Ci sono dei momenti in cui sono travolto dalla bellezza di ciò che osservo oppure sono trascinato dal flusso dei ricordi nostalgici, quando mi capita di immergermi in luoghi della memoria.
L'altro giorno viaggiavo in auto da Palazzo Adriano (luogo delle radici del ramo paterno della famiglia di mio padre) verso Palermo, da solo, con un po' di musica nello sfondo.La giornata volgeva al tramonto: il sole basso sull'orizzonte con i suoi raggi obliqui, a seconda, di come girava la strada mi feriva gli occhi, costringendomi ad abbassare il parasole.
I campi tenuti a pascolo e a graminacee erano lussureggianti di un verde smeraldo, interlacato con il rosseggiare dei campi di sulla e delle bordure spontanee del pisello selvatico, cariche di inflorescenze di un bel rosso scarlatto.
Presto questo profluvio di colori scomparirà e il verde sontuoso dei campi svanirà per dare luogo al giallo dell'estate e poi al marrone brullo dei campi arati dell'autunno.
Ma intanto tutto sembra tenero e fresco nella vita che è risorta dopo l'inverno.
Animali al pascolo: mucche, cavalli, persino alcuni muli all'interno di una recinzione di filo spinato e un asinello (e mi piacerebbe davvero tanto potere avere un asinello da accudire); ogni tanto una gazza con il suo manto bianco-nero attraversa saltellando la strada e le cornacchie all'arrivo dell'auto si levano in volo a gruppetti.
Il lago di Prizzi è magnifico e sulle strade che scendono alle sue sponde si attardano gitanti dopo il pcnic del 1° maggio.
Rocce lontane dalle forme strane sembrano evocare antiche fortificazioni dei Crociati di Terrasanta, con torri di guardia e castelli diruti, per dare luogo poi al canyon calcareo dove si annida Corleone con il pinnacoli tufacei che tanto ricordano le formazioni di Meteora.
Sino a poco prima ero stato a Palazzo, nei pressi della piazza Umberto I, seduto su di una panchina a godermi le prime avvisaglie del passìo pomeridiano e quel'aspetto antico del selciato di pietre e il suono della seicentesca fontana chioccolante e la vista dei "circoli" davanti a cui - man mano che decresceva il sole del meriggio - si andavano schierando, accomodati sulle classiche sedie impagliate i paesani con l'mmancabile coppola un po' storta e il vestito della festa.
Questo transito mi ha riempito del ricordo dei momenti passati, di frammenti di memoria (di quando ero piccolo) e del riecheggiare dei racconti di mio padre che, quando veniva qui, s'intratteneva sempre a parlare con un suo amico di infanzia (amicizia risalente al tempo in cui lui, piccolino e poi più avanti negli anni, trascorreva qui con i suoi dei lunghi periodi di villeggiatura estiva), tale Peppinello Vaiana, che nella vita fece - qui in paese - il mestiere del Falegname.
C'era, per esempio, la Grande Quercia che, tuttora, si staglia possente e fronzuta all'incirca ad un chilometro dall'ingresso del paese e che io aspettavo ansiosamente di avvistare nei primi viaggi in auto che io ricordi. Mi annoiavo un po' e chiedevo spesso, come fanno i bambini con voce lagnosa: "Ma quando arriviamo?". E papà mi diceva: "Quando vedrai la Grande Quercia saremo ormai arrivati!". E io me ne stavo a spiare l'arrivo della Quercia, con una certa ansia, anche perchè la zia Mariannù una volta mi ci aveva portato a piedi (sino alla grande Quercia e ritorno era una classica passeggiata dei Palazzesi nei tiepidi pomeriggi estivi, quando le ombre cominciavano ad allungarsi) e mi aveva detto: "Vedi, questo è l'albero a cui Il Gatto e la Volpe impiccarono Pinocchio".
E c'erano, dunque, i racconti di mio padre, ma anche i posti che mi faceva vedere: come la piccola stazione ferroviaria ora dismessa e quella misteriosa galleria dalle pareti stillanti umidore, rivestita di muschio e capelvenere in crescita spontanea, la galleria da cui, un tempo, sbucava ansimando e sbuffando vapore il trenino a scartamento ridotto con cui lui e la sua famiglia andavano e venivano da Palazzo.
Un'immagine arcaica quasi, specie se rammento che mio padre soleva dirmi che questo trenino aveva il balconcino posteriore da cui si poteva stare affacciati., oltre ad essere dotato di cremagliera per sperare i tratti più ripidi.
Insomma, i ricordi sono una porta d'accesso alla nostalgia del tempo passato, di ciò che è perso per sempre, di ciò che, man mano che andiamo avanti, sbiadisce nel ricordo, se non può essere più volte raccontato e trasmesso, attraverso questo raccontare... se non c'è una sponda su cui fare rimbalzare il ricordo e farlo richeggiare potenziato e vitalizzato.
Ciò che non si ricorda o non si può più raccontare è perso per sempre: ..."vola via nel vento"... e non può più essere trattenuto.
Quando mi immergo nel ricordo, mi colpisce forte e duro la nostalgia per tutto ciò che è perso e soprattutto per tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato... Per tutto ciò che mi ha sfiorato nel corso della vita e che non ho potuto (o non ho voluto) prendere: cose che ho visto e che sono passate in un batter d'occhio. Oppure, cose di cui non mi sono nemmeno accorto: quella particolare circostanza magari la riconoscerai ad anni di distanza e con un senso di perdita... Un orizzonte che avrebbe potuto aprirsi e che è rimasto chiuso per te.
Mi chiedo se, avendo la possibilità di tornare indietro, facendo un rapido rewind della vita che ho vissuto, vorrei rivivere le cose in un modo diverso oppure viverne di altre, compiendo altre scelte: non lo so, per certo.
Penso però che la nostalgia non debba essere eliminata: può essere un sentimento utile, perchè è quello che ti sospinge incessantamente verso orizzonti nuovi, è quella molla interiore che ti porta a guardare pieno di curiosità e attesa cosa ti aspetta dietro l'angolo di quella via che stai percorrendo, è la benzina che ti spinge ad andare avanti, perchè in qualsiasi momento potresti imbatterti in un attimo di meraviglia", in un "novum", in un fresco stato nascente, in un momento ri-fondativo del tuo essere, in eventi di crescita e di trasformazione...
Ma, nello stesso tempo, la nostalgia ti fa tornare al passato e te lo fa desiderare talvolta con forza struggente.
Ci sono di questi momenti come quando cammino lungo una strada al tramonto e all'improvviso mi sento schiacciato dalle cose che sono state e da quelle che non sono state: e, per tutto ciò, mi sale un groppo alla gola che vorrei far venire fuori con un pianto liberatorio e catartico, che tuttavia non arriva mai e se ne rimane lì sospeso, nell'aria e nel petto, come un battito d'ala che frulla, ma non decolla...
La stessa cosa succede quando ascolto certi pezzi del rock o del pop: ognuno di essi è legato ad un momento della mia vita, ad una storia, ad una persona. Anche lì, vorrei liberare qualcosa che preme da dentro e che urge per uscire.
La vita però è fatta di persone diverse. Ci sono quelli che amano le certezze e la solidità degli affetti familiari e tu li vedi, sempre apparentemente sereni e tranquilli, con una dimostrazione di grande stabilità nelle vicende della vita (e nella loro "impresa" familiare). Altri scelgono la via dell'esilio e del vagabondaggio e non riescono mai a fermarsi da nessuna parte. Vorrebbero in verità, ma non ci riescono mai: dopo un po' è la strada ad averla vinta con il suo richiamo forte e ammaliante e si ritrovano sempre nella condizione di viandante che non può mai fermarsi in un uno stesso luogo troppo a lungo.
La strada nel suo ampio senso metaforico è, per costoro, schiavitù e libertà nello stesso tempo.
Forse è proprio per questo che, proprio quando si è materialmente sulla strada, più acuta si fa la nostalgia.
Mi interrogo sovente su questa mia condizione: anche se sono molto stanziale ed abitudinario per alcni versi, ritengo di appartenere a questa schiera di vagabondi che non potranno mai fermarsi e che andranno sempre avanti, a volte colpiti da fulminee scoperte, da grandi emozioni, ma sempre funestati dalla perdita di ciò a cui volgono le spalle per continuare ad andare avanti nella loro cerca, benedetta e maledetta assieme.
Nella foto (di Maurizio Crispi): Il passaggio delle navi e la nostalgia di un orizzonte ancora da scoprire... In fondo, ancora oggi, se si sta sulla riva del mare a guardare il passaggio delle navi, ci si accorge che non è cambiato niente, quando andar per mare era un'avventura gravida di pericolo, ma anche fonte di grandi soddisfazioni... La vera patria non è Itaca a cui fare ritorno, ma il luogo ancora da esplorare...
Messina, Lungomare in direzione di Ganzirri, il 29 aprile 2012.