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Ho sognato che correvo una maratona
Ed era la Maratona di New York
Riconoscevo alcuni luoghi dai quali ero già passato innumerevoli volte, in precedenti occasioni.
Era la Maratona della Grande Mela, ma nello stesso tempo non lo era. Familiare e, nello stesso tempo, estranea e sconosciuta.
Correvo e correvo e correvo.
Ad un certo punto sentivo che le gambe mi si facevano pesanti.
Era da molto che non correvo una maratona.
Eppure, per quanto rattrappito e piegato su me stesso riuscivo ad andare avanti.
Al passaggio da un posto di ristoro, mi porgevano un sacchetto di carta pieno di vettovaglie.
Ci frugavo dentro e trovavo un succo di frutta in tetrapak ed anche una formella di cacio che sembrava molto appetitosa.
Un podista rimasto senza rifornimento mi si affiancava ed allungava la sua mano rapace dentro il mio sacchetto, tentando di arraffare la formagella.
Io lo stoppavo con un moto di stizza.
"Smettila!" gli dicevo.
Un vero e proprio parassita.
Quello mi guardava e rideva.
Allungava di nuovo la mano e metteva dentro il mio sacchetto la sua spazzatura.
"Ma sei proprio un puzzone!" così lo interpellavo, riesumando un modo di re di mia madre, quando io facevo una qualche monelleria.
Correvo a piedi nudi.
Sentivo sotto le piante dei piedi le asperità dell'asfalto, ma di questo intimamente gioivo.
Mi sentivo come l'uomo chiamato cavallo del film, costretto a correre nudo e scalzo per salvarsi la vita.
Nel mentre arrivavo ad un nuovo posto di ristoro.
Qui c'erano dei nebulizzatori d'acqua per rinfrancare i podisti dalla calura, ma anche - a parte - degli spessi tappeti di ghiaccio triturato, in modo tale da consentire ai piedi infiammati dei podisti di trarne beneficio e lenimento.
Io rifuggivo dall'acqua nebulizzata ed invece passavo dal tappeto di ghiaccio, che a me risultava altamente "balsamico", visto che stavo correndo scalzo.
Dovevo affrontare una lunga salita ed ero sopraffatto da onde di sconforto, perché il mio corpo reagiva a fatica e mi sentivo tutto un fascio di dolore e intorpidito.
Eppure, andavo avanti a passetti piccoli, uno dietro all'altro, testa china e occhi rivolti a terra, come un asino bendato costretto a far girare la macina.
Ad un altro posto di ristoro mi davano una carrozzella a ruote per disabili, di foggia antica: schienale alto, grandi ruote posteriori, ruote anteriori pure piuttosto grandi, una larga predella per poggiare i piedi.
Mi ci si sedevo per avere un po' di conforto.
Nel frattempo la strada cominciava ad avere una certa pendenza a me favorevole e con il carrozzino acquistavo velocità per un largo stradone di cui non si vedeva la fine.
E di nuovo quel podista stizzoso di prima me lo ritrovavo sulla predella delmio mezzo di fortuna.
Se ne stava dritto in piedi come un fuso, i capelli scompigliati dal vento della corsa. Mi guardava e rideva beffardo.
"Scendi, scendi!" gli gridavo "Ma sei proprio un bel tipo! Approfittatore!"
La carrozzina prendeva velocità sempre di più e cercavo di frenare afferrando gli anelli delle ruote per contrastare la loro vorticosa rotazione
Ma senza molto successo, in verità: ad una leggera curva non riuscivo a mantenere in assetto la carrozzina e mi ribaltavo, ma senza danni, per fortuna.
Riprendevo a correre rinfrancato e mi sembrava di intravedere i ponti di Harlem.
Cominciavo a pensare, con molta concretezza: "Ce l'ho fatta! Fra poco entrerò a Central Park".
Central Park era una metà ormai vicina, non più irraggiungibile, come mi ero sentito qualche chilometro prima. E si accresceva l'effetto narcotizzante delle due ali di folla incitante.
Dopo tanti anni di non partecipazione alla Maratona di New York stavo per farcela di nuovo!
Anticipando la gioia dell'arrivo mi mettevo a piangere, squassato dall'emozione. Calde lacrime copiose scendevano sulle mie guance,
aggiungendosi al sudore che già impregnava la mia T-shirt
Lacrime sudore e sangue
Lacrime sudore e sangue
ma anche gioia ed emozione