Il presente scritto si riconnette ad uno più lungo che pubblicai alcuni anni fa nel blog dedicato a mio padre (Francesco Crispi giornalista. Chi era), nel tentativo di creare per lui una vita digitale post-mortem, visto che lui venne a mancare, quando ancora le connessioni digitali non avevano preso piede (ed ancora era ben al di là dal venire il PC come strumento di scrittura e di conservazione dei dati personali di ciascuno).
In quello scritto rievocavo il giorno della morte di papà e quelli successivi.
Questo, più breve, è centrato sul rimpianto di una mia azione mancata ed è stato stimolato da una lettura che mi sono ritrovato a fare nei giorni precedenti (più che altro è stata una singola frase ad avermi colpito).
Si ritorna spesso nei luoghi della mente dove continuano a vivere i nostri dolori e i lutti che abbiamo subito.
In calce inserisco il link a quello scritto.
Una mattina mio padre partì.
Era usuale per lui partire per motivi di lavoro.
Sempre in aereo, il più delle volte.
Viaggi rapidi, spesso dalla mattina alla sera: la meta principale e più frequente Roma.
Quindi, il suo uscire per una partenza non era molto differente da una normale uscita per andare al lavoro in città. Nulla di diverso da una normale routine.
Alle sue partenze così frequenti in famiglia non si riservava mai una particolare attenzione. Eravamo ben organizzati anche per quanto riguardava tutte le necessità di mio fratello.
Quella mattina, lui era di partenza ed io mi ero già impossessato del bagno che condividevo con lui.
Mi salutò attraverso la porta chiusa.
Io ricambiai distrattamente, quasi irritato da questa interruzione. Non feci il minimo sforzo per aprire la porta e ricambiare con un minimo di calore.
Mio padre non fece più ritorno, da vivo.
Ma questa è storia nota. Il suo aereo si schiantò sul monte, al suo ritorno, quella sera stessa.
Non lo vidi più, nemmeno nella cassa da morto.
Ciò che vidi fu soltanto una bara già sigillata e mi dissero che lui che era lì dentro.
Ho sempre rimpianto nella mia vita quel saluto non dato con il calore che avrebbe richiesto quel commiato, se il destino dietro la porta si fosse in qualche modo annunciato, in forma di presentimento o che so cosa.
Se avessi saputo che quella era l'ora del commiato definitivo, mi sarei precipitato ad aprire la porta e a stringerlo tra le braccia in un forte e definitivo abbraccio. E ho pensato che quella porta chiusa, a creare una separazione fisica tra me e lui, sia stata un'anticipazione di quell'intercapedina di legno e zinco della separazione negativa e definitiva, irrevocabile, quando il suo corpo - o quel che ne restava - entrò in casa dopo più di due giorni dal disastro per una veglia dolente.
O forse no: tra me e lui, in quel periodo, c'era un certo impaccio nell'intimità fisica. Stavamo un po' a distanza: e questo distanziamento era accentuato dal fatto che, da un lato, ammiravo mio padre per la sua statura intellettuale e lo ponevo su di un piedistallo per me irraggingibile, dall'altro, aborrivo i suoi piccoli difetti che invece lo rendevano umano. Ed ero in una fase della vita difficile, poichè cercavo di distanziarmi da lui e non semplicemente vivere nella sua ombra gigantesca. A chi mi diceva: "Allora, sei il figlio di Ciccio Crispi?", io solevo rispondere irritato:: "Sono Maurizio Crispi", seguendo il classico copione iconoclastico dell'adolescenza ribelle.
Quindi, è probabile che quell'abbraccio non ci sarebbe stato. Ma forse, se avessi aperto la porta, ci sarebbe stato almeno il ricordo di un ultimo vis à vis.
E' così che io rimpiango quell'ultimo commiato che non ci fu mai, o abbraccio o sguardo mancato che fosse stato. Per non contare poi tutte le parole non dette, rimaste per sempre in sospeso.
La sua partenza, in realtà, lasciò in me un vuoto incolmabile, le cui tracce tuttora riconosco dentro di me.
In una mattina di maggio mio padre è partito...
Andava in aereo a Roma e sarebbe tornato a casa la sera tardi. Papà bussa alla porta del bagno per dirmi che sta andando via. Ciao! Ciao! ho fatto io da dietro la porta. E lui se ne è andato. Non...
http://francescocrispigiornalista.blogspot.com/2010/06/in-una-mattina-di-maggio-mio-padre-e.html
In occasione di un corso di formazione che contemplava anche un modulo sulle narrazioni nella formazione degli operatori socio-sanitari incontrai la titolare di quel modulo. Fu un incontro prezioso e molto stimolante. Tanto che di getto, durante i giorni del corso stesso, scrissi questa memoria.
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