Mia madre ha tenuto la maggior parte dei suoi libri di scuola e dell'università.
Nemmeno gli anni della guerra sono riusciti a disperderli (cosa che è invece accaduta con una parte dei libri scolastici di mio padre,passati di mano in amno ai fratelli più piccoli.
Ora che la mamma non c'è più, quei suoi libri se ne stanno ancora lì, conservati negli armadi dove lei li aveva riposti: ogni tanto li guardava o li consultava, perchè in qualcho modo rappresentavano la base del suo sapere, al quale poteva tornare indietro guardando al suo farsi.
Ogni tanto, mi diceva nei suoi ultimi anni: "Cercami per favore l'antologia con le poesie di Pascoli, dove ho studiato", oppure mi chiedeva di trovarle questo o quell'altro volume che desiderava guardare, sfogliare per leggerne bravi o per guardare le sue annotazioni a margine, scritte ordinatamente a matita, con la sua chiara scrittura rimasta immutata nel corso del tempo.
Anch'io ho conservato la maggior parte dei miei libri scolastici che ora se ne stanno negli stessi armadi, accanto a quelli su cui si era formata mia madre.
E questo mi d° il senso della continuità.
Quando già seguivo gli studi universitari, tornavo frequentemente a consultare i libri del corso di biologia.
E, se oggi mi capita di maneggiarne uno in cui mi imbatto cercando qualcosa, lo faccio con una grande emozione. Quelle pagine un po' ingiallite, figure, schemi, diagrammi, i miei disegnini, la mia firma impacciata sulla prima pagine del libro con l'anno scolastico di riferimento, mi ricordano quegli anni, mi ricordano di me.
Molti dei libri di scuola, li ho conservati, perchè c'ero semplicemente affezionato.
Qualcuno dei miei compagni (ma erano casi rari) li vendeva: ed io, plasmato dall'esempio di mia madre, li guardavo cvon orrore, mentre perpetravano quello che a me apparriva come un orribile misfatto.
Pensavo sempre che anche i libri di scuola entrassero a far parte del proprio bagaglio culturale da tramandare.
Oggi, invece, il primo pensiero dei ragazzi che si diplomano agli esami di maturità é quello di vendere quei libri su cui hanno sudato, sbarazzandosene come si fa con un odiato fardello.
Li vendono per una manciata di denari (o li svendono) per "accucchiare" quattro soldi, magari per comprarsi un nuovo telefonino.
Non c'è più il senso della tradizione (in generale) e quello della consapevolezza che si sta costruendo la "propria" tradizione e che i libri dello studio rappresentano propio questo.
I ragazzi di oggi, plasmati dal verbo dei media televisivi sono dei piccoli apprendisti stregoni sul valore smodato che si dà al denaro e al potere.
Ogni cosa ha valore soltanto se è convertibile in denaro o se serve ad acquisire potere, prestigio, consenso.
Tutto ciò che nons erve a questo scopo può essere buttato, se non convertibili a qualcuno di questi scopi primari.
Questa tenedenza é anche il segno di quanto "liquide" siano diventate le loro identità che non hanno più bisogno di fondarsi sulla memoria e sulla tradizione per sussistere, ma soltanto sugli oggetti di consumo e sul soddisfacimento di neo-bisogni che, entrambi per la loro stessa natura, sono intercambiabili.
Queste riflessioni nascono dal fatto che anche mio figlio ha fatto la stessa cosa: senza che ne sapessi niente, ha venduto tutti i suoi libri di scuola, praticamente il giorno dopo aver concluso gli esami e aver avuto la certezza che li aveva superati.
Ci sono rimasto male: spero soltanto che non abbia venduto anche il mio dizionario Italiano-Greco (il famoso ed insuperabile Rocci) che gli avevo dato (temporaneamente) e a cui tenevo parecchio.