esistenziale che fa da inevitabile corteo alla ludopatia, come a quasi tutte le altre forme di dipendenza patologica.
È una lettura faticosa e dolente, per alcuni versi irritante.
Io stesso che ho lavorato per quasi tutta la mia vita professionale a contatto con le dipendenze patologiche e che dovrei avere gli strumenti per comprendere mi sono sentito fortemente irritato dal racconto, soprattutto dalla debolezza intrinseca di questa donna incapace di resistere al richiamo del gioco.
Come recita il Verbo degli Alcolisti Anonimi, applicabile a tutte le forme di dipendenza, soltanto il riconoscimento quotidiano della propria debolezza e della propria inemendabile condizione di dipendente possono essere d’aiuto nel fronteggiare - giorno dopo giorno - il richiamo illusorio dell’oggetto della dipendenza e dunque proteggere dallo spettro della ricaduta.

L’astinenza va conquistata giorno dopo giorno senza lasciarsi mai travolgere dalla hybris, con l'aiuto di un'implacabile ricerca della Verità, davanti a se stessi e davanti agli altri.

 

Per me si è trattato di una lettura di studio piuttosto che di svago o intrattenimento.

 

 

(Soglie del testo) «Entro nella sala col passo trionfale di chi va a riprendersi il mondo. Le banconote da cinquanta, a colpi di un euro al secondo, spariscono nella fessura una via l’altra. Le conchiglie, quando escono, fanno pof, come lo schiocco di labbra di un pesce».

A quarantun anni, nella pienezza della propria vita, una donna decide di salvare il padre, avvocato e giocatore patologico. E salvarlo significa addentrarsi nel mondo delle sale da gioco: un mondo senza finestre in cui non si distingue il giorno dalla notte, e neppure chi vince da chi perde, perché ogni vincita è destinata a finire nella fessura della slot: se ti è andata bene vorrai vincere di piú, se stai perdendo continuerai a giocare per rifarti. Cosí, la figlia che voleva salvare il padre si ritrova a dover salvare se stessa dalla malattia del gioco, che la trascina in un gorgo senza fine. Il conto si svuota, i capelli si imbiancano, il corpo sparisce sotto una larga tunica nera. Le relazioni, gli amici, i colleghi, la famiglia: tutto viene intaccato in nome di questa febbre morbosa. Gli ori di famiglia rubati ai genitori e svenduti nei «Compro oro» per una manciata di contanti da dilapidare in fretta.

Se può esserci salvezza, passerà forse dai Dodici Passi del Programma di recupero per i Giocatori Anonimi, ma le ricadute eroderanno ogni volta qualcosa di piú profondo. O forse la salvezza s’insinuerà in un sogno o in un piccolo gesto come quello del padre nella pagina finale del libro.

A raccontare questa storia, la sua storia, è una donna che ha superato da poco i quarant'anni. La sua voce è esatta, limpida, dura, il suo sguardo senza filtri. La sua mano non fa che infilare banconote nella fessura delle slot e premere il tasto start, per anni. Mentre la sua vita va a rotoli, lei aspetta «l'eco prolungata del solfeggio, le schegge di luce che si propagano al monitor». Perché ogni vincita è un battito in piú nel petto. Alessandra Mureddu racconta dall'interno, con una scrittura infiammata, potentissima, un mondo che pochi conoscono, eppure descrive un sentimento in cui è impossibile non rispecchiarsi: la dipendenza di cui parla - che passa dalle macchinette alle relazioni sessuali e affettive, al padre, al cane, e potrebbe estendersi a qualsiasi cosa - è il segno del nostro tempo. Azzardo è uno sfolgorante e feroce romanzo su ciò che abbiamo di piú umano: le nostre debolezze.

 

Per approfondire sui temi del gioco d'azzardo rinvio a questi miei articoli su questo stesso blog

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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