Devo scappare via al termine di una gara, prima che si svolgano le premiazioni.
Sono a Castiglione del Lago e il tragitto sino alla stazione è lungo. Camminare con zaino e borsa prende il suo tempo.
in più, ho proprio la schiena a pezzi per aver viaggiato epr quasi 60 km nel bagagliao di un auto per scattare le foto ai runner.
Il margine di tempo - per arrivare a prendere quel treno - non è molto grande.
I tempi sono risicatissimi.
Ho lasciato i molti amici e conoscenti, rammaricato, senza salutare nessuno ed intanto, mentre cammino alla volta dell'albergo, per recupare la mia borsa, sinché mi è possibile, continuo a scattare foto ai podisti che via via completano la gara lunga, alla spicciolata, ognuno distaccato dall'altro di alcune decine di secondi o di molti minuti.
La signora dell'Hotel - con grande gentilezza - mi offre un passaggio sino alla stazione: un favore gradito, anche perchè non è stato in alcun modo richiesto e suona come una bella manifestazione di ospitalità disinteressata.
Grazie al provvidenziale passaggio ce la faccio e riesco ad imbarcarmi sul treno.
Qui, complice l'aria surriscaldata, cado in una letargica catalessi sino a Roma Tiburtina.
Il tempo di ricompormi dal profondo sonno che tuttavia non mi ha dato riposo e sono pronto a scendere.
Dopo la quiete e lo slow time di Castiglione del Lago (e prima di Perugia), l'immersione nell'atmosfera sovreccitata e brulicante della Stazione Termini di Roma è traumatica.
Africani, arabi e musulmani: tutti i locali attorno a Piazzale dei Cinquecento, sotto porticanti un tempo fastosi e ora sempliceemnte squallidi, sono di kebabari e di venditori di cibo orientali, alcuni in forma di fast food in declinazione islamica, senza bevande alcooliche, ma solo acqua, gassosse, coca cola, e succhi di frutta.
La Stazione Termini e i suoi dintorni sembrano una Kasbah, affollata e frenetica.
Atmosfera elettrica: sembra che da un momento all'altro possa accendersi il litigio o anche una zuffa...
Tutto si svolge al limite, sul filo del rasoio, in quella che mi pare essere una specie di terra di nessuno.
Totale deregulation e ciascuno in questa babele di lingue e di etnie si sente solo.
Ed quindi il tempo per il viaggio in un treno sovraffollato verso Fiumicino.
Genitori che rimproverano aspramente i figli piccoli, perchè ne fanno delle loro.
Papà che minacciano di prenderli a schiaffoni.
Due, uomo e donna, seduti di fronte uno all'altro, si guardano con tenerezza e sfogliano assieme il book fotografico di uno dei musei pittorici della Capitale più rinomati: si soffermano sulle riproduzioni di alcuni dipinti del Caravaggio e li commentano, rievocando momenti della loro visita.
Lei, per mettersi comoda e a suo agio aha tirato quasi del tutto i piedi dalle ballerine.
Quando scendono dal treno, la donna cinge con il suo braccio la vita di lui e camminano così pieni di affettuosa indolenza. Sembra che non ci sia fretta alcuna per loro.
Il mondo può attendere.
Giapponesi con la mascherina: sono davvero comici: proteggono se stessi dalla contaminazione o, altruisticamente, proteggono noi?
Obesi semoventi, con grosse valigie, rotolano da un lato all'altro.
Grande frenesia, e tantissimi viaggiatori che si intersecano, vociando, alcuni reduci dalla Mezza maratona RomaOstia che si è svolta la mattina con migliaia di partecipanti, chiassosi ed eccitati, caciaroni e ridanciani, cialtroni e spavaldi.
Soffro nel vedere le tante persone accanto a me con gli occhi sprofondati nel display del proprio smartphone, con le dita (o uno soltanto, a seconda dei casi) in frenetico movimento per far scorrere la pagina e per digitare commenti e messaggi.Cerco disperatamente di incrociare lo sguardo di qualcuno, ma è praticamente impossibile.
Io sono l'unico che guarda ed osserva gli altri, e - anche se in questo modo così sbilanciato - sembro essere l'unico che si interessi al mondo degli altri (ma - ahimé - nessuno se ne accorge...).
Poi, per finire e prima di sprofondare in un sonno profondo e ristoratore sull'aereo, c'è la solita ed estenuante procedura dei controlli per la sicurezza.
Si procede con lentezza snervante: bisogna rispettare una miriade di adempimenti.
Fuori il laptop, levarsi il soprabito, via sciarpe e cappelli, in alcuni - preventivamente - via anche le scarpe, specie se hanno parti in metallo facilmente riconoscibili.
Poi, finalmente, quando ti sei privato di tutto e hai ripartito i tuoi beni in differenti vaschette di plastica, ecco che arriva il momento fatidico di passare (e per fortuna che ancora non ti chiedono di spogliarti del tutto, ma io credo che, continuando così, ci si arriverà prima o poi) attraverso la porta del metal detector.
E' sempre come un terno al lotto: una volta il segnalino suona ed un'altra volta, se hai addosso le stesse cose, no.
Io, per principio, non mi sfilo mai la cintura, perchè so per esperienze precedenti che solitamente - non essendo pesantamente borchiata - non fa mai suonare il metal detector.
Quindi, per così dire, anzichè fare il pecorone che si adegua acriticamente, io ci provo sempre: per un piccolo margine innocente voglio conservare la consapevolezza che faccio di testa mia.
E questa volta la campana ha suonato per me: già mi preparavo a sfilarmi la cintura, quando il "guardiano" (l'addetto alla sicurezza), mi ha detto di tornare indietro e di levarmi le scarpe.
"Ma come? - ho detto io - già altre volte sono passate con questa e non hanno mai fatto squillare l'allarme!
Sono loro, sono loro - ha detto nervosamente l'addetto - lo vedo da qui.
E mi sono dovuto levare le scarbe, mettendo a nudo piedi sudaticci e puzzolenti dopo un giorno intero di attività e calzini intrisi di sudore...
Una cosa non esattamente edificante...
Sono passato: questa volta tutto OK!
Ho ricevuto l'approvazione e l'imprimatur dell'addetto alla sicurezza, forse avrebbe anche potuto impartirmi una benedizione...
Ho detto, raccattando le mie cose: "C'è sempre una prima volta!"
Una battuta ironica, che però è stata accolta da un gelido silenzio...
Questi addetti alla sicurezza si prendono tremendamente sul serio e senso dello humour davvero zero.
E, poi, diciamocelo queste misure della sicurezza sono una cavolata...
All'andata, si erano attività dei sospetti per un altro motivo e mi avevano detto con gravità: "Dobbiamo aprire la borsa e controllare, c'è qualcosa che non va".
Hanno tirato la zip di una certa tasca della borsa e hanno puntato il necessaire con le minime cose che mi porto in queste brevi trasferte.
L'incriminato era l'innocuo contenitore della schiuma da bagno, da 200 ml, ma pieno per metà soltanto.
"Questo non lo può portare con sé!" - arriva puntuale l'ingiuzione del custode cerberigno e aspro.
Del resto ogni dettaglio che sfugge alla norma stabilita, fa di te un potenziale pericoloso terrorista dinamitardo e quant'altro e così devi sottoporti all'esposizione di biancheria sporca conservata nella borsa da viaggio e di calzini sfondati sull'alluce...
"Ma... - faccio io - contiene meno di 100 ml..."
"No, la regola è che debba esserci per ogni caso un contenitore da 100 ml, massimo" - è la pronta replica che ricevo.
"Allora lo lascio, ovvio"...
Fine del discorso: meglio tagliar corto con questi individui.
Ma che sublime cavolata! - ho pensato.
Alcuni esperti a livello mondiale sostengono - a ragion veduta - che questo tipo di misure di sicurezza e l'intero apparato che alimentano servono a ben poco a sventare eventuali attentati, ma servono a dare l'idea che qualcosa si fa, alimentando un senso di sicurezza che rimane tuttavia solo soggettivo, fittizio e sostanzialmente aleatorio.