(Maurizio Crispi) Quando ero piccolo...
Questo incipit è d'obbligo, quando riemergono ricordi dell'infanzia.
Quando ero piccolo, mio soffriva di "agrilluddana".
Un termine che non troverete certo nei dizionari, per quanta buona volontà ci mettiata.
Agrilluddana era una parola di gergo familiare che stava ad indicare una particolare mimica di disgusto che mio fratello faceva quando gli venivano dati da mangiare gli aranci brasiliani che notoriamente, per quanto dolci possano essere, sono "agri" al gusto.
Per lui piccolo, questo agro era pressocchè insopportabile ed era tale la mimica di disgusto che metteva in mostra quando gli finiva sotto i denti uno spicchio di un arancia brasiliana che la mamma decise in modo autoritario che per lui sarebbero state acquistate e tenute a disposizione le arancie "vaniglia" che non essendo "agre" non gli provocavano l'effetto dell'"agriluddana".
Ed io, piccoletto, non capivo le ragioni di tale privilegio, anche perchè per come mi parevano allora (anche, perchè quelle arance, essendo divenute una sorta di frutto proibito, mi sembravano buonissime.
Era frequente questo scambio di battute tra me e la mamma.
Mamma, mamma, anch'io voglio mangiare le arance vaniglia!
No, tu no!
Ma perchè?
Perche tu non hai l'agriluddana, concludeva perentoria la mamma.
Ed io: Mamma, mamma, voglio anch'io l'agriluddana! Come faccio per averla anch'io?
Ma non c'era verso.
In alcune cose, la mamma era di una rigidità prussiana.
Ed io così le arance vaniglia me le mangiavo di nascosto e, quando servivano per mio fratello, andava a finire che non ce n'erano più.
Facevo in segreto scorpacciate di arance vaniglia...
No, non credetemi del tutto: non ero così così cattivello al punto da lasciare mio fratello a bocca asciutta!
Ma qualcuna di nascosto di quelle arance vaniglia, me la mangiavo, questo è poco, ma è sicuro.