Ci sono dei libri che porti a casa e, prima di toccarli, devono in qualche "stagionare", altri invece li afferri subito e cominci a maneggiarli, ad odorarli, ne guardi le figure, e le varie soglie del testo, e, in alcuni casi, preso da un improvviso - irrefrenabile - impulso prendi a leggerli, perchè magari ci ritrovi te stesso, emerge prepotente dalle parole, dalle righe e dalle pagine qualcosa che hai vissuto o sperimentato e tu per differenza o per somiglianza (a seconda dei casi) entri nel testo o ne sei catturato.
Così mi sta capitando con il recente volume di Valerio Magrelli, pubblicato nei Supercoralli di Einaudi (2013), dal titolo Geologia di un padre.
In 83 brevi capitoli - tanti anni sono gli anni per cui visse il padre dell'autore - sono contenuti dei pensieri sparsi, annotati nel corso degli anni su fogli di taccuino o sulle pagine di un agenda, alcuni di straordinaria bellezza e profondità, pensieri che ricompogono le sedimentazioni di un personaggio sino alle sue più remote - quasi da era geologica - origini e lo fanno rivivere in tutta la sua forza, come del resto recita una delle epigrafi al testo: "Morto, il padre divenne più forte di quanto fosse stato da vivo" (Sigmund Freud).
E' un libro che si legge tutto di seguito oppure a piccole dosi, in funzione di quanto uno ci possa trovare se stesso o ritrovare dei suoi ricordi sedimentati relativi ad uno o ad entrambi i genitori che non ci sono più, che porta alla rimemorazione di altre letture cogenti sotto questo profilo come il memorabile testo autobiografico di Paul Auster, L'invenzione della solitudine (Einaudi).
Il brano che segue fa riferimento all'operazione della "resa" o revisione cimiteriale (operazione che, ciclicamente viene disposta dalle amministrazioni cimiteriali o che, in alternativa, può essere fatta su riichiesta degli aventi diritto in una singola sepoluta per ricavare nuovo spazio per i morti novelli), cui l'autore si trovò ad assistere come delegato "a sorte" della sua famiglia e degli aventi diritto.
In quell'occasione assai inusuale e - direbbero gli Inglesi - demanding sotto il profilo emozionale, egli si ritrova a fare delle considerazioni sulla sepoltura "zincata" o "inscatolata" cui è d'obbligo attenersi nelle nostre consuetudini necroforiche e che, spesso, è d'impedimento alla cremazione, se il forno crematorio non è predisposto con speciali dispositivi antiinquinamento a smaltire anche lo zinco e nello stessotempo impedisce uno smaltimento naturale dei resti con il decomporsi della semplice cassa di legno. L'autore medita sul mistero di questi corpi "torrefatti" e anneriti che rimangono conservati per anni, anziché tornare alla terra come sarebbe naturale.
E così riflette. alla fine dell'intera operazione:
Quando il camion con le bare dissestate è andato via, lasciando a terra una pila di cassette luccicanti, ho capitocos'erano le rese. Le rese sono i morti torrefatti, i morti torrefatti e neri, trasformati in caffé. Saremo tutti cotti nello zinxco, per diventare tutti polvere di caffé.
D'altronde, alla medesima conclusione era arrivato anche un grande poeta. Nel suo testamento del 1949, il Tolemaico di Gottfried Ben espresse infatti questa precisa disposizione: "Disperdete al vento di settembre la metà delle mie ceneri, e conservarne l'altra in una scatola vuota di Nescafé". Aggiungo che, in alternativa, l'impresa svizzera Algordanza, adottando un procedimento di origine russa che vprevede una pressurizzazione di due settimane, trasforma le ceneri degli estinti in diamanti. Tra i clienti migliori i Messicani. Allego infine la leggenda metropolitana, secondo cui il cantante Keith Richards avrebbe sniffato le ceneri del padre, mescolandole a un po' di cocaina." (ib., p . 10).
(Dal risguardo di copertina). Ci sono libri che si scrivono per tutta la vita, magari senza saperlo. Valerio Magrelli ha raccolto per anni appunti e note sulla figura del padre, un insieme di tracce che attendeva di trovare forma. Dopo la morte del genitore, quei biglietti cominciano a strepitare: «sapevo che ogni voce era una gola che domandava cibo. Sapevo che ogni richiamo era come un filo, il bandolo canoro di un'infinita matassa di storie». Perché far brillare ciò che è accaduto - o ciò che si vorrebbe fosse accaduto - è il solo modo che abbiamo per vincere la morte.
Negli ultimi dieci anni Valerio Magrelli ha raccolto, su foglietti sparsi, appunti riguardanti il padre. Quando quest'ultimo muore, quei documenti diventano un materiale prezioso, «il bandolo canoro di un'infinita matassa di storie»: i viaggi in auto d'estate in giro per l'Italia; le avventure d'amore e morte durante la guerra; i desolati pomeriggi che l'uomo ormai maturo trascorre spingendo il genitore sul girello; il giorno in cui il figlio, armato di forbici, libera l'anziano febbricitante dal bozzolo del maglione; lo stupore di riconoscere, davanti allo specchio, un'espressione del viso che gli restituisce la ferrea legge dei vincoli genetici; gli abbracci, le risse, l'amore per Borromini o i folli scatti di rabbia. Diviso in 83 capitoli (numero che corrisponde agli anni vissuti dal protagonista), il libro scava fra ricordi personali e storia patria, mentre la biografia sfuma nella paleontologia, se non nella geologia... L'enigmaticità di questo iroso anti-eroe, e insieme la sua infinita lontananza, suggeriscono infatti una possibile identificazione con i resti umani di origine preistorica trovati in Ciociaria, a Pofi - suo paese d'origine.
Cosí narrando, Magrelli - orfano ad honorem e padre a sua volta - procrastina il congedo definitivo grazie al racconto, e non desiste, ma si maschera, fugge, scegliendo la digressione per scendere ancora piú in profondità nella vita del capostipite, e mostrarne, oltre alle virtú, anche quei difetti che lo rendevano «un vecchio esacerbato e vulnerabile». Ricorrendo al montaggio di elementi eterogenei (pagine di enciclopedia, versi, aneddoti, brandelli di giornale), Magrelli dà forma a un romanzo sui generis che rievoca un addio tanto doloroso quanto liberatorio: «Mentre scrivo queste righe, vedo davanti a me lo scatolone sigillato in cui ho riposto le agende dei suoi ultimi vent'anni. Le ho trovate qualche settimana fa durante un trasloco, ne ho sfogliate un paio, e poi le ho messe via per mandarle in soffitta. Possibile che non sia curioso di leggerle? Sono sbalordito dalla mia mancanza di interesse, ma devo prenderne atto. Non mi importa nulla degli archivi, e provo nausea per i documenti. L'unico documento sono io: la carta moschicida del ricordo».
Leggi un estratto delle prime pagine
Vedi anche su questo blog: Passaggi. In fuga verso la fine del Millennio (5° capitolo). Cimiteri