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Vedo spesso un inquilino del mio stabile
di ritorno dalla sua passeggiata quotidiana
Sale le scale lentamente
un gradino alla volta
Pare oberato dalla fatica
Dopo ogni fuga di scale,
se ne sta in piedi sul pianerottolo,
un po’ tremolante sulle gambe,
il busto lievemente piegato in avanti
Riposa e rifiata,
prima di affrontare la rampa successiva
Anche quando arriva al suo piano
se ne sta a lungo immobile
prima di dirigersi verso la porta di casa,
timoroso forse di entrare nella sua solitudine
Il vecchio portiere defunto
è ritornato in servizio,
redivivo
Al mio passaggio,
mi consegna una pipa
di foggia strana
Il fornello è ancora caldo
Scotta quasi, al tatto dei polpastrelli
Mi raccomanda di consegnarla
ai signori dell’ultimo piano
che l’hanno dimenticata
Si affida a me per questa incombenza
poiché non ha più forze sufficienti
per alzarsi dalla sua guardiola
Salgo le scale,
a passo gagliardo,
reggendo la pipa e attento
a non scottarmi
Mi imbatto nell’inquilino
che, come sempre,
sale le scale a tappe
e lo supero
Lui, immobile, come in meditazione,
nemmeno si accorge di me
Volo a grandi balzi verso l’ultimo piano
Penso che sarà bello conoscere
con la scusa della pipa
questi nuovi condomini,
appena arrivati nel palazzo,
e fare con loro conversazione
Il mio appartamento è un caos totale
Tutto sottosopra
Non ci sono nemmeno le porte,
rimosse o spostate,
Non riconosco più nulla
del mio familiare disordine
La mia prima reazione sarebbe
quella di agitarmi, e di affliggermi;
Ma respiro a fondo, esalo, respiro
Penso che, in fondo,
ciò non è così grave
Vado a stendere i panni appena lavati
Non mi rimane molto altro da fare
Meglio così
Per vivere, bisogna morire
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