A Bologna fa ancora luce quando ci arrivo, al termine di una gara podistica, ma è tutto freddo e grigio...
Alberi che protendono i loro rami rami spogli al cielo, come braccia nude slanciate verso un dio muto e senza orecchie per sentire, in un cielo grigio e vuoto.
E poi, mentre cammino con il piccolo zaino sulle spalle, ecco che si impone anche una pioggerella fredda ed insistente
La città è agli sgoccioli del giorno di festa.
Viandanti si affrettano pigri verso gli ultimi sprazzi di un giorno di bagordi oppure indolente, a seconda dei casi.
Mendicanti sotto i portici, con i cartelli rozzi vergati a mano in cui chiedono qualche lira oppure dichiarano di aver fame o che hanno tanti bambini da sfamare (gli strumenti del mestiere...)...
Un suonatore di fisarmonica con le sue noti tristi...
Altri musicanti da strada che si preparano a suonare ed intanto accordano i propri strumenti e dispongono l'immancabile recipiente per la raccolta degli oboli.
Gente che va e gente che viene al freddo e poi sotto la pioggia.
Gente seduta ai bar all'aperto riscaldati da grosse stufe da outdoor che generano l'impressione di tanti falò accesi nella notte.
Gente che tace e gente che chiacchiera, di cose futili
E poi, dopo un viaggio in un bus vuoto come dopo il giorno dell'apocalisse in una città popolata solo di spettri (sia di mendici e di umili, sia di festaioli), c'è l'aeroporto con i suoi enormi spazi vuoti e le sue pareti di plastica e metallo: un antro deserto ed inquietante dove di tutto potrebbe accadere.
A sorpresa, mi imbatto in un assaggio di foto di una mostra dedicata a Lucio Dalla e inaugurata all'inizio dell'anno con opere di fotografi bolognesi
Il pulitore di colore che, armato di ramazza e super-mocho, lustra i pavimenti attorno a me e, sentendomi sbadigliare, mi dice: "Hai molto sonno". Una frase insignificante, ma è significativa perché è la prima che sento pronunciare, proprio indirizzata a me dopo molte ore...
E poi altri dormienti attorno a me, tutti abbandonati fiduciosi, e alcuni si sono levati le scarpe per dare respiro ai piedi.
Alcuni, come me, hanno scelto di rifugiarsi in luoghi isolati.
Altri, invece, preferiscono raggrupparsi e, forse, dalle piccole aggregazioni di dormienti scaturisce il senso di una maggiore sicurezza.
Poi, al risveglio, con la bocca ancora impastata, le abluzioni veloci nel bagno pubblico e un vago sentore di cornetti precotti riscaldati al forno che pervade i grandi spazi e che, immediatamente, suscita la voglia del primo caffè.
Comincia a sentirsi l'echeggiare delle rotelle dei trolley tirati avanti ed indietro, ma anche il rumore dei passi cadenzati di gente che vaga alla ricerca di qualcosa.
Alcuni alla ricerca della gate d'imbarco del proprio volo.
Altri alla ricerca di se stessi, forse.
In fondo, siamo tutti alla ricerca di noi stessi.
Alcuni sono irrequieti perché questo non lo sanno, e si smarriscono a fare una quantità di cose futili, invece di concentrarsi sulle poche cose essenziali, quelle che contano veramente.
Ed è quasi giorno.
Un nuovo giorno.
Uno di tanti.
La prima versione di questo scritto faceva così ed era anche un po' più autobiografico.
Antichi portici
rigurgitano
di viandanti indolenti
nel giorno di festa
che volge alla fine
C'è un uomo che suona
una fisarmonica triste
E una donna gitana,
seduta ad un banchetto,
rimesta i suoi Tarocchi
in attesa di un cliente
cui predire la sorte
Gli alberi spogli
protendono le loro braccia nude
al cielo che trascolora,
come in preghiera
Io
cammino e cammino,
homeless
per la notte che verrà
E il mio cuore inquieto
vola lontano
verso la Terra di Albione
Foto di Maurizio Crispi