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Un tempo conobbi una certa signora Massa. Lascio a voi immaginare se questo cognome sia fittizio o reale.
Noi la chiameremo "Signora Massa", proprio per quella starordinaria intimità tra nome che la designa e apparenza della persona: un altro cognome non potrebbe essere più appropriato.
"Chiamatemi Massa" - disse la signora Massa - "e vi condurrò in un appassionante viaggio nei meandri della mia pacchionaggine".
La signora Massa la incontrai la prima volta in ospedale dove era impiegata come ausiliaria (come si diceva allora), ai tempi delle mie prime esperienze lavorative e, successivamente, ebbi modo di rivederla in un'altra struttura dell'Azienda sanitaria dove, nel frattempo, sul finire della mia carriera lavorativa ero stato trasferito.
Lei era ormai prossima alla pensione. E, in virtù delle precarie condizioni di salute, era stata assegnata ad una funzione lavorativa "riposante" e di scarso impegno quotidiano (ci fosse o non ci fosse, in sostanza, non cambiava nulla).
E si era fatta enorme: solo il viso era stranamente poco appensantito e conservava la stessa leggiadria popolana di un tempo.
Era davvero diventata una "mole" di donna, una specie di balena, fornita di gambe. In fondo, se si pensa alle dimensioni della balena bianca di Melville, il "Chiamatemi Massa" assume un suo senso preciso.
Ripeto che, essendo malatticia (anche se la sua mole dava l'impressione di floridezza e di salute straripante) era stata assegnata a compiti non gravosi (rispetto alla sua esigenza di dover combattere quotidianamente con la forza di gravità), insomma, era esentata dal dovere lottare contro le leggi sulla caduta dei gravi.
Quindi, il suo compito principale, se non unico, era quello di starsene chiusa dentro un gabbiotto a vetri con una struttura di alluminio anodizzato, situato all'ingresso della struttura operativa.
Teneva d'occhio l'ingresso e l'afflusso di visitatori e utenti. Ma il più delle volte si distraeva a sferruzzare, lanciando soltanto di tanto in tanto delle occhiate rapide con quei suoi occhietti vispi.
Dirò anche che non se ne stava sempre e volentieri dentro a quel gabbiotto, dal cui si vedeva sporgere soltanto la sua testa. Ogni tanto ne emergeva e con un'incerta andatura pachidermica si allontanava e spariva per un po' di tempo.
Soltanto molto tempo dopo scoprii che la signora Massa si ritirava in un piccolo sgabuzzino al termine di un lungo corridoio e ci si chiudeva dentro, per un po' di tempo: lo sgabuzzino non si sa perchè e come, lo aveva ottenuto per il suo personale uso.
Io immaginavo che si chiudesse lì dentro per compiere il rito di ripetuti e frequenti spuntini necessari ad alimentare il suo corpaccione e la sua golosità. E così era, in effetti.
La signora Massa, non appena trovava qualcuno disposto ad ascoltarla, prendeva sempre a lamentarsi del fatto che mangiava troppo, ma - nello stesso tempo - sosteneva spesso di essere a dieta. Un altro argomento da lei favorito erano i suoi molteplici malanni. Il terzo, invece, riguardava le congetture su quando le sarebbe stato possibile andare in pensione. E nell'attesa infiorava spuntini su spuntini, per ingannare il tempo, ma anche per golosità.
Ma com'era possibile che fosse a dieta, visto che le dimensioni del suo corpo sembravano aumentare di giorno in giorno a vista d'occhio?
E, naturalmente, le assenze dalla sua postazione aumentavano sempre più nella loro frequenza: si poteva immaginare che merende e spuntini, di conseguenza, si facessero del pari sempre più ricorrenti. Ma tra tutti gli altri miei colleghi ero io quello che aveva scoperto il bandolo della matassa ed ero io a tenerla d'occhio.
Infatti, il bello era che per raggiungere quel famoso stanzino la Signora Massa doveva passare davanti alla porta della stanza che, a quel tempo, io occupavo: e, quindi, presi a tenere la porta aperta, in modo tale da poterla tenere d'occhio e monitorare così i suoi passaggi.
Con una mia amica di quel tempo, cominciammo a scambiarci sms proprio a partire proprio dalla sua "biomassa". C'erano risate e commenti che rimbalzavano attraverso l'etere.
Ad un certo punto, partì tra noi la scommessa di riuscire a commentare sulla signora Massa sempre in rima, utilizzando in altri termini parole che rimassero con il "Massa".
Ben ardua impresa, perchè il repertorio di possibilità lessicali era - è - alquanto limitato.
In quel fitto scambio di messaggi ci siamo divertiti un mondo. Ero sempre io che cominciavo per primo, scrivendo: "E' passata la signora Massa..." e di seguito la rima: per esempio, "...suonando una grancassa"...
Tutto questo finì con il diventare un'interminabile storia a puntate, quasi una saga-tormentone. di cui, in qualche modo, la diretta interessata venne a sapere, poichè ogni tanto mi capitava di parlare con qualcuno dei miei colleghi di questa "storia di Massa" che si stava formando a partire dai primi stringati messaggi. Sicché un bel giorno mi interpellò, la signora Massa in persona: "Mi hanno detto che Lei ha scritto una storia su di me: ma di cosa si tratta?".
Io le inventai lì per lì una penosa bugia (o meglio una falsa verità) a cui lei credette.
Le dissi che quegli altri le avevano detto una bugia per farle uno scherzetto (dolcetto scherzetto? Dolcetto, dolcetto!).
Fin dall'inizio cominciai a trascrivere quei messaggi e vidi che le cose si facevano sempre più complicate, poichè - se l'avvio erano state delle semplici rime - a poco a poco cominciavano a venire fuori delle puntate giornaliere in cui, se il cimento della rima rimaneva sempre, conquistavano sempre più spazio delle vere e proprie narrazioni.
L'insieme di quelle narrazioni ricevette il titolo di "Storie di Massa".
Per un po' di tempo persi il file originario che - fortunosamente - in tempi più recenti sono riuscito a ritrovare.
Facevano da pendant al corpo delle narrazioni prinicipali, altre sottostorie, tra le quali la descrizione parodica di un concorso canoro per ciccioni (a cui immaginavo avesse partecipato anche la signora Massa- ed era questo l'elemento fiction) ed un'altra in cui la signora Massa faceva parte di una ciurma di pirati che assaltava un cargo carico di barili di melassa.
Ed era questa in particolare la storia di cui la signora Massa mi chiedeva notizia.
Si trattava appunto della riscrittura di una notizia di cronaca sulla recrudescenza delle azioni di neo-pirati nei Mari dell'Estremo Oriente.
Io la riscrissi, immaginando che la signora Massa fosse a capo di una ciurma di ribaldi che assaltavano le navi che trasportavano melassa e ci ricamai sopra.
Siccome, il tutto era molto divertente - per non dire esilarante - con la signora Massa che voluttuosamente, alla fine, si tuffava nella melassa, come zio Paperone nei dollari - alcuni si fecero scappare qualche indiscrezione.
No, no! Qui in chiusura, di questa mia introduzione vorrei però dirvi che la signora Massa fu interamente un parto della parto della mia fantasia, che - forse, sì - ebbe uno spunto dalla realtà, poichè il palazzo dove avevano sede gli uffici dell'Azienda sanitaria, c'era - al tempo - anche la sede dell'Assessorato comunale alla Casa e quindi, quotidianamente arrivava una processione di cittadini tra i quali si ritrovavano anche personaggi memorabili, di uno dei quali anche scrissi un breve testo "Chi capiddi chi aio!".
E forse, come occasionale compagno di viaggio in ascensore, dovetti avere imbattermi in qualche pacchionissima che forse, in quel momento, mi ritrovai a battezzare come "la Signora Massa". E, a quel punto, i giochi erano fatti.
A partire dall'incontro fortuito con la signora Massa parti tutta la sequenza di storie e storielle.
Ed ecco di seguito per voi le "storie di Massa". Tengo a precisare che questi racconti sono molto politicamente scorretti nei confronti degli obesi, dei pacchioni e dei cicciottoni. Ma penso che questo sarà considerato un peccato veniale, visto che non vi è alcxun aggancio concreto con una realtà vissuta e sperimentata. Tutto quanto è frutto della mia fantasia.
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