Questo mio breve scritto risale al 22 marzo 2010.
Il suo recupero è stato casuale, scartabellando tra i ricordi di FB.
E, dunque, eccolo qui!
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Le stazioni possiedono delle qualità particolari.
Sono dei luoghi di transito, dove tutto è costantemente in movimento.
Momenti convulsi in cui si creano flussi monodirezionali di grandi masse si alternano ad intervalli di stasi e relativa quiete.
Chi si ferma, uscendo fuori dai vettori del movimento lineare rappresenta l'anomalia, in quanto - anche se per pochi istanti soltanto - trasforma il non-luogo in luogo, in un piccolo angolo confortevole dove vengono fissati alcuni ancoraggi.
E' come se in una stazione dominassero su tutto i vettori del tempo lineare.
Se questi si inceppano gli utenti si sentono perduti quasi fossero costretti in una deriva che viene sentita come inquietante (destrutturante): da qui le manifestazioni di intolleranza ed impazienza che, in alcuni casi , sconfinano nell'ansia e nel panico.
La virtù, quando i vettori del tempo lineare si bloccano, è quella di saper stare, accettando l'arrotolarsi del tempo lineare in una dimensione sospesa, nella quale tutto può accadere e nel cui contesto qualsiasi cosa si faccia può prendere il sapore magico di ciò che non è previsto o pianificato.
Ed è allora che bisognerebbe saper apprezzare alcuni elementi, quali: il sedersi su di una panchina, il fermarsi in un bar per sorbire un caffè, il leggere da un libro, osservare ciò che accade tutt'intorno a te, il soffermarsi a cogliere suoni, colori, odori.
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Allora, se si riesce ad entrare in sintonia con il tempo fermo, si potrà sperimentare il privilegio di stare fermi, mentre tutti quelli che si muovono attorno a te sembrano trasportati da un tapis roulant o immessi in un'enorme centrifuga che produce frullati di corpi e di vite amalgamate, spogliate di qualsiasi individualità.
Al movimento convulso di grandi masse di persone, ciascuna immessa in una sua traiettoria, fanno da contraltare l'immobilità e il silenzio, che per esempio si possono riscontrare in orari marginali, quando le banchine si fanno deserte. le luci si affievoliscono e soltanto pochi e sparuti passeggeri vi indugiano in attesa, non si sa di cosa oppure semplicemente stanno, come se avessero dimenticato quale sia la loro meta.
"… è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di...
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.
Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose.”
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