Una domenica mattina presto, a Polizzi Generosa, c'era un signore lindo e pulito nell'abito della festa, seduto su di una delle panchine che abbelliscono il belvedere che si affaccia sul massiccio delle Madonie.
Le sue gambe penzolano senza toccare terra.
Forse la seduta di queste panchine volute dall'Amministrazione comunale è un tantino alta, rispetto alla media staturale dei Polizzani e forse è questo suo cittadino in particolare ad essere un po' più bassino, o ad avere le gambe corte anzichenò.
Ma, a prescindere da altre considerazioni, il signore ivi seduto con le gambe un po' penzoloni e con gli abiti buoni della domenica indosso ha un aspetto antico...
Forse se ne sta seduto lì da anni, sin dalle prime ore di ogni domenica.
Sembra appagato, come se - nell'esistenza che conduce - non gli mancasse nulla e come se fare una passeggiata sino alla panchina sul belvedere al limitare del paese sia davvero il massimo che ci si può chiedere alla vita, una vita che scorre lenta e senza tante sorprese, né imprevisti.
Ma starsene seduti con un simile panorama alle spalle ha un che di grandioso e di solenne; ed ispira anche un senso di grande quiete in una dimensione spirituale in cui la sospensione di memoria e desiderio - senza averla cercata in modo particolare - è possibile.
Le considerazioni che ho appena scritto mi hanno ricordato un post precedente (Il paesano con l'ombrello, uomo d'altri tempi), nei suoi contenuti - per alcuni versi - simile, perché anche in quello si parla d'un uomo del paese "antico" (antico il paese e antico l'uomo) che nella sua passeggiata "festiva" - probabilmente seguendo un'inveterata abitudine - va a sedersi su di una panchina al limitare del paese, quasi che questa postazione gli consentisse di gettare uno sguardo sul mondo "esterno", in altri termini sul "mondo di fuori" contrapposto alla ristrettezza degli orizzonti del proprio paesello nativo...