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Una notte faticosa e di lotta
senza riuscire a dormire nelle prime ore
- benché mi sentissi
mortalmente stanco -
in un conflitto serrato, instancabile,
con lenzuola e coperte
Sopra, sotto
Leva un cuscino
Metti un cuscino
Aggiustati di qua
Aggiustati di là
E, poi, prurito a tutto spiano,
nelle mani e nei piedi,
gratta e rigratta, senza tregua
All’inizio di questa lotta serrata,
non avevo nemmeno voglia
di prendere un libro e di leggere
e, quindi, i libri se ne stavano di canto
E andai avanti così per un bel po’
Innervosito,
preso dal nervoso,
dal fastidio,
dalla sofferenza
Sbadigli a tutto spiano
Poi alla fine, ho ceduto
e mi sono messo a leggere,
per un bel po’
La lettura mi ha finalmente introdotto
nei reami del sonno e poi del sogno,
facendomi dimenticare la lotta di prima
Ho dormito e ho sognato
Non mi ricordo granché
C’era un posto di cui non so dire molto,
nel senso di poterne dare una descrizione accurata
C’erano altri,
forse amici o forse colleghi di lavoro,
non saprei
C’era uno che mi fissava di continuo
Forse era gay e mi puntava
Ero un suo oggetto di interesse
Per parte mia ero poco o nulla interessato
Ma ero anche infastidito
da quello sguardo penetrante e continuo,
appuntato su di me
Arrivava una mia amica
e le facevo cenno
di aver bisogno di parlarle,
ma lontano da quello sguardo invadente
Mi alzavo dunque dalla mia seggiola
e con la mia amica al seguito
ci spostavamo in un’altra stanza
per salire poi su per un impalcatura
per aver tregua, io,
da quello sguardo assillante
Arrivavamo alla cima della struttura
(che forse era una gradinata)
Stavo per rilassarmi
Mi giravo, però,
e, attraverso gli interstizi dei tavoloni,
brillava l’occhio insistente
di quel tizio che non mi mollava
Il desiderio di appartarmi con la mia amica
per poter confidarle
quanto stava accadendo
era così risultato fallimentare
La cosa più insopportabile di tutto
era quell’occhio grifagno,
mobile e liquido,
puntato su di me
Dissolvenza
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Ho sognato
Ero a casa, forse di Luciana, mia cugina,
C’era anche Ale
Eravamo visitors
Ci aggiravamo per una casa che non corrispondeva affatto alla vera abitazione di mia cugina
Mi sembrava di essere piuttosto in una casa di villeggiatura con un giardino interno e varie stanze, tutte sullo stesso piano, che si affacciavano su d’una corte sontuosamente fiorita e decorata di piante ornamentali
Il pavimento era di cotto, molto bello
C’era anche Black in nostra compagnia, anche lui in veste di visitor
E Blake la combinava grossa: alzava la coscia e urinava abbondantemente sul bel pavimento di cotto
[nella realtà, quando passiamo
da casa di mi cugina
a lasciare o a prendere qualcosa
il signor Black si comporta sempre
come un signorino]
Ero preso alla sprovvista
da questo atto sconsiderato
Si poneva urgentemente
la necessità di pulire
prima che mia cugina se ne accorgesse
Mi occorreva un mocio, ma certamente non potevo usare il suo
che si sarebbe inzuppato di piscio
per poi rimanere del tutto inservibile
o che, se usato dopo una simile bisogna, avrebbe contaminato altre superfici
Decidevo allora di uscire di volata
per andare a prendere il mocio di casa mia,
quello appositamente riservato
a lavare i pavimenti della stanza
dove alloggia Black
E me ne partivo di corsa, lasciando tutti in tredici, sperando di risolvere il problema prima che mia cugina si accorgesse del malfatto
Ma la cosa si faceva molto più lunga del previsto: infatti, quando arrivavo, quella che supponevo fosse casa mia non lo era affatto; non ne riconoscevo l’esterno, né tantomeno gli interni, mi aggiravo come un perfetto estraneo senza ravvisare nulla di familiare e senza nemmeno trovare ciò che cercavo
Stavo a girare a lungo all’interno di questa casa, come se fossi uno straniero
o, peggio, come un ladro
che vi si fosse intrufolato abusivamente
Non avevo idea di dove il mocio per operazioni di pulizia speciali
potesse trovarsi
Rinunciavo alla fine (o forse no, tutto sommato ne avevo uno che mi penzolava dalla mano, di moocio mocci
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Solo che non ricordo dove l’avessi preso) e mi accingevo ad uscire con il mio trofeo
Mi ritrovavo davanti all’imboccatura di un tunnel che non ricordavo di avere percorso all’andata, ma che era l’unica via per poter ritornare indietro: non esistevano alternative possibili
Il tunnel non era sicuro poiché era privo di illuminazione e percorso in ambedue i sensi da automobili in corsa
Con molta attenzione mi accingevo all’attraversamento: capivo che, per migliorare la mia sicurezza e poter riuscire nell’impresa, dovevo cercare di correre a perdifiato
E così facevo, intraprendendo una gara con me stesso e sfidando le automobili che mi venivano da dietro
Cercavo di stare il più possibile aderente alla parete e facevo girare le gambe a più non posso, reggendo con una mano il mocio che avevo recuperato e che era la prova della missione compiuta
Mentre correvo, all’improvviso, un cane venuto fuori dal nulla (apparteneva alla schiatta dei cani del nulla: nero come una creatura delle tenebre, occhi rossi di bragia, zanne sguainate e saliva gocciolante), cominciava ad inseguirmi e, allo stesso tempo, cercava di mordermi i polpacci; io acceleravo l’andatura ancor di più, cercando di evitare il pericolo improvviso e le ganasce canine schioccanti
Ma la bestia mi stava sempre alle calcagna, inesorabile
E io cercavo di correre ancora più veloce
Ogni tanto, sentivo lo scatto della mandibola a vuoto quando chiudeva i denti per azzannarmi il polpaccio, ma io, con un estremo sforzo riuscivo a sottrarmi alla morsa
La galleria era ancora lunga e non so se, alla fine, sarei riuscito a mettermi in salvo
La luce in fondo al tunnel sembrava farsi sempre più distante
Dissolvenza
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