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Selvaggio!
Animale!
Animalesco!
Ma siamo proprio sicuri che gli animali
nel loro modo di essere,
nelle loro manifestazioni,
siano animaleschi?
Quando tacciamo qualcuno
di esser animalesco
nei suoi comportamenti
non offendiamo in fondo
quei poveri, innocenti, animali
che nulla c’entrano?
Eppure…
Eppure…
Spesso se vogliamo offendere qualcuno
gli diciamo:
sei un animale,
sei animalesco,
metti in mostra comportamenti bestiali,
sei una bestia,
hai una natura ferina
E così via
Forse, un autoesame di coscienza critica
ci dovrebbe indurre a dire
che, utilizzando simili analogie,
sbagliamo,
ci fuorviamo,
perdiamo la rotta
e il giusto discernimento,
cascando in trite ripartizioni categoriali,
tranciando giudizi,
attribuendoci il ruolo
dello sputasentenze
che si muove a passi pesanti
nel mondo che lo circonda
emettendo giudizi senza attenuanti
che a volte suonano
come parole e formule
di condanna all’ostracismo
e di morte,
senza possibilità di appello
Forse, più correttamente,
più cristianamente
(nel più ampio senso del termine),
più agapicamente anche,
dovremmo tener piuttosto
un profilo basso,
evitando di ergerci a giudici severissimi
e piuttosto lasciar correre,
benevoli
e forse anche riservando ad altrui
lo sguardo compassionevole d’un Buddha,
intriso di pietas,
perdonando le manchevolezze
gli sbagli
le imperfezioni
In fondo,
chi siamo noi per giudicare?
A che serve impegnare la mente
nel ritmo ripetitivo di un mantra
oppure recitare estatici
la sillaba sacra
se poi viene meno questo momento
di sentirsi tutt’uno
con l’universo
e di potere esercitare
la forza del perdono?
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