Essere sulla strada è importante.
È un piacere ineliminabile.
È una cura dalla sensazione di essere chiuso in una prigione
È una boccata di vita.
All'improvviso, dopo giorni e giorni di vita sedentaria (o meglio “stanziale”, più che sedentaria, vista la molteplicità di cose che in ogni giornata riesco a fare) vengo preso da un improvviso bisogno di andare che non corrisponde ad alcuna pianificazione e, quando ciò accade, immediatamente lo assecondo.
È stato così che, qualche giorno fa, mi sono messo alla guida della macchina per imboccare la scorrimento veloce Palermo-Sciacca, sperimentando immediatamente la libertà della strada davanti a me e la fiducia nel fatto che posso arrivare dovunque io voglia andare (magari poi non è così, m ciò che conta è avvertire dentro di sé la potenzialità di ciò).
Già il fatto stesso di essere on the road ti dà il senso dell'avventura fuori dall'ordinario, facendo sciogliere la tensione e i nodi di stanchezza che si sono accumulati.
Guardi la strada davanti con il nastro d’asfalto diviso in due dalla linea di mezzeria bianca che serpeggia davanti ai tuoi occhi e vedi il mondo che ti si muove incontro e tu, al tempo stesso, penetri nel mondo, lasciando che il tuo ego si dissolva in esso, seguendo il ritmo della strada, le sue velocizzazioni e i suoi repentini rallentamenti.
Intanto, godi del paesaggio, che è sempre immenso, magnifico.
La Palermo-Sciacca, ti porta a destinazione sulla costa sud della Sicilia, senza farti attraversare un solo centro abitato: per quel che ti riguarda, potresti avere viaggiato nel deserto: certo, un deserto antropizzato, ma dove di uomini non se vedono quasi del tutto. Paesaggi bellissimi: dai monti selvaggi al passaggio tra Giacalone e San Giuseppe Iato, alle colline e alle piane circoscritti da cerchi di monti, con la sorpresa di vedere (dopo almeno un anno che non passavo da queste parti una surreale selva di pale eoliche ergersi sulle creste più alte quelle ben esposte ai venti) sino a giungere al mare che, già quando ancora non lo vedi, si annuncia con un cielo di una particolare radiosità e trasparenza.
Quando faccio questi repentini ed improvvisi spostamenti sono contento di trovarmi in Sicilia e di essere Siciliano.
Ma sono anche contento di poter fare questi autentici "bagni" di mondo.
Ciò che alimentava la mia passione, quando leggevo "Sulla strada" di Kerouac, non era tanto la sregolatezza e l'abbattimento delle regole ai primordi della Beat generation, quanto piuttosto la libertà del viaggiare da un capo all'altro degli States e, forse, della corsa sulle lunghe distanze per tutto il tempo che l'ho praticata, la cosa che mi piaceva di più era proprio essere sulla strada e ritrovarmi a camminare verso una meta.
Ma torniamo alla Sicilia.
Penso che la Sicilia sia proprio una bella terra e che non abbia nulla da invidiare al resto del mondo...
Se non fosse per molti dei Siciliani...
Ma sorvoliamo su questi aspetti...
Presto, con la mente lucida, sono arrivato alla mia meta.
Questa volta anziché andare a Capo Bianco e a Eraclea Minoa come ho fatto tutte le volte (perché quello è un luogo che ho nel cuore) ho optato questa volta per la Riserva naturale orientata di Torre Salsa, sottoposta alla gestione WWF dove non ero mai stato prima.
La via di accesso alla Riserva si trova subito prima di arrivare a Montallegro (un paesino interessante, perchè il borgo antico sorgeva su di un monte brullo e pietroso e poi, per motivi poco conosciuti, venne interamente abbandonato per cui oggi se ne vedono le case dirute, muri sbrecciati, un rudere che forse era una chiesa, ormai dello stesso colore della ciaca ferrigna del colle), se si arriva da Sciacca (dopo circa 35 km della Sciacca-Agrigento).
Ho seguito scrupolosamente le indicazioni che ho trovato in Internet e arrivo senza errori.
Grande area di parcheggio (quella gestita dal WWF e forse a pagamento nei mesi estivi, ma non ora). Ci sono parcheggiate meno di dieci auto.
Senza perdere tempo mi sono addentrato subito in direzione della spiaggia, seguendo lo sterrato.
Appena uscito dal canneto, un grande spettacolo si è aperto ai miei occhi.
Reputavo che la spiaggia di Eraclea fosse bellissima, imbattibile, ma questa è di gran lunga più affascinante, impagabile.
Forse perché a Eraclea Minoa, a meno che non ci si sposti verso la foce del Platani, superando lo spartiacque di Capo Bianco, ci sono segni indubitabili di antropizzazione: sulle colline circostanti si vedono numerose abitazioni, nel folto della pineta c'è un vero e proprio villaggio di casette di villeggiatura (invero orribili), c'è un camping e diverse attrezzature turistiche (una pizzeria, un ristorante, un'area giochi per bambini).
Qui, invece, niente.
Hai come la sensazione di esserti abbandonato la civiltà e le sue scorie alle tue spalle.
Mentre percorri lo sterrato che ti porterà alla spiaggia sei su di una macchina del tempo che ti porterà verso un tempo antico, arcaico: puoi facilmente immaginare che questa costa abbia lo stesso aspetto di quando apparve per la prima dalle brume del mare ai navigatori provenienti dalla Grecia o agli intraprendenti Fenici alla ricerca di nuove vie commerciali.
Questa sensazione è accresciuta dal fatto che, arrivando, dai un'occhiata al telefonino, per renderti conto che è un ferrovecchio inutilizzabile: non c'è nessun servizio e non risorgerà più a nuova vita se prima non sarai ritornato sulla Agrigento-Sciacca, cioè alla società dei consumi e della dipendenza dagli oggetti tecnologici...
Quindi, non puoi nemmeno dire: "Mi allontano di 10 metri per vedere se c'è campo".
Niente del tutto!
Ti devi dimenticare di avere il telefonino: anzi, tanto vale che, prendendo il toro per le corna, lo lasci con coraggio e determinazione in auto.
Al mio arrivo, non c'è vento, non un alito, sicché la superficie del mare sembra proprio un lucido specchio che riflette l'azzurro del cielo e il bianco delle nuvole.
La spiaggia è grandiosa, ma anche il complesso paesaggio che si vede, colli alle spalle dai quali sembrano essersi staccati grandi massi ciclopici nero bruni, da un lato e dall'altro quasi a racchiudere lo scenario con due quinte grandiose si ergono due falesie bianche fatte di strati di roccia gessose che, nelle ere geologiche, hanno subito degli impressionanti corrugamenti e ripiegamenti su stessi.
Grandi massi affiorano dall'acqua bassa e placida, formando grandi costolatura parallele, tanto da suggerire l'impressione che emergano dall’acqua bassa i dorsi di grandi cetacei incastonati nel fondale.
Pochissime persone, alcuni sdraiati a prendere il sole, pochi i bagnanti, molti esplorano e passeggiano, figure davvero minute nell'immensità del paesaggio.
Sulle colline alle spalle si sente un tintinnio di sonagli, qualche abbaio trafelato di cani di mannara. Aguzzando lo sguardo si vede il colle ricoperto da una rada macchia mediterranea brulicante dei dorsi bianco sporco di un gregge di pecore intente al pascolo.
Pecore sul monte che belano, di tanto in tanto, o che smuovono le campanelle e gabbiani sulla spiaggia che se ne stanno indolenti a riva, fermi sulle corte zampe. Ma appena qualcuno si avvicina si levano in volo formando una nube grigio-bianca con rilessi cangianti che a tratti - tanti sono - sembra per pochi attimi oscurare il cielo e il sole per dirigersi in parte verso il mare aperto e spostarsi, in parte, verso la falesia bianco-gessosa fino ad innalzarsi decisi, oltre il suo bordo più alto.
E' uno spettacolo emozionante.
Poi, passato il pericolo, ritornano a posarsi in un punto della spiaggia ancora più distante, per poi levarsi in volo al ripetersi di un nuovo accenno di pericolo.
E così molte volte di seguito.
Mi distendo sulla sabbia, contemplo il mare il canneto, le dune, i colli: sento acutamente di far parte del tutto…
Poi leggo con piacere, mentre il sole percorre la sua parabola nel cielo, mi addormento, scivolo in un dormiveglia placido, attraverso il quale continuavano a giungermi le strida e i giochi volatili dei gabbiani.
Poi, appagato, quando ormai il luogo si era svuotato di quelle poche persone sparse nell’immensità, raccolgo le mie cose, caccio tutto nello zainetto e percorro all’inverso la via sino all’auto…
Pace e solitudine mi riempiono il cuore e, mentre si avvicina il tramonto, mi metto di nuovo sulla strada: il luogo che più mi è congeniale.
Guido sulla via del ritorno, ma so che l’irrequietezza che mi porto dentro, alla strada, mi riporterà inesorabilmente.
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