Viale del lungomare vuoto, illuminato da lampioni gialli.
Case vuote, sbarrate, silenziose.
Ma sarà per poco, perchè la stagione estiva incombe, con la sua folla e la selva di rumori sguaiati a mille decibel.
Poche auto.
La spiaggia è un cantiere, ingombro di cumuli di paratie di legno e le basi rettangolari delle cabine già predisposte a formare simmetrie geometriche.
Mosconi e pedalò quiescenti.
Ombre che si confondono nell'ombra.
Corpi appiattiti al suolo le cui forme confuse si indovinano intrecciate l'una nell'altra.
Sussurri di conversazioni, risate leggere, bisbigli.
Ombre nero-vestite sdraiate o sedute nei coni d'ombra delle cabine smontate o di quelle appena erette.
Quando Umani fatti d'ombra emergono dalle coltri 'ombra in cui sono avvolti, totalmente mimetizzati nel buio, si può solamente sussultare, come di fronte all'improvvisa materializzazione di esseri viventi dal nulla profondo.
Bisogna camminare con cautela, perchè si potrebbe andare ad inciampare in uno di questi corpi, dormienti o amoranti che siano.
L'andatura non è agevole. La superficie di sabbia, solitamente piana, è stata sconvolta dal passaggio dei muletti per il trasporto dei puzzle di cabine.
Si avverte che, sotto la suola delle scarpe, la sabbia, è sciolta e fresca, si possono immaginare i singoli granelli silicei, anche loro gonfi d'ombra, come se avessero scaricato del tutto l'energia del sole, assorbita durante il giorno.
Più avanti, mentre l'incedere lento ed impacciato sulla sabbia scavata in solchi e fossi mi conduce verso le luci lontane del borgo marinaro che, come oasi luminosa, si riflettono con lame giallo-arancione vivive sul mare buio, si stagliano lunghe file di cabine che, già montate, con la loro geometria soffocano e segmentano la distesa della spiaggia solitamente ampia e uniforme.
Le porte aperte, come tante orbite vuote, spettrali, i colori sbiaditi dalla conservazione invernale in qualche umido magazzino.
Passando da una fila all'altra, è forte l'impressione di aggirarsi all'interno di un villaggio fantasma, frettolosamente abbandonato o mai abitato.
Quelle porte semiaperte sono inquietanti, poichè evocano presenze occulte e misteriose, fantasmi poltergeist.
Ogni scricchiolio del legno che si assesta fa sobbalzare.
Non viene certo voglia di sbirciare all'interno di quegli spazi che appaiono come umide splonche a forma di parallelepipedo.
Quando ci si passa davanti, a notte fonda, qualcosa potrebbe ghermirti e divorarti. E' facile pensare che un mostro tentacolare, un incubo lovecraftiano, un colore venuto dallo spazio, potrebbero venir fuori all'improvviso da quelle tenebre e afferrarti, oppure aprire una bocca sbavante, irta di zanne, e pappare la tua testa in un sol colpo.
Si cammina piano, quasi in punta di piedi, sussurrando, per non disturbare quei fantasmi...
E, per fortuna, che proprio vicino, c'è un'imbarcazione rossa, tipo moscone, che porta scritto sulla sua fiancata "Salvataggio".
Ci vuole sempre, a portata di mano un'uscita di salvamento...
I grandi alberi incombono, ma oggi sono solo pini e tamerici e qualche siepe di oleandro, mentre le palme, divorate dal punteruolo, un autentico diavolo rosso tenace, resistente e vorace, sono diventate merce preziosa. I relitti d'alcune di esse rimangano a stagliarsi nel buio come colonne di un antico tempio diruto
La spiaggia dell'Antico Stabilimento dei Bagni è già attrezzata: ombrelloni chiusi, bianchi e ritti come sentinelle o soldatini in armi -lasciati lì ubbidienti a far la guardia - anche loro disposti in rigida geometria militare, sdraio serrate, un custode - anche lui, lì, come una suppelletile da spiaggia - che se ne sta seduto sulla soglia d'una cabina pitturata di bianco, il volto è illuminato dai riflessi colorati cangianti di una piccola televisione accesa.
All'interno di un'altra cabina, si intravede con la sua illuminazione vivace da supermercato, un distributore a monete di bibite e bottiglette d'acqua.
Di fronte, alla spiaggia attrezzata, illuminata - per motivi di sicurezza - da potenti fari che gettano sulla sabbia le ombre lunghissime degli ombrelloni serrati e disposti in file ordinate, c'è la distesa oscura del mare, nero-piceo e buio come un pozzo senza fondo, subito dopo i primi metri di acqua che appare trasparente e chiara e lascia intravedere il fondo sabbioso.
Lontano, oscillanti con i flussi e i riflussi della massa d'acqua, le sagome deboli di alcuni cabinati alla fonda
Luci di posizione accese e qualche altra debole lucina rivela segni di vita a bordo: avventurosi navigatori con il favore di buone condizioni di mare hanno deciso di passare la notte, qui, ormeggiati all'interno della baia, alla fonda.
Lo sciabordio delle piccole onde sulla battiggia è debole, ma continuo.
Il mare parla, ci parla, e confonde la mente, intossicandola con il suo respiro profondo ed eterno che è lo stesso respiro dell'universo.
Poco più in là, uno con un passamontagna calcato sulla testa o forse intabbarato in una sciarpa, uno se ne sta seduto al limitare della battigia a fumare sigarette, una appresso all'altra, come Yanez de Gomera, colto sempre nel momento in cui si accendeva l'ennesima sigaretta.
Richiami, voci lontani, il suono più squillante di brevi risate.
Il mistero della notte e il fascino del mare.
Poi, al ritorno, mi sono ritrovato le scarpe piene di sabbia silicea.
Le ho scotolate per bene, battendone le suole con vigore una contro l'altra.
E poi ho fatto cadere quella sabbia direttamente nel lavandino, sperando che con l'acqua di scarico possa tornare al mare e a quella spiaggia a cui involontariamente l'ho sottratta.
Tutto scorre, tutto si fa e continuamente si disfà, se ne va e poi ritorna.
E quella spiaggia dove ho camminato, con la sua infinità di granelli, non è certamente la stessa del giorno prima e non sarà più la stessa il giorno dopo.
Ed io domani sarò un altro e la vedrò con occhi diversi in un'infinita varietà di ritorni che, pur simili, saranno sempre sottilmente diseguali.