Ecco cosa ho sognato l'altra notte.
Partecipavo ad un consesso di colleghi dell'azienda sanitaria e comunicavo che dovevo prendere un giorno di congedo straordinario per andare a presentare una richiesta di congedo straordinario per la partecipazione ad un corso di aggiornamento.
Farraginoso e assurdo.
Quindi, mi occorrevano: un giorno di congedo straordinario per presentare la domanda, più tre giorni di congedo straordinario per la partecipazione alcorso.
In tutto quattro giorni consecutivi.
La mia comunicazione suscitava un coro umanime di proteste.
"Crispi, sei sempre il solito!"
Mi sono svegliato stranito.
Un sogno decisamente bizzarro ed insolito.
Svegliandomi ho googlato "Maurizio Crispi psichiatra".
Poca roba, qualche riferimento a libri e a note biografiche correlate.
Il mio nome compariva anche in un elenco pubblico dell'Azienda sanitaria, al tempo in cui in ero ancora in servizio, con le indicazioni dei compensi attribuiti ai dirigenti medici.
Nel sogno compariva il mio primario del tempo, LV: era con lui che discutevo di questa mia richiesta di congedo straordinario, mentre ci spostavamo in auto da qualche parte.
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Il sogno mi ha portato a ricordare una questione che riguarda il mio rapporto con il tempo, quando iniziai a lavorare presso l'Unità sanitaria locale, vincolato ad un orario di servizio.
Del lavoro avevo avuto sino a prima una concezione libertaria e dinamica. I miei modelli erano stati papà e mamma.
Papà era sempre in movimento per via del lavoro, si spostava, viaggiava, non sembrava avesse il vincolo del posto fisso, della stanza e della scrivania. Il suo vero studio professionale, quello in cui si raccoglieva a scrivere era a casa. La mamma insegnava: ovviamente, aveva il vincolo della presenza e dell'orario da rispettare. Ma la sua aveva tutta l'aria di essere una missione nobile e disinteressata. Non l'ho mai sentita lamentarsi di qualcosa. Era sempre gioiosa di fare quello che faceva.
Anche per papà, il lavoro collimava con una forte passione che sentiva dentro di sè. La sua missione era creare cultura e diffonderla attraverso la pagina scritta. Quindi eventuali vincoli, la necessità di fare turni, sbarcare il lunario, assicurare una presenza, erodere il suo tempo libero non erano cose che lo preoccupassero più di tanto.
Per entrambi, per mamma e papà, vi era una forte coincidenza tra identità, senso del Sé e attività professionale. Ed anche una forte coincidenza tra tempo per Sé e tempo lavorativo. Ma d'altronde, entrambi nati nel 1918, appartengono tutti e due alla "vecchia guardia" di quelle persone fortemente vincolate ad una etica professionale e assolutamente non scolfitta dalla Cultura del narcisimo (descritta da Chiristopher Lasch nel suo fondamentale saggio), imperante in Europa a partire dalla fine degli anni Settanta ed espressione della società affluente e del benessere.
Quando entrai in servizio, con un incarico temporaneo, nella USL (a quel tempo la 61), come esperienze lavorative avevo al mio attivo soltanto il breve periodo nell'esercito come sottotenente medico di complemento (e quel periodo lo avevo vissuto come una vacanza ed anche come una moratoria rispetto ai futuri impegni professionali) e i tirocini ospedalieri. Mi ero abituato ad un regime di grande libertà e di duttilità del mio tempo.
Quindi, quando presi servizio in USL fu un vero trauma psichico dovermi confrontare con un orario di lavoro rigido e con una serie di altre limitazioni, come ad esempio quella discendente dal dover chiedere un permesso a qualcuno in carica per andare in ferie e per assentarmi per giustificati motivi.
Sentii questo, in particolare, come un vero e proprio "furto del tempo", a cui dovevo inevitabilmente soggiacere in cambio di uno stipendio.
Questa sgradevole sensazione rimase per tutto il tempo che fui in servizio presso la USL e poi la ASL, con tutte le vicissitudini correlate. Mi sentivo limitato, in qualche modo, impossibilitato a volare libero.
E ciò, benchè mi sentissi realizzato, perchè facevo esattamente ciò che mi piaceva fare. E in questo mi sentivo, ovviamente, un fortunato.
Tuttavia trovai degli escamotage, come quello di architettare molti modi diversi per sottrarmi all'impegno temporale continuativo.
E, quindi, tutte le volte che era possibile andavo a donare il sangue (il che comportava l'intera giornata libera dal lavoro), oppure sceglievo spesso di partecipare a convegni, congressi, seminari, corsi di aggiornamento, proprio in virtù del fatto di poter usufruire dei relativi giorni di congedo straordinario, Ecco dove mi pare di ritrovare la radice del sogno raccontato sopra. Anche i giorni di ferie preferivo utilizzarli in modo spezzettato, così da avere molteplici possibilità di "fuga", anxzichè essere costretto ad un unico blocco continuativo di vacanze (che anch'esso pesava come una costrizione), tipo "ferie aziendali".
Insomma, ogni scusa era buona. Ma naturalmente compensavo questa necessità escapista con la mia dedizione al lavoro, con la passione che vi immettevo, almeno sino quando non rimasi fortemente deluso dall'organizzazione istituzionale: una disillusione che attenuò il mio slancio, di molto.
Ciò che mi fiaccava, soprattutto, era il fatto di dovermi barcamenare continuamente a gestire il rapporto con persone (colleghi) mediocri e con altri che, invece, asservivano la loro presenza in servizio ad una spietata lotta per il potere, con l'uso di mezzi il più delle volte sleali per avere la meglio e il sopravvento.
Fui contento quando maturarono per me i parametri per poter andare in pensione: soltanto allora sentii di essere ritornato ad essere il padrone del mio tempo (ma sempre in modo relativo perchè i vincoli e i lacciuoli che la vita ci pone davanti sono molteplici) e capitano della mia nave.
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