Ho scritto questa breve nota il 14 gigno 2019 e mai l'ho pubblicata in questo blog. Eccola.
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Irvin D. Yalom, che nel corso della sua pratica psicoterapeutica ha elaborato il concetto di "psicoterapia esistenziale", nei suoi libri unisce l'esperienza clinica con un grande capacità di story teller.
Molti puristi della letteratura e i cultori della letteratura "colta" e "d'avanguardia" (metti, ad esempio, quelli della redazione di Fahrenheit che hanno un po' la puzza sotto il naso) diranno che le sue narrazioni sono semplicemente di consumo, banalizzazioni della vita e della psicoterapia. Devo dire invece (da persona che ha praticato la psicoterapia) che i romanzi di Yalom mi hanno sempre appassionato, quasi mai annoiato.
Il suo "Chiamerò la polizia" (titolo originale: I'm Calling the Police, nella traduzione di Serena Prina), pubblicato da Neri Pozza (Collana Piccola Biblioteca Neri Pozza, 2018), è un racconto, invero, brevissimo.
E di cosa parla? Essenzialmente del superamento del silenzio persistente tra due amici di lungo corso e del disvelamento di una "zona cieca" da parte di uno dei due su un suo pezzo importante di vita vissuta.
E questo superamento rappresenta un punto di svolta davvero importante, poiche solo il superamento di un "segreto" consente al soggetto di realizzare una condizione esistenziale piena e consapevole, equilibrata. Si tratta del silenzio di uno dei due amici, Bob, che si è rifugiato nella sua pratica ossessiva di brillante cardiochirurgo per non dover mai pensare al sua passato di sopravvissuto della Shoah; e di quello del narratore che figlio egli stesso di Ebrei emigrati prima della Shoah ha sempre coltivato un rifiuto intenso - quasi fobico - a confrontarsi con tutto ciò che fosse attinente con lo sterminio nazifascista degli Ebrei. L'impossibilità di dare libero corso al racconto è fatta infatti di due silenzi, di due diverse modalità di rimozione - se non di negazione - che s'intrecciano tra loro e si potenziano. Accade, tuttavia, ed è questa l'essenza del racconto che i due abbiano occasione di parlare e che il sopravvissuto alla Shoah, sensibilizzato da una recente esperienza (che ha fatto da trigger per il riemergere del rimosso), decide di raccontare tutto il suo passato all'autore (o al suo alter ego del racconto). E il narratore questa volta si apre all'ascolto, rendendosi disponibile e superando così la sua fobia.
Il breve - intenso - racconto è completato da un'intervista con l'autore che parla di se stesso e delle sue esperienze come psichiatra, come psicoterapeuta e come scrittore, e del loro intrecciarsi.
(Soglie del testo) «Avevo quindici anni. Ero scappato da una colonna di prigionieri che i nazisti stavano portando dal ghetto alla stazione, per deportarli, ed ero riuscito a tornare a Budapest, dove vivevo fingendomi cristiano grazie a documenti d’identità falsi. Tutti i membri della mia famiglia erano stati già arrestati e deportati».
(Quarta di copertina) "Mi sta capitando qualcosa di serio... Il passato sta erompendo... Le mie due vite, la notte e il giorno si stanno unendo. Ho bisogno di parlare".
Con queste parole il vecchio compagno di studi di Irvinn D. Yalom, Bob Berger lancia all'amico una richiesta di aiuto.
Da troppi anni, infatti, Bob vive due vite: una diurna come cardiochirurgo affabile, scrupoloso e infaticabile, e una notturna, quando i brandelli di orribili ricordi si fanno largo nei suoi sogni. Yalom sa che è giunto il momento di accompagnare l’amico fin dentro il suo incubo. Nei loro cinquant’anni di amicizia, Bob Berger non ha mai rivelato ad anima viva il suo passato di rifugiato di guerra sopravvissuto all’Olocausto, arrivato fino a Boston da solo, come profugo, all’età di diciassette anni, dopo essere sfuggito ai nazisti fingendosi cristiano. Ora è giunto il momento di affrontare i propri demoni. Insieme, Yalom e Berger interpretano i frammenti di una storia che, per essere esorcizzata e finalmente dimenticata, va affrontata in tutti i suoi più intimi risvolti psicologici.
Hanno detto:
«Irvin Yalom è uno psichiatra che pensa come un filosofo e scrive come un raffinato romanziere» - Rebecca Newberger Goldstein
«Yalom è uno studioso della condizione umana. La sua voce mescola meraviglia e umiltà» - Boston Globe
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L'Autore. Irvin D. Yalom, nato in una famiglia ebraica il 13 giugno 1931, è cresciuto in un ambiente povero.
Si laurea Bachelor of Arts alla George Washington University nel 1952 e Doctor of Medicine alla University School of Medicine di Boston nel 1956.
Si specializza al Mount Sinai Hospital di New York, e presso la Clinica Phipps del Johns Hopkins Hospital a Baltimora completa la sua formazione nel 1960.
Dopo due anni di servizio nell'esercito al Tripler General Hospital di Honolulu, Yalom inizia la carriera accademica presso la Stanford University nella quale entra nel 1963 per restarvi fino al 1968.
Oggi insegna Psichiatria alla Stanford University e vive e svolge il suo lavoro di psichiatra a Palo Alto, in California.
All'attività clinica ha affiancato quella di scrittore, che gli ha permesso di ottenere successi e gratificazioni importanti (soprattutto con il suo romanzo E Nietzsche pianse, i cui titolo è successivamente stato ritradotto da Neri Pozza in Le lacrime di Nietzsche).
Tra gli altri suoi romanzi, pubblicati da Neri Pozza, ricordiamo: La cura Shopenhauer (2005), Il problema Spinoza (2012), Il dono della terapia (2014), Sul lettino di Freud (2015), Creature di un giorno (2015), Il senso della vita (2016), Fissando il sole (2017), Diventare se stessi (2018) e Chiamerò la polizia (2019). Ha scritto anche un saggio uscito per Neri Pozza Psicoterapia Esistenziale (2019).
Per Raffaello Cortina è uscita la sua raccolta di racconti Guarire d'amore. Storie di psicoterapia (2015).
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