Eraldo Affinati, uno scrittore italiano, forgiato come tanti di noi dalla lettura di "Se questo é un uomo" e de "La tregua" di Primo Levi, alcuni anni fa decise di visitare il luogo "principe" dell'Olocausto, ma per farlo decise che l'unico modo realistico per farlo (e tale da riprodurre - anche se lontanamente - l'esperienza dei deportati) era di arrivarci in treno dall'Italia.
Quattro giorni sui famigerati convogli, allestiti con scrupoloso attenzione dal solerte burocrate Adolf Eichmann, per arrivare alla famigerata "Juden Ramp" di Birkenau, senza cibo, nè acqua e stipati in condizioni terribili che non si riservano nemmeno agli animali; ben 14 ne occorsero per i trasporti di Ebrei che venivano dalla più lontana Grecia.
Eraldo Affinati volle fare il viagggio in treno, per cercare di riprodurre le attese e le emozioni sperimentate dai deportati (se nella sofferenza, nella lentezza atemporale del viaggio) e trasformare così una semplice gita in autentico "pellegrinaggio" della memoria.
La stessa cosa fanno oggi, in occasione del ricorrere del "giorno della memoria" (ogni 27 gennaio, data della liberazione del Campo da parte dell'Armata Rossa nel 1945) alcune scolaresche che partono da Roma, su di un treno appositamente allestito per loro assieme ad alcuni dei sopravvisuti del Ghetto di Roma, tra cui tante volte Piero Terracina.
Da questa esperienza di Eraldo Affinati nacque un libro, nel quale lui volle raccontare le sue sensazioni in un diario di viaggio, intimo e dolente (Campo del sangue, Mondadori)
Anche se oggi ci si arriva comodamente in auto o in piccoli torpedoni (dalla vicina Cracovia vengono organizzate escursioni per piccoli gruppi), la visita ad Auschwitz-Birkenau (a pochissima distanza dal centro abitato di Oswiecim, a suo tempo smantellato dai Nazisti e la sua popolazione deportata altrove) suscita comunque molte e profonde emozioni, grande tristezza, dolore, costernazione.
In molti passagi, il cuore si fa piccolo piccolo, ma è in generale la consapevolezza (e la precisa percezione) dell'enorme quantità di sofferenza che si è sviluppata in questi luoghi e il fatto che un numero spropositato di vite umane - incommensurabile per la nostra modesta esperienza di uomini - siano state spente, bruciate, mandate in fumo, ad opprimere il visitatore.
Le immagini tante volte viste, le parole tante volte lette, le testimonianze ascoltate, ritornano tutte, ma in una maniera prepotente, perchè, all'improvviso, vengono contestualizzate, proprio nel luogo in cui tutti quegli orrori ebbero luogo e non si può eludere più dalla realtà del ciò che vi è accaduto.
Si è proprio nel mezzo del teatro di quegli eventi: e, forse, ascoltando nel caldo opprimente d'estate e nel freddo gelido dell'inverno, nel soffio della brezza che fa stormire le foglie dei grandi alberi che negli ultimi 70 anni qui sono cresciuti rigogliosi, prestando attenzione e porgendo l'orecchio della mente, si possono udire voci - tante voci - che si sovrappongono: alcune che parlano e raccontano, altre che gridano il proprio dolore con suoni inarticolati.
Ci sono dei punti, in cui i cartelli avvertono i visitatori di non calpestare i prati che continuano a crescere dove la cenere dei crematori é stata dispersa e ciò soprattutto nelle vicinanze delle rovine dei due grandi forni crematori di Birkenau.
Ad Auschwitz e a Birkenau, benché ci si arrivi in auto o con il bus, si cammina a lungo a piedi: é l'unico modo pe rvisitare i due campi e il lento giro attraverso di essi si svolge in circa quattro ore su d'una distanza di circa cinque chilometri al cui termine - senza ombra di esagerazione - non si è più gli stessi di prima.
E, intanto, guardando la desolazione delle baracche, gli strumenti di tortura e di morte, immaginando il tremendo acquitrino che dovevano essere gli spazi liberi per le adunate e gli interminabili appelli (e non certamente i prati più curati di oggi), durante il percorso in qualche misura, ci si può identificare con coloro che qui soffrirono e persero la vita.
Si compie un cammino fisico, che è nello stesso un viaggio dentro l'anima che ci porta a guardare senza sconti la sofferenza di tanti uomini e donne, e nello stesso l'abiezione, la violenza, la crudeltà di carnefici ed aguzzini.
Ognuno dei visitatori - salvo alcuni che vengono qui in visita con spirito negazionista - cosa che capita, come ci ha raccontato la nostra guida (italiana) - sono profondamente toccati: e, forse, per questo le voci sono smorzate, i movimenti lenti e guardinghi, le parole scarne (non viene nemmeno voglia di chiedere al nostro Cicerone, al di là dei pochi esaurienti dettagli che senza nessun compiacimento ci vengono dati: quelle parole scarne che lui recita come un rosario e quelle - tante volte volte lette e rilette - delle testimonianze di coloro che hanno raccontato sono sufficienti per aprire scenari mentali.
Nell'aria e nell'atmosfera si sente vibrare l'energia rimasta, di quanti qui persero la vita tra grandi e disumane sofferenze.
Hanno ragione quelli che sostengono che Auschwitz, Birkenau, Monowitz (il campo dove fu internato Primo Levi) e tutti i campi satellite estesi su di una superficie di oltre 40 chilometri quadri in quell'area che venne dichiarata dai Tedeschi "di interesse strategico" e sgombrata forzosamente da tutti i Polacchi che vi risiedevano sono i più grandi cimiteri a cielo aperto della storia dell'umanità: oltre 1.300.000 persone vi furono trucidati o vi morirono di stenti, a partire dall'Intelligentsia polacca che venne deportata e trucidata per stroncare una nazione che, nel progetto dei Tedeschi, doveva scomparire del tutto, ai prigionieri sovietici, ai dissidenti politici e ai resistenti, agli zingari, agli omosessuali.
In uno dei Block vi è un'urna che, in forma altamente simbolica, contiene una manciata di ceneri raccolte dal campo, forse dalle vicinanze di uno dei forni crematori: questo è la sepoltura simbolica e anonima dei molti, collocata com'è su di una grande lapide di marmo scuro, con molti mazzi di fiori ai piedi.
La parte scultorea del monumento commemorativo rappresenta le diverse foggie di sepoltura utilizzate dall'umanità nel corso della storia e presso culture diverse, per culminare in un grande monolito nero che rappresenta il camino da cui passarono centinaia di migliaia di vittime trasformate in fumo e cenere.
Venti lapidi si allineano davanti al complesso scultoreo, lapidi di lucido marmo nero, quadrate, che - in venti lingue diverse (quelle parlate all'interno del campo) - recano la stessa identica scritta: "Grido di disperazione ed ammonimento all'Umanità sia sempre questo luogo dove i nazisti uccisero circa un un milione e mezzomdi uomini donne e bambini prinicipalmente ebrei da vari paesi d'Europa". Molti i fiori deposti su queste lapidi come anche le simboliche pietre che testimoniano della visita di Ebrei, il popolo maggiormente colpito da questo atroce olocausto.
Ci sono alcuni passaggi della visita intensamente emozionanti e indicibili: raccontarli banalizzarebbe le emozioni che si sperimentano, la compassione e l'orrore.
Niente riprese filmate del tutto, salvo che negli esterni.
Ci sono tuttavia alcuni tratti del percorso dove non è consentita alcuna fotografia, per un senso di rispetto nei confronti di quanti sono stati trucidati nei diversi luoghi. Sempre per la stessa ragione sono banditi del tutto i luoghi adibiti al ristoro o alla ristorazione, come è pure fatto divieto (in termini di pensosa esortazione affidata alla discrezionalità di ciascuno, più che di divieto) di fumare per tutto la durata del giro.
Di grande emozione, per esempio, è la visita alla cella dove venne condannato a morire di inedia Massimiliano Kolbe (alla fine fucilato nell'adiacente "cortile della morte", perchè - secondo i suoi aguzzini - non moriva abbastanza in fretta), poi santificato, e dove si prostrò Papa Giovanni Paolo II che volle venire qui in dolente visita.
Stringe il cuore vedere ad Auschwitz uno dei due crematori rimasto intatto, soltanto perchè era stato trasfomato in bunker a protezione delle SS dai bombardamenti aerei e ciò che resta dei due principali forni crematori di Birkenau, minati dai Nazisti (per disfarsi di prove compromettenti), dopo l'asportazione di tutte le parti metalliche e fatti crollare, ma rimasti a perenne testimonianza anche come cumulo di inquietanti rovine.
Si potrebbero dire tante altre cose e raccontare molte altre impressioni, ma scendere nei dettagli di alcuni cose, potrebbe suonare come una forma di inutile e morbosa ostentazio
Bisogna soltanto vedere, assorbire per poi poter raccontare e dare testimnianza.
Ma non tanto di AUschwitz come luogo della memoria e dell'Olocausto di un singolo popolo, ma come offesa atroce perpetrata contro l'intera umanità.
Faccio degli esempi veloci: gli eccidi compiuti dagli Kmher rossi in Cambogia, quelle degli Utu contro i Tutsi in Uganda, la strage-genocidio di Srebrenica, le violenze infinite e gli stupri etnici dei serbi a danno degli Bosniaci musulmani, il caso dei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila: e sono solo alcune delle atrocità compiute in nome di un'idea religiosa distorta, diun fede politica a berrante, o di una semplice volontà di prevaricazione.
Auschwitz-Birkenau potrebbe diventare un monumento a imperitura una memoria di tutto ciò, anche se le stragi e i genocidi, purtroppo, continuano a ripetersi.
Sono uno strumento per non dimenticare: non dovrebbero essere soltanto una faccenda degli Israeliani (o degli Ebrei), considerando anche vi morirono - come ho già detto prima - prigionieri sovietici, i dissidenti politici, i resistenti, i Polacchi a partire dalla sua intelingentsia culturale e politica, gli omosessuali e gli zingari.
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