Riporto qui una mia recensione informale scritta il 17 giugno 2021 e inizialmente pubblicata nel mio profilo Facebook
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Sempre scenari di mondi alternativi si insinuano nelle narrazioni di Tullio Avoledo, anche se poi vengono immediatamente negati o minimizzati. Non credo affatto che le sue narrazioni possano essere catalogate come "fantascienza" che è una parola vuota, se usata in modo generico e soprattutto da parte di chi non ha dimestichezza con questo genere letterario, se vogliamo attenerci ad un discorso di generi (ed è il caso di ricordare qui che lo stesso Antonio Gramsci era molto interessato alla fantascienza).
Le opere di Avoledo contengono spesso degli elementi che le riconducono a tematiche ucroniche o distopiche, per utilizzare due termini più precisi e maggiormente descrittivi.
Io che sono un suo fan (e dunque la mia affermazione potrebbe essere contestabile), mi sento di poter affermare che Avoledo è un narratore di grande respiro capace di produrre interessanti mix di generi diversi, garantendo nello stesso tempo al lettore un radicamento nei luoghi e nelle realtà che egli meglio conosce (quindi, nel suo caso il Friuli e il Veneto). Si veda ad esempio un suo precedente romanzo "Furland", nel quale la componente distopica è dominante.
Se si dovesse sintetizzare in poche parole o con uno slogan "Nero come la notte" (pubblicato da Marsilio e successivamente riedito da Feltrinelli - nella Universale Economica - nel 2021), si potrebbe dire: "Nulla è come appare". Forse anche perchè nella macchina narrativa un ruolo importante è legato alla manipolazione chimica della mente con sostanze psicoattive per ottenere una copertura di falsi ricordi.
Forse, considerando l'ampia tessitura narrativa, la conclusione è un po' affrettata. In ogni caso, non c'è lieto fine; non si sono vincitori o perdenti.
O meglio, il vincitore è il sistema.
Infatti, Sergio Stokar, protagonista assoluto della vicenda e affiancato da una miriade di altri personaggi, abilmente costruiti, non ha una storia successiva, a quanto pare. Viveva in una sorta di limbo di nebbia prima, ritorna a vivere in un limbo dopo che la storia si conclude e, apparentemente, il mistero è risolto.
Il lettore che vorrebbe vedere un lieto fine rimane deluso, ma è giusto così: uno scrittore deve sapere rinunciare a qualsiasi forma di ammiccamento e di imbonimento.
Il plot travolgente - con tutti i suoi colpi di scena e con i suoi disvelamenti mozzafiato e con le sue incursioni nell'incubo e nell'horror più cupo - è per Sergio Stokar solo una parentesi tra periodi più lunghi (forse interminabili) di una vita in esilio, alla quale infatti ritorna.
(quarta di copertina) Sergio Stokar era un buon poliziotto. Forse il migliore a Pista Prima, degradata ma ancora grassa città del Nord-Est. Fino al giorno in cui, senza saperlo, ha pestato i piedi alle persone sbagliate. Così qualcuno l'ha lasciato, mezzo morto, sulla porta dell'ultimo posto in cui avrebbe voluto finire: le Zattere, un complesso di edifici abbandonati dove si è insediata, dandosi proprie leggi, una comunità di immigrati irregolari. Quel rifugio dall'equilibrio fragile e precario – con la sua babele di lingue, razze e odori – normalmente sarebbe un incubo per uno col credo politico di Sergio. Ma è un incubo in cui è costretto a rimanere, adattandosi a nuove regole e a convivere con una realtà che un tempo avrebbe rifiutato. Per poter stare al sicuro, è diventato “lo sceriffo delle Zattere”: mantiene l'ordine, indaga su piccoli reati. Finché un giorno il Consiglio che governa il complesso gli affida un incarico speciale. Alcune ragazze delle Zattere sono state uccise in modo orribile, c'è un assassino in agguato, e solo un poliziotto abile come Sergio può scovarlo, con il suo fiuto e le sue conoscenze, ma soprattutto grazie a un'ostinazione che lo trasforma in un autentico rullo compressore. In un'Italia appena dietro l'angolo – l'Italia di dopodomani, che ci indica con chiarezza dove sta andando il nostro paese – Sergio Stokar deve tornare dal regno dei morti e rimettersi a indagare, frugando nel passato e negli angoli più in ombra della sua città, per scoprire, alla fine, che forse l'indagine è una sola, e che l'orrore si nasconde in luoghi e persone insospettabili. Tutto è legato da un filo. Un filo nero come la notte, rosso come il sangue. Perché in un mondo che ha fatto dell'avidità il suo credo non esistono colpevoli e innocenti, ma solo infinite sfumature di male.
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L'Autore. Nato a Valvasone, in Friuli, nel 1957, Tullio Avoledo ha esordito nel 2003 con “L’elenco telefonico di Atlantide” (premio Forte Village Montblanc - Scrittore emergente dell’anno), romanzo che ibridava fantascienza e mitologia con una satira feroce del mondo bancario e della società italiana ai tempi dell’effimero trionfo della web economy. Ha poi pubblicato altri undici romanzi, prima per Sironi e poi per Einaudi e Marsilio, tra cui Lo stato dell’unione (2005), Tre sono le cose misteriose (2006, premio Super Grinzane Cavour), Breve storia di lunghi tradimenti (2007), Un buon posto per morire (2011, scritto a quattro mani con Davide “Boosta” Dileo dei Subsonica) e Chiedi alla luce (2016). Ha anche pubblicato per Rizzoli una personalissima e divertita versione, ambientata nell’Italia odierna, delle Baruffe chiozzotte di Goldoni (2014). Ha partecipato con due romanzi (Le radici del cielo e La crociata dei bambini, Multiplayer) a Metro 2033 Universe, una narrazione collettiva internazionale sul mondo post catastrofe nucleare immaginato dallo scrittore russo Dmitry Glukhovsky; il suo terzo romanzo della serie, Il conclave delle tenebre, è di imminente pubblicazione in Russia. Suoi libri sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco, russo, polacco e ungherese