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Con emozione, nei giorni scorsi, ho rimesso mano alla lettura dell’insuperato “Dracula” di Bram Stoker che, edito nel 1897 dopo sette anni di laboriosa scrittura, ha posto le basi della iconografia classica sul vampiro e su tutte le credenze correlate.
Riprendere questa lettura è stata un’emozione perché, sin dalle prime pagine, mi sono sentito catapultato indietro nel tempo e rimandato alla febbrile concentrazione con cui, appena tredicenne, divoravo quelle pagine in un Pocket Longanesi acquistato in edicola per poche lire, addentrandomi in un terreno del tutto vergine perché ancora nulla sapevo di Dracula, del Conte Vlad Tepes e dei vampiri in genere.
Non sapevo nulla di nulla di questo personaggio letterario così topico ed emblematico; e non avevo idea alcuna di quali eventi sarebbero scaturiti dal viaggio avventuroso di Jonathan Harper sino ad un castello diruto della Transilvania, nel cuore dei Carpazi.
Leggerlo oggi per la prima volta non sarebbe più la stessa cosa, non procurerebbe più le stesse sensazioni perché oggi l’iconografia vampiresca in tutte le sue molteplici declinazioni è profondamente penetrata nella cultura letteraria e cinematografica, radicandosi profondamente nell’immaginario collettivo.
E, quindi, se io mi trovassi tra le mani quel libro, tornato tredicenne (se si può ipotizzare una simile cosa), direi annoiato: “Oh, parla di quella storia che ho visto in un paio di film” e probabilmente lo metterei da parte perché non ci sarebbe più il senso della meraviglia e il piacere della scoperta a spingermi ad andare avanti.
Quella fu una lettura seminale, perchè da essa scaturirono dei percorsi di approfondimento tematico, con la ricerca febbrile di racconti e romanzi che avessero come epicentro il tema del vampiro, ma anche su tutta la letteratura saggistica e storica correlata. E, naturalmente. come mi capita di fare con tutte le letture che per me sono state significative, ho raccolto nel tempo diverse edizioni di Dracula, alcune delle quali illustrate e/o commentate.
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