(Maurizio Crispi) Dopo l'ennesima tragedia del mare al largo di Lampedusa, quella che, appena pochi giorni, ci ha lasciato tutti sgomenti e attoniti, facendoci ricordare tutte le altre che l'hanno preceduta, con la consapevolezza che questa purtroppo non sarà nemmeno l'ultima, tra i tanti provvedimenti da prendere, al di à delle affermazioni di vuota retorica, occupa un posto prioritario un adeguamento o una radicale modifica della Legge Bossi-Fini, soprattutto per quanto riguarda la norma che equipara a reato il soccorso prestato a naufraghi o a persone in procinto di naufragare.
Sulla base di questa aberrante norma, non si può trainare un barcone in evidenti difficoltà, né si possono recuperare dal mare uomini e donne in mare in procinto di annegare.
Chi lo fa viene perseguito a norma di Legge e la sua imbarcazione viene sequestrata come prova del reato, in attesa che il procedimento penale faccia il suo corso: viene considerato complice o autore del reato di immigrazione clandestina, in ogni caso un fiancheggiatore.
Questa norma contravviene con la Legge del mare che, in quanto legge "morale" non scritta, impone di fare quanto è possibile per mettere in salvo delle vite.
La Bossi-Fini è fatta in modo tale da trasformare i soccorrittori volenterosi in tanti Caini che non si prendono cura del proprio fratello Abele e che non sentono nei suoi confronti alcuna responsabilità.
Non capisco l'accanimento nel difendere a spada tratta, in modo ottuso ed insensibile, la Bossi-Fini nella sua interezza.
Ci sono quelli che, pur di seguire la voce della propria coscienza volendo rispettare le vincolanti consuetudini marinaresche hanno provveduto a salvare dei naufraghi, malgrado i divieti e la minaccia di una prosecuzione legale a norma di legge.
E ne hanno patito le conseguenze con cristiana rassegnazione. Ma, ripresentandosi la stessa circostanza, dopo essere stati così duramente puniti, saranno di nuovo soccorrevoli?
Altri, invece, girano la testa da un lato per non guardare e scivolano in un atteggiamento di insensibilità ed indifferenza, pur di non dover rischiare in prima persona.