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L’altro giorno sono andato all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate (quello di via Emanuele Morselli, a Palermo) per chiedere la rateizzazione di un contributo che risultava non essere mai stato versato nel 2013.
Appuntamento richiesto online, quindi quasi nessuna coda.
Tutto OK
Viene il mio turno, entro, mi siedo, impiegato molto gentile ed efficiente
Risolviamo il mio problema
Si avvicina ciabattando un altro impiegato
Non ha le ciabatte ai piedi, ma è come se le avesse
Dice al suo collega che si sta occupando di me: “Quando hai finito con il contribuente, Francesca [evidentemente una terza collega] ti deve dire una cosa”
Una curiosa comunicazione, dovuta al fatto che il “mio” impiegato é escluso dalla vista degli altri da un grosso pilastro.
Ma a parte la curiosa dinamica comunicativa, ció che mi ha sorpreso è stato il sentirmi definire come “il contribuente”, anziché con un un generico “il signore” oppure “il signore qui presente”
Questo uso linguistico è, secondo me, espressione di una deformazione mentale
Poiché ho messo piede in un ufficio della Agenzia delle Entrate non sono niente più che un “contribuente”… anziché un cittadino
Del resto questo nostro Stato ci vuole relegati tutti al rango di contribuente dal momento che l’attribuzione del codice fiscale è la prima cosa che viene fatta, quando nasce un bambino
Si parte, squallidamente, dall’attribuzione di una identità fiscale, soltanto dopo segue tutto il resto
Qui in Italia siamo campioni di burocrazia e di fiscalità, non noi i cittadini, ma l’apparato burocratico che ci governa e ci opprime, impedendoci a volte perfino di respirare: un apparato che poi finisce con l’essere vessatorio soltanto con quel numero, pur sempre esiguo, di cittadini che pagano le tasse, al punto da svilirli con l’etichetta di “contribuente”, incollata a vita, così come in altre sitazioni riceviamo altre etichette come, ad esempio, quella di "paziente", oppure di "cliente", ma quel numero con il nostro codice fiscale ci seguirà sempre sino alla tomba ed oltre, forse, per quanto concerne i nostri eredi.
Il codice fiscale è un'invenzione malefica, forse utile, ma nei modi in cui viene declinata perversa, e tanto mi ricorda quei codici numerici che venivano tatuati sui corpi dei deportati nei campi di concentramento.Mi è assai piaciuto il commento a questo mio post di un mio amico su Facebook, il quale ha così scritto:
(SR) Se sei in un ambulatorio medico sei un "paziente", perché hai già pagato i tuoi contributi sanitari e pazientemente ti sottoponi alla visita e ricevi le prescrizioni.
Se sei in un negozio sei un "cliente", perché sei disposto a pagare per ricevere un bene.
Se sei in uno studio legale sei un "assistito", perché paghi per essere assistito.
Se sei in una agenzia di servizi sei un "utente", perché sei disposto a pagare per ricevere quel servizio.
Se sei in un Ufficio delle Entrate sei un "contribuente", perché paghi le tasse... se non le paghi sei un "evasore".
Sei pur sempre un "cittadino", ma dalle mille declinazioni... purché paghi!
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Pochi giorni dopo (nella notte tra il 19 e il 20 giugno) ho sognato che facevo una coda all'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate. Arrivavo e davanti a me c'era solo uno già in attesa. Era un anziano tutt rattrappito su se stesso e dall'aria alquanto scontrosa. Poi si aggiungevano via via altri
Allo sportello arrivava l'impiegato e cominciava a chiamare secondo il turno
Ero il secondo della fila, quindi venivo chiamato quasi subito e presentavo all'impiegato il mio incartamento
Mi veniva detto di attendere, e così facevo
Osservai che le mie carte, dopo un esame sommario da parte dell'impiegato, venivano inviate all'interno, al di là di una porta blindata, una specie di sanca sanctorum dell'ufficio
Aspettavo pazientemente, mentre nella sala d'attesa si faceva la bolgia
Si era rapidamentew formata una specie di corte di miracoli di ciechi, sciancati e storpi
Alcuni se ne stavano seduti in varie posture sulle panche allineate contro le pareti, altri si erano comodamente accomodati per terra: alcuni seduti alla meno peggio, altri semisdraiati come fossero distesi su di un triclinio di etrusca memoria; e tutti e mangiavano panini imbottiti, dai quali si levavano sentori grevi di carta oleata e di salumi ed altri affettati speziati, a volte con la sovrapposizione di aromi cipollosi e agliosi nel caso di robuste mafalde con ripieno di frittata
[Ricordo dei miei viaggi in treno, quando poco dopo la partenza da Palermo, i passeggeri dello scompartimento tiravano fuori i loro incarti bisunti e cominciavano a banchettare. Di queste situazioni forzatamente conviviali mi sovviene in particolare il greve sentore della mortadella]
Insomma, tutti mangiavano a quattro palmenti e sembrava che la situazione si fosse trasformata in un picnic collettivo o forse in un vero e proprio bivacco
Ci mancavano soltanto i materassini di gomma per un confortevole riposino o i sacchi a pelo
Ovviamente, erano tutti senza mascherina e la mia apprensione cresceva ad ogni istante, poichè io - poco accorto - non avevo portato la mia.
Imprevidente!
Attendevo e attendevo, mentre tanti che erano arrivati dopo di me concludevano e se ne andavano, sazi e soddisfatti
Cercavo di informarmi
Mi dicevano che il mio incartamento era al di là della porta blindata e che gli esperti lo stavano esaminando
Poi arrivava una e diceva - quasi rimproverandomi - che aveva già chiamato il mio cognome tempo addietro
Io replicavo di non aver sentito nulla, che quella chiamata mi era sfuggita
La tizia si limitava ad inarcare severa il sopracciglio, come a dire: "Che vuoi? Peggio per te che sei stato poco attento!
Arrivava però un altro, più gentile, e mi diceva che - siccome gli esperti del sanca sanctorum erano andati in pausa pranzo - avrebbe fatto in modo da farmi entrare di soppiatto in modo che io potessi esaminare il mio dossier e trarne indicazioni su ciò che avrei dovuto fare
Apriva una porticina più piccola delle dimensioni adatte a lasciar passare un nano, accanto a quella più grande, blindata e imponente, lasciandola socchiusa
Con lo sguardo mi facìceva capire che potevo insinuarmi dentro e girava le spalle
Entravo con fare circospetto, ma mi accorgevo subito che l'ufficio non era vuoto, così come mi era stato detto
All'interno c'erano due spettrali presenze, poco più che ombre o ectoplasmi
Uscivo subito terrorizzato, con il cuore in gola
(Dissolvenza)
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